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Domenica, 8 settembre 1963
Il primo saluto del Santo Padre, nella gradita visita al popolo di
Genzano, è per il Signor Cardinale Pizzardo, Vescovo
Suburbicario, il quale ha voluto, anche questa volta, essere
presente, vicino al Sommo Pontefice. Con la gratitudine, esprime
pure l’assicurazione d’uno speciale ricordo durante la Santa Messa,
affinché il Signore remuneri la comune volontà di procurare ogni vero
bene alle anime.
UNA VISITA CHE SA DI RITORNO
Quindi Sua Santità ringrazia il Vescovo Suffraganeo, Monsignor
Macario, e saluta il Parroco, gli altri sacerdoti ed ecclesiastici
che gli stanno accanto, le comunità religiose che fioriscono in gran
numero nella zona; le autorità civili che vede dinanzi a Sé;
l’intera popolazione di Genzano e le rappresentanze degli altri
Comuni limitrofi, accorse a condividere la letizia della cara città.
A tutti la benedizione del Padre e, anche, una Sua parola dettata
dalla sollecitudine paterna per il vantaggio spirituale di quanti
appartengono al Corpo mistico di Cristo.
La visita, che oggi il Sommo Pontefice compie, sa di ritorno.
Diranno gli ascoltatori: certo Egli è stato qui talvolta ad ammirare
la infiorata e adesso rivede Genzano in altra data e circostanza.
Tutto esatto: per chi è stato nella incantevole cittadina, è ovvia
la conoscenza delle straordinarie manifestazioni che ivi si attuano
nella ricorrenza del Corpus Domini, allorché il Santissimo
Sacramento passa trionfalmente sul grande tappeto di fiori lungo la via
Livia: il che sta a significare non solo un omaggio esteriore,
decorativo, spettacolare, ma quello dei cuori e della salda fedeltà.
Tuttavia non unicamente a così lieti ricordi si sofferma il pensiero
del Santo Padre. Va molto più lontano e ancora più in alto. Egli
sente d’essere giunto in mezzo al carissimo popolo come Successore di
San Pietro e quindi - la sua voce trema nel dirlo, ma il Signore lo
aiuterà - come Rappresentante, Vicario di Gesù Cristo sulla
terra.
E perché vuole Egli insistere sulla espressione ritorno? Ma
perché, prima di Lui, cento e più anni or sono, i Papi passavano
per Genzano. E se l’avvenimento si riproduce ora, dopo oltre un
secolo, esso può benissimo ricollegarsi agli incontri antichi, che
però avevano caratteristiche differenti da quello odierno.
VINCOLI INSCINDIBILI DELLA UNIVERSALE
PATERNITÀ
Difatto, sostando in questa come in altre contrade della regione, il
Papa di quei tempi avrà sicuramente pensato alle immancabili esigenze
d’ordine materiale, che non potevano non richiamare, e giustamente,
l’interessamento del Sovrano temporale: scuole, tribunali,
comunicazioni, incolumità e protezione dei cittadini da ogni pericolo
ecc. Anche allora il mondo procedeva tra novità e progressi.
Bisognava quindi provvedere nei vari settori: economico,
finanziario, tecnico, materiale.
Oggi, invece, il Papa giunge libero dall’assillo di questo genere
di cure. Non che Egli sia insensibile di fronte alle aspettative
d’ordine sociale che i giorni nostri indicano e reclamano. Se ne
rende benissimo conto e in maniera completa: ma sente di non essere
più il responsabile nel campo strettamente amministrativo, di non
avere quel genere di preoccupazioni. Di qui la domanda: viene Egli,
allora, come un forestiero? come tanti altri, cioè, personaggi o
turisti, che qui si soffermano ad ammirare luoghi e panorami, a
ricercare memorie: estranei, quindi, alle varie contingenze e senza
alcun interesse per le persone che si incontrano? No affatto. Il
Papa viene perché tuttora è indissolubilmente legato a queste
popolazioni; ed i vincoli sono inscindibili. Egli può ancora dire,
lo proclama anzi, pur se non ha responsabilità di ordine temporale:
Questi luoghi mi appartengono, questo popolo è mio. Tutti quei
diletti figli sono uniti a Lui da vincoli spirituali, che si
manifestano con tanto maggiore evidenza appunto perché gli altri
legami, di ordine terreno, sono scomparsi.
Voi - spiega con intenso affetto il Santo Padre - siete figli della
Chiesa Cattolica; figli di questa terra, dove la Chiesa Cattolica
ha il suo centro e la sua irradiazione. Voi siete intimamente,
profondamente legati alla Santa Chiesa Cattolica, e perciò la mia
presenza fra di voi sa di ritorno. Vengo, mi trovo fra voi, quale
Pastore, Maestro, Guida spirituale. Potete dunque intuire quali
pensieri sorgano nel mio animo da questa presenza, e come io cerchi di
aprire gli occhi dell’anima e leggere nei vostri cuori, di rendermi
conto del tenore di vita religiosa da voi osservato . . .
TITOLO DI ONORE E DI GLORIA: «POPOLO
FEDELE»
A formulare così promettenti deduzioni hanno concorso le entusiastiche
accoglienze riservate al Papa, e la esultanza dimostrata lungo
l’intero tragitto da Lui compiuto per giungere al tempio. Ed ora
l’ampia e stupenda chiesa è gremita di popolo. Non è gente
curiosa, lieta di assistere ad un avvenimento singolare, ma - e il
titolo deve essere conservato sempre con gelosia e fierezza - è un
popolo fedele, che tuttora si commuove quando vede il suo Capo
spirituale, il Rappresentante di Nostro Signore Gesù Cristo; e
non resta indifferente dinanzi al complesso dei pensieri, sentimenti,
ricordi, e, senz’altro, dei problemi suscitati da quella presenza e
dalla realtà che essa offre e sottolinea.
Diffuso potrebbe essere, al riguardo, il discorso. Ma il Santo
Padre lo abbrevia, riducendolo a una semplice domanda: Figli e
fedeli di Genzano, che cosa pensate della vostra Religione; come la
giudicate? Immagino che tutti diranno: è la mia Religione, non
avverto alcun problema.
Eppure, ad approfondire il senso della domanda, si potrebbe
aggiungere: È veramente vostra? o non sentite che la richiesta, -
in apparenza quasi ardita e indiscreta, perché vuole entrare nel
profondo dello spirito - suscita una quantità di questioni e proprio
inerenti alla vita e alla espressione religiosa?
La Religione. Forse ci sono quelli che dicono: sì, è una bella
cosa, ma di altri tempi. È una eredità che conserviamo come si
custodisce un vecchio quadro tramandatoci dai padri, ma che per noi non
possiede il valore che quelli vi annettevano.
Altri vi sono, e forse più pensosi, moderni, indagatori, i quali
dicono : ma a che serve questo sentimento chiamato Religione? Non
sarebbe meglio esserne affrancati ed esenti e procedere sul cammino
della nostra vita reale, positiva, cioè economica, tecnica,
industriale, politica, sociale ecc., senza l’imbarazzo di queste
indefinibili preoccupazioni spirituali e religiose? In altri termini,
vi è chi ritiene che la Religione non serve più a nulla e forse
costituisce una remora ad avanzare, una catena al piede dell’uomo,
ansioso di correre sempre più sulle vie del progresso.
Altri infine - e in tal numero il Santo Padre spera siano quanti lo
ascoltano -, alla domanda rispondono con prontezza e gioia :
comprendo, e sono convinto. Tengo viva nel cuore la fede. La fede
è, per me, respiro dell’anima, luce per giudicare il mondo in cui
sono, astro sicuro per orientarmi nel cammino della esistenza.
NOSTRA LUCE È LA FEDE
Ebbene il Papa è venuto per confermare in tutti questa persuasione e
certezza, Una semplice parola può sostituire ampio discorso.
Proviene dalla autorità del Vangelo e non ammette perplessità di
sorta. Col Vangelo, il Papa ripete: La nostra fede è verità:
reale, completa, unica, Non si può prescindere da essa. Escludere
la fede, la religione, è come volersi privare della luce del sole,
dell’aria per il respiro, del pane di cui si ha bisogno. La nostra
fede - insiste con ardente zelo il Pastore Supremo - è il principio
di una nuova vita. Diciamola la parola, che io vorrei stampare nella
vostra anima, soprattutto in quella dei giovani, dove questa
problematica spirituale può essere più fervorosa ed anche più
pericolosa: la nostra fede, carissimi, è necessaria, è
necessaria. Senza la fede in Cristo, la nostra vita non ha la sua
vera interpretazione, il suo giusto epilogo. Avulsa dalla fede,
sembrerebbe avere, a prima vista, più spedita mobilità, un
dinamismo forse più agile e irresponsabile: sarebbe, invece, una
corsa verso abissi di mistero, verso - il Signore non voglia -
destini molto gravi, irreparabili.
La nostra fede è la nostra certezza, è la nostra base; è la nostra
luce, il nostro conforto, la nostra speranza; sarà, domani, la
nostra felicità.
Forse può darsi - aggiunge Sua Santità - che in taluno queste sue
parole sollevino qualche diffidenza o dubbio. Orbene Egli desidera
che ognuno le accolga con la stessa semplicità, lealtà e sincerità
con cui Egli le espone e le comunica. agli ascoltatori. Vogliano
tutti ricordare: ecco, è venuto il Papa, e che cosa ci ha detto?
Ci ha esortati ad essere fedeli, a conservare la nostra Religione in
un grado di certezza, di operosità interiore, di capacità a tradursi
in meritorie imprese; di esprimerla con la preghiera; di attitudine a
rieducare i nostri cuori con sentimenti umani e cristiani, a purificare
i nostri sentimenti da ogni ombra od inquinamento che il mondo può
introdurre nello spirito degli uomini.
AL PRIMO POSTO SEMPRE IL REGNO DI DIO
Il Papa ci ha detto di essere fermi, forti, fedeli. E, se
qualcuno fosse contristato da esitazioni o smarrimenti, proprio a
questo ripensi. Ricordi la visita del Padre in una bella e cara
Parrocchia, attorniato da ingente moltitudine di popolo; riveda le
sue braccia protese verso tutti, il suo cuore aperto. È venuto il
Papa e ci ha invitati ad essere cristiani, a mantenerci cattolici, ad
essere leali e coerenti con le nostre antiche e bellissime tradizioni
religiose, morali e spirituali. Ha voluto lasciarci una parola, che
sempre rammenteremo, anche se adesso non può essere completamente
spiegata o, qua e là, appare incomprensibile: la nostra fede è la
vita; è la bellezza, la forza, la luce; è la libertà, il
progresso; è tutto quello che l’uomo può desiderare.
E se quanto si legge nel brano del Vangelo odierno, in questa XIV
domenica dopo la Pentecoste, potesse indurre a supporre: ma se io
scelgo Cristo, se mi attengo alla fede, perdo la terra, trascuro i
miei interessi economici, annullo la mia libertà, non ho più la
signoria del mondo che il Regno dei Cieli sembra contendere, allora,
a tranquillizzare e rasserenare sta la divina parola del Signore. Si
tratta di mettere la fede, i valori religiosi e spirituali al primo
posto, come quando io accendo una lampada, perché ogni cosa sia
illuminata.
Nulla dunque sarà perduto di ciò che è veramente onesto, buono e
vitale, poiché la parola del Signore suona così: «Cercate dunque
in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia: e avrete in
soprappiù tutte queste cose» (Matth. 6, 33). Il che vuol
dire: quando noi riconosciamo alla nostra vita religiosa il suo primato
e diamo veramente il posto che merita al culto di Dio, all’amore di
Cristo, alla fedeltà alla Chiesa, non perderemo ciò di cui ha
necessità la nostra vita terrena. Sarà, anzi, molto più facile e
bello e godibile anche il possesso dei beni, che il Signore dispensa
alla nostra vita temporale, se saremo solleciti, come prima
preoccupazione, e come superiore proposito, di curare gli interessi
del Regno di Dio, che sono gli interessi della nostra anima e della
nostra salvezza. E così sia!
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