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Domenica, 12 novembre 1972
O Fratelli! O Sorelle! Poesia dovrebbe essere il nostro
discorso! Parola che cede al silenzio la pienezza ineffabile del suo
significato.
Poiché l’atto liturgico e ufficiale che noi ora abbiamo compiuto,
quello di autorizzare la Famiglia religiosa delle Suore della
Carità, e con lei la Chiesa Romana e la Chiesa di Dio a celebrare
Beata l’umile Suora Agostina Pietrantoni, ci riempie di
ammirazione e di commozione, che superano la capacità espressiva del
linguaggio ordinario, e narrando una storia, che pare leggenda, tanto
è semplice, limpida, pura, amorosa, e alla fine tanto è dolorosa e
tragica, anzi, ancor più, tanto è simbolica, la parola vorrebbe
farsi canzone, come quella che lascia intravedere il profilo di una
fanciulla innocente, di una vergine candida e taciturna, di una sposa
votata all’Amore assoluto, d’una donna forte, che fa dono della
propria vita alla carità dei poveri e degli infermi, d’una vittima
inerme del proprio quotidiano eroico servizio, paga che a soli
trent’anni si compia il suo intimo voto di fare della propria vita
martirio a Gesù, testimonianza a quanti hanno occhi per vedere,
cuore per comprendere, a noi, dunque, a noi tutti.
Ma poeti non siamo. Ciascuno di voi, che conosca il profilo
biografico della nuova Beata, e ciascuna di voi Sorelle sue
specialmente, che per tanti titoli ne seguite gli esempi e ne
condividete le esperienze, può comporre questo cantico dolce e pio.
La prima strofa è un ritmo georgico. C’era una volta, e ancora
c’è con volto nuovo, un villaggio chiamato Pozzaglia, nei colli
della Sabina, circondato da poveri campi e da ulivi d’argento;
c’era una Parrocchia, oggi gloriosa, che dava a quel popolo buono
fede e preghiera, un’anima cristiana; e c’era là una casa
benedetta, nido pieno di voci infantili, tra le quali, precocemente
saggia, quella di Oliva, chiamata poi Livia, che cambierà il nome
domestico in quello religioso di Agostina, la nostra Beata; una casa
dove, secondo una rustica, ma espressiva testimonianza, «tutti
badavano a far bene e si pregava spesso». Qui piacerebbe sostare, e
ascoltare la lezione del paesaggio e quella del focolare, e incontrare
lei, vederla e conoscerla alla scuola della vita vissuta; quadro
idilliaco, se non sapessimo quanto aggravato di cure familiari e di
pesante lavoro.
Poi il canto si fa sommesso, e sembra un segreto respiro, un
monologo, un dialogo da innamorati. Dobbiamo attingerlo alla Sacra
Scrittura per indovinarne alcune sillabe: «La voce del mio diletto!
Ecco egli viene, a salti per i monti, a balzi per i poggi . . .
Parla il mio diletto e mi dice: sorgi, affrettati, amica mia,
colomba mia, bella mia, e vieni!» (Cant. 2, 8, 10). Il
«Cantico dei Cantici» ci insegna certi sentieri della lirica
amorosa, che trascendono dall’orizzonte dei sentimenti umani a quello
del colloquio contemplativo. Livia schiva, timida e pudica, ma fatta
audace dalla voce che parla dentro, la vocazione, si arrende: Cristo
sarà l’amore, Cristo lo Sposo. Qui la vostra attenzione si fa
più avida, e quasi indiscreta! Livia, Suor Agostina, dì a noi
qualche cosa di cotesto segreto: che cosa è una vocazione? come
sorge? come si ascolta, come può una vocazione tutto chiedere, tutto
dare e riempire il cuore d’una ragazza pia, onesta, laboriosa, ma
priva di cultura più che elementare e senz’altra assistenza spirituale
che quella ordinaria e comune ad una fedele parrocchiana, come
riempirlo di tanta sicurezza, di tanto coraggio, di tanta
incomprensibile felicità?
L’interesse di questo caso agiografico sveglia in noi quello d’ogni
altro caso simile, e non più poetico, ma un interesse psicologico e
scientifico. La vocazione religiosa, che qui troviamo quasi in un
pronunciamento spontaneo, come si spiega? incantesimo devoto,
favorito dalla estrema semplicità dell’esperienza esteriore? follia
giovanile, sempre predisposta a scelta fuori della normalità?
intuizione dell’Amore assoluto, che supera il linguaggio nativo
dell’istinto, della passione, dell’imitazione, dell’interesse, e
si pone come necessario e sufficiente? donde questa magia interiore e
che spinge, fuori d’ogni pavidità, al rischio e all’avventura
dell’eroismo? quali sono i vincoli dell’amore, i funiculi caritatis
(Cfr. Os. 11, 4), che hanno spezzato i vincoli della
vanità, i funiculi vanitatis (Is. 5, 18), che sembrano per un
cuore di giovane donna infrangibili? L’interrogazione rimane sospesa
e attende erudita adeguata risposta dei maestri di spirito; ma intanto
riprenderemo il nostro canto menzionando, non fosse che con note troppo
fugaci, due coefficienti d’una vocazione virginale e generosa, quale
ammiriamo nella Beata Agostina; uno esteriore, l’ambiente
propizio, per Livia Pietrantoni, arcaico ed agreste, nel quale il
costume cristiano aveva espressione tanto spoglia di agi moderni,
quanto adorna di umane virtù; l’altro coefficiente è interiore e
misterioso, la grazia; la grazia specifica della vocazione, un
carisma, una voce, «che non tutti sanno cogliere» (Matth. 10,
11; 1 Cor. 7, 7).
Oggi questi due coefficienti difficilmente si accordano; ambiente
esteriore e voce interiore; ed è il loro disaccordo una delle cause
che fanno registrare la diminuzione delle anime valorose, che offrono a
Dio e al servizio del prossimo la loro vita. Ma non è da sperare che
l’esempio di Suor Agostina renda sensibili, anche in mezzo al
fragore febbrile e alle provocazioni profane del costume moderno, anime
nuove al richiamo incessante e incomparabile del divino Maestro da un
lato, del fratello bisognoso dall’altro?
Livia aveva ascoltato e partì. Qui il canto intreccia l’elegia al
salmo. Livia bacia la porta della sua casa, vi traccia un segno di
croce, e corre via. Sembra che l’eco delle parole di Gesù risuoni
nell’aria: Se uno non lascia «suo padre e sua madre e la moglie e i
figli e i fratelli e le sorelle, e perfino la propria vita, non può
essere mio discepolo». Questo primo momento è il più acutamente
sentito per chi vuol essere seguace della vocazione; e la piaga dello
strappo rimarrà quèta, ma aperta tutta la vita. E a tanto dolore
non è, lì per lì, rimedio il genere di esistenza che comincia e che
non finirà più, la vita religiosa, con l’abito impossibile, con
l’orario inflessibile, con l’obbedienza implacabile, con la vita
comune spesso intollerabile, con il lavoro umiliante e incessante.
L’eco continua: «e chi non porta la sua croce e non mi segue, non
può essere mio discepolo» (Luc. 14, 26-28).
Ma dov’è arrivata questa ingenua fuggitiva? Oh! chi non lo sa? è
arrivata fra le Suore della Carità di S. Giovanna Antida
Thouret. E qui il canto squilla di vivacità, di entusiasmo e di
gioia. Sono le Suore che ben conosciamo, della Carità, le quali,
anch’esse nel nome di San Vincenzo de’ Paoli, emule e sorelle
delle Figlie della Carità, hanno, com’è stato ben detto,
«l’intelligenza del Povero»! Parola del Salmo: «Beato colui
che ha l’intelligenza del misero e del Povero» (Ps. 40, 2).
Vaticinio che precede le beatitudini evangeliche e ne prolunga nei
secoli la risonanza suscitando nella Chiesa di Cristo opere come
questa della Thouret, educatrice delle sue Religiose, col grido di
«Dio solo!» ad un paradossale proposito: volare! «Le Suore -
dice la Santa Fondatrice - voleranno a soccorrere l’indigenza con
tutto il loro potere!».
Ed ecco sorgere una delle più fiorenti famiglie religiose del
cattolicesimo in questi ultimi tempi, che col benessere della nuova
società hanno ad essa svelato ed anche in parte prodotto innumerevoli
sofferenti, bisognosi, derelitti, piccoli ed anziani, da assistere,
da ospitare, da curare, da amare e, come suona l’impegno delle
Suore della Carità, da glorificare. Il programma non era nuovo
nella Chiesa; l’ospedale di Santo Spirito, primo nel suo genere,
lo attesta; e qui, eredi d’una tradizione secolare, le Suore della
Carità trovarono un campo di lavoro estremamente fecondo di dolore
umano, di perizia medica e di amore evangelico. Qui Agostina ebbe
ciò che desiderava: consumarsi nel sacrificio di sé per il bene del
prossimo sofferente; qui condivise con i suoi malati tubercolotici la
loro condanna, allora inguaribile, qui per sette anni si prodigò,
umile, gentile, indefessa, col presentimento, anzi col preannuncio,
della sua perfida e tragica fine: il 13 novembre 1894.
Conoscete la barbara storia che spegne sotto le coltellate la sua
giovane e candida vita, e intreccia sul suo capo la duplice corona di
vergine e martire.
Ritornano alla mente le parole celebri di Sant’Ambrogio in onore di
Sant’Agnese: «(oggi) è il giorno natalizio d’una vergine;
seguiamone la purezza. È il giorno natalizio d’una martire: offriamo
il nostro culto al Signore» (S. AMBR. De virginibus, 2).
Roma allora si scosse, ritrovò il suo epico fervore, e tributò
all’ignota Agostina, vittima del suo dovere, del suo amore a Cristo
ed alla sofferenza degli altri, un improvviso trionfo. Oggi la
Chiesa lo ratifica e lo celebra, e autorizzando il culto dell’umile
ed impavida Agostina Pietrantoni presenta in lei chi sia la Suora di
Carità. Sì, è il giorno della Suora di Carità, il vostro
giorno, seguaci di Santa Giovanna Antida, e con voi di quante
Religiose, con pari pietà religiosa, con pari cuore generoso
s’immolano fino a totale sacrificio di sé, per la vita e per la
morte, sull’altare di Cristo con la formula evangelica sua propria:
servire per amore, sacrificarsi per il bene altrui, nulla chiedere per
sé, se non quel centuplo, che solo la vita oltre questa vita
garantisce per l’eternità.
Onoriamo Agostina. Salutiamo tutte le sue Sorelle, e quante figlie
della santa Chiesa, con analoga oblazione, fanno sacrificio di sé
per conforto dell’umano dolore. Invitiamo il popolo a riconoscere in
queste povere e grandi donne, tanto spesso deprezzate e disprezzate,
le più pure, le più valenti, le più buone figlie della nostra
terra, resa ancora da loro piae hostiae castitatis (IDEM Exh.
Virg., 94) altare della fede e della carità.
* * *
Aux filles de sainte Jeanne-Antide Thouret, qui se réjouissent
aujourd’hui de voir l’une des leurs élevée sur les autels, sont
venus se joindre aujourd’hui des religieuses de divers instituts - que
nous encourageons avec affection à suivre la voie des conseils
évangéliques - et de nombreux pèlerins que nous tenons également à
saluer. Nous savons leur souci de fidélité à la foi catholique, à
l’Eglise, au Siège de Pierre. Aussi est-ce de grand cœur que
nous les invitons à rejoindre, parmi leurs frères et sœurs
catholiques et en collaboration confiante avec leurs Evêques - qui
gardent la responsabilité de l’ensemble de la pastorale - l’immense
effort conciliaire auquel toute l’Eglise est invitée. Celui-ci
doit s’accomplir dans la vérité et la charité, avec une volonté de
ressourcement spirituel et de témoignage apostolique, pour redonner
sans cesse à l’Eglise son authentique visage et lui permettre
d’annoncer la Bonne Nouvelle du Sauveur à ceux qui sont proches
d’elle comme à ceux qui sont loin (Cfr. Act. 2, 39).
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