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Domenica in Albis, 17 aprile 1966
IL GIUBILO DI TORINO E DEL PIEMONTE
Ancora una volta il Piemonte è in festa. Un altro suo figlio sale
agli onori dell’altare. Esulta Santhià, degno luogo d’origine del
nuovo Beato il quale, secondo il costume dei Cappuccini, dopo aver
rinunciato a tutto, anche al proprio nome, conserva però
l’appellativo della città che gli diede i natali e se lo porta con
sé, in Paradiso: Beato Ignazio da Santhià. Esulta Vercelli,
storica, illustre venerata sede diocesana e prima scuola spirituale del
Beato, dove egli fu educato alla vita ecclesiastica e incardinato
Sacerdote; esultano Chieri, Saluzzo, Mondovì, dove Frate
Ignazio, passato dal Clero diocesano alla Famiglia religiosa dei
Frati Minori Cappuccini (allora, nel sec. XVIII, in grande
fiore in tutta l’Europa), fu alunno e maestro; ed esulta finalmente
Torino, che si ingemma d’un nuovo eletto, e che della lunga vita di
lui ebbe gli anni della maturità, quelli che misero in migliore
evidenza la figura ascetica e spirituale dell’umile Cappuccino e
raccolsero i frutti più copiosi del suo ministero. Salutiamo le
personalità e i fedeli di queste città fortunate e facciamo Nostra di
cuore la loro esultanza. In modo speciale il Nostro riverente saluto
e le Nostre congratulazioni vanno al veneratissimo Arcivescovo di
Torino, qui presente, a cui auguriamo di vedere crescere ancora la
schiera dei Santi della sua tanto celebrata città e del suo popolo
tanto valido e laborioso, e tanto insigne e fecondo di esempi
cristiani.
LETIZIA DELL’ORDINE DEI MINORI
CAPPUCCINI
Ma l’esultanza maggiore sale al Signore, a buon diritto, dai
Cappuccini, che vedono riconosciuti solennemente dalla Chiesa i
meriti di questo loro Confratello, vedono riaffermata la tradizione di
santità, che distingue il loro ramo francescano di severa osservanza,
e vedono ripresentata la loro scuola di evangelica vita religiosa
all’ammirazione e all’imitazione del nostro tempo. Esprimiamo loro
Noi stessi la Nostra compiacenza per questa beatificazione, la
quale, mentre riaccende gaudio e fervore in una sempre numerosa e
austera Famiglia religiosa, richiama la riflessione di tutta la
Chiesa, in questo periodo postconciliare, sull’autenticità e sul
merito della vita consacrata alla sequela e alla imitazione di Cristo,
nel duplice intento della perfezione evangelica e della diffusione
esemplare della carità in mezzo agli uomini, cristiani o no, d’ogni
luogo e d’ogni tempo. Così fiorisca sempre il venerato Ordine
Francescano, edificando la Chiesa con simili documenti e illustrando
al mondo un redivivo, anzi un sempre vivo San Francesco.
VERO E PERFETTO FRANCESCANO
Subito, quando la figura d’un nuovo Beato, o d’un nuovo Santo è
esaltata dal giudizio della Chiesa, che lo acclama degno di culto,
nasce in tutti la curiosità di osservare i caratteri peculiari, che
definiscono la fisionomia del vincitore, chiamato a sedere, come
leggiamo nell’Apocalisse, con Cristo sul suo trono di gloria (cfr.
Apoc. 3, 21). E la nostra mentalità agiografica, non poco
abituata ad assimilare la santità alle manifestazioni carismatiche
dell’uomo meraviglioso e dell’uomo miracoloso, le quali, alle
volte, si accompagnano alla santità, vorrà trovare anche in Frate
Ignazio da Santhià i segni singolari e prodigiosi, che stupiscono e
che divertono. Ma nel caso presente questa scoperta sarà difficile,
quasi delusa. Perché, se si eccettuano certi suoi momenti di estasi
e di levitazione rimasti quasi segreti, e qualche singolare episodio,
la vita del nuovo Beato non sembra offrire una storia avventurosa e
interessante la fantasia, né segnalare fatti di carattere
eccezionale, quelli che attirano l’ammirazione e insieme scoraggiano
l’imitazione dei clienti spirituali dell’altrui santità. La
esemplarità del nostro Frà Ignazio non sembra derivare da forme
strane e superiori di spiritualità e di ascetismo, ma da un altro
titolo, che Ci piace notare non solo a sua lode, ma a lode altresì
di tutta la schiera dei più fedeli seguaci di San Francesco: il suo
titolo di perfezione, potremmo dire, non è la singolarità, ma la
normalità. Fu un vero Francescano, un vero Cappuccino. Così che
in lui sono onorati oggi tutti i suoi identici fratelli. Ab uno disce
omnes, Ci sembra lecito dire e augurare; e questo riconoscimento,
che estende il titolo della perfezione religiosa ad una immensa e molto
varia collettività, non abbassa il livello, cioè l’esigenza, della
perfezione stessa, ma lo ravvisa raggiunto e raggiungibile da grande
numero di aspiranti; solleva così il merito della intera collettività
stessa; e mentre conserva, e sotto certi aspetti accresce,
l’esemplarità del santo, la avvicina e tende a farla prossima alla
sua imitabilità. Il santo allora non è tale, perché
straordinario, e perciò irraggiungibile; ma perché perfetto e
perché tipico nell’osservanza della norma che dovrebbe essere comune a
tutta la schiera dei seguaci fedeli.
TRADIZIONI DI EROISMO E DI FEDELTÀ
Questa teorica concezione, che possiamo dire moderna,
dell’agiografia, presenta certamente un pericolo, quello di troppo
semplificare la via che ascende alla perfezione; via che, per essere
evangelica, deve essere quale Cristo la definisce: «Quanto è
angusta la porta e quanto aspra la via che conduce alla vita!», Egli
ci ammonisce (Matt. 7, 14). Il desiderio di togliere dalla
vita religiosa ogni artificioso ascetismo e ogni arbitraria
esteriorità, per renderla, come oggi si dice, più umana e più
conforme ai tempi, s’infiltra qua e là nella mentalità moderna di
alcuni cristiani, anche religiosi, e può condurre insensibilmente a
quel naturalismo, che non comprende più la stoltezza e lo scandalo
della Croce (cfr. 1 Cor. 1, 23), e crede ragionevole
conformarsi al comodo costume del mondo. Ma così non è nel nostro
Beato. Lo troveremo, sì, semplice e accessibile, ma quanto
ribelle allo spirito del mondo, quanto con se stesso povero e austero!
È pur questa una nota della perfezione religiosa, che assume
particolare rilievo nella scuola ascetica cappuccina; la nota della
fedeltà testuale alle forme e, Dio voglia, allo spirito della
primitiva osservanza francescana, rivendicata ancor prima della crisi
protestante per via di interna riforma e ricondotta alla lettera della
regola e del testamento del Fondatore San Francesco, e alimentata
nel periodo aureo dei Cappuccini da maestri di spirito di grande nome e
di grande influsso, sia nell’Ordine, sia nel popolo fedele: citiamo
ad esempio Giovanni di Fano, Mattia Bellintani e Alessio Segala,
entrambi di Salò, specialmente l’olandese Enrico Herp, e fra
tutti San Lorenzo da Brindisi, e cento altri. (I nostri venerati
P. Ilarino da Milano, Predicatore Apostolico, e P. Melchiorre
di Pobladura, Relatore Generale per le cause storiche presso la
Sacra Congregazione dei Riti, con molti altri loro illustri e
studiosi Confratelli, ci vengono documentando queste splendide e
ricchissime tradizioni spirituali e letterarie dell’Ordine
Cappuccino). Ed è questa nota di fedeltà che descrive il profilo
iconografico, non solo, ma spirituale altresì del Cappuccino, e che
lo rende tuttora tanto popolare. Pensiamo a Padre Cristoforo, e a
quanti umili e zelanti Cappuccini godono tuttora la stima e la fiducia
della gente.
Padre Ignazio è precisamente uno di questi, e la Chiesa lo saluta
oggi come un religioso ammirabile sotto ogni aspetto della sua vita
francescana. È stato scritto argutamente di lui che fu un religioso
«tutto-fare», perché appunto ogni momento della sua vita
francescana ed ogni manifestazione della sua attività apostolica
dimostrano questa versatilità per ogni interna ed esterna virtù, che
lo può rendere a tutti esemplare.
UN PRIMATO SINGOLARE NELLA VIRTÙ
DELL’OBBEDIENZA
Che se non volessimo rinunciare a cercare quale virtù Ci sembri in
lui saliente, così da delineare un suo specifico profilo religioso e
da determinare, per molti versi, l’esercizio di ogni sua francescana
virtù, Noi diremmo essere nel Beato Ignazio da Santhià
primeggiante la virtù dell’obbedienza, la virtù oggi più in crisi,
ma appunto per questo più degna d’essere considerata nello specchio di
questo nuovo Beato, che la Provvidenza ci consente d’onorare forse
proprio a nostro ammonimento e a nostro conforto nel momento, che di
tale virtù, per cui Cristo, factus oboediens usque ad mortem, ci
istruì sulle vie del Vangelo e ci salvò, vi è maggiore bisogno.
Venga dunque nella nostra venerazione questo nuovo Fratello del
Cielo, e col suo esempio, con la sua protezione, ci aiuti tutti a
seguire il sentiero che al Cielo conduce.
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