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Giovedì, 27 maggio 1976
Oggi il martirologio offre questo titolo alla nostra festività: «In
monte Oliveti Ascensio Domini nostri Iesu Christi».
L’Ascensione pertanto attrae e fissa gli sguardi delle nostre anime
verso questa figura splendida e luminosa del Signore, che s’innalza
nel cielo, come un globo di fuoco, il quale si fa più ardente ed
abbagliante a mano a mano che si allontana da noi, fino a superare la
luce del sole cosmico, e a farsi Lui stesso lo splendore
dell’universo rivelandone nuovi e profondi aspetti risultanti da quella
stessa illuminazione rivelatrice (Cfr. Is. 60, 19; Apoc.
21, 23; 22, 5). Gli occhi restano abbagliati, e il fulgore
diventa mistero. Ma la nostra gioia rimane e si fa coscienza, si fa
parola, si fa canto.
Noi godiamo intanto di questa coincidenza festiva: la celebrazione
della gloria di Cristo, che sale al cielo e siede alla destra del
Padre, proietta la sua luce sulla solenne liturgia, che noi stiamo
celebrando, e che vede raccolta intorno a noi nel compimento dei santi
riti eucaristici la schiera dei nuovi Cardinali, chiamati a
condividere col successore di San Pietro l’appartenenza al Clero di
questa sede romana, l’onore e l’onere di partecipare al governo
pastorale del centro dell’unità e della cattolicità della santa
Chiesa Romana, e di testimoniare e di assicurare la regolare
successione del suo Vescovo, Vicario di Cristo e servo dei servi di
Dio. Quanto è pieno di spirituale bellezza, e quanto irradiante di
profetico significato il fatto che su questo quadro ecclesiale, su
questo momento liturgico risplenda la misteriosa, ma, tra pochi
istanti della sacra celebrazione, la reale, sacramentale presenza di
quello stesso Gesù, il Cristo, Figlio di Dio e Figlio
dell’uomo, del quale oggi la Chiesa festeggia il celeste ed ormai
eterno trionfo; Cristo è con noi, e sebbene rappresentato nell’atto
del suo sacrificio redentore, Egli è con noi nella pienezza della sua
gloria.
Oh! gloria a Te, o Signore, che sebbene sottratto alla nostra
esperienza sensibile, pure sei con noi con la divina fedeltà alla tua
finale promessa: «Ecco, Io sono con voi tutti i giorni fino alla
fine del mondo» (Matth. 28, 20). Noi guardiamo in questo
momento l’orologio della nostra storia, e francamente crediamo e
diciamo: adesso, sì, Egli, Cristo, risorto, vivo e celeste, è
con noi; oggi noi onoriamo e proclamiamo a noi stessi, all’assemblea
circostante, e ai Popoli dei quali noi rispettivamente siamo figli, e
investiti, in certo modo, della loro rappresentanza: Cristo, il
buon Pastore dell’umanità, il Maestro e il Salvatore del mondo,
colui che «è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della Pace» (Is. 9, 5) è con
noi. Egli l’ha detto: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome,
Io sono in mezzo a loro» (Matth. 18, 20); e noi, quanti qui
siamo, appunto siamo riuniti nel Tuo nome.
E così intimo, così urgente si fa il senso di codesta divina,
ineffabile presenza di Cristo, che un infantile, ma evangelico
desiderio ci sorprende: «Signore, noi vorremmo vederti!» (Cfr.
Io. 12, 21). Com’è il volto di Cristo? Quante, quante
immagini Tue, o Gesù, la pietà e l’arte cristiana hanno messo
davanti ai nostri occhi; e molte di queste ci raffigurano, in qualche
maniera, non solo l’aspetto umano e doloroso di Gesù, ma alcune
anche l’aspetto celeste e glorioso; pensiamo a quello della
trasfigurazione, descritto dal Vangelo: «la sua faccia divenne
risplendente come il sole e le sue vesti candide come la luce»
(Matth. 17, 2); pensiamo a quello dell’Apocalisse: «io vidi
sette candelabri d’oro, e in mezzo ai candelabri vi era uno simile a
figlio di uomo, con una veste lunga fino ai piedi, e cinto al petto
con una fascia d’oro. I capelli della testa erano candidi, simili a
lana bianca, come neve. Aveva gli occhi fiammeggianti come fuoco .
. .» (Apoc. 1 , 13-14).
Ma queste immagini bibliche di Gesù celeste incantano i nostri
spiriti e ci fanno quasi piuttosto sentire la sublime distanza del
Cristo risorto, che non confortino il nostro trepido discorso a
ritessere quell’umana conversazione, alla quale la sua terrestre
presenza aveva concesso ai discepoli di partecipare (Cfr. Bar. 3,
38).
E allora, Fratelli? rimarremo anche noi accecati, come S. Paolo
su la via di Damasco, quando, folgorato dall’apparizione di Cristo
e spaventato dalla sua chiamata: «Saulo, Saulo, perché mi
perseguiti?», gli chiese: «Chi sei, Signore?» (Act. 9,
4-5). La visione rimase impressa nella memoria e nell’anima
dell’Apostolo (Cfr. Act. 22, 6; 26, 13) ed illuminò
la sua vocazione, e orientò la sua vita.
Noi pure così. Noi dovremo portare nell’anima il mistero
dell’Ascensione come il punto trascendente, sì, e per ora
invisibile e ineffabile, oltre la cortina del nostro orizzonte
sensibile e temporale; e riferire a quel punto celeste l’asse della
nostra esistenza presente. «Se siete risorti con Cristo - ci
ammonisce San Paolo – cercate le cose di lassù, dove si trova
Cristo, assiso alla destra di Dio: pensate alle cose di lassù, non
a quelle della terra» (Col. 3, 1-2); e ancora: «La nostra
patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore
Gesù Cristo» (Phil. 3, 20). Dobbiamo vivere
escatologicamente, tesi cioè verso «la speranza che non delude»
(Rom. 5, 5).
Noi sappiamo che la mentalità moderna rifiuta questo disegno
costitutivo dell’esistenza umana. La mentalità moderna, vogliamo
dire quella priva del faro orientatore della speranza cristiana, è
tutta impegnata nella conquista del benessere temporale, attuale. La
scienza naturale è la sola sua luce; il benessere economico il suo
paradiso terrestre; e talora i bisogni legittimi e gravi della vita
naturale e presente si vorrebbero strumentalizzare in contrapposizione
della finalità religiosa della vita, come prevalenti, anzi come i
soli meritevoli dell’umana ricerca, e come degni di piegare a sé e di
sostituire i bisogni e doveri dello spirito e le promesse della fede.
Questo non è conforme al programma cristiano, il cui disegno, pur
riconoscendo e servendo le necessità del tempo, spazia ben oltre i
confini degli interessi materiali e dei piaceri momentanei del carpe
diem. E meraviglia! il cristiano, pellegrino verso il Cristo oltre
il tempo, e perciò libero ed agile, disancorato nel cuore dalla scena
effimera di questo mondo (Cfr. 1 Cor. 7, 31), proprio in
virtù del suo insonne amore al Cristo glorioso dell’al di là, sa
scoprire il Cristo bisognoso dell’al di qua; egli intravede il suo
Cristo, degno di totale dedizione, nel fratello povero, piccolo,
sofferente ove l’immagine mistica di Gesù celeste, secondo la sua
divina parola, s’incarna nell’umano dolore terrestre. La nostra
festa dell’Ascensione di Cristo può infatti celebrarsi anche così,
ascoltando e realizzando la sua travolgente parola d’amore sociale:
«In verità vi dico, ogni volta che avrete fatto del bene ai miei
fratelli più piccoli, voi l’avete fatto a me» (Cfr. Matth.
25. 40).
Così l’Ascensione di Cristo in cielo illumina, guida e sorregge il
nostro cammino sulla terra.
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