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Festa della Madonna della Fiducia
Sabato, 20 febbraio 1971
Venerati Fratelli e Figli carissimi!
Venire in questo Seminario Romano, e qui incontrare il nostro
Cardinale Vicario, circondato dai suoi Vicegerenti, dai suoi
Vescovi Ausiliari e Delegati per speciali ministeri, qui trovare i
Sacerdoti della Diocesi di Roma, quelli specialmente che sono
impegnati come Parroci e Vice-Parroci nella cura pastorale e con
loro i Predicatori quaresimali, e altri zelanti Sacerdoti del Clero
secolare e Religiosi, qui vedermi circondato dai Superiori e dagli
Alunni del Seminario, ai quali devo l’invito a compiere questa
visita nel giorno benedetto, che questo istituto dedica alla fervorosa
devozione della «Madonna della Fiducia», sua protettrice e titolare
di questa Cappella, è per me, vostro Vescovo, un momento assai
caro, un momento importante, significativo e commovente. Qui io
avverto d’essere nel posto e nella funzione che precisamente mi
qualificano come vostro Pastore, responsabile delle sorti religiose di
questa veneratissima Diocesi, posta al centro della Chiesa cattolica
e scelta quale ubicazione storica ed operativa della Sede Apostolica;
qui io mi sento nel punto focale della comunione cristiana, qui nel
cenacolo di quella «ecclesiae dilectae et illuminatae . . . quae et
praesidet in loco chori Romanorum, digna Deo, digna decentia, digna
beatitudine, digna laude, digne ordinata, digne casta et praesidens
in caritate . . .» (S. IGNAZIO D’ANTIOCHIA,
Prologo della Lettera ai Romani); di quella Chiesa affidata al
successore di San Pietro; e perciò qui nel vincolo più pieno e più
forte della mia affezione per voi, nell’obbligo e nel bisogno
d’essere in Cristo vostro Padre, vostro Maestro, vostro Pastore,
vostro Fratello, vostro sodale, vostro amico, vostro servitore.
Qui vorrebbe la nostra conversazione effondersi spontaneamente e
tranquillamente; qui mi piacerebbe ascoltarvi e parlarvi con accento
domestico; qui comprendervi e farmi comprendere, confortarvi ed essere
confortato, qui con voi ragionare di Cristo, per la gloria del
Padre, nello Spirito di verità; qui parlare alle vostre anime delle
vostre anime e dei molti problemi spirituali e pastorali di questo
tempo, e particolarmente di questa Urbe, dove ogni questione del
regno di Dio acquista importanza maggiore e significato straordinario.
Sappiate almeno con quale animo sono fra voi.
CHI È IL SACERDOTE?
Ma dobbiamo limitarci alla scelta d’un punto solo, fra i tanti che
urgono sul cuore, per questo breve colloquio; e qual è? esso si
presenta da sé, come un tema d’obbligo, oggi: quello, così
detto, della «identità» propria del Sacerdote. È tema, che
travaglia certamente voi, alunni del Seminario, tesi verso la
definizione del vostro avvenire; e tema, che può insorgere come un
angelo di luce, o come uno spettro notturno, nella coscienza di voi,
Sacerdoti, in un atto riflesso sul vostro passato, ovvero
sull’esperienza del vostro presente. Ecco: chi è il Sacerdote?
La domanda, dapprima ingenua ed elementare, si appesantisce di dubbi
molesti e profondi: è davvero giustificata l’esistenza d’un
sacerdozio nell’economia del nuovo Testamento? quando sappiamo che
quello levitico è terminato, e solo quello di Cristo adempie la
funzione mediatrice fra Dio e gli uomini, e quando questi, elevati al
livello di «genus electum» (1 Petr. 2, 9) sono rivestiti d’un
sacerdozio loro proprio, che li autorizza ad adorare il Padre «in
spirito e verità»? (Io. 4, 24) E poi questo travolgente
processo di desacralizzazione, di secolarizzazione, che invade e
trasforma il mondo moderno, quale spazio, quale ragion d’essere
lascia al prete nella società, tutta rivolta a scopi temporali e
immanenti, al prete rivolto a scopi trascendenti, escatologici e così
estranei all’esperienza propria dell’uomo profano? Il dubbio
incalza: è giustificata l’esistenza d’un sacerdozio nell’intenzione
originaria del cristianesimo? d’un sacerdozio quale è fissato nel
profilo canonico? Il dubbio si fa critico, sotto altri aspetti,
psicologico e sociologico: è possibile? è utile? può ancora
galvanizzare una vocazione lirica ed eroica? può ancora costituire un
genere di vita, che non sia alienato, o frustrato? Questa
problematica aggressiva i giovani la intuiscono, e molti ne restano
scoraggiati: quante vocazioni spente da questo vento sinistro! e la
sentono talvolta come un interiore tormento sconvolgente anche quelli
che al sacerdozio sono già impegnati; e per taluni diventa paura, che
si fa coraggiosa in alcuni, ahimé! , solo alla fuga, alla
defezione: «Tunc discipuli . . . relicto Eo, fugerunt»; l’ora
del Getsemani! (Matth. 26, 56)
Si parla di crisi del sacerdozio. Il fatto che voi siate qui raccolti
dice subito che essa non ha presa su i vostri animi: grande fortuna!
grande grazia! Ciò non esclude che anche voi ne avvertiate il
pericolo, ne sentiate la pressione, ne desideriate la difesa. Vorrei
che questa mia visita agisse in voi come conferma interiore e gioiosa
della vostra scelta. Per questo oggi sono venuto. Nulla è ora più
necessario per il nostro Clero che la ripresa d’una coscienza ferma e
fiduciosa della propria vocazione. Si potrebbero adattare alla
presente situazione le parole di San Paolo: «Videte, vocationem
vestram, fratres» (1 Cor. 1, 26). Non mi diffondo in
analisi e in discussioni. Voi sapete che su questo tema esiste ormai
una vasta letteratura. Ai libri corrosivi della sicurezza, che
fiancheggia il sacerdozio cattolico, rispondono ora libri che non solo
confortano tale sicurezza, ma che la avvalorano di nuovi argomenti, di
quello fra tutti più valido d’una fede più illuminata e convinta,
donde la vita del prete trae sorgente inesausta di luce, di coraggio,
di entusiasmo, di speranza. E sapete che la Chiesa, in questo
tempo, svolge ad alto livello, negli studi teologici, nei documenti
del magistero (citeremo, ad esempio, la lettera dell’Episcopato
tedesco sull’ufficio sacerdotale), e svolgerà nel prossimo Sinodo
episcopale, la verifica dottrinale e canonica della propria struttura
sacerdotale.
PROBLEMATICA STIMOLANTE
Vorrei dirvi ora soltanto due parole. La prima: non abbiate timore
di questa problematica sul sacerdozio. Essa può essere
provvidenziale, se davvero ne sappiamo trarre uno stimolo a rinnovare
la concezione genuina e l’esercizio aggiornato del nostro sacerdozio;
ma purtroppo può anche diventare eversiva, se si attribuisce valore
più del merito a luoghi comuni, oggi divulgati con grande facilità,
sulla crisi, che si vorrebbe fatale, del sacerdozio, sia per novità
di studi biblici tendenziosi, sia per autorità di fenomeni
sociologici, studiati per via di inchieste statistiche, o di rilievi
di fenomeni psicologici e morali. Interessantissimi dati, se volete,
meritevoli di seria considerazione in sedi competenti e responsabili,
ma non mai tali da scuotere la nostra concezione sull’identità del
sacerdozio, se questa coincide con la sua autenticità, quale la
parola di Cristo e la derivata e provata tradizione della Chiesa
consegnano intatta, anzi dopo il Concilio approfondita, alla nostra
generazione. Tale autenticità si sostiene, come ben sapete, anche
al confronto del mondo areligioso moderno, il quale, proprio perché
tale e perché enormemente progredito nella esplorazione e nella
conquista delle cose accessibili alla nostra esperienza, avverte, e
più avvertirà, il mistero dell’universo che lo avvolge e
l’illusione della propria autosufficienza, esposta al pericolo
d’essere asservita e inaridita dal suo stesso sviluppo, ed eccitata
all’esasperante conato di raggiungere l’ultima verità e la vita che
non muore. In un mondo come il nostro, non è annullato, è
accresciuto il bisogno di chi compia una missione di verità
trascendente, di bontà supermotivata, di salvezza escatologica: il
bisogno di Cristo. E noi non disperiamo della gioventù del nostro
tempo, quasi essa fosse allergica e refrattaria alla vocazione più?
audace e più impegnativa, quella del regno di Dio. Preghiamo,
operiamo e speriamo : «Potest Deus de lapidibus istis suscitare
filios Abrahae» (Luc. 3, 8). Abbiamo fiducia in voi, giovani
Alunni della scuola della Chiesa, e in voi, fratelli nostri nel
sacerdozio e collaboratori nel ministero; abbiamo fiducia che saprete
desumere dalla sempre vera sapienza della fede cattolica le forze vive e
le forme nuove per riprendere il colloquio col mondo moderno: il
Concilio vi offre il suo volume, che non indarno voi custodirete. E
voi tutti, figli e fratelli, abbiate fiducia nel vostro Vescovo! il
quale non ha nulla da promettervi di quanto può fare attraente la vita
per chi ama questa vita; ma per chi ama Cristo, per chi ama la
Chiesa, per chi ama j fratelli, offre ciò che a tanto amore
conforta: la fede, il sacrificio, il servizio; la Croce insomma; e
con essa la fortezza, il gaudio e la pace; e poi l’orizzonte estremo
delle speranze eterne. E tutto questo uniti insieme, nella
ricomposizione di quel presbiterio romano, di quella comunità
ecclesiale, che ci dia l’ansia ed il presagio di realizzare in
continua e paziente tensione la preghiera testamentaria di Gesù:
Siano tutti uno (Io. 17, 21).
«MATER MEA , FIDUCIA MEA!»
L’altra parola è quella che sempre risuona in quest’aula di pietà
vigiliare del sacerdozio: Maria, mater mea, fiducia mea. È la
festa della Madonna qui e così venerata, che ora ci riunisce e che
senza alcuno artificio devozionale, o convenzionale mette in luce la
conversatio, la relazione cioè, l’intimità, diciamo pure il
dialogo, che deve esistere fra l’ecclesiastico, alunno, diacono o
sacerdote che sia, e la Vergine Madre di Dio. La festa familiare
di questo Seminario riporta il pensiero della nostra trepidante
controversia e della nostra fiduciosa apologia del sacerdozio a quello
di Maria, Madre di Cristo. Non già che noi possiamo attribuire
alla Madonna le prerogative del Sacerdozio, e al Sacerdozio quelle
proprie della Madonna, ma esistono analogie e rapporti fra
l’ineffabile somma di carismi, di cui è ricolma Maria, e l’ufficio
sacerdotale, che faremo sempre bene a studiarne e a goderne la
corrispondenza. È di questa armonia che può edificarsi la nostra
formazione, sempre m via di perfezionamento: Donec formetur Christus
in vobis (Gal. 4, 19), e può arricchirsi la nostra esperienza
sacerdotale. È questa armonia, innanzitutto, che ci trasporta, per
via esistenziale, quasi per incanto, nel quadro evangelico, dove
visse la Madonna e da lei Gesù: così ella ci è subito maestra di
questo ritorno alle fonti scritturali, del quale oggi tanto si parla,
e subito ella sveglia in noi quella vita profonda, quell’attività
personalissima, ch’è la nostra coscienza interiore, la riflessione,
la meditazione, la preghiera. Dobbiamo pensare e modellare la nostra
esistenza in modo reduplicato: non possiamo avere un’azione
esteriore, per buona che sia, di ministero, di parola, di carità,
d’apostolato, veramente sacerdotale, se essa non nasce e non ritorna
alla sua sorgente e alla sua foce interiore. La nostra devozione a
Maria ci educa a questo indispensabile atto riflesso a duplice titolo:
perché ci conduce al Vangelo, che ci ispira e ci misura, e perché
incontriamo la Madonna in questo identico atteggiamento, di ripensare
gli avvenimenti della sua vita, cogitabat qualis esset ista salutatio
(Luc. 1, 29); conferens in corde suo (Luc. 2, 9);
Mater Eius conservabat omnia verba haec in corde suo (Luc. 2,
51). Maria scopre in ogni sua cosa un mistero; e non poteva essere
altrimenti per lei, così prossima a Cristo. Può essere
diversamente per noi che a Cristo siamo tanto vicini da essere
autorizzati a dispensare i suoi misteri (Cfr. 1 Cor. 4, 1), e
a celebrarli in persona Christi? (Cfr. Phil. 2, 7)
Introdotti in questo sentiero della ricerca dell’esempio di Maria,
tutta la nostra vita trova la sua forma, quella spirituale, quella
morale, quella ascetica specialmente. Non è tutta permeata di fede
la vita di Maria? Beata, quae credidisti! (Luc. 1, 45) la
saluta Elisabetta; né più alto elogio si può fare di Lei, la cui
vita tutta si svolge nella sfera della fede. Lo ha riconosciuto il
Concilio (Lumen gentium, 53, 58, 61, 63, ecc.). E la
nostra vita sacerdotale non ha forse lo stesso programma, non deve
essere vita che attinge dalla fede la sua ragion d’essere, la sua
qualificazione, la sua speranza finale? Poi, il suo titolo
privilegiato ci trema sulle labbra: è la Vergine. Cristo ha voluto
nascere da una Vergine, e quale! l’Immacolata! Non dice nulla
questo accostamento dell’Immacolata alla nostra scelta dello stato
ecclesiastico, che deve essere non represso, ma esaltato,
trasfigurato, potenziato dal sacro celibato? Ne sentiamo oggi
criticare il lato negativo, fino a dirlo inumano e impossibile: la
rinuncia cioè all’amore dei sensi e del vincolo coniugale, normale,
altissima e santa espressione dell’amore umano. Vicini a Maria, noi
avvertiamo il triplice e superiore valore positivo del sacro celibato,
estremamente confacente col sacerdozio: primo, il perfetto e rigoroso
dominio di sé (ricordate San Paolo: Castigo corpus meum et in
servitutem redigo . . .?) (1 Cor. 9, 27), dominio
indispensabile per chi tratta le cose di Dio e si fa maestro e medico
delle anime, e segno luminoso e direttivo al Popolo cristiano e
profano delle vie che conducono al regno di Dio; secondo, la
disponibilità totale al ministero pastorale che il celibato
ecclesiastico garantisce al sacerdote; è evidente; terzo, l’amore
unico, immolato, incomparabile e inestinguibile a Cristo Signore,
il Quale dall’alto della croce affida la Madre sua al discepolo
Giovanni, che la tradizione asserisce essere rimasto vergine: Ecce
filius tuus; ecce mater tua . . . (Io. 19, 26-27)
E così dite, sempre facendo di Maria il nostro modello, della sua
obbedienza assoluta, che inserisce la Madonna nel disegno divino:
Ecce ancilla Domini . . . . (Luc. 1, 38) dite così
dell’umiltà, della povertà, del servizio a Cristo: tutto è
esemplare per noi in Maria. Dite così del suo magnanimo coraggio,
superiore ad ogni classica figura di eroismo morale: Ella stava iuxta
crucem Jesu (Io. 19, 25), a ricordarci che, come partecipi
dell’unico sacerdozio di Cristo, noi dobbiamo essere altresì
partecipi della sua missione redentrice, essere cioè con lui vittime,
totalmente consacrati ed offerti al servi-zio e alla salvezza degli
uomini; potremo meditare così la profezia che ha fatto pesare sul
cuore di Maria, durante tutta la sua vita, l’incombente, misteriosa
spada della passione del Signore (Cfr. Luc. 2, 35) e potremo
così applicare a noi stessi le parole dell’Apostolo: Adimpleo ea,
quae desunt passionum Christi in carne mea pro corpore Eius, quod est
ecclesia, cuius factus sum ego minister (Col. 1, 24).
È facile, è dolce, è corroborante ripetere allora la bella
giaculatoria: Maria, mater mea, fiducia mea. Oggi e sempre nella
nostra vita sacerdotale.
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