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Solennità dei SS.mi Apostoli Pietro e Paolo
Sabato, 29 giugno 1963
Sua Santità incomincia con un affettuoso e cordiale pensiero per i
Fratelli e figli dilettissimi, convenuti nella Basilica. E dapprima
esso è diretto ai Signori Cardinali, che presiedono
all’Arciconfraternita ed alle Istituzioni, e che hanno accolto il
Papa, con tanta cortesia, sulla soglia del tempio. Di poi ai
Vescovi, molto numerosi, e a tutti gli altri ecclesiastici; infine
alla moltitudine di fedeli giunti da Milano e da Brescia per un
incontro devotissimo presso l’altare di S. Carlo; il modo migliore
di offrire al nuovo Sommo Pontefice l’opportunità di salutare
tutti, nella forma familiare e cordiale che prescinde, in questo
momento, dagli aspetti più solenni e protocollari che il nuovo
Supremo Ministero comporta.
SALUTO ALLA CITTÀ NATALE
Saluto - prosegue il Santo Padre in tono affettuosissimo - tutti i
fratelli di sangue, di terra, di educazione; quelli dell’umile paese
dove sono nato, Concesio, e quelli dell’altra località, che fu
tanto larga e lieta per me di riposo e di soste nella stagione estiva,
Verolavecchia. E poi Brescia, Brescia!, la città che non
soltanto mi ha dato i natali, ma tanta parte della tradizione civile,
spirituale, umana, insegnandomi, inoltre, che cosa sia il vivere in
questo mondo, e sempre offrendomi un quadro che, credo, regga alle
successive esperienze, disposte, lungo i vari anni, dalla
Provvidenza Divina.
La saluto, questa cara Brescia, nel suo Presule, nei suoi
Magistrati, nei suoi abitanti; e sento di dovere ad essa intensa
gratitudine per gli esempi di virile fortezza, sincerità,
laboriosità, bontà; una vera armonia fra le virtù umane e le virtù
cristiane, tale da essere sempre da me ricordata in esempio e in
benedizione.
MILANO E LE SUE «MAGNIFICHE
TRADIZIONI»
E poi Milano! Milano con la sua vasta area diocesana, dove vivono
circa quattro milioni di anime: di figli, quindi Milano, a cui
speravo di consacrare, fino all’ultimo, i giorni della mia vita e
alla quale ho cercato di offrire quanto potevo, sempre con la pena nel
cuore di dare assai meno di quanto essa meritava e aveva bisogno.
Posso però dire con schiettezza, con tutta la misura delle forze del
mio cuore: cari Milanesi, io vi ho voluto bene!
(L’adunanza sottolinea con fervide acclamazioni questo ed altri punti
del Discorso, pronunciati dal Santo Padre con viva commozione).
Milano, da cui ho molto ricevuto, a cominciare dall’onore di
appartenere a così grande, bella, vigorosa, esemplare, laboriosa
città, che generosamente mi ha fatto partecipe del tesoro delle sue
magnifiche tradizioni. Qui, in questa chiesa, abbiamo qualche segno
e parte di così ingente ricchezza, dovuta ai Santi Ambrogio e
Carlo.
Era mio chiaro e deciso proposito immergermi nella meditazione e nella
reviviscenza di questa grande tradizione di santità, spiritualità,
vigore civile ed umano. Spero, ora, che tale intento non mi sarà
ostacolato dalle sollecitudini del Supremo Ufficio.
PRODIGIOSA TRASFORMAZIONE
Quanti preziosi ricordi accompagnati da profonda tenerezza! Le
parrocchie, che hanno accolto la mia visita pastorale; il Seminario,
che mi ha aperto le porte, il cuore, le varie attività;
l’Università Cattolica; il caro Capitolo, insieme al quale
sovente abbiamo pregato ed onorato il Signore; il Rito Ambrosiano,
che io con difficoltà ha cercato di assimilare, cogliendone poi, uno
ad uno, i molteplici, originali splendori! Orbene, tutto questo è
dono insigne di Milano. È giusto, quindi, che ai Milanesi io dica
il mio grazie, secondo il sentimento di riconoscenza che conserverò
perenne. Continuerò, anzi, ad alimentare il mio spirito proprio
alla sorgente di quella cordiale bontà che mi avete sempre dimostrata.
Ora, diletti Fratelli e figli, dobbiamo meditare la grande e pur
semplicissima novità sopraggiunta, che lascia un po’ attoniti e
stupiti, lieti nel pianto e piangenti nella letizia. C’è stata una
trasformazione: il Signore ha voluto collocare un peso ingente sulle
mie povere spalle, forse perché erano le più deboli, le più
idonee, dunque, a dimostrare che non è Lui a volere qualche cosa da
me, ma desidera largheggiare in presenza ed assistenza, agendo nello
strumento più debole per attestare l’infinito suo potere e
beneplacito, l’inenarrabile sua misericordia.
È accaduto un fatto prodigioso, esaltato dalla odierna Liturgia:
Simone trasformato in Pietro. Simone, discepolo cordiale ed
ardente, talora volubile, eccitabile, anche debole e fragile,
diviene Pietro, secondo il nome che il Signore gli impone, con la
grazia speciale a lui largita, e col ministero delle Somme Chiavi del
Regno affidatogli. È un mutamento che, per diversi aspetti, lascia
sopravvivere Simone. Voglio dire, applicando a me questo tratto
evangelico, che quanto di sacro, buono, umano a voi mi stringe,
resterà. Perdurerà, cioè, il mio affetto per voi; e i vincoli
dal Signore benedetti, i quali a voi mi unirono, non si
scioglieranno, pur se resi diversi e sublimati nel nuovo legame
intercedente tra me e voi, tra il Papa e i fedeli tutti della
Chiesa. Resteranno sempre nella mia preghiera, nel ricordo, nella
riconoscenza. Spero, anzi, che, pur innalzati alla forma e
all’altezza attuale, non si indeboliranno mai, ma saranno anch’essi
sorretti dalle nuove grazie che il Signore vorrà concedere alla mia
umile persona e al mio grande Ministero.
In tal modo, - risulta evidente - quei vincoli, da ristretti e
particolari, diventano universali.
UNIVERSALI ORIZZONTI DI CARITÀ
Una delle parole da me varie volte ripetute nella sacra predicazione
all’arcidiocesi, e che adesso vedo realizzarsi in una maniera ancora
più evidente, è quella di S. Agostino: Dilatentur spatia
caritatis: si allarghino i confini della carità, dell’amore. Per
me, oggi, gli orizzonti dell’amore si sono talmente dilatati che
quelle parole ben possono indicare un precetto, per me, nei confronti
dell’intero mondo, un programma di sollecitudine generale.
Ebbene vi amerò tanto di più, carissimi Fratelli e figli, quanto
più aperto sarà il mio cuore nell’associare a voi tutti gli
innumerevoli fratelli vostri ovunque si trovino, perché tutti figli
della Chiesa Cattolica. E come una madre non attenua l’amore al
figlio quando altri se ne aggiungono, fratelli del primo, così io
spero fermamente che sarà della mia carità verso di voi. Continuerò
ad amarvi come figli, direi primogeniti, mentre l’intera, immensa
famiglia cattolica si unisce a voi e mi obbliga ad allargare il cuore,
la preghiera, la visione, i pensieri: e vi considererò sempre vicini
in questo diffondersi del mio apostolato e del mio amore.
La medesima cosa, ritengo, dovete fare anche voi. Non sia il vostro
cuore chiuso ed esclusivo, quasi campanilistico, ma si comporti, in
ogni circostanza, con il sensus ecclesiae. Occorre, cioè, che
anche voi amiate chi vi è stato fratello, compagno, condiscepolo,
chi è stato il vostro Vescovo, alimentando un amore più vasto, tale
da abbracciare la Chiesa, e i buoni rapporti derivanti dalla fede e
dalla carità. Dovete, anzi, aiutarmi proprio con siffatta apertura
di cuore e consapevolezza della vocazione che il Signore suscita non
solo davanti a me, ma pure dinnanzi a voi. Amare, in una parola,
chi vi è stato vicino e continuerà ad esserlo, anche se deve, per
sopraggiunta disposizione dall’Alto, attendere a cure più estese,
da prodigare per tutte le genti.
GESÙ A PIETRO: «ALIUS TE CINGET»
Che cosa sarà, di me, figli amatissimi? Non lo so. Il Signore
tiene nascosti ai nostri sguardi i presagi del futuro. Senonché Egli
stesso li ha fatti per colui che ha chiamato Pietro. Lo abbiamo letto
poco fa nel Vangelo (Nel Rito Ambrosiano è proposto, per la
festività del 29 giugno, il tratto del capitolo 21 di S.
Giovanni sulla triplice protesta di amore fatta da Pietro al Divino
Maestro). Gesù disse al Principe degli Apostoli: «Alius te
cinget»: Tu sarai destinato ad essere stretto da impegni, obblighi,
situazioni, che ti faranno soffrire e ti porteranno sino alla
immolazione della vita.
La predizione che Cristo faceva a Pietro era un presagio di
testimonianza e di martirio; un presagio di dolore e di sangue.
Non so che sarà di me - conclude con accento di profonda umiltà il
Santo Padre. - Ma una cosa vi dico: in quel giorno - e potrebbe
essere ogni giorno del mio calendario - in cui può darsi che io mi
trovi stanco ed oppresso, al punto da sentirmi come l’antico Simone,
debole e vacillante, capace di insufficienze, penserò che voi mi
sarete vicini con la vostra preghiera, con la vostra carità, con il
vostro amore. Penserò che voi mi volete non già Simone, ma
Pietro; e cioè pronto non soltanto a rinsaldare la fede e l’adesione
incorruttibile a Nostro Signore Gesù Cristo in me stesso, ma a
confermarla e rafforzarla in voi, e in tutti i fratelli. Ecco,
rifulgente, la cooperazione di tutte le nostre aspirazioni alla
infallibile parola del Divino Maestro: Ego rogavi pro te,
(Petre), ut non defìciat fides tua: et tu . . . confirma
fratres tuos.
Adesso offrirò il Divin Sacrificio appunto per voi, in paterna
dilezione, in segno di quella carità che sopravvive, si trasforma e
si sublima. E voi fatemi un dono il più prezioso e gradito: quello
del vostro intenso affetto e della vostra continua, ardente preghiera.
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