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Domenica, 21 giugno 1970
Ecco riconosciuta la gloria della santità a Nicola
Tavelić di Sebenico, in Croazia, ed ai suoi compagni
Deodato «de Ruticinio», della Provincia di Aquitania, Pietro da
Narbona, della Provincia di Provenza, e Stefano da Cuneo, della
Provincia di Genova, tutti della Famiglia Religiosa dei Frati
Minori di San Francesco; già venerato il primo col titolo di beato
( lSSl), e non meno competente agli altri suoi soci per averne
condiviso la vocazione e l’eroica sorte del martirio, il 14 novembre
dell’anno 1391 (al tempo di Papa Bonifacio IX, Tomacelli,
durante lo scisma d’Occidente).
L’INNO PERENNE DI S. CIPRIANO
Vengono alle nostre labbra le parole di San Cipriano ai Martiri:
«Esulto di letizia e di compiacenza, o fortissimi e beatissimi
fratelli, riconoscendo la vostra fede e il vostro coraggio; la madre
Chiesa è fiera di voi . . . Come cantare le vostre lodi, o
fratelli valorosi? La forza del vostro animo e la perseveranza della
vostra fede con quale elogio posso io celebrare?» (Ep. VIII;
PL 4, 251-252).
Noi siamo particolarmente felici d’aver potuto proclamare la santità
di questi martiri della fede, avendo così convalidato di fronte alla
Chiesa intera il culto, che fino dal tempo della loro tragica e beata
morte era a loro attribuito, a Nicola Tavelić in modo
speciale, per merito dei suoi concittadini di Sebenico e dei suoi
connazionali, dai quali fu sempre fedelmente conservata memoria di
lui, e fu sempre circondata di pietà e di onore. È così compiuto un
voto a lungo con tenace speranza nutrito.
Sono passati cinque secoli dal martirio di Nicola Tavelić
e dei suoi soci. Sorge spontanea la domanda: come mai la Chiesa ha
tanto tardato a canonizzare la loro eroica virtù? Lo studio delle
circostanze mediante le quali fu consumato il loro martirio, fu
tramandato il loro ricordo, fu autorizzato in pratica e in diritto il
culto del beato Nicola, e fu ripreso l’esame della sua causa, può
dare la risposta a questa ovvia questione; ma è studio complesso e che
presenta un aspetto caratteristico, di non facile interpretazione.
Narra la storia che Nicola Tavelić ed i suoi compagni
furono martiri volontari, i quali, più che subire l’orrendo
supplizio a loro inflitto, ad esso si esposero.
Siamo a Gerusalemme, al tempo dell’occupazione musulmana, in un
periodo di relativa tregua, se allora i Francescani potevano risiedere
nella città. I quattro Frati, protagonisti della tragica avventura
missionaria, sono mossi da una duplice intenzione: quella di predicare
la Fede cristiana confutando coraggiosamente, non certo forse
cautamente e saggiamente, la religione di Maometto; e quella di
sfidare e provocare il rischio del sacrificio della loro vita. È vero
martirio? Già il grande dottore di questa materia, Papa Benedetto
XIV, nella sua opera magistrale De servorum Dei beatificatione et
beatorum canonizatione, si era posto il problema per risolverlo, in
conformità alla dottrina consueta, in senso negativo: se il martirio
è provocato intenzionalmente, non è vero martirio. Papa
Lambertini, celebre per i suoi frizzi salaci, ci avverte che non
bisogna stuzzicare il can che dorme (Cfr. BENEDETTO XIV,
De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione, lib.
III, c. 17, 4).
Sorge allora una quantità di problemi. La tradizione storica della
Chiesa non vanta forse altre figure di martiri volontari?
Sant’Ignazio d’Antiochia, questa luminosissima figura di martire
all’inizio del secondo secolo, non supplica forse i cristiani di Roma
di non impedire il suo previsto martirio? Nessuna voce è più alta e
lirica della sua, per perorare la sua immolazione. Io sono frumento
di Dio, egli scrive con patetica veemenza, oh! ch’io sia macinato
dai denti delle fiere, affinché io diventi pane puro di Cristo.
«Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio . . .
ogni mio desiderio è ormai crocifisso . . .» (C. IV-V,
etc.). Non ci ricorda poi il nostro Martirologio i nomi di
Martiri, che spontaneamente si lanciano alla morte per causa degna di
qualificarli tali? S. Apollonia ad esempio (9 febbraio); S.
Pelagia, elogiata da S. Ambrogio (De Virg. III; 9 giugno)
ecc. Vi è poi tutta una letteratura che esorta al martirio, da
Tertulliano in poi.
MARTIRI VOLONTARI
Ma per il caso nostro abbiamo un testo, che forse è determinante per
la spiegazione della psicologia di Tavelić e dei suoi
compagni; ed è desunto dalla regola stessa di San Francesco. Vale
la pena di citarlo. «I frati che, per amore di Cristo, vanno in
missione fra gli infedeli, possono comportarsi in due diverse maniere.
Una di queste consiste nel non mai mettersi a discutere con gli
infedeli e nell’essere umilmente sottomessi a tutte le creature per
(amor di) Dio (Cfr. 1 Petr. 11, 13), dimostrando in tal
modo d’essere cristiani. L’altra maniera è questa: quando i frati
conosceranno che è volontà di Dio annunziare agli infedeli la parola
divina, lo facciano, invitandoli a credere alla Santissima
Trinità, a farsi battezzare e a divenire cristiani. Ma bisogna che
i frati si ricordino sempre di aver consacrato se stessi e d’aver
abbandonato i loro corpi a nostro Signor Gesù Cristo, e perciò
devono, per amor suo, esporsi ai nemici visibili ed invisibili,
perché dice il Signore: “Chi perderà la sua vita per me la
salverà per la vita eterna”» (Regula I, c. XVI; Gli scritti
di S. Francesco d’Assisi, Vicinelli pp. 102-103,
Mondadori 1955; J. JORGENSEN, San Francesco
d’Assisi, nuova ed. 1968, p. 321; e c. XII della
Regula II). La prima maniera fu scelta da San Francesco stesso
nel suo viaggio in Palestina nel 1219; sebbene lui pure «per la
sete del martirio, nella presenza del Soldan superba, predicò
Cristo» (DANTE, Par., XI, 100); la seconda quella
dell’ardimentoso discepolo, S. Nicola Tavelić e dei
suoi compagni. «I Frati Francescani - osserva il Relatore
Generale della Sezione storica della nostra Sacra Congregazione per
le cause dei Santi - che si recavano in Palestina nei secoli
XIII-XV, vi giungevano . . . con una preparazione psicologica
orientata verso il martirio, cioè verso la perfetta imitazione di
Cristo, Il beato Nicola ed i suoi tre consoci, quando presero la
loro eroica decisione, erano animati dallo stesso entusiasmo religioso
del loro Fondatore e dei primi Martiri dell’Ordine messi a morte nel
Marocco nel 1220 e 1227».
SPIRITUALITÀ FRANCESCANA
Vi è in tutta l’originaria spiritualità francescana una
caratteristica aspirazione, quella della imitazione testuale del
Signore, fino alle estreme conseguenze, anche quelle che non sono
«de necessitate salutis» (Cfr. Summ. Theol., II-II,
124, 3); ora del Signore non si dice forse che «si offerse,
perché Egli lo volle»? (Is. 53, 7) Lui medesimo non
afferma: «. . . Io do la mia vita . . . Nessuno me la toglie,
ma Io la do da me stesso . . .»? (Io. 10, 17-18) È
vero che «nessuno deve spontaneamente darsi la morte» (S.
AUG., De civ. Dei, 1, 26; PL 41, 39), che «uno
non deve dare ad altri occasione di agire ingiustamente» (Summ.
Theol., ibid. 1 ad 3); ma, come nota lo stesso Benedetto
XIV, riferendosi al nostro caso, vi possono essere situazioni in
cui, o per impulso dello Spirito Santo, o per altre speciali
circostanze, l’araldo del Vangelo non ha altro modo per scuotere
l’infedeltà che quello di fare del proprio sangue la voce d’una
estrema testimonianza. Testimonianza indubbiamente paradossale,
testimonianza d’urto, testimonianza vana, perché non subito
accolta, ma sommamente preziosa, perché convalidata dal totale dono
di sé; testimonianza che mette in suprema evidenza che cosa sia
martirio. Esso dovrebbe essere subito, passivo; nel linguaggio
agiografico si chiama passio; ma non è mai privo d’un’accettazione
volontaria, attiva; che nel nostro caso prevale e perciò maggiormente
risplende.
Martirio, come si sa, vuol dire testimonianza, cioè affermazione
soggettiva e oggettiva della fede. Soggettiva, perché con essa il
martire attesta la convinzione sua propria, che s’identifica con la
sua stessa personalità, della certezza ch’egli possiede, e che non
può in alcun modo tradire; e oggettiva, perché con tale affermazione
il martire vuole annunciare Cristo, vuole provare che Cristo è la
verità, e che questa verità vale più della propria vita; è al
vertice di ciò che è, e di ciò che preme, di ciò che salva.
Diventa così motivo di credibilità (Cfr. Denz-Sch.,
2779). Acquista fecondità missionaria: Semen est sanguis
christianorum (TERTULLIANO, Apologeticum, c. 50; PL 1).
Martirio, al tempo stesso, è una dimostrazione assoluta di amore.
Gesù l’ha detto: «Non vi è amore maggiore di quello per cui uno
offre la propria vita per coloro ch’egli ama» (Cfr. Io. 15,
13); e perciò commenta l’Angelico che il martirio demonstrat
perfectionem caritatis, attesta la perfezione della carità (Summ.
Theol., II-11, 124, 3).
E perciò esso possiede in sommo grado l’elemento volontario
dell’azione umana, il coraggio, la fortezza, l’eroismo, il
sacrificio. Rappresenta l’aspetto drammatico e tragico del Vangelo:
«Beati coloro che soffrono persecuzione per la giustizia, perché di
essi è il regno dei cieli» (Matth. 5, 10).
LA MEMORIA DIVENTA ATTUALITÀ
San Nicola Tavelić e Compagni. Oggi noi ricordiamo.
La memoria diviene attualità, Noi stiamo a guardare. La storia
diventa maestra. Pone un confronto fra queste lontane figure di frati
idealisti, imprudenti, ma esaltati da un amore positivo e trascinante
verso Cristo e persuasi della necessità missionaria propria della
fede: martiri; e la nostra mentalità moderna, che nasconde sotto un
mantello di evoluto scetticismo, una comoda e transigente viltà, e
che, priva di principii superiori ed interiori, trova logico il
conformismo alle idee correnti, alla psicologia risultante da
un’alienazione collettiva alla ricerca e al servizio dei soli beni
temporali. Sorge in noi un certo sentimento di disagio: noi ci
sentiamo al tempo stesso distanti da quei campioni della fede, ma
insieme avvertiamo, per tante ragioni, che essi ci sono vicini. Essi
non sono figure anacronistiche e per noi irreali: essi anzi troppo ci
dicono, e quasi ci rimproverano la nostra incertezza, la nostra facile
volubilità, il nostro relativismo, che talora preferisce alla fede la
moda. Lontani e vicini essi sono pur nostri, e ci ammoniscono e ci
esortano, a noi pare, con parole simili a quelle che Noi, non molti
giorni or sono, proferimmo: bisogna avere il coraggio della verità!
il coraggio cristiano.
Ed un secondo sentimento succede al primo con una domanda
imbarazzante: ma allora dobbiamo inasprire i dissensi con la società
che ci circonda, e aggredirla con polemiche e con contestazioni, che
rompono i nostri rapporti col nostro tempo e che accrescono le
difficoltà della nostra presenza apostolica nel mondo? È questo
l’esempio che dobbiamo raccogliere da questi valorosi oggi canonizzati
Santi? No; noi non crediamo. A ben leggere nella loro storia e
soprattutto nei loro animi, noi vediamo che non è uno spirito
d’inimicizia che li spinse al martirio, ma piuttosto di amore, di
ingenuo amore, se volete, e di folle speranza; un calcolo sbagliato,
ma sbagliato per desiderio di giovare e di condurre a salvamento
spirituale quelli stessi che essi provocarono a infliggere loro la
terribile repressione del martirio. Questo è importante. È
importante per il mondo della nostra così detta civiltà occidentale;
il Concilio ce lo insegna. Ed è importante anche per quel mondo
islamico nel quale si svolse e si consumò la tragedia di S. Nicola
Tavelić e dei suoi Compagni: essi non odiavano il mondo
musulmano; anzi, a loro modo, lo amavano. E certo lo amano ancora,
e quasi personificano nella loro storia l’anelito cristiano verso il
mondo islamico stesso, che la storia dei nostri giorni ci fa sempre
meglio conoscere, fortificando la speranza di migliori rapporti fra la
Chiesa cattolica e l’Islam: non ci ha esortato il Concilio «a
dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua
comprensione, non che a difendere e a promuovere insieme, per tutti
gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la
libertà»? (Nostra aetate, 3)
Sono sentimenti questi che ci inducono a celebrare il Signore nei
nuovi Santi, a ispirare la nostra vita al loro esempio, a invocare
per la Chiesa, per la Croazia, per i Paesi d’origine loro, per
tutta la famiglia francescana, e per il mondo intero la loro celeste
protezione.
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