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Venerdì, 19 marzo 1965
Dopo il Vangelo, il Santo Padre desidera dire una parola in onore
di San Giuseppe, Sposo purissimo di Maria Vergine, e Patrono
della Chiesa Universale.
Non intende tessere il panegirico, come si suole in onore dei santi,
e ricordare le cose grandi che si possono ammirare in questi uomini
superiori, tante volte favoriti dalla natura e sempre favoriti dalla
Grazia; ma piuttosto guardare a una fondamentale caratteristica, alla
piccolezza, alla paradossale, minima statura che di San Giuseppe
offre la narrazione evangelica.
Che cosa di più umile, di più semplice, di più silenzioso, di
più nascosto ci poteva offrire il Vangelo da mettere accanto a Maria
e a Gesù? La figura di Giuseppe è proprio delineata nei tratti
della modestia la più popolare, la più comune, la più - si
direbbe, usando il metro dei valori umani - insignificante, giacché
non troviamo in lui alcun aspetto che ci possa dare ragione della sua
reale grandezza e della straordinaria missione che la Provvidenza gli
ha affidato, e che forma, a buon diritto, il tema di tante
considerazioni, anzi di tanti panegirici in onore di San Giuseppe.
Guardandolo nello specchio del racconto evangelico, Giuseppe ci si
presenta con i tratti più salienti di estrema umiltà: un modesto e
povero, oscuro, piccolo, primitivo operaio che nulla ha di
singolare, che non lascia, nel Vangelo stesso, verun accento della
sua voce. Nessuna parola di lui ci è ricordata: vi si parla
unicamente del suo contegno, della sua condotta, di quanto ha fatto:
e tutto in silenzioso nascondimento e in obbedienza perfetta.
Era il Padre putativo di Cristo; lo Sposo della Vergine
Immacolata; colui che ha dato stato civile in terra a Nostro
Signore; che gli ha tributato l’assistenza più devota e necessaria,
quella di cui hanno bisogno i pargoli, i fanciulli, gli adolescenti;
quella di cui necessitano anche coloro che lavorano ed incominciano a
sperimentare le angustie della vita e quel ch’è inerente alla grave
fatica e al quotidiano sudore della fronte.
Giuseppe è stato, in ogni momento ed in maniera esemplare,
insuperabile custode, assistente, maestro. È stato quindi, in tale
sua completa, sommessa dedizione, di una grandezza sovrumana che
incanta. Fermiamo, perciò, il nostro sguardo, nella odierna
ricorrenza, su questa sua umiltà. Come ci pare fraterna, e, si
direbbe, vicina a tante nostre stature fragili, mediocri,
trascurabili, peccatrici! Come si fa presto a entrare in confidenza
con un Santo che non sa dare soggezione, che non vanta nessuna
distanza da noi; anzi, con una degnazione che ci confonde, quasi
quasi si mette ai nostri piedi per dire: vedi il livello che è stato a
me assegnato! Ebbene, proprio a tale livello, a questa inesprimibile
sottomissione, il Signore del Cielo e della terra si è curvato, ed
ha voluto rendere onore; facendone oggetto della sua scelta, e
preferendola a tutti gli altri valori umani.
Gesù ha eletto Giuseppe. Ci chiediamo perché Cristo, che aveva
libertà di scelta, e, più ancora, aveva possibilità di crearsi un
piedistallo di grandezza, nobiltà, potenza, splendore per dominare
il mondo e così predicare, e salvare l’umanità, ha invece voluto,
come esempio e come tipo a Lui gradito, un santo così piccolo e così
umile?
A noi sembra che ciò sia per due ragioni. La prima, che è
documentabile con molte citazioni della Sacra Scrittura, potrebbe
riferirsi, per così dire, a una certa gelosia di Dio. Il Signore
è venuto decidendo la cooperazione umana. È venuto a salvarci
mediante un sistema composto di due attività: la sua e la nostra. Ha
quindi stabilito che la sua infinita potenza, la sua trascendente
grandezza, la sua misericordia incommensurabile, venendo in contatto
con l’attività umana, non fossero diminuite, o quasi confuse, o
anche paragonate alla nostra capacità di bene, alla nostra
potenzialità di salute. Ha voluto essere solo, pur accogliendo la
nostra collaborazione; ha voluto far emergere tanto di più la sua
maestà, la sua provvidenza, da farci ben comprendere che Egli solo
è la causa della nostra salvezza. Perciò ha prescelto quale
collaboratore lo strumento più umile e più semplice che dimostrava,
in un certo senso, questa sua esclusiva onnipotenza di redenzione.
La seconda ragione sembra debba riconnettersi proprio ad un atto di
affabile condiscendenza e gentilezza verso di noi; ad una cortesia
verso la maggior parte, possiamo pur dire la totalità, del genere
umano. Poiché Iddio scende dal Cielo e si fa uomo, noi, ancor
prima di sentire l’attrattiva verso di Lui, se abbiamo fede, quasi
avvertiamo un sentimento di fuga, un bisogno di ritirarci: «Exi a
me, quia homo peccator sum»: Allontanati da me, o Signore,
perché io sono uomo peccatore. Chi è consapevole della divina
presenza, avverte l’impulso ad allontanarsi da Dio prima ancora che
l’attrattiva di avvicinarsi a Lui. Come mai? Perché la
trascendenza di Dio, resa vicina ed accessibile a noi, resta sempre
infinita superiorità e annienta, si può dire, la nostra miseria e la
nostra sproporzione. Il Signore, invece, per venire a colloquio con
noi, ed essere davvero nostro fratello; per non intimorirci ma
chiamarci; per darci confidenza ed aprire con noi il dialogo di tutte
le più intime, profonde, salutari confidenze, si è fatto
immensamente piccolo. «Humilis Deus», continua a ripetere S.
Agostino. Il grande Dottore, tutte le volte che illustra il mistero
dell’Incarnazione, non lascia di considerare tale aspetto dominante:
un Dio che si abbassa, e lo fa per avvicinarsi e togliere quel senso
di lontananza, di estraneità che sarebbe troppo naturale in noi, i
quali riconosciamo chi Egli è, pur se desideroso di divenire nostro
collega, socio, collocutore.
Il Signore è disceso all’ultimo gradino della scala sociale. Come
divengono gioiosi gli umili, i poveri, i peccatori, i diseredati;
quelli che hanno la piena coscienza della miseria umana - e dovremmo
essere tutti -; come esultano d’essere introdotti a Cristo da un
Custode, da un Patrocinatore qual è San Giuseppe!
Egli, proprio con la sua umiltà - che sembra un invito a noi rivolto
nelle espressioni: venite, perché tutti vi chiamo; venite, ché il
Signore vi aspetta -, documenta, nell’intera sua vita, il grido,
che dovremmo sempre sentire come uno dei più forti ed espressivi del
Santo Vangelo, e che riassume la tenerezza amorosa di Cristo per
noi: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e addolorati, e io
vi consolerò».
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