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Giovedì, 5 giugno 1969
Venerati Fratelli, Figli carissimi,
Il rito, che ci trova riuniti, in quest’ora del suggestivo vespero
romano, è, come vedete, una celebrazione di culto solenne,
esterno, pubblico, in onore dell’Eucaristia. È un dovere e un
gaudio del Popolo cristiano; è una allegrezza di anime che guardano
nella fede al Cristo; è un atto comunitario di amore a Lui, re e
centro di tutti i cuori, Pastore che ci nutre con la sua Carne e il
suo Sangue. La solennità del Corpus Domini è stata voluta dalla
Chiesa proprio perché i suoi figli potessero esprimere la loro lode a
Cristo con sonorità di voce, con pienezza di amore, con sobria
giocondità di giubilo - sit laus plena, sit sonora, sit iucunda,
sit decora: perché potessero manifestare anche esteriormente quella
riconoscenza che nel Giovedì Santo, giorno commemorativo
dell’istituzione dell’Eucaristia, si volgeva in mestizia, in
contemplazione amorosa, in silenziosa partecipazione alla imminente
Passione del Redentore, immergendosi allora nel raccoglimento, nella
preghiera, nell’adorazione. Oggi, quella trattenuta piena di
affetto prorompe in esultanza, si libera nel canto, si innalza dalle
pubbliche vie, in tutte le città e contrade del mondo cattolico, per
celebrare la carità di Cristo, che si è offerto sulla Croce per
noi, e per noi ha dato se stesso, fino a lasciarci il suo Corpo e il
suo Sangue, la rinnovazione del suo sacrificio, la sua presenza
misteriosa e reale, il Pane della vita eterna, il memoriale della sua
Passione, il pegno della risurrezione finale.
MISTERO DI FEDE
Siamo dunque chiamati a gioire esternamente; e lasciate che il Papa
si compiaccia con voi, figli di Roma, con voi, abitanti di questa
popolosa zona dell’Urbe, con voi, Autorità e rappresentanti delle
Autorità, del Clero e delle Famiglie religiose, con voi, membri
delle organizzazioni parrocchiali e interparrocchiali, delle
associazioni di Azione Cattolica, di apostolato dei laici, dai
piccoli della Prima Comunione ai giovani generosi, agli adulti di
ogni età: con la vostra presenza voi Ci dite come questo gaudioso
dovere del popolo cristiano verso l’Eucaristia sia così profondamente
entrato nei vostri cuori, che è stato per voi spontaneo e logico
venire qua a prestare il vostro pubblico tributo di amore a Cristo.
Questa cerimonia solenne obbliga altresì a una riflessione, a un
ripensamento, a una presa di coscienza su questo Mistero di fede e di
carità, Mysterium fidei, ripete il sacerdote nel momento più sacro
della Messa: Mysterium fidei gli fa eco il popolo, acclamando.
L’Eucaristia è di fatto mistero centrale: e dobbiamo perciò
confermare e chiarire in noi stessi, in questa pur grandiosa,
impressionante occasione, qualche buona, qualche grande, qualche
tonificante idea sul Santissimo Sacramento.
Non certo che sia possibile, in brevi istanti, esaurirne il
contenuto, del resto insondabile, alla cui penetrazione sempre più
profonda ha contribuito, nei secoli, la sapienza dei Padri, il genio
dei Teologi, la esperienza vissuta dei Santi. Ma vorremmo stasera
attirare la vostra attenzione sul nome che la pietà cristiana dà
all’Eucaristia. Come la chiamiamo di solito? La «Comunione».
Sta bene, è vero. Ma Comunione con chi? E qui l’orizzonte si
amplia, si dilata, si espande in un raggio senza confine. È una
duplice comunione: con Cristo e tra di noi, che in Lui siamo e
diventiamo fratelli.
«SIGNUM UNITATIS»
L’Eucaristia è anzitutto Comunione con Cristo, Dio da Dio,
Luce da Luce, Amore da Amore, vivo, vero, sostanzialmente e
sacramentalmente presente, Agnello immolato per la nostra salvezza,
manna ristoratrice per la vita eterna, Amico, Fratello, Sposo,
misteriosamente nascosto e abbassato sotto la semplicità delle
apparenze, eppur glorioso nella sua vita di risorto, che vivifica
comunicandoci i frutti del Mistero pasquale. Oh, non avremo mai
meditato abbastanza sulla ricchezza, che ci apre questa intima
comunione di fede, di amore, di volontà, di pensieri, di
sentimenti, con Cristo Eucaristico. La mente si perde, perché ha
difficoltà a capire, i sensi dubitano, perché si trovano dinanzi a
realtà comuni e note: pane e vino, i due elementi più semplici del
nostro cibo quotidiano. Eppure, proprio il «segno» con cui questa
divina presenza ci si offre, ci indica come dobbiamo pensarla: il pane
e il vino, queste specie tanto comuni, hanno valore di simbolo, di
segno: Segno di che? Oh quant’è grande la potenza di Cristo, che
anche qui, secondo il suo stile - che è lo stile di Betlem, di
Nazareth, del Calvario - nasconde le più grandi realtà sotto le
apparenze più umili, e, appunto per questo, a tutti accessibili:
questo Sacramento è segno che Cristo vuol essere nostro cibo, nostro
alimento, principio interiore di vita per ciascuno di noi, e a noi
applica i frutti della sua incarnazione, con la quale - come bene ha
detto il Concilio - «il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad
ogni uomo» (Gaudium et spes, 22). L’incarnazione si estende
nel tempo, affinché ogni cristiano divenga davvero, come il tralcio
alimentato dal ceppo della unica vite (Io. 15, 1), il
prolungamento di Cristo, e possa dire con l’Apostolo Paolo: «Non
più io vivo, ma Cristo vive in me. La vita, che vivo nella carne,
la vivo nella fede al Figlio di Dio, che ha amato me, e ha dato se
stesso per me» (Gal. 2, 20). Egli si moltiplica per essere a
disposizione di tutti, per essere di tutti: ignorato, forse;
trascurato, forse; offeso, forse; ma vicino, ma presente, ma
operante per chi crede, per chi spera, per chi ama!
Se l’Eucaristia è un grande mistero, che la mente non comprende,
possiamo almeno capire l’amore, che vi risplende con una fiamma
segreta, consumante. Possiamo riflettere all’intimità che Gesù
vuol avere con ognuno di noi; è la sua promessa, sono le sue parole,
quelle che la Liturgia ci ha ripetuto oggi: «Chi mangia la mia
Carne e beve il mio Sangue, rimane in me e io in lui . . . Chi
mangia me, anch’egli vivrà per me: vivet propter me» (Io. 6,
56-57). Egli è il Pane di vita eterna, per noi pellegrini in
questo mondo, che per suo mezzo siamo già trasportati e immessi dal
flusso rapido del tempo alla sponda dell’eternità.
Comunione con Cristo, dunque, l’Eucaristia, come sacramento e
come sacrificio: ma anche comunione tra di noi fratelli, con la
comunità, con la Chiesa: ed è ancora la Rivelazione a dircelo,
con le parole di Paolo: «Dal momento che vi è un solo pane, noi,
che siamo molti, formiamo un solo corpo; poiché noi tutti
partecipiamo di questo unico pane» (1 Cor. 10, m). Il
Concilio Ecumenico Vaticano II ha messo profondamente in luce
questa realtà, quando ha chiamato l’Eucaristia «convito di
comunione fraterna» (Gaudium et spes, 38); quando ha detto che i
cristiani, «cibandosi del corpo di Cristo nella santa Comunione,
mostrano concretamente l’unità del Popolo di Dio, che da questo
augustissimo sacramento è adeguatamente espressa e mirabilmente
effettuata» (Lumen Gentium, 11).
E davvero, l’Eucaristia intende fondere in unità i credenti, i
credenti che siamo noi, uniti a tutti i fratelli del mondo. È
un’altra carità, questa: pur partendo da Cristo, essa dev’essere
esercitata da noi. E la celebrazione dell’Eucaristia è sempre
principio di unione, di carità, non solo nel sentimento, ma anche
nella pratica: «Amatevi, come io vi ho amato» (Io. 15,
12). È il «comandamento nuovo», quello che deve distinguere i
figli della Chiesa: ed esso trova la ragione, lo slancio, la molla
segreta nella Comunione, nella Messa, che è la celebrazione della
comunità cristiana, l’alimento della carità. «In ogni comunità
che partecipa all’altare - è ancora il Concilio a ripetercelo - .
. . è offerto il simbolo di quella carità e unità del Corpo
mistico, senza la quale non può esservi salvezza (S. THOM.,
Summ. Theol. III, 73, 3). In queste comunità, sebbene
spesso piccole e povere, o disperse, è presente Cristo, per virtù
del quale si raccoglie la Chiesa» (Lumen Gentium, 26).
PRODIGARCI PER GLI ALTRI
Perciò l’amore che parte dall’Eucaristia è un amore irradiante:
ha un riflesso nella fusione dei cuori, nell’affetto, nell’unione,
nel perdono; ci fa capire che bisogna spendersi per i bisogni altrui,
per i piccoli, per i poveri, per i malati, per i prigionieri, per
gli esuli, per i sofferenti. Questa carità guarda anche ai fratelli
lontani, ai quali l’unità non ancora perfetta con la Chiesa
cattolica non permette di assidersi alla stessa tavola con noi, e ci fa
pregare che se ne affretti il momento. Questa «comunione» ha anche
un riflesso sociale, perché spinge alla mutua solidarietà, alle
opere di carità, alla comprensione reciproca, all’apostolato: sia
nella Chiesa, «il cui bene comune spirituale è sostanzialmente
contenuto nel sacramento dell’Eucaristia» (S. THOM., Summ.
Theol. III, 65, 3 ad 1), sia tra di noi, che, comunicando
insieme al Pane di vita, diventiamo «il Corpo di Cristo: non
molti, ma un solo corpo», e così restiamo uniti vicendevolmente e
con Cristo nel Sacramento (cfr. S. IOANN.
CHRYSOSTOMUS, In 1 Cor., Hom. 24, 17; PG
61, 200) e operiamo il nostro bene, che è «l’affetto,
l’amore fraterno, l’essere congiunti e legati insieme, in una vita
che trascorre nella pace e nella mansuetudine» (ID., In Ep. ad
Rom., 26, 17; PG 60, 638).
Fratelli e figli dilettissimi! L’insegnamento che ci viene dal
Sacramento eucaristico ravvivi dunque nella Chiesa romana, capo e
centro di tutte le Chiese, come in tutte le comunità del mondo, a
cui oggi ci sentiamo più uniti nei vincoli della fede e dell’amore,
queste convinzioni profonde: faccia ardere il nostro amore a Cristo,
rinnovando davanti a Lui l’impegno di una testimonianza costante,
generosa, che non scenda mai a compromessi con lo spirito del mondo
corrotto e corruttore; e ci spinga ad amarci «come Lui ci ha
amati», vivendo nella autentica carità del Vangelo, sentendo le
necessità degli altri, per piangere con chi piange e gioire con chi
gioisce, nel segno della partecipazione al suo Pane di vita.
Volete voi rispondere a questa richiesta che il Papa vi fa, stasera,
in nome di Cristo? Noi ne siamo sicuri, per il progresso umano e
sociale di questa nostra città, per il bene della società intera,
per la difesa della famiglia, per la fedeltà alla Chiesa. E nel
nome di Cristo vi benediciamo, abbracciando col segno della Croce le
vostre famiglie, i vostri bambini, i vostri ammalati, le vostre
case, il vostro lavoro; per fare di tutti voi, qui presenti, e di
tutta la Chiesa, un’unica offerta di soave profumo a Dio, che Egli
gradisca e ricambi con la pienezza dei suoi doni. Amen, Amen.
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