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Giovedì Santo, 27 marzo 1975
Sia questa per noi l’ora della reviviscenza del grande ricordo.
Tutto è presente al nostro spirito di quanto è stato detto, di
quanto è stato compiuto in quest’ultima Cena notturna, tanto
desiderata dallo stesso divino Maestro (Luc. 22, 15), alla
vigilia della sua passione e della sua morte. Egli stesso ha voluto
dare a quella riunione una tale pienezza di significato, una tale
ricchezza di ricordi, una tale commozione di parole e di sentimenti,
una tale novità di atti e di precetti, che noi non finiremo mai di
meditare e di esplorare. È una Cena testamentaria; è una Cena
infinitamente affettuosa (Io. 13, 1), e immensamente triste
(Ibid. 16, 6), ed insieme misteriosamente rivelatrice di divine
promesse, di supreme visioni. La morte incombe, con inauditi presagi
di tradimento, di abbandono, d’immolazione; la conversazione subito
si spegne, mentre la parola di Gesù fluisce continua, nuova,
estremamente dolce, tesa verso supreme confidenze, quasi librata fra
la vita e la morte. Il carattere pasquale di quella Cena si
intensifica e si evolve; l’alleanza antica, secolare, che vi era
rispecchiata si trasforma e diventa nuova alleanza; il valore
sacrificale, liberatore e salvatore dell’agnello immolato, che dà
cibo e simbolo al pasto rituale, si spiega e si concentra in una nuova
vittima, in un nuovo pasto; Gesù dichiara essere lui stesso, il suo
Corpo e il suo Sangue, l’oggetto e il soggetto del sacrificio,
qui, alla mensa, previsto, significato, offerto, per essere in
continuità di intenzione e di azione compiuto, consumato, sofferto;
reso alimento per quanti avessero attitudine e fame di vita eterna.
Ecco sgorgare da quella Cena d’addio, dolorosa e amorosa, il
sacrificio eucaristico; noi lo sappiamo, e ne restiamo abbagliati; ma
ecco un’estrema sorpresa, quella che per noi, questa sera, forma il
punto focale della nostra attrazione e della nostra pietà; chi avrebbe
potuto supporre una simile, riassuntiva, perpetuante parola, che esce
dalle labbra del Maestro, ormai candidato alla morte, e ad essere
Lui il vero, l’unico agnello pasquale: «Fate questo in memoria di
me»? (1 Cor. 11, 24)
Fratelli e Figli, noi stiamo in questo momento adempiendo questa
parola del Signore. Sempre, celebrando la Messa, rinnovando il
sacrificio eucaristico, noi ripetiamo quella parola, che associa
all’istituzione del sacramento della presenza immolata di Cristo cioè
dell’Eucaristia, l’istituzione d’un altro sacramento, quello del
sacerdozio ministeriale, mediante il quale il «memoriale» della cena
ultima e del sacrificio della croce non è semplicemente un nostro atto
di religioso ricordo (come vorrebbero alcuni dissidenti), ma è una
misteriosa, effettiva, reale anamnesi di quanto Gesù alla Cena e al
Calvario ha compiuto; cioè il rispecchiamento fedele dell’unico suo
sacrificio, con misteriosa vittoria sulle distanze del tempo e dello
spazio, e con prodigiosa e rinnovata coincidenza della nostra Messa
con la presenza e l’azione del divino Agnello eucaristico, regnante
glorioso alla destra del Padre, ma per noi, nella storia presente,
rappresentato realmente nella sua azione sacrificale e redentrice.
Mistero della fede! anche questo sappiamo, e sempre adoriamo e
contempliamo, con inesausto fervore: ne riaccenderemo il fuoco nella
festa del «Corpus Domini».
Ma ora vi siamo incamminati da questa scoperta, perché tale sempre ci
appare la considerazione del Sacerdozio cattolico, della potestà
conferita ad un ministero umano di rinnovare, di perpetuare, di
diffondere il mistero eucaristico.
Diremo subito due cose; e cioè che nell’offerta dell’Eucaristia
tutto il Popolo di Dio, credente e fedele, è partecipe ed attivo,
insignito com’egli è d’un «sacerdozio regale», come scrive
l’apostolo Pietro (1 Petr. 2, 5 et 9) e come il recente
Concilio ha felicemente ribadito (Lumen Gentium, 10); e come
tale oggi, Giovedì Santo, è particolarmente invitato ad esultare
per l’istituzione dell’Eucaristia, ad esaltarne gli infiniti tesori
divini di amore e di sapienza, e a parteciparvi proprio in rispondenza
all’intenzione diffusiva e moltiplicatrice che Cristo, e con lui la
Chiesa, ha voluto caratterizzare questo sublime mistero del Pane
eucaristico reso a tutti disponibile. E, in secondo luogo,
ricorderemo che la distinzione essenziale del Sacerdozio ministeriale
da quello comune non è concepita come un privilegio, che separa il
Sacerdote dal Fedele, ma come un ministero, un servizio che il primo
deve rendere al secondo, un carattere, sì, tutto proprio di colui
che è eletto a fungere come ministro sacerdotale del Popolo di Dio,
ma intenzionalmente sociale, diciamo meglio, qualificato per la
carità, dispensatrice amorosa dei misteri di Dio (Cfr. 1 Cor.
4, 1; 2 Cor. 6, 4; cfr. M. DE LA TAILLE,
Mysterium Fidei, p. 327 ss.).
Ma ciò che nella cosciente pienezza di questo sacro momento a noi
sembra doveroso riaffermare è il mistero del nostro Sacerdozio
cattolico, che affianca quello eucaristico, e con esso si compenetra e
si confonde. A noi sorge spontaneo nel cuore il godimento ineffabile
della specifica comunione, che ci unisce oggi a tutti i nostri
Confratelli nel Sacerdozio. Chi più di noi, venerati Sacerdoti,
può dire con autentica e mistica realtà: «Non sono più io che
vivo, ma vive in me Cristo»? (Gal. 2, 20) Quale maggiore
carità poteva dimostrare a noi Gesù Cristo, che chiamandoci, tutti
e singoli, suoi amici (Io. 15, 14; 15, 15) e trasferendo
in ciascuno di noi la prodigiosa potestà di consacrare l’Eucaristia?
(Cfr. DENZ.-SCHÖN 1764 (957)) Poteva Egli
darci maggiore prova di fiducia? E come potremmo rimettere in
questione la nostra scelta a tanto ministero, quando dobbiamo ricordare
ch’essa nasce da una sua preferenziale iniziativa (Cfr. Io.
15,16), all’incontro con una nostra personale, libera e amorosa
risposta? Non dovremo forse far nostra la semplice, ma stupenda
risposta, a noi, in questi giorni comunicata, da un buon Sacerdote,
sbattuto, come tanti oggi, dagli affanni e dai dubbi delle
contestazioni proprie del nostro tempo: «Io sono felice»?
Sì, venerati Fratelli ed anche voi tutti carissimi Fedeli; noi
dobbiamo oggi ringraziare il Signore d’aver istituito questo divino e
misterioso Sacramento, l’Eucaristia; e dobbiamo tutti aggiungere a
sua gloria e a nostro conforto: noi siamo felici, che accanto ad
essa, l’Eucaristia, per renderla attuale, per moltiplicarla e
diffonderla, voi, Signore, avete comunicato ad alcuni eletti e
responsabili, nella vostra Chiesa, il vostro santo e meraviglioso
Sacerdozio. Sia questa la nostra spirituale espressione per questo
Giovedì Santo!
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