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Domenica, 10 maggio 1970
Qu’il Nous soit permis d’adresser d’abord un mot de bienvenue,
dans leur langue, à nos chers Fils de France, venus nombreux pour
assister à la glorification de leur humble et glorieuse compatriote.
Nous avons le plaisir de saluer Monsieur Marcellin, Ministre de
l’Intérieur, et les autres Membres de la Mission spéciale
envoyée par le Gouvernement Français pour cette circonstance.
Nous saluons le Cardinal Renard, Archevêque de Lyon, et les
Evêques de France qui l’entourent, parmi lesquels Monseigneur
Jean Hermil, Evêque de Viviers, le Diocèse d’origine de la
nouvelle Sainte.
Nous accueillons avec une satisfaction toute spéciale - est-il
besoin de le dire? - les nombreuses Filles de Sainte-Thérèse
Couderc et leur Supérieure générale.
Enfin nous avons l’honneur et la joie d’avoir aujourd’hui parmi nous
un Visiteur exceptionnel, le «Catholicos» supreme de tous les
Arméniens, Vasken 1er, venu de la sainte Etchmiadzin pour
apporter à l’Eglise de Rome le salut de la glorieuse Eglise
arménienne, si riche en Saints et en Martyrs. Nous bénissons la
Providence, qui a permis qu’une cérémonie de Canonisation se
déroule durant tette visite historique, et permette ainsi d’associer
nos hôtes arméniens et leur très digne Chef spirituel à la joie de
toute l’Eglise.
La solennità di questo momento e di questo luogo suggerirebbe un lungo
discorso di lode a Dio, «che ci consola in ogni nostra tribolazione,
affinché noi pure possiamo consolare gli altri» (2 Cor. 1,
4), mediante l’apparizione dei suoi Santi nella nostra terrena
peregrinazione; un discorso di culto alla nuova Santa
Maria-Vittoria Teresa Couderc; di compiacimento con la
Congregazione di Nostra Signora del Cenacolo, che la ebbe
fondatrice; di esortazione alla Chiesa, che in questa eletta sua
figlia trova esempio, aiuto e protezione; di confronto con il nostro
secolo, che ne eredita l’esperienza e l’opera; di lode e di augurio
infine alla Francia, che alla Santa diede i natali ed il campo d’azione.
Ma Noi dobbiamo ora limitarci assai, a due sole parole, sufficienti
a rendere atto di omaggio alla Santa, ora canonizzata, e ad avviare
più ampia riflessione su la sua vita e sulla istituzione da lei
fondata; ed anche queste due parole sono piuttosto domande, che
notizie relative a questa nuova Figlia celeste della Chiesa
terrestre. Sono queste: qual è la figura, qual è l’opera di
Santa Teresa Couderc? Piacerebbe a Noi avere le risposte dalle
Religiose presenti, figlie e seguaci della Santa, informatissime
certamente, com’è loro dovere e loro privilegio, ma ora curiose di
sapere il nostro pensiero.
Qual è la figura della vostra Santa? Diciamo figura, non storia,
per dire breve e per contentarci di alcuni semplici cenni.
Di Sante Religiose, di Sante Fondatrici, di Sante vissute nel
secolo scorso, di Sante germinate dalla terra feconda di Francia,
sconvolta dalla Rivoluzione, e arata poi, per così dire,
dall’epopea napoleonica la Chiesa possiede una bella schiera: quali
sono i lineamenti caratteristici, che possono identificare e
distinguere quella che oggi onoriamo?
VITA ANGELICA E POVERA
Diamo anche per lei scontato il profilo generico della Religiosa
dell’ottocento: è quello tradizionale d’una vita ardentemente
amorosa, ma staccata dalla forma ordinaria, pur onesta e degna,
dell’amore familiare; è quello d’una vita tesa e sospesa ad una
totale consacrazione al Signore; d’una vita angelica e povera;
d’una vita inserita in una comunità strettamente organizzata e
disciplinata; d’una vita caratterizzata da qualche attività
caritativa. Questa vita non è più claustrale, ma è sempre
custodita da una casa appartata: alla monaca è succeduta la suora;
non più esclusivamente statica e contemplativa, cioè dedicata
soltanto all’orazione, ma attiva altresì. Consapevolezza e
volontarismo, libertà di scelta, perciò, e abnegazione vissuta
conferiscono a questa forma di vita religiosa intensità interiore e
dedizione esteriore; è un ideale di pietà, di generosità, di
santità, che ha formato un tipo ammirabile di donna votata a Cristo,
tipo accolto da ‘miriadi di anime vergini e forti, e tuttora
fiorente, per grazia di Dio, nella Chiesa cattolica. Si può
capire come questo ideale abbia esercitato un’attrazione potente.
Ebbene, rispetto a questo genere di esistenza, qual è
l’atteggiamento di Maria-Vittoria prima di diventare Suor Teresa?
Si sa di quale varietà di atteggiamenti si rivestano le anime che si
orientano verso di esso; la fenomenologia delle vocazioni è assai
ricca e complessa, descrive le storie interiori più varie, incerte,
lente, dolorose, drammatiche talvolta. Il caso della Couderc invece
è quello più lineare e più semplice, quello di una vocazione che
potremmo quasi dire nativa. Ella ha avuto, fino dai primi anni, un
desiderio unico, precocissimo, quello della vita religiosa, senza che
questa le sia ancora specificata e facilitata. Questa inclinazione
quasi congenita, che precede l’esperienza della vita e la formazione
culturale, anche se dovrà ritardare il raggiungimento del suo scopo
all’età della piena coscienza, non ha dubbi per lei, non ha
macchie, non ha condizioni; è una vocazione innocente e sicura.
L’ambiente familiare, campestre e alpestre, modesto ed onesto, pio
e laborioso, piuttosto austero e patriarcale, ne ha certamente grande
merito; la Francia rurale di quel tempo vi attesta le forti virtù
cristiane, rimaste nel cuore del suo popolo.
Questa a noi pare una nota distintiva della figura di Santa Teresa
Couderc: la sua vocazione. E perché auspice questa anima semplice
ed eletta, che, piuttosto di scegliere ella stessa, si sente scelta
alla vocazione religiosa, la Provvidenza, a sostegno della santa
Chiesa, oggi in condizioni storiche e sociali ben diverse, e tanto
bisognosa di nuove vocazioni, non potrebbe ancora moltiplicare lo
stesso prodigio?
FORTEZZA E RINUNCIA
Ma poi, come si realizza e come si svolge questa vocazione?
Osserviamo la linea: essa ci sembra segnata da due caratteri
apparentemente contraddittori: quello della fortezza e quello della
rinuncia. Si riassumono e si fondono nella conformità ad una parola
evangelica, la quale compendia certamente l’aspetto morale della
figura umana di Cristo, il mistero della sua santità: «Ciò che
piace a Lui (al Padre mio), dice Gesù, io faccio sempre»
(Io. 8, 29). Gesù è l’obbediente fino alla morte (Phil.
2, 8); il suo eroismo è la conformità alla volontà di Dio; la
nostra redenzione si compie così (Cfr. ADAM, Cristo nostro
fratello, p. 4). Possiamo così dire della nostra Santa: la sua
volontà è in una tensione continua; ma l’esplicazione della sua
volontà è in una rinuncia continua, totale di sé. Bisognerebbe qui
rievocare l’influsso ch’ebbe su di lei il sacerdote da cui tutto
partì, il Padre Terme, tempra ardente di fervore religioso e di
carità, e formidabile guida verso i sentieri spirituali e verso gli
orientamenti pratici, più generoso e impulsivo forse che riflessivo ed
illuminato, tutto energia ed entusiasmo, ma lui per primo sulla via
regia della volontà di Dio, con quella cieca dedizione che scopre la
luce dello Spirito; egli diceva di sé: «Io non chiedo che compiere
l’opera alla quale Dio mi destina, senza nemmeno cercare di
conoscerla». Così nasce la piccola nuova famiglia religiosa a La
Louvesc (dove ora riposano le spoglie mortali della Santa, accanto
alla tomba d’un Santo, anch’esso esempio e maestro di energia
straordinaria e d’intraprendenza apostolica, S. Francesco
Régis).
MISSIONE DOLOROSA E DRAMMATICA
Il gioco degli avvenimenti sembra rivelare la presenza della mano di
Dio, che guida uomini e cose. La nascente istituzione passa sotto
l’ispirazione e la direzione dei Padri della Compagnia di Gesù,
sulla cui spiritualità e sulla cui regola essa si plasma e si evolve,
staccatasi dal ramo iniziale della fondazione rivolta all’apostolato
scolastico rurale, e, sempre secondo l’impulso del primo promotore il
P. Terme,ben presto mancato ai vivi, si qualifica nell’opera dei
ritiri e degli esercizi spirituali, prendendo da un distinto figlio di
S. Ignazio, P. Fouillot, buon religioso, l’impronta
spirituale, le costituzioni ed il titolo che ora distingue la
congregazione di Nostra Signora del Cenacolo.
Ma questa evoluzione costituisce la via dolorosa della Fondatrice; ed
è su questa via che la Couderc principalmente si rivela santa, se
davvero la santità si manifesta e si forma mediante la croce. Per
quarantacinque anni Teresa Couderc la portò. Quella croce che anche
la vita religiosa appesantisce su chi la professa, e talvolta in più
grave e strana misura su chi ne ha il merito della fondazione. La
missione d’una Fondatrice diventa, in certi casi, dolorosamente
drammatica, specialmente quando le difficoltà sorgono per iniziativa
di chi esercita l’autorità nella Chiesa e da parte di chi condivide
la sorte della vita comune, e cioè quando chi fa soffrire è persona
venerata e buona, ed ha la veste della paternità o della filiazione
spirituale.
È questo un genere di sofferenza, di cui, a prima vista, non si
supporrebbe la possibilità, né tanto meno l’esistenza: essa incide
su rapporti stabiliti nel campo della carità ecclesiale, ch’è quanto
il Signore ci ha lasciato di più impegnativo e di più bello; ed è
proprio per questo che ogni ferita a tali rapporti produce sofferenza
più acuta. L’amore accresce la sensibilità e la porta
dall’epidermide al cuore. Ma uomini siamo; cioè siamo capaci di far
soffrire il prossimo, e le persone buone e care più d’ogni altra,
anche con le migliori intenzioni; che se poi i nostri difetti aggravano
il torto dell’azione lesiva e la rendono offensiva, l’amarezza si fa
profonda, e provoca reazioni che solo una virtù superiore può contenere.
Questa, si può dire, è la storia di Teresa Couderc. Forse
imponderabili motivi d’ordine sociale (ella era di modesta origine
campagnola, e di cultura scolastica limitata) contribuirono a
suggerire provvedimenti umilianti a suo riguardo, che riempirono di
peripezie, di ingratitudini, di rivalità, di rimproveri, di
mortificazioni l’animo dell’umile Religiosa; ella fu praticamente
destituita da Superiora, le fu conteso il titolo di Fondatrice, le
furono dati posti ed incarichi inferiori alle sue capacità ed ai suoi
meriti (Cfr. FOLLIET, p. 17). Qui ella appare grande:
grande soprattutto nell’umiltà. Nel darsi, se livrer, com’ella
ripeteva. Il silenzio, l’obbedienza, la pazienza, in una cosciente
e continua immolazione interiore, furono la sua condotta. Furono la
sua difesa. Furono la tacita apologia della sua virtù, solo al
tramonto riconosciuta, ed oggi glorificata. Sotto questo aspetto
Teresa Courdec ci appare anima eroica, ci appare maestra
straordinaria, ci appare Santa. È l’aspetto che in questo caso ha
il merito di stabilire quella corrente di simpatia, di devozione,
d’ammirazione, di fiducia che dobbiamo ai Santi.
ISTITUZIONE PROVVIDENZIALE
E l’opera? L’opera è quella del Cenacolo. Tutti la conosciamo.
La conobbe, fra tutti, il Nostro venerato e grande Predecessore,
Papa Pio XI, il quale, quand’era Dottore alla Biblioteca
Ambrosiana, per quaranta anni, esercitò il suo nascosto e sapiente
ministero sacerdotale al Cenacolo di Milano, dove Noi stessi avemmo
occasione, come del resto qui a Roma, di sostare per qualche
religiosa circostanza. È il Cenacolo un Istituto religioso dedicato
a Nostra Signora, la Madre di Cristo, che in mezzo alla prima
comunità cristiana, attende, invoca e riceve in nuova pienezza
l’effusione dello Spirito Santo, nel giorno di Pentecoste. È un
Istituto religioso che celebra, imitandoli e rivivendoli, i due
momenti dello Spirito di Gesù nella vita umana: quello interiore,
nel silenzio, nell’orazione, nella contemplazione, nell’intimo
colloquio con Dio, nell’esercizio della sublime, delicatissima,
deliziosa e paziente arte della preghiera, fino a fare di questa il
proprio alimento, il proprio respiro, la propria personale pienezza,
la propria comunione continua con Cristo. E quello esteriore:
contemplata aliis tradere, quello che cerca di trasfondere in altre
anime i tesori della verità e della virtù, e che fa dell’apostolato
religioso, e perciò dell’imitazione di Cristo, l’esercizio della
propria carità: è scuola di vita cristiana e di dottrina cristiana,
è rifugio di silenzio e di meditazione, è clinica di riabilitazione
per le forze morali e spirituali. Il Cenacolo è una formula
religiosa semplice e felice: è una sintesi di vita contemplativa e di
vita attiva; di vita personale, comunitaria e sociale, di silenzio e
di parola. Qui lo sforzo ascetico e l’abbandono mistico si integrano
armonicamente. Come è stato detto: «La perfezione cristiana
suppone l’unione costante, su piani differenti, dell’ascetica e
della mistica» (BREMOND, Introd. à la Ph. de la prière,
p. 338).
Il Cenacolo è una istituzione specializzata per un servizio sociale
di esercizi spirituali. Ispirato dalla grande scuola ignaziana, ma
aperto ad ogni corrente di spiritualità cattolica, esso cerca di
favorire l’applicazione d’un’Enciclica da non dimenticare, la Mens
nostra, del medesimo Papa Pio XI, emanata nel dicembre 1929,
proprio su gli esercizi spirituali (A.A.S. (1929), pp.
689 ss.). Cioè il Cenacolo si organizza in modo da offrire a
tante categorie di persone, del mondo femminile specialmente, piccole
e grandi, e d’ogni ceto sociale, la possibilità di godere di qualche
giorno, o anche solo di qualche ora, di ritiro, di raccoglimento, di
silenzio, di ‘meditazione, di preghiera, di rigenerazione
sacramentale.
Figli del mondo moderno, noi siamo in grado di apprezzare il carattere
provvidenziale d’una simile istituzione e di sentirci obbligati a fare
della nostra riconoscenza a Santa Teresa Couderc l’espressione
migliore del culto che le è dovuto. Assorbiti infatti dalla «catena
di montaggio», ch’è l’impegno, ch’è il ritmo della nostra
attività esteriore, affascinati dall’incantesimo della scena
sensibile, che ci circonda senza tregua e ci attrae fuori di noi in un
campo di realtà o di rappresentazioni o di interessi, che non lasciano
allo spirito la possibilità di essere dentro di sé e di disporre delle
cose relative al suo proprio destino, noi sentiamo il bisogno, e
talvolta il dovere, di ricuperare noi stessi nella riflessione della
mente e nella libertà del volere, e nello spontaneo godimento o nella
pura sofferenza dei nostri personali sentimenti, cioè di vivere con
noi stessi (secum vivebat, si disse di S. Benedetto); e allora,
quasi per facile levitazione di risalire a Dio, sentiamo l’invito di
ricercare Cristo maestro interiore, e di respirare nel soffio
misterioso dello Spirito, ripetendo a noi stessi le parole di S.
Pietro Crisologo: Dedimus torpori annum, demus animae dies . . .
. abbiamo dato al corpo (cioè alla vita temporale) l’intero anno,
diamo all’anima almeno qualche giorno (Serm. 12; PL 52,
223). Questo bisogno di compensare in intensità religiosa e
personale la vita solita dissipata nella «fascinatio nugacitatis»
(Sap. 4, 12), nell’attrattiva delle cose frivole, o degli
interessi profani, si addice agli uomini d’oggi che vogliono
conservarsi cristiani e non perdere di vista il fine vero ed ultimo
della nostra esistenza. Ed è molto bello che ciò avvenga
all’insegna del Cenacolo, in un ambiente cioè dove il primato della
contemplazione è celebrato da anime pure e consacrate, e dove è
rievocato il fatto, anzi il mistero della Chiesa nella sua integrità
e nella vivacità di Pentecoste, là dove essa nacque corpo mistico di
Cristo nella sua visibile ed organica istituzione, mediante la sua
soprannaturale animazione, per i secoli, viva, unita, diffusiva,
presente la Madre di Cristo, divenuta allora Madre spirituale della
Chiesa medesima.
Bello, consolante, attraente, promettente, grazie a quest’umile
Santa Maria Teresa Couderc, Fondatrice del «Cenacolo».
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