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Domenica, 25 maggio 1969
Figli carisimi! voi oggi fra tutti, Sacerdoti novelli, fratelli
concelebranti con Noi la santa Messa!
Figli carissimi! Alunni dei Nostri Collegi, dei Nostri Seminari
e dei Nostri Istituti di preparazione e di formazione sacerdotale, in
questa Roma, l’Urbe posta al centro dell’unità e della carità
della Chiesa di Dio!
A voi tutti, provenienti da così diversi Paesi, che, qui riuniti
acquistate titolo per rappresentare i vostri Popoli rispettivi, e
dimostrate la loro vocazione alla comune salvezza, e quasi rievocando
la scena di Gerusalemme assumete figura della cattolicità e
dell’unità del nuovo Popolo di Dio.
A voi oggi la Nostra parola, come quella di Pietro nell’ora e nel
giorno che noi in questo momento commemoriamo, anzi celebriamo, cioè
riviviamo: l’ora e il giorno di Pentecoste. Oh! non è certamente
questa umile parola come quella d’allora, nel vento e nel fuoco,
simboli sensibili del mistero compiuto; e nemmeno con l’accento
ispirato e potente (cfr. 1 Cor. 2, 4) dell’Apostolo, che
primo e per la prima volta dischiuse allora le labbra incolte alla
Parola profetica, ma nella semplicità affettuosa d’un discorso
domestico, eco tuttavia paterna ed amica della medesima voce!
DUPLICE COMUNIONE
Figli, Fratelli, Fedeli ed Amici tutti! Esultiamo! Oggi è la
festa nostra, la festa della Chiesa, la festa della continuazione
dell’opera di Cristo, la festa della diffusione dell’economia
messianica nel tempo e nel mondo, la festa del Corpo mistico di
Cristo, a cui noi tutti abbiamo la somma fortuna di appartenere, la
festa che celebra la duplice, ineffabile comunione; comunione con
Cristo e comunione fra noi, la festa dello Spirito Santo. Si,
esultiamo. Lasciamo questa volta che i nostri cuori siano invasi
dall’entusiasmo e dall’ebbrezza della pace e del gaudio, che sono
propri della nostra sorte di credenti e di viventi in virtù
dell’animazione dello Spirito Santo! Dio volesse che noi ne
avessimo oggi (e domani, ricordando questo giorno benedetto) qualche
intima esperienza, qualche pienezza spirituale, qualche vibrazione di
quella testimonianza interiore, che ci assicura della nostra
figliolanza adottiva di Dio (cfr. Rom. 8, 16) e che così
dentro ci parla da renderci abili a dare poi noi stessi testimonianza a
Cristo (cfr. Io. 15, 26-27).
Festa dello Spirito Santo, festa della Chiesa. Nel turbine
gaudioso di pensieri, che la Pentecoste suscita in chi la ripensa e la
rivive, fermiamo un istante le nostre menti su questi due aspetti del
mistero beato. Il mistero è uno solo, come ora dicevamo; il mistero
della permanenza di Gesù Cristo sulla terra, nell’umanità, nella
storia, nella nostra realtà temporale, dopo ch’Egli è scomparso
dalla scena di questo mondo, quando Egli, «dopo la sua passione, si
fece vedere redivivo con prove manifeste della sua risurrezione»
(Act. 1, 3), e quindi «fu assunto» al cielo, «dopo aver dato
per mezzo dello Spirito Santo i suoi ordini agli apostoli che egli
aveva eletti», e aver loro annunciato: «Voi riceverete forza di
Spirito Santo, quando verrà su di voi; e mi sarete testimoni in
Gerusalemme, e in tutta la Giudea e la Samaria, e fino alle
estremità della terra» (Act. 1, 2-8). Gesù assente, come
aveva promesso, sarà presente mediante «un altro Paraclito (cioè
un altro difensore), perché rimanga per sempre con voi, lo Spirito
cioè della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo
vede, né lo conosce, ma voi lo conoscerete, perché dimorerà in
voi, e sarà in voi. Io non vi lascerò orfani . . .» (Io.
14, 16-18).
VIVE IN ME CRISTO
Come dunque Gesù sarà, Lui in cielo, ancora presente con noi, in
noi, qui in terra? Come compirà la sua missione redentrice? Come
«edificherà», secondo la sua profetica promessa, «la sua
Chiesa»? (cfr. Matth. 16, 18). Mediante l’effusione del
suo Spirito. «Benché Gesù Cristo, dopo la risurrezione si è
fatto invisibile ai nostri occhi, nondimeno sentiamo ch’Egli vive con
noi; poiché sentiamo il suo respiro. Chiamo respiro di Gesù
Cristo l’effusione dello Spirito Santo» (FORNARI, Vita di
Gesù Cristo, III, 3).
Dove si estende questa vivificante effusione? Voi lo sapete: in due
campi distinti, ma animati dal medesimo Spirito, operante in ciascuno
di essi, in modi diversi, ma con uno scopo, la vita di Cristo,
così che ad entrambi possa essere consentito appropriarsi della
parola. di San Paolo: «Vivo non più io, ma vive in me Cristo»
(Gal. 2, 10), (cfr. S. TROMP, De Spiritu Sancto
anima Corporis mystici, I e II, 1948-1952).
Il primo campo è quello delle singole anime. Il primo campo è
l’interiorità della nostra vita: il nostro essere spirituale. La
nostra persona, che è il nostro io: in questa cella profonda e a noi
stessi misteriosa della nostra esistenza, entra il soffio dello
Spirito Santo; si diffonde nell’anima con quel primo e sommo
carisma, che chiamiamo grazia, ch’è come,una vita nuova, e subito
la abilita ad atti che superano la sua efficienza ‘naturale, cioè le
conferisce virtù soprannaturali; si espande nella rete della
psicologia umana con impulsi d’azione facile e forte, che chiamiamo
doni, e la riempie di effetti spirituali stupendi, che chiamiamo
frutti dello Spirito, primi fra questi il gaudio e la pace, di cui
l’anima, abitata dalla grazia, ha ordinariamente una caratteristica
esperienza (cfr. Gal. 5, 22; S. Th. I-II, 10, 3 ad
4). Cioè il nostro essere umano, corpo compreso, diventa dimora
(cfr. Io. 14, 23), tempio di Dio (cfr. 1 Cor. 3,
16-17; 6, 19; 2 Cor. 6, 16). Quale discorso
meriterebbe questo tema sul «discernimento dello Spirito P; quale
studio su questa esperienza dello Spirito Santo nell’anima cristiana
(cfr. MOURAUX, L’expérience chrétienne); ma già ne
avete notizia dalla vostra scuola teologica, e forse ne avete qualche
prova dalla vostra stessa vita religiosa e morale. Sarà terreno da
esplorare e da coltivare lungo gli anni del vostro ministero, per
vostra edificazione e per l’altrui; perché in questo capitolo della
dottrina cattolica v’è il segreto, v’è la fonte del mistero vivente
della presenza e dell’azione di Cristo in noi, appunto «per
Spiritum Sanctum qui datus est nobis» (cfr. CONGAR, Myst.
de l’Eglise, p, 134). Non diciamo di più. Ma questo,
Fratelli e Figli carissimi, soprattutto vi raccomandiamo: che diate
somma importanza alla realtà di questo mistero dello Spirito Santo,
in noi dimorante, ispirante, vivificante, santificante: la nostra
ultima salvezza dipende dal possesso personale di questo mistero, come
il valore mistico effettivo e anche l’esercizio benefico e fecondo del
nostro ministero (salva la sua intrinseca e autonoma efficacia
sacramentale) deriva in non piccola misura da questa interiore
sorgente: essere in stato di grazia. E come questo si raggiunga,
come si conservi e si alimenti sempre pensate! Pensate al culto della
coscienza pura (cfr. 2 Tim. 1, 19; 1 Petr. 3, 16), al
silenzio interiore che sa ascoltare «quid Spiritus dicat . . .»
(cfr. Ap. 2, 7), alla vita interiore, allo sforzo
contemplativo in una parola, proprio di chi, come oggi tanto si
parla, vorrebbe essere guidato dallo Spirito e godere
d’un’animazione carismatica.
IL SACERDOZIO MINISTERIALE
E qui il discorso porta ad accennare al secondo campo in cui si effonde
la virtù della Pentecoste: negli Apostoli e nella comunità dei
seguaci del Signore Gesù, cioè nel corpo visibile della Chiesa,
che lo Spirito Santo converte in Corpo mistico di Cristo. Vengono
alla mente le parole di Sant’Agostino: «De Spiritu Christi non
vivit, nisi corpus Christi . . . Vis et tu vivere de Spiritu
Christi? In corpore esto Christi . . . amemus unitatem, timeamus
separationem. Nihil enim sic debet formidare christianus, quam
separari a corpore Christi. Si enim separatur a corpore Christi,
non est membrum eius; si non est membrum eius, non vegetatur Spiritu
eius» (Tr. in Io. 26 e 27; P.L. 35,
1612-1613; 1618). Effusione che ha un suo perimetro
ordinario e, per quanto riguarda noi credenti, circoscritto:
l’istituzione ecclesiale. Certamente «Spiritus ubi vult spirat»
(Io. 3, 8); ma, nell’economia stabilita da Cristo, lo
Spirito percorre il canale del ministero apostolico. «Dio ha creato
la gerarchia - il sacerdozio ministeriale (cfr. Lumen gentium, n.
10) -, e così ha provveduto più che sufficientemente ai bisogni
della Chiesa fino alla fine del mondo» (MOEHLER, Theol.
Quartalsch. 1823; cit. da CONGAR, Myst. de l’Egl.,
176).
Ed è a questo ministero apostolico che deve oggi rivolgersi la nostra
considerazione, per ammirare il mistero della Pentecoste, per
ammirarlo, in profonda umiltà e in magnificante beatitudine, in noi
stessi, investiti, come siamo, di quella particolare virtù dello
Spirito Santo, la quale ci dà la potestà di trasmetterlo ai fedeli
nell’annuncio autorizzato e autorevole della Parola di Dio nella
guida del Popolo cristiano e nella distribuzione dei sacramenti (cfr.
1 Cor. 4, l), fonti appunto della grazia, cioè dell’azione
santificante del Paraclito. Servizio più devoto non potrebbe
essere, ma insieme potestà più alta non c’è.
Così è la Chiesa: gerarchica e comunitaria, apostolica e santa,
una e cattolica.
È la festa della Chiesa; è la nostra; è la festa dello Spirito
Santo; la festa di Dio-Amore. Invochiamolo. Benediciamolo.
Viviamolo. Effondiamolo. Così sia.
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