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Domenica di Pentecoste, 17 maggio 1970
Oggi, Pentecoste, la memoria del fatto-mistero, animatore della
Chiesa, quale Corpo mistico di Cristo (perché Egli, Cristo
secondo la promessa (Io. 15, 26; 16, 7), le mandò il suo
Spirito e tuttora di questo divino Paraclito la fa vivere e
respirare), così invade le nostre menti, che ci sembra non solo di
ricordare quell’avvenimento, ma di riviverlo, come se alla nostra
consueta invocazione: «Vieni, o Spirito Santo», la realtà della
sua risposta, della sua presenza infondesse anche in noi qualche
minima, ma pur viva esperienza della sua beatificante venuta, e ci
facesse sicuri che l’ineffabile corrente della storia che non muore,
quella cioè della vita soprannaturale, passa nelle nostre membra
mortali, mentre l’eco del primo sermone pronunciato nella Chiesa
nascente, quello profetico di Pietro, risuona dentro di noi : «Ed
avverrà, dice il Signore, che Io, in quegli ultimi giorni,
effonderò del mio Spirito su ogni carne, e i vostri figli e le vostre
figlie profeteranno, e i vostri giovani avranno delle visioni, e i
vostri vecchi vedranno dei sogni» (Act. 2, 17; Il. 2,
28). La Pentecoste tutti ci prende, e tutti ci fa pensosi e
commossi, mentre splende nelle nostre anime qualche bagliore d’una
chiarezza nuova, la «luce dei cuori», piena di amore e di verità.
È la festa dello Spirito Santo, è la festa della Chiesa nascente e
imperitura, è la festa delle anime accese dalla interiore divina
presenza. È la festa della sapienza, la festa della carità, della
consolazione, del gaudio, della speranza, della santità. È la
inaugurazione della civiltà cristiana, La Pentecoste.
Due circostanze concorrono a rendere singolare e assai viva questa
celebrazione. La prima è quella della ricorrenza cinquantenaria della
Nostra ordinazione sacerdotale. Cinquant’anni non sono bastati a
cancellare la memoria di quel bello, ma di per sé semplice episodio
della nostra umile esistenza personale; noi avremmo preferito
ripensarlo nel silenzio esteriore e nel raccoglimento interiore. Ma è
proprio la natura stessa di quel sacerdozio, che allora ci è stato
conferito, ad imporci di lasciare che quanti hanno titolo per esigerne
il ministero, - ed oggi ad averlo questo titolo è questa Nostra
amatissima Chiesa di Roma, oggi è tutta la Chiesa cattolica
altrettanto carissima, - avvertano questa ricorrenza e la ricordino
con i segni della loro pietà e della loro bontà. Questa solenne
cerimonia ce lo dice, e ci riempie di riconoscenza e di consolazione.
IL SACERDOZIO E LA CROCE
Noi ci sentiamo obbligati a ringraziare tutti, familiari ed amici,
maestri e collaboratori, presenti e lontani, conoscenti ed ignoti; e
a riassumere per loro i nostri sentimenti in una sola testimonianza
autobiografica, punto originale, perché ogni Sacerdote la può fare
di sé, ma vera: grande cosa davvero è l’essere Sacerdote! E se
l’esperienza, lungo le vicende degli anni, accresce il senso della
intrinseca relazione del Nostro sacerdozio con la croce del Signore,
esso però non esaurisce mai la sua bellezza e la sua felicità, così
che ogni giorno, ogni anno, ogni anniversario ne rinnova il
godimento, e ne vorrebbe una conoscenza, una penetrazione in misura
sempre maggiore (Cfr. Io. 7, 38).
Sorge così dalla coscienza sacerdotale, a mano a mano che essa si fa
più matura e più profonda, il canto della Madonna: fecit mihi magna
Qui potens est.
Noi ci sentiamo perciò obbligati, oggi come allora, a celebrare la
misericordia divina! Lasciateci dire: Grazie a Te, o Padre, che
non guardando alla nostra pochezza e facendone piuttosto argomento della
tua operante virtù, hai rivolto a noi la tua vocazione, l’hai
convalidata con quella d’un paterno e sapiente Pastore, l’hai
confortata con la conversazione di maestri buoni e pazienti e l’hai
allietata col gusto di abitare nella tua casa.
Grazie a Te, o Cristo, che ci hai vitalmente associati, indegni ma
non vani strumenti, al tuo ministero di salvezza e di comunione,
ponendoci in mezzo ai fratelli col cuore rivolto all’umile gente, ma
poi destinandoci a camminare con passo frettoloso di fianco alla
gioventù ed a prestare opera modesta e solerte a questa tua Sede
apostolica, tutto e solo per ciò che fu tuo amore, con seguace
amore, la tua Chiesa.
Grazie a Te, o Spirito vivificante, che nel grave e dolce
ministero, per cinquant’anni, ci sei stato ispiratore e
confortatore, e ancora ci soccorri, affinché noi non abbiamo da
tradire, ma da tradurre l’immagine del nostro Maestro Gesù, e
sempre abbiamo da cercare d’essere di Te santi, e in Te santificanti.
Poi, o Signore, la tua voce ancora chiamò noi, timidi ed inetti a
Te più vicino, alla Tua croce, dicendoci: Chi dà il peso, darà
la forza per sopportarlo; e la risposta ci salì dal cuore: nel nome
tuo, Signore: sia fatto secondo la tua parola.
«TRADITIO POTESTATIS»
Questa, Fratelli e Figli, la testimonianza che noi vi dobbiamo
circa il nostro Sacerdozio, del quale voi, con tanta carità, volete
ricordare la lunga durata, e preannunciare così il suo non lontano
terreno tramonto.
Ma un’altra circostanza, veramente pentecostale, riempie di realtà
e di splendore, questa festiva celebrazione; ed è l’ordinazione
sacerdotale di questi Diaconi.
Salute a voi, carissimi eletti!
Noi avremmo tante cose da dirvi; ma l’ora non consente lungo
discorso; e, per di più, noi non vogliamo immettere nuovi
ragionamenti nei molti, che già riempiono i vostri spiriti, e che voi
certamente avete accumulati per questo momento solenne. Noi tentiamo
di riassumere in una sola parola tutto quello che si può dire e pensare
circa l’avvenimento che sta per compiersi a vostro riguardo. E la
parola è trasmissione. Trasmissione d’una potestà divina, di una
capacità d’azione prodigiosa, quale per sé solo a Cristo compete.
Traditio potestatis. Figuratevi che Cristo, mediante la imposizione
delle nostre mani e le parole significative che conferiscono al gesto la
virtù sacramentale, cali dall’alto e vi trasfonda il suo Spirito,
lo Spirito Santo, vivificante e potente, che viene in voi non solo,
come in altri sacramenti, per abitare in voi, ma per abilitarvi a
compiere determinate operazioni, proprie del sacerdozio di Cristo, a
rendervi suoi ministri efficaci, a fare voi stessi veicoli della
Parola e della Grazia, modificando così le vostre persone, in
modo, che esse possano non solo rappresentare Cristo, ma altresì
agire in certa Misura come Lui, per una delega che stampa un «
carattere » indelebile nei vostri spiriti, e a Lui vi assimila,
ognuno come «alter Christus».
CARATTERE INDELEBILE
Questo prodigio, ricordatelo sempre, avviene in voi, ma non per
voi; è per gli altri, è per la Chiesa, ch’è quanto dire per il
mondo da salvare. La vostra è una potestà di funzione, come quella
d’un organo speciale a beneficio di tutto un corpo. Voi diventate
strumenti, diventate ministri, diventate mancipi al servizio dei fratelli.
Voi intuite i rapporti che nascono da questa elezione fatta di voi:
rapporti con Dio, con Cristo, con la Chiesa, con l’umanità.
Voi comprendete quali doveri di preghiera, di carità, di santità,
scaturiscono dalla vostra sacerdotale ordinazione. Voi intravedete
quale coscienza dovrete continuamente formare in voi stessi per essere
pari all’ufficio di cui siete investiti. Voi capite con quale
mentalità spirituale ed umana dovrete guardare il mondo, con quali
sentimenti e con quali virtù esercitare il vostro ministero, con quale
dedizione e quale coraggio consumare la vostra vita in spirito di
sacrificio uniti a quello di Cristo.
Voi sapete tutto questo, ma non cesserete di ripensarvi per quanto
durerà - e sia lungo e sereno - il vostro terreno pellegrinaggio.
Non temete mai, Figli e Fratelli carissimi. Non dubitate mai del
vostro Sacerdozio. Non lo isolate mai dal vostro Vescovo e dalla sua
funzione nella Santa Chiesa. Non lo tradite mai! Noi ora non vi
diremo di più. Ma noi ripeteremo per voi la preghiera, come altra
volta facemmo per novelli Sacerdoti da noi ordinati.
Ecco, oggi così noi preghiamo per voi.
Vieni, o Spirito Santo, e dà a questi ministri, dispensatori dei
misteri di Dio un cuore nuovo, che ravvivi in essi tutta la educazione
e la preparazione che hanno ricevute, che avverta come una sorprendente
rivelazione il sacramento da loro ricevuto, e che risponda sempre con
freschezza nuova, come oggi, ai doveri incessanti del loro ministero
verso il tuo Corpo Eucaristico e verso il tuo Corpo Mistico: un
cuore nuovo, sempre giovane e lieto.
Vieni, o Spirito Santo, e dà a questi ministri, discepoli e
apostoli di Cristo Signore, un cuore puro, allenato ad amare Lui
solo, ch’e Dio con Te e col Padre, con la pienezza, con la
gioia, con la profondità, che Egli solo sa infondere, quando è il
supremo, il totale oggetto dell’amore d’un uomo vivente della tua
grazia; un cuore puro, che non conosca il male se non per definirlo,
per combatterlo e per fuggirlo; un cuore puro, come quello d’un
fanciullo capace di entusiasmarsi e di trepidare.
Vieni, o Spirito Santo, e dà a questi ministri del Popolo di Dio
un cuore grande, aperto alla tua silenziosa e potente parola
ispiratrice, e chiuso ad ogni meschina ambizione, alieno da ogni
miserabile competizione umana e tutto pervaso dal senso della santa
Chiesa; un cuore grande e avido d’eguagliarsi a quello del Signore
Gesù, e teso a contenere dentro di sé le proporzioni della Chiesa,
le dimensioni del mondo; grande e forte ad amare tutti, a tutti
servire, per tutti soffrire; grande e forte a sostenere ogni
tentazione, ogni prova, ogni noia, ogni stanchezza, ogni delusione,
ogni offesa, un cuore grande, forte, costante, quando occorre fino
al sacrificio, solo beato di palpitare col cuore,di Cristo, e di
compiere umilmente, fedelmente, virilmente la divina volontà.
Questa la Nostra preghiera, oggi per voi. Essa si allarga in
benedizione per tutta l’assemblea presente, ai vostri compagni, ai
vostri maestri, ai vostri parenti specialmente.
Ed ecco giunto il momento dell’azione: la Pentecoste è qui.
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