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Domenica, 29 agosto 1965
Perché sono venuto? Quali sono i motivi che mi hanno indotto a
venire tra voi?
La prima ragione, tanto ovvia, ma che ha un segreto profondo, è
questa: perché voi mi avete invitato. Voi mi avete chiamato; ed io
penso che questo vostro invito non sia mosso semplicemente dalla
curiosità o dalla singolarità di avere il Papa accanto a voi. La
filiale richiesta indica che, nell’intimo delle vostre anime, c’è
un’attesa, una dolce pretesa, anzi. Esiste una necessità: quella
che qualcuno venga a dirvi ciò che altri non può; che venga il Papa
a parlarvi di un segreto che altri non sanno svelarvi. Voi sentite nel
vostro cuore un bisogno di cui forse non riuscite nemmeno a identificare
l’aspirazione dicendo: se viene Lui, se viene il Papa, avremo
certamente qualche, consolazione e visione sulla nostra esistenza.
Ebbene, carissimi, questa ragione è valida. Io sono venuto
veramente per ascoltarvi, più che per parlarvi. Sono venuto a
raccogliere questo anelito ancora informe, forse inespresso nelle
vostre coscienze, ma che si dirige non tanto alla mia povera persona e
nemmeno ad una potenza che non posseggo, quanto invece al vivo
desiderio di conoscervi, di ascoltarvi, di donarvi, completa,-
quella simpatia, che altri forse negano o manifestano con limiti e
remore. Sono qui perché vi voglio bene, e proprio per ascoltarvi,
perché tra voi e me corre una relazione di affetto, diciamo pure
dell’amore dei figli verso il Padre. Sono venuto per mettere in
essere questo rapporto cordiale che voi avete indovinato e che io vorrei
illustrare alle vostre menti. Avete mai sentito una voce non benevola
mormorare: la Chiesa può fare ben poco o nulla per noi? Il Papa
intende, invece, affermarvi il contrario, e dimostrarvi che proprio
la Chiesa è tesa verso di voi, ama conoscervi, assistervi,
condividere con voi l’esperienza della vita faticosa e delle speranze
di migliori prospettive. Possiamo quindi dichiarare: Siamo con voi,
vi siamo vicini, abbiamo offerto e diamo il nostro cuore, la nostra
vita, il nostro ministero per servirvi e per dimostrarvi davvero che su
questa terra non siete soli, non siete abbandonati, non siete senza
chi vi sia padre, amico, fratello. Avete nella Chiesa, avete nei
suoi ministri, nel vostro parroco, nel vostro Vescovo, nel Papa chi
davvero può largire un’assistenza umana, soprannaturale,
insostituibile.
Ma altre ragioni ancora spiegano la visita. Se io vi dicessi che sono
mandato? Sì, io non vengo per sola mia volontà. Non sarei mai
venuto qui se non fossi sacerdote, se non fossi Vicario di Cristo:
Che vuol dire ciò? Significa che avverto nel mio spirito un invito,
un comando, una missione, che dice: Va’, io ti mando... Ecce
ego mitto vos. È Gesù a dare l’invito; è quel Cristo, che venne
1965 anni or sono, la cui voce, potenza, presenza, il cui
ministero e segreto divino, innestati nella storia umana, dicono ai
rappresentanti del Divino Maestro: «Euntes, docete». Portate in
mezzo al popolo il cuore ricolmo e l’intelletto ricco della parola
appunto di Cristo, del gran tesoro del suo Vangelo, del suo
messaggio. Tale messaggio ha la virtù di entrare negli animi oltre
ogni resistenza ed opacità. È il dialogo iniziato da Cristo con
l’umanità, affidato alle labbra dei suoi ministri perché sia svolto
lungo i secoli. Ricorrono così le beatitudini proclamate dal
Salvatore, per cui viene esaltata la povertà, la mitezza, la pace,
la brama di giustizia: persino il pianto è considerato beatitudine
perché verrà consolato. Inoltre, chi soffre avrà facilmente
misericordia e godrà delle ricompense eterne. Il Papa è qui,
appunto a riproclamare questo annunzio liberatore e redentore da Cristo
portato all’umanità.
Ogniqualvolta i fedeli ascolteranno un brano del Vangelo da questo
altare, potranno convincersi che si tratta di verità fondamentali per
la salvezza, commisurate alle loro necessità ed aspettative; si
tratta della parola di Cristo che illumina e salva.
E ancora una domanda: perché il Papa, che potrebbe andare in tante
altre località, è venuto proprio tra voi? Vogliate comprendere,
figliuoli: voi avete un titolo speciale per questa visita. Qual è?
Voi rappresentate, forse senza avvedervene, quanto c’è di più
caratteristico nella società moderna. Rappresentate il nostro tempo
con i suoi problemi, le sue difficoltà, le sue lotte e’ sofferenze,
ma anche con le sue speranze e conquiste, e novità, con le sue
vittorie. Siete, dunque, l’espressione caratteristica della
società moderna. Ripensate alle vostre origini. Un giorno siete
affluiti qua, profughi e immigrati chiedendo lavoro, il benessere.
Che cosa fa il mondo odierno se non andare di continuo in cerca di
fortuna, di operosità nuove, di successi ? È intento, come non
mai: alla ricerca; e voi stessi siete dei ricercatori. Siete
sospinti dalla febbre delle novità, sì che, con l’ansia
quotidiana, voi manifestate quanto c’è di caratteristico e, nel
contempo, anche di più grave e pericoloso, oggi.
Siete una popolazione ch’è nel pieno del suo trasformarsi. Ho
salutato poco fa due esponenti di tutti voi, uno dei campi, l’altro
delle officine. Orbene, noi tutti sappiamo che il ritmo intercorrente
tra questi due poli, l’agricoltura e l’industria, si accelera verso
l’industria. Ferve, cioè, la tendenza a spostarsi dalle zone
agricole alle città, dal lavoro dei campi alla conoscenza ed
all’impiego delle macchine, con tutti i prodotti utilissimi che esse
ci procurano.
Non è un mistero per alcuno che tale moto dall’ambiente rurale a
quello meccanico ed industriale comporta non solo esteriormente dei
sensibili mutamenti, ma investe anche lo spirito. Voi rappresentate
una popolazione in crisi, come adesso si dice: perché state
trasformando pensieri, mentalità, costumi; state diventando
cittadini d’un agglomerato urbano, mentre eravate sino a ieri gli
abitanti d’una cascina o fattoria di campagna. Passate dall’aratro
alle macchine.
Tutto ciò ha vasta risonanza, e voi lo sapete. La crisi più
difficile e drammatica si verifica nel momento acuto, a cui è
possibile giungere con questo processo di trasformazione, e cioè il
pericolo di perdere i beni dell’anima, i beni della fede, i beni
della religione, i beni della speranza cristiana ed eterna, poiché è
facile essere attratti ed abbagliati esclusivamente dai vantaggi che
vengono offerti dal fenomeno industriale, vale a dire dalle conquiste
materiali ed economiche. Allora l’avidità istintiva dell’uomo si
attacca ad esse, ritenendole definitive, che escludono, quindi, ogni
vita superiore e cristiana sino a far trascurare la religione, la
preghiera, il ricorso a Dio. In una parola, ci si accontenta della
ricchezza che nasce dalla materia e si dimentica o anche si disprezza la
grazia assicurataci dal Cielo.
Questa è la crisi. Se si cede all’incanto di tale prospettiva, si
perdono i beni superiori, quelli dell’anima. Sareste contenti di non
possedere più la speranza cristiana, sareste davvero paghi di vivere
soltanto per questi pochi anni miseri e veloci che trascorriamo sulla
terra, sì da diventare soltanto, come le macchine, semplici
strumenti di prosperità, senza alcuna linfa spirituale? Non vedete
che sareste diseredati di ciò che forma la libertà e la dignità
dell’uomo, di quanto sostiene l’uomo nei suoi dolori, di quel che
nobilita pur le minime cose, e fa libere le persone umane, anche se
sono soggette ad un lavoro industrializzato e quasi militarizzato?
Adunque non dovete - ecco perché sono venuto - orientarvi verso tale
decadenza. Sono venuto, figliuoli miei, per dirvi: comprendete
appieno la vostra sorte; e sappiate, in questo passaggio
dall’operosità antica a quella moderna, dalla fatica dei campi a
quella delle officine, dalla vita di ieri a quella di oggi, sappiate
conservare la vostra fede cristiana, e sappiate che essa non è
contraria al vostro benessere nel tempo. Sappiate che essa racchiude
l’origine della vostra reale grandezza morale e spirituale. Sono
venuto, in una parola, ad annunciarvi ancora la salda fede dei vostri
padri; ad esortarvi a non lasciarla mai. In essa realmente è la
sostanza della vita completa e vera, della autentica felicità.
Senza dubbio, per l’accumularsi dei fenomeni del mondo
contemporaneo, questo problema si è già affacciato alle vostre
anime. La vostra presenza qui dimostra - ed il Papa lo rileva con
immenso gaudio - che sentite la giusta soluzione. Ecco che i
cittadini di Pomezia possono proclamare: si, noi vogliamo essere
uomini moderni, vogliamo certo tendere al benessere economico, ma
soprattutto vogliamo conservare a noi ed alle nostre famiglie il tesoro
delle immortali certezze, la fede in Cristo, che tutela, in maniera
incomparabile, la dignità e la libertà dell’uomo.
Pertanto, a causa di questa evidente risposta, siate benedetti,
figliuoli, per la grande consolazione che date al Padre, per la
fiducia riaffermata mediante l’adesione totale al Divin Sacrificio
che stiamo celebrando. In tal modo questa terra, senza alcun dubbio,
resterà cristiana; ci saranno sempre, intorno a Roma, popolazioni
buone e credenti, morali e laboriose; e sulla nazione benedetta, la
nostra Italia, ognora risplenderà la fede di Pietro che la pone al
vertice nobilissimo e le dà una missione unica, quella di ammirare
più dappresso, nella persona umilissima ma elevata alla sommità di
Vicario di Cristo, il proseguimento della tradizione e della
attività cristiana.
Ed ora una raccomandazione. Dinanzi a questa fiorente città con le
sue magnifiche case - e benedetti coloro che provvedono tanto
egregiamente alle necessità del nostro popolo! -, dinanzi alle
armonie ed ai vantaggi delle confortevoli residenze, voi avete adesso
edificato anche la città economica, la città agricola e industriale.
Pomezia è veramente un centro di lavoro in continuo sviluppo. Ma
tutto ciò non basta. Bisogna edificare la città dei cuori. Dovete
sentire d’essere veramente una famiglia, una comunità; ritenervi gli
artefici d’un avvenire felice della nostra società. Fondate dunque
questa vera città non sull’indifferenza, non sull’egoismo.
Purtroppo sono frequenti gli isolamenti, le indifferenze. Non devono
esserci ove sono cristiani fedeli. Onore alle associazioni, i cui
vessilli qui dimostrano presenza e fioritura. Esse rendono amici e
congiunti coloro che vi appartengono. Né vogliate indulgere ai
contrasti sociali, politici, ideologici che esacerbano gli animi e
dividono il consorzio umano in rive opposte, l’una contraria
all’altra. Non basate la vostra città sul labile scopo del godimento
terreno, del piacere, del vizio. Giammai così.
Su che cosa dunque dovete fondarla? Ce lo dice il brano del Vangelo
testé letto, quello del Buon Samaritano: di colui che s’accorge
che c’è chi soffre vicino a sé; che avverte come qualcuno durante il
proprio itinerario ha bisogno di lui; si accorge degli altri. Che
cosa vuol dire accorgersi degli altri e mettersi al loro servizio?
Vuol dire amare, vuol dire organizzare la società sull’amore
cristiano. E chi può dare la forza di uscire da noi stessi per
occuparci degli altri ?
Cristo benedetto, Cristo Signore, figliuoli! Egli soltanto può
trasformare l’egoismo, l’odio, l’aspirazione, tante volte inetta e
manchevole per indispensabile armonia, in una vera socialità buona,
amica, ordinata, felice, perfetta.
Il Cristo sia in mezzo a voi, come questa chiesa è al centro delle
vostre case. Sia nei vostri cuori!
Fategli fiducia. Abbiate fiducia in Cristo, e non sarete smentiti
nelle vostre speranze.
Che il Cristo sia in mezzo a voi, come oggi lo è il suo Vicario in
terra, per edificare, reggere, nobilitare la vostra città sulla
felicità e la bontà dell’amore.
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