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1° maggio 1975
La buona educazione cristiana, che trova nella Sacra Scrittura le
sue abituali espressioni, mette nel nostro cuore e sulle nostre
labbra, parole cordiali di saluto per questa religiosa riunione: che
la grazia e la pace (Rom. 1, 7) del Signore sia con voi! Siate
i benvenuti a questo spirituale convegno! La nostra voce vuole aprirsi
oggi specialmente verso di voi (Cfr. 2 Cor. 6, 11),
Lavoratori, che sempre abbiamo avuto presenti nella nostra stima e nel
nostro ministero. Grazie per la vostra presenza! non è quella di
forestieri, ma quella di fratelli e di figli, per i quali sentiamo il
dovere, un grato dovere, di particolare affezione e di speciale
considerazione. Grazie, carissimi; e con voi siano salutati quanti
altri fedeli di Roma, o pellegrini qua venuti in occasione dell'Anno
Santo; a tutti il nostro riconoscente e benedicente saluto!
Ma questa sacra celebrazione, vi diremo con semplice sincerità,
mette nel nostro animo una certa trepidazione. Perché? perché
essa, questa celebrazione, si qualifica da due note, che, a prima
vista, non sembrano facilmente consonanti; prima nota: oggi è il
primo Maggio, e sappiamo quale risonanza abbia una tale data
nell'opinione comune, specialmente nel mondo del lavoro: è la festa
del lavoro! seconda nota: codesta riunione riveste un carattere
religioso, sia perché essa è rivolta al culto di S. Giuseppe,
artigiano, padre putativo di Gesù e vostro particolare patrono,
Lavoratori, sia perché questo rito sacro si collega con quelli del
giubileo, che fa di questo 1975 un anno santo, un anno dedicato
alla revisione spirituale e morale delle nostre coscienze, per metterle
in ordine, di fronte a Dio e alla Chiesa, e richiama alle basiliche
romane, fra le quali San Pietro, quei credenti, che, sulla tomba
del primo Apostolo, Martire e Vescovo di Roma e della Chiesa
cattolica, vogliono professarsi fedeli e implorare perdono e fortezza
per rimettersi in forma nuova e felice a vivere da uomini buoni e da
veri cristiani.
Vanno d'accordo queste due note, profana l'una, religiosa
l'altra? ovvero la loro sinfonia costituisce una stonatura? una
forzatura artificiale? Si può forse conservare al primo maggio il suo
carattere di festa del lavoro, ed insieme infondervi i sentimenti
spirituali, propri d'una memoria liturgica in onore di S.
Giuseppe, e insieme d'una celebrazione giubilare? La vostra
presenza vince ogni dubbio e risponde: sì! Sì, Fratelli e Figli
carissimi; noi raccogliamo codesta franca risposta; e vi diciamo che,
dopo avervi molto pensato, noi la troviamo risposta vera e sapiente.
Avremmo anzi molte, moltissime cose, da riferirvi a questo
proposito. Ma bastino ora pochissime e semplicissime osservazioni.
La prima però è un'osservazione capitale; ed è questa: come mai
si può storicamente e logicamente sostenere che vi sia un'opposizione
fra l'esaltazione del concetto del lavoro, quale oggi voi dovete avere
nei vostri animi, e il compimento d'un atto religioso, altamente
qualificato, qual è uno speciale atto di culto al Santo operaio di
Nazareth, e unito alla celebrazione del giubileo, proprio di
quest'anno santo? sono due atti contrari? si escludono l'uno
dall'altro?
Ben lo sappiamo che la mentalità circa il lavoro, diffusa nel mondo
moderno, si è affermata spesso come suprema e come esclusiva; ma
sappiamo anche, e voi tutti sapete, che codesta mentalità
professionale, codesta idealità operativa, cioè il lavoro, tanto è
più alta, tanto è più degna, noi aggiungeremo, tanto è più
sacra, quanto più si integra nella concezione superiore e globale
della vita, nel riconoscimento del primo posto, che nella scala dei
valori occupa l'uomo. L'uomo è primo. È l'uomo che produce il
lavoro; e il lavoro, ch'è lo sforzo per dominare la terra, tende a
servire l'uomo. Se così non fosse, l'uomo ritornerebbe schiavo; e
il lavoro segnerebbe al livello materialista la statura, lo sviluppo,
la dignità dell'uomo. Ora se l'uomo, cioè la vita nostra, è il
primo valore, noi non possiamo decapitare l'uomo negandogli la sua
essenziale proiezione verso la trascendenza; diciamo semplicemente:
verso Dio, verso il mistero che tutto sostiene e tutto spiega; sì,
Dio; che ha fatto dell'uomo un lavoratore, cioè un suo
collaboratore (Cfr. 1 Cor. 3, 8) ma obbligandolo, dopo la
prima fatale caduta, a guadagnarsi con sudore, con fatica, il suo
pane, cioè il suo nutrimento, il suo perfezionamento, appunto in
questo rapporto di forza dell'opera umana con il mondo da conquistare e
da ridurre a strumento utilitario e a fonte di vita.
Il lavoro: pena e premio dell'attività umana. Così che in questa
visione superiore, ch'è la vera, il lavoro ha di per sé un altro
rapporto, ed è quello essenzialmente religioso; l'hanno ben compreso
i monaci medioevali, tuttora maestri di vita, condensando in una
felicissima formula tutto il loro programma: ora et labora, prega e
lavora. Così è, così è, fratelli; e perciò questo nostro modo
di celebrare il primo maggio non deforma l'aspetto celebrativo del
lavoro umano, ma gli conferisce una spiritualità animatrice e
redentrice. Noi dobbiamo comprendere questa parentela tra il lavoro e
la religione, una parentela che riflette l'alleanza misteriosa, ma
reale e confortante della causalità umana con la provvidenziale e
paterna causalità divina. Finché il mondo del lavoro non saprà
affrancarsi dalla suggestione radicalmente materialista ed ombrosamente
laicista, dalla quale oggi è quasi allucinato, come se essa soltanto
avesse fondamento scientifico e razionale e come se essa costituisse una
liberazione, la liberazione di chi cammina senza sapere dove, e
rappresentasse la formula obbligata e risolutiva dell'evoluzione
sociale contemporanea, solo stimolo efficace e fecondo di civile
progresso, noi non avremo una sociologia organica veramente umana, né
tanto meno cristiana, ma una pesante convivenza organizzata da
complicati ed impersonali ingranaggi economici e legali, non una
società veramente libera, naturale e fraterna. Bisogna ridare le
ali, ora spesso mozzate, al lavoratore, affinché riacquisti la sua
vera e piena forma umana e la sua nativa levitazione; le ali dello
spirito, della fede, della preghiera; gli orizzonti della speranza,
della fraternità, della giustizia, della comunità e della pace.
Noi conosciamo le cento obiezioni a questo nostro sogno augurale; e
prima fra esse quella che accusa la religione di inutilità, anzi di
ostacolo al positivo progresso della civiltà. Nessuno di voi, noi
pensiamo, può essere convinto di questo vecchio aforisma: «la
religione, oppio del popolo», smentito dalla storia, intendiamo
dalla storia animata dal Vangelo; aforisma superato dalla
documentazione delle dottrine della Chiesa, tutte impregnate di amore
per il popolo, e oggi più che mai testimoniate dall'impegno dei suoi
figli e dei suoi santi. Potremmo, se volessimo polemizzare,
ritorcere l'obiezione, chiedendo se l'impiego sistematico
dell'odio, della rivolta, della violenza, della lotta contro membri
d'una medesima società reclamato da rivendicazioni puramente
positiviste, non abbia forse maggiormente ritardato le legittime e
auspicate conquiste del mondo del lavoro esecutivo, suscitando contro
le sue aspirazioni rigidi antagonismi ed implacabili egoismi. E
potremmo, a questo proposito, ripetere le parole del nostro compianto
e venerato Predecessore, Papa Giovanni XIII, il quale, proprio
in un suo discorso di primo maggio, nel '59, citava parole sue,
pubblicate qualche anno prima, a Venezia, per scongiurare, egli
diceva, «il pericolo che penetri nelle menti lo specioso assioma che,
per fare la giustizia sociale, per soccorrere i miseri d'ogni
categoria,... bisogna assolutamente associarsi coi negatori di Dio
e gli oppressori delle libertà umane» (Cfr. AAS 51,
1959, p. 358).
Ma vogliamo in questo felice momento raccogliere i nostri animi a più
sereni pensieri. Lasciate, Figli carissimi, che noi salutiamo in
voi tutto il mondo del lavoro e che lo assicuriamo della nostra
affezione e della nostra cristiana amicizia. Lasciate che il nostro
pensiero particolare si rivolga in modo speciale a tutti quelli che
soffrono per la pesantezza e per la insalubrità della loro fatica, per
la insicurezza della loro occupazione, per la insufficienza delle loro
abitazioni e delle loro retribuzioni. Soffriamo con loro e vorremmo
essere in grado di aiutarli! Noi osiamo invocare per tutte codeste
pene e codeste insufficienze l'opera sollecita e intelligente delle
autorità competenti, ed esprimiamo il nostro incoraggiamento e il
nostro elogio per quanti dedicano cure e mezzi per dare ai lavoratori
condizioni sempre più giuste e più stabili per la loro attività e per
il loro benessere. E per voi, carissimi, e per quanti, Sacerdoti e
Laici, vi vogliono bene, e, nel nome di Cristo e dell'umana
solidarietà, sono a voi di conforto e di aiuto, oggi innalziamo al
Signore la nostra preghiera e imploriamo da Lui, auspice il vostro
collega e protettore San Giuseppe, una grande consolatrice
benedizione.
Nous voulons saluer maintenant les pèlerins venus de France et des
pays d'expression française. A travers eux, Nous adressons aussi
notre salut cordial à tous ceux qu'ils représentent, en particulier
à tous ceux qui travaillent pour assurer au monde le pain et le
mieux-être. Que Saint Joseph soit leur modèle et les protège,
et Nous, de grand cœur, Nous les bénissons.
As we honour Saint Joseph and extol his role as a worker and a just
man, we likewise proclaim the dignity of al1 those like him who are
engaged in honest labour and toil. To all the Christian workers of
the World we say: «May the peace of Christ reign in your hearts,
because it is for this that you were called . . .» (Col. 3,
14). We pray that you will be faithful to your responsibility in
building a better World, and that the Lord will indeed give you joy
and satisfaction as you fulfil your high vocation of service. And «do
everything in the name of the Lord Jesus» (Ibid. 3, 17).
Unser herzlicher Gruß den Pilgern deutscher Sprache. Josef ist
der bescheidene und gerechte Mann. Er verdiente sein Brot durch
seiner Hände Arbeit. Er ist unser aller Vorbild beim Aufbau einer
gerechten und friedvollen Welt. Er ist unser Fürsprecher in unseren
kleinen und großen Anliegen, in unseren irdischen Nöten und auf
unserem Weg zum ewigen Heil.
Dirigimos ahora nuestra palabra a todos vosotros, amadisimos
peregrinos de lengua española. Que San José, a quien hoy
veneramos corno ejemplo y protector del mundo del trabajo, os ayude a
descubrir a Jesucristo en vuestra actividad diaria y en vuestra
relación con los hermanos. Así lo pedimos de todo corazón.
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