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Sabato, 2 novembre 1963
La celebrazione di questa Santa Messa ci trova concordi in un duplice
pensiero: quello del suffragio per i nostri Defunti, e quello della
nostra fede nella vita futura. Se il primo pensiero ci ricorda la
pietà che dobbiamo avere verso coloro che ci hanno preceduto "cum
signo fidei et dormiunt in somno pacis", e ci rende solleciti del loro
bene, il secondo pensiero risulta piuttosto rivolto al nostro bene, al
conseguimento di quella saggezza che un cristiano sa derivare dal
mistero della morte.
Abbiamo infatti pregato perché risplenda ai nostri Morti la luce
della vita eterna, e preghiamo ora perché il riflesso di quella stessa
luce rischiari la scena della vita presente, e ricordi a noi tutti
l'immortalità di cui Iddio, concedendo a noi il dono dell'esistenza
naturale, ha dotato la nostra anima. E questo un pensiero
fondamentale della concezione cristiana della vita, pensiero che si
annebbia e si oscura in coloro che non hanno la fortuna della fede, e
che noi credenti dobbiamo invece tenere acceso nella nostra coscienza,
e accettarne la chiarezza ch'esso vi porta, tremenda e consolante.
Tremenda, perché la certezza della vita futura modifica i nostri
giudizi sul valore delle cose e degli avvenimenti della nostra
esperienza temporale, e ci ammonisce circa l'inevitabile
responsabilità di ogni nostro atto rispetto al futuro giudizio di
Dio. "Che cosa giova mai all'uomo, dice il Signore, guadagnare
tutto il mondo, se poi perde l'anima sua?" (Matth. 16,
26). Ed aggiunge: "Io vi dico che nel giorno del giudizio gli
uomini dovranno rendere conto d'ogni parola oziosa, che avranno
detta" (Matth. 12, 36). Consolante, perché la certezza
della vita futura significa la vittoria sulla morte: questo fatale e
pauroso avvenimento che mette fine al nostro soggiorno nel tempo non
sopprime in realtà la nostra esistenza; esso non è che un suo penoso
episodio, al quale succede, per noi cristiani, un'immensa, una
dolcissima speranza, quella dell'incontro con Cristo e della nostra
partecipazione alla pienezza beata ed eterna della sua vita divina.
Sono pensieri grandi, Fratelli e figli carissimi, ai quali oggi la
Chiesa in modo particolare ci invita ed ai quali sempre ci educa,
perché sono le verità supreme, che riguardano il nostro essere ed il
nostro destino. Ora, che tali verità noi abbiamo ricordate a nostro
spirituale vantaggio, possiamo derivarne i voti, con cui desideriamo
rendere proficua e felice la vostra presenza a questa celebrazione. I
nostri voti sono infatti rivolti al Signore perché renda sempre
luminosa ed operante in noi la fede e l'attesa dell'eterna vita;
perché ci renda capaci di bene usare delle cose e delle esperienze di
questo mondo, tenendone libero il nostro cuore, che dev'essere
piuttosto orientato al mondo futuro; e perché conforti di sicure e
soavi speranze gli animi di coloro che piangono per la morte di qualche
persona cara.
Siano i Nostri voti avvalorati dalla comune preghiera e resi efficaci
dalla Nostra Apostolica Benedizione.
***
Durante la S. Messa celebrata al mattino nella Patriarcale
Basilica di S. Lorenzo al Verano, il Sommo Pontefice esorta i
fedeli che gremiscono il tempio a sentitissima cantata verso i defunti,
e a compenetrarsi sempre più delle certezze e dei meriti della
Comunione dei Santi.
Noi - così l'Augusto Pontefice - dovevamo questo atto di pietà
verso i nostri defunti. Dico nostri, perché anche il Papa ha,
nell'attiguo grande Cimitero, persone care, che Gli furono
maestri, confratelli nel Sacerdozio, amici, conoscenti. Non li
può, non li deve dimenticare.
Inoltre, e soprattutto, da quando il Signore Lo ha chiamato ad
essere il Vescovo di questa Città, i defunti dell'Urbe sono
diventati, in modo particolare, diletti al Supremo Pastore.
Possediamo - Egli prosegue - una comunione, che sarebbe tanto bello
approfondire ed esplorare; abbiamo una comunione proprio con i nostri
morti. Il Vescovo di Roma, quindi, sente il dovere di compiere
questo atto di riverenza e di pietà verso coloro che hanno fatto parte
della Santa Città; erano della popolazione di Roma; e perciò sono
uniti al Papa dal vincolo pastorale, per cui Egli è, in modo
speciale, il Vescovo di queste anime. In che cosa consiste il
necessario atto di pietà? Esso rivela, dapprima, un moto di
riconoscenza. Sentiamo l'obbligo di gratitudine ai nostri defunti, e
va da noi ricordato che tutto abbiamo ricevuto da loro. Siamo degli
eredi. Abbiamo ricevuto da loro il primo, il grande dono della vita
naturale. Sono tra essi i nostri antenati, i trasmettitori
dell'inestimabile dono della vita. Per di più, siamo a loro
debitori di quanto ci circonda: la città, i monumenti, la storia,
le case, la civiltà, la lingua, le arti. Non siamo stati noi ad
inventare tutto questo; lo abbiamo trovato, ci è stato largito.
Siamo, dunque, degli eredi.
E donde viene tutta questa ricchezza, questa straordinaria eredità?
Proprio da coloro che ci hanno preceduti; da coloro che hanno
vissuto, lavorato, operato, pensato e pregato prima di noi, e hanno
lasciato così grandi tesori, che appunto sono divenuti il patrimonio
di noi tutti, e, perciò, ne siamo, ben si può dire, i
beneficiari. Abbiamo pertanto il dovere di tener presente lo sforzo,
l'amore, il sacrificio, il dono, in una parola, che i nostri
maggiori hanno fatto per noi, ponendo a nostra disposizione la vita,
la cultura, il benessere.
Dopo questa premessa, il Santo Padre dichiara che un pensiero,
singolarmente grato e commosso, sorge verso quelli che per noi hanno
offerto la vita, hanno difeso la città, e sono morti per noi. Se
ora siamo nella pace, nella libertà, se operiamo in una fratellanza
sociale, così bene affermatasi nel presente momento storico, lo
dobbiamo a delle vittime, a chi per noi si è sacrificato.
Come non rievocare, a questo proposito, quel tristissimo 19 luglio
1943, quando proprio il futuro Pontefice fu invitato, solo, ad
accompagnare Pio XII nella visita a questa zona di Roma, colpita
dalla devastazione bellica? E incancellabile la visione di quel che
fu, in quel giorno, San Lorenzo, e di come si presentò la
popolazione di questo rione. Una immane tragedia che non può certo
essere obliata.
Lacrime, sangue, sacrificio di persone note e di sconosciuti
segnarono quelle ore tremende. Eppure vi fu tanta dedizione anonima,
compiuta appunto per il bene della società a cui noi apparteniamo, per
la difesa della città di cui siamo membri e abitanti. A questi
generosi nostri caduti va, dunque, un ricordo speciale; e il Papa è
particolarmente grato e sensibile per il fatto che i magistrati stessi
dell'Urbe, il Signor Sindaco e altri con lui, si sono uniti a
rendere ai nostri morti l'atto di affettuoso amore che stiamo
tributando. L'adempimento di un così sentito ufficio si impone,
inoltre, tanto più in quanto proprio noi, figli del nostro tempo,
siamo proclivi a dimenticare; siamo soliti a guardare avanti, spesso
trascurando le benemerenze di ieri; non siamo facili alla gratitudine,
alla memoria, alla coerenza con il nostro passato, all'ossequio,
alla fedeltà dovuta alla storia, alle azioni che si succedono da una
generazione all'altra degli uomini. Spesso si rivela assai diffuso un
senso di distacco dal tempo trascorso: e ciò è causa di
inquietudine, trepidazione, instabilità. Un popolo sano, un popolo
cristiano è molto più aderente a quanti ci hanno preceduto; e mira
alla logica delle vicende in cui deve formarsi la propria esperienza,
mentre non esita di fronte al necessario tributo di riconoscimento e di
giusta valutazione.
V'è poi altro e più solenne impegno. Per chi ha l'inestimabile
sorte di possedere la fede, di essere cristiano si impone, verso i
defunti, un atto di carità. Non solo la memoria, la riconoscenza,
ma proprio una profonda, inesauribile carità. E un vincolo sacro,
obbligante. Se noi sapessimo quanti ci furono cari e sono stati i
nostri benefattori hanno ora bisogno di noi, di aiuto fraterno, chi
resterebbe inerte, insensibile? Ebbene questa implorante,
silenziosa, ma reale necessità viene quest'oggi, attraverso la
Liturgia della Chiesa, a premere sopra le nostre anime, sopra i
nostri cuori. Sono i nostri defunti a dirci che noi possiamo ancora
fare qualche cosa per loro e che forse - come misterioso e grande e
commovente è questo " forse "! essi sono nella attesa; hanno
bisogno della nostra comunione di spirito, di generosa, ardente
carità per entrare nella gloria del Signore. La Chiesa ci insegna
la verità di uno stato di penosa e anelante vigilia dei trapassati.
La luce di Dio non si è ancora accesa per loro, poiché devono
ancora diventare degni di sì eccelso dono. Perciò la nostra carità
e la ineffabile, arcana comunione, che tuttora ci avvince a quelle
dilette anime, può far giungere ad esse il tributo della nostra
misericordia, solidarietà e pietà. Negheremo noi questo dono? Il
nostro spirito deve traboccare di sollecitudine, di sante industrie,
ed elevare ininterrotta preghiera, specie se riflettiamo che i nostri
morti possono, a loro volta, essere in qualche modo utili a noi
proprio per la stessa circolazione di carità, di cui ci dà nozione e
certezza la Chiesa. Di qui l'affetto per gli scomparsi, la cura
delle tombe, dei cimiteri; soprattutto, il continuo e meritorio
suffragio a vantaggio dei nostri cari, e di quanti altri attendono il
premio eterno.
Infine occorre anche considerare un altro aspetto, che si manifesta
evidente quando visitiamo questi luoghi di silenzio e di riposo. E
cioè: i defunti ci insegnano l'alto valore della vita presente, e
quel che di essa ci segue. Le loro spoglie parlano della fragilità e
della precarietà del passaggio nel tempo, mentre il ricordo delle loro
persone, dei meriti, della bontà dimostrataci, e segnatamente della
loro anima immortale ci confermano quali sono i beni che noi anche nella
vita di quaggiù dobbiamo, secondo la lezione e gli esempi dati,
maggiormente apprezzare. E che faremo allora? che cosa daremo ai
nostri defunti per soddisfare al debito di religiosa pietà, di
misericordia e di solidarietà cristiana?
Lo sappiamo bene, e vi è stato già accennato. La preghiera innanzi
tutto, che, quale arco sopra la vita nel tempo, arriva al Signore e
ottiene ai nostri defunti la misericordia Sua.
Pregare, pregare per essi. Il Santo Sacrificio della Messa che
ora il Santo Padre offrirà è la grande preghiera in cui Gesù
Cristo stesso si fa intercessore, "semper vivens ad interpellandum
pro nobis".
Ci soccorre, in ciò, anche la nostra tradizione pia e buona, senza
dubbio ancora rigogliosa nelle famiglie cristiane. Bisogna fare opere
buone per i nostri morti.
Nelle nostre case antiche vigeva una significativa usanza: offrire un
pranzo, il 2 novembre, ai poveri che passavano per le vie della
città, ed esso era appunto denominato "il bene dei morti". Molte
forme può assumere questo dono. Nessuno rimanga chiuso ed
insensibile; procuri ciascuno che la fraterna solidarietà esercitata
giovi alla nostra anima innanzitutto, e sia di esempio per i nostri
fratelli, ma soprattutto arrechi suffragio e consolazione e, Dio
voglia, la gloria eterna per i nostri morti.
Adunque, - conclude Sua Santità - con questi sentimenti che
diventano così naturali, vivi, commossi e nobili nei cuori
cristiani, cerchiamo di trascorrere questo giorno dedicato alla
commemorazione dei trapassati, proponendoci, inoltre, di tenerli di
continuo presenti al nostro animo, di unire, a loro beneficio, la
nostra preghiera costante alla superna Clemenza di Dio, datore
dell'infinita beatitudine.
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