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Santo Natale, 25 dicembre 1969
L'odierna solennità ci ricorda il Mistero della Incarnazione. È
una realtà che non ha l’eguale, sbalordisce e sempre ci esalta: È
il Signore, è Dio fatto Uomo. Se oggi tra gli uomini, come in
altri tempi, vi sono coloro che negano o mettono in dubbio l’esistenza
di Dio, sempre più valide sono le prove della sua realtà e della sua
opera. Vi sono tante mirabili cose che noi ammettiamo e di cui godiamo
pur senza vederle. Ebbene Dio c’è, esiste: da Lui tutto dipende
e deriva: chi lo nega è nell’assurdo. Tra poco noi tutti
ripeteremo: «Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo
e della terra . . .». E ne celebreremo la gloria.
Infatti, questo Dio invisibile, eterno, che avvolge il creato, ha
valicato l’abisso che ci separa da Lui, ed è venuto tra noi. In
quale modo? Ecco il presepio a ripresentarci l’avvenimento in
Betlemme. Maria depone il Divino Pargolo, nato per opera dello
Spirito Santo, nella mangiatoia degli animali. Poteva apparire ne!
mondo in maniera più povera e squallida di quella prescelta?
Certamente no. E allora, dinanzi a tanta benignità sono ovvie due
domande: Perché e per che cosa è entrato nel mondo il Eiglio di
Dio fatto Uomo? Nello stesso Credo è la duplice risposta: «Per
noi uomini e per la nostra salvezza . . .».
Il Natale è festa grande - continua il Santo Padre - perché
ricorda il fatto che Gesù è venuto sulla terra, assumendo le
sembianze umane per avvicinare tutti noi; e proprio perché nessuno
avesse timore o soggezione o addirittura diffidenza a causa della sua
venuta, ha scelto, per nascere, il posto più umile, l’ultimo
posto, là dove non è difficile a nessuno d’avvicinarlo. Ha voluto
apparire a noi intenzionalmente piccolo ed è venuto al mondo
umilmente, anche se l’umanità non aveva fatto nulla per andare
incontro degnamente al suo amore. Nessuno gli aveva assicurato
fedeltà; anzi, prima ancora che venisse, egli era stato
dimenticato, offeso con il peccato.
Per venire fino a noi egli ha valicato lo stesso grande abisso che
separava l’umanità dal Creatore. L’uomo era stato indegno del suo
amore.
Egli è venuto proprio perché noi eravamo indegni; la nostra morte
spirituale lo ha spinto a venire e a farsi povero e fragile come noi,
tranne naturalmente che nel peccato. Anzi Egli è venuto per ognuno
di noi. Si può ben ripetere con l’Apostolo: per me. Ognuno è
stato oggetto di pensiero da parte di Dio. Egli ha voluto divenire
fratello, collega, amico nostro. Ed è venuto per amore. Ciascuno
di voi, dunque - prosegue Sua Santità - deve riflettere su
questo; deve sentire dentro di sé: io sono stato amato da Dio.
Quanto è felice un bambino, quando non tarda ad accorgersi che la sua
mamma gli. vuol bene; e come esprime la sua gioia! E ancora:
osservate un giovane che va cercando, nella immensa città, un po’ di
lavoro. Come è triste quando vede che tutti gli voltano le spalle e
non tengono conto della sua richiesta; ma quanto è, invece, felice
allorché sul suo cammino incontra qualcuno che lo comprende, che lo
invita ad aprire il cuore a buona speranza! Così è sul piano dei
nostri rapporti con Dio, venuto per noi sulla terra: quanta
gratitudine gli dobbiamo per il bene che ci ha dimostrato e sempre ci
manifesta: un bene infinito, perché promana su Dio. Noi siamo
sotto il cono della sua luce, illuminati dall’effusione dei suoi raggi
che ci scrutano per metterci davanti a Lui, proprio perché Gesù
Cristo è venuto per volerci bene. Dio, dunque, ci pensa; ci ama.
Ed ecco: in questo santissimo giorno del Natale l’annunzio ci viene
ripetuto: il divino Amore per tutti noi. Avete sentito poco fa la
lettura dell’Epistola nella quale San Paolo ricorda che oggi «è
apparsa la bontà del Signore!». Il Natale va considerato,
appunto, come un fiotto di bontà che si riversa su ogni uomo. Non
possiamo, davvero, rimanere inerti, indifferenti di fronte al mistero
di questo amore che ci insegue e ci accompagna, in un mondo dove la
gente non si comprende e dove tutti cercano di eliminare gli altri o
almeno difendersi da coloro con i quali si convive, in un mondo fatto
di indifferenza, se non addirittura di odio. Invece il Signore ci
vuole ed invita, ci capisce, ci chiama per nome, suggerisce al nostro
cuore parole attraverso le quali sentiamo chiaramente di essere degli
eletti e prediletti nel senso più alto e più vero di questa realtà.
Sentiamo, quindi, profondamente l’insegnamento particolare del
Natale 1969 e della sua presenza a S. Agapito. Il Papa
ricorda alla folla degli umili che Cristo si è fatto simile a loro,
ha voluto prendere, Egli, il Figlio di Dio, la statura
dell’uomo, assumere le sue miserie, i suoi bisogni, addossarsi
perfino i suoi peccati. È venuto non per chiedere, ma per dare; è
venuto per mettersi in una relazione con Lui che diventa misteriosa,
stupenda, e che è il centro della fede. È venuto - qui è la
risposta alla seconda domanda - non per chiedere, ma per dare; per
essere pane e nutrimento dell’uomo; per essere con lui in comunione,
cioè per fondersi in lui, come dice San Paolo: «Non sono più io
che vivo, ma è Cristo che vive in me!».
Possiamo soffermarci sui motivi di così ardente Carità: Gesù
Cristo è venuto sulla terra per essere conosciuto e capito
dall’uomo, si è rivelato prendendo le sue sembianze e dire: Guarda
quest’uomo e vedrai Dio! Lo ha detto, del resto, il Divino
Maestro nell’ultima cena: «Chi vede me, vede il Padre mio».
D’altra parte, il Signore diventa esigente quando chiede all’uomo
ciò che c’è di più suo e di più prezioso in lui, il suo cuore.
Così Gesù è venuto per essere compreso, amato, corrisposto.
Qui, attraverso il diaframma della natura umana, il Salvatore
diventa esigente: vuole, in realtà, che noi lo amiamo. Dice a ogni
redento: dammi il tuo cuore. Questo è il cristianesimo che fa amare
Dio oltre gli affanni e le preoccupazioni terrestri, anche attraverso
i dolori che spesso incontrano, e quanto è addirittura difficile
vivere nella alternativa di dolorose esperienze.
In tutto ciò è il ricordo del Natale che il Papa intende lasciare
ai cari ascoltatori: il Signore è venuto per amarvi e per essere
riamato: non respingete tale richiesta di amore, quando Egli bussa al
vostro cuore per chiedervi la vostra persona, la vostra anima, non per
rubarvela, non per rendervi schiavi, non per farvi perdere, come oggi
si dice con linguaggio solenne, la vostra personalità, ma per darvi,
invece, una felicità completa. Si può essere, infatti, malati,
si può essere poveri, ma nello stesso tempo sentire l’adorabile voce
che ripete: «Beati voi che siete poveri».
Orbene, sembra umanamente inconcepibile dire questa parola oggi anche
a voi; eppure, se voi amate Cristo e avete capito qualche cosa di
lui, non potrete non essere felici, né giammai vi mancherà una
grandezza di animo, una dignità interiore, una coscienza umana. Di
conseguenza, vi sentirete davvero felici, assurgendo a una statura che
nessuna professione, o carriera, potenza, ricchezza potrà dare.
Allora, vi sentirete uomini elevati al privilegio d’essere figli di
Dio, amati da Dio, anche se vivete in difficoltà, in povertà e
nella continua sofferenza. Questa - conclude il Santo Padre - non
è parola mia, ma l’eco di una Parola che trascende la sua umile
persona, e domina il mondo: «Beati voi, perché vostro è il regno
dei cieli». Questo è il Natale. Siate buoni, attenti a ben
accogliere il grande messaggio, e sarete felici con la benedizione del
Successore di Pietro, con la benedizione stessa di Dio.
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