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Santo Natale, 25 dicembre 1971
Questa è un’ora d’intensa meditazione. La singolarità della
cerimonia (l’ora notturna, l’oggetto della celebrazione, cioè il
Natale, l’incidenza che questa festività ha sul costume familiare e
sociale . ..) ce lo ricorda con forza. La veglia in questo momento
è d’obbligo, e tutti ci vuole attenti. L’oscurità del tempo si fa
luce per lo spirito.
Che cosa meditiamo? Noi meditiamo la nascita di Gesù Cristo nel
mondo, avvenuta 1971 anni fa, a Bethleem di Giudea, nota come
la città di David, nelle circostanze che tutti conosciamo. Noi
abbiamo davanti agli occhi dell’immaginazione il quadro
dell’avvenimento. Si riflette così, si rinnova, come figura in uno
specchio, in ciascuna delle nostre anime, e in forma mistica e
sacramentale si rinnoverà tra poco, con misterioso realismo su questo
altare. Qui Cristo sarà con noi. Uno speciale fascino
contemplativo arresta la nostra attenzione.
Osserviamo. La nostra attenzione può prendere due vie. Una quella
della scena storica e sensibile, rievocata dal Vangelo di S. Luca
(il quale probabilmente se la sentì narrare da Maria stessa, la
Madre, protagonista del fatto commemorato); è la scena del
presepio, la scena idilliaca del misero alloggio di fortuna, scelto
dai due pellegrini, Maria e Giuseppe, per questo maturo
avvenimento, una nascita; tutto c’interessa: la notte, il freddo,
la povertà, la solitudine; e poi l’aprirsi del cielo e
I’incomparabile annuncio angelico, e il sopravvenire dei pastori.
La fantasia ricostruisce i particolari; è un paesaggio arcadico, che
sembra familiare, per una storia incantevole. Tutti diventiamo
bambini, e gustiamo un momento delizioso. Ma la nostra mente è
attratta da un’altra via di riflessione, quella profetica. Chi è
Colui che è nato? L’annuncio risuona preciso nella notte stessa:
«è nato oggi per voi un Salvatore, che è Cristo Signore».
Subito l’avvenimento assume una meravigliosa qualifica, quella d’una
meta raggiunta. Davanti a noi non è solo un fatto sempre grande e
commovente, quello d’un nuovo uomo, che entra nel mondo (Cfr.
Io. 16, 21), ma è una storia, un disegno che attraversa i
secoli, comprende eventi disparati e distanti, fortunati e
disgraziati, che descrivono la formazione d’un Popolo, e soprattutto
la formazione in lui d’una coscienza caratteristica e unica, quella
d’un’elezione, d’una vocazione, d’una promessa, d’un destino,
d’un uomo unico e sommo, d’un Re, d’un Salvatore; è la
coscienza messianica.
Facciamo bene attenzione a questo aspetto del Natale. Esso è un
punto d’arrivo, che svela e attesta una linea, precedente un pensiero
divino, un mistero operante nella successione dei tempi, una speranza
indefinita e grandiosa, custodita da una piccola frazione del genere
umano, ma tale da conferire un senso al cammino inconscio di tutte le
genti (Cfr. Is. 55, 5). Il Natale di Cristo segna sul
quadrante dei secoli il momento fatidico del compimento di questo piano
divino, librato, sicuro sopra il torrente tumultuante della storia
umana, e segna quella «pienezza dei tempi», di cui parla S. Paolo
(Gal. 3, 4; Eph. 1, 10), ed in cui si osserva una
convergenza dei destini umani; si avvera la lontana profezia
d’Isaia: «Ecco ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio;
e il principato è stato posto nelle sue spalle, e sarà chiamato col
nome di ammirabile, di consigliere, Dio, forte, padre del Secolo
futuro, principe della pace. Il suo impero crescerà, e la pace non
avrà più fine. Siederà sul trono di David e sopra il suo regno,
per stabilirlo e consolidarlo nel giudizio e nella giustizia, da adesso
e in perpetuo» (Is. 9, 6-7). Sì, sopra questo bambino,
che è Figlio di Dio e figlio di Maria, nato sotto il regime della
legge mosaica (Gal. 4, 4), arriva tutta la tradizione
trascendente, di cui Israele era portatore; ed in Lui si rigenera,
si trasforma e si diffonde nel mondo. Questo piccolo Gesù di
Bethleem è il punto focale della storia umana; in lui si concentra
ogni cammino umano, sfociando su quello rettilineo della elezione dei
figli di Abramo, il quale vide da lontano, nella notte dei secoli,
questo futuro punto luminoso, e, come Cristo stesso ci confidò:
«vide ed esultò» (Io. 8, 56).
Ed il prodigio continua. Proprio come avviene dei raggi che si
fondono in un punto focale, e poi da questo punto si riaprono in un
nuovo cono di luce, così la storia religiosa dell’umanità, cioè la
storia che dà unità, senso e valore alle generazioni, che si
moltiplicano e si agitano e marciano a testa bassa sulla terra, ha la
sua lente in Cristo, che tutta la assorbe quella passata, e tutta la
rischiara quella futura, fino all’estremità del tempo (Cfr.
Matth. 28, 20).
Questa visione del Natale, che è la vera, è specialmente per noi,
per voi. Signori Rappresentanti di Popoli, questa notte qua
convenuti per celebrare il mistero del Natale, è per tutti motivo di
riflessione sulle sorti del mondo. Esse sono collegate con
l’umilissima culla, in cui è adagiato il Verbo di Dio fatto carne;
anzi queste sorti, per le quali voi lavorate a titolo altamente
qualificante, ne dipendono: dove arriva quell’irradiazione
cristiana, di cui dicevamo, e che si chiama Vangelo, arriva la
luce, arriva l’unità, arriva l’uomo non più a testa bassa, ma in
piena statura erta, arriva la dignità della sua persona, arriva la
pace, arriva la salvezza.
Signori! amici e fratelli cercatori e scopritori di Cristo!
Ricordiamo questo singolare momento. Un duplice sentimento
probabilmente nasce nei cuori. Uno, quasi di diffidenza e di timore
davanti al nuovo Re, che ancor oggi nasce nel mondo. È una potenza.
Che cosa temono di più d’una nuova potenza i Potenti di questa
terra? e se poi è una potenza questo Gesù, che dichiara non essere
di questo mondo il suo regno, ma essere d’una sfera trascendente,
forse oggi lo temiamo e lo respingiamo anche di più, gelosi come siamo
della nostra sovrana autonomia, agnostica, laicista o atea, che non
ammette alcun regno di Dio. E l’altro sentimento è invece di
confidenza, Quale potenza è Cristo, se non per noi, per nostro
vantaggio, per nostra salvezza, per nostro amore? Non eripit
mortalia qui regna dat caelestia, non ci porta via i nostri regni
temporali Colui ch’è venuto per regalarci i suoi regni celesti
(Inno dell’Epifania). Egli è venuto per noi, non contro di
noi. Non è un emulo, non è un nemico; è una guida per il nostro
cammino, è un amico. Per tutti; ciascuno può ben dire: per me.
Certo, venuto Lui fra noi, un dramma, anzi una lotta può
cominciare, pro, ovvero contro Cristo. La storia umana si svolge
ormai intorno a Lui; il Vangelo è il terreno di incontro, o di
scontro (Cfr. Luc. 2, 33).
Ma in questa notte, in questo luogo, in questo incontro, la scelta
è facile, è dolce, è forte; ciascuno può dire con cuore
esultante: Egli è venuto per me! (Cfr. Gal. 2, 20; Eph.
9, 2; Io. 3, 16; 15, 9)
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