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28 aprile 1968
RIPENSARE LA PERSONA LA FIGURA DI
CRISTO
Sua Santità, dopo aver annunciato che, al termine del Divin
Sacrificio, Egli saluterà i vari pellegrinaggi, intende adesso
proporre una speciale riflessione.
Lasciamo - Egli dice - che la nostra anima si raccolga sulle parole
del Vangelo ora ascoltate, e che tutto il nostro spirito si apra per
coglierne un aspetto, che possa essere per noi di spirituale nutrimento
durante la celebrazione dei santi Misteri.
Il Vangelo della seconda domenica dopo la Pasqua ci ripropone il
celebre brano del Buon Pastore. Esso sembra quasi rispondere, nella
scelta fattane per l’odierna liturgia, a una necessità psicologica,
come quella - per usare un paragone ovvio - di chi ha perduto la
presenza fisica di persona cara.
Quando uno dei nostri con la morte ci lascia, che cosa si fa? Lo si
rievoca intensamente. Il Vangelo odierno induce a un ripensamento
della Persona, della figura, della missione di Cristo. Guardiamo
quanto è avvenuto. Gesù ha concluso la sua vita temporale con la
Croce e ne ha inaugurata un’altra con la Risurrezione; e noi, che
siamo rimasti estasiati da questo avvenimento, che tanto ci consola
eppur tanto ci supera, della vittoria sulla morte, e ci ritroviamo,
però, quasi abbandonati e nella solitudine, torniamo col pensiero a
Chi ci è presentato dal Vangelo nelle sue forme umane e sensibili; e
ci chiediamo: com’era? quale il suo volto? e il suo aspetto?
E qui è necessario subito evitare uno scoglio assai in voga ai giorni
nostri: quello definito «mitizzazione»: un rifacimento, cioè,
artificioso e fantastico della figura di Cristo.
«MITE ED UMILE DI CUORE»
Noi abbiamo ottime ragioni per non commettere questo errore.
Anzitutto perché il ricordo di Lui nell’odierno tratto evangelico è
realistico, umile, spoglio di qualsiasi amplificazione, ed ha,
intero, il sigillo della fedele realtà. Inoltre, perché rimaniamo
coerenti e fedeli alla parola stessa di Gesù. È Lui a indicare e
definire la sua missione: il Buon Pastore. Due volte si è chiamato
così; e noi ci atteniamo esattamente a questa definizione che Egli si
compiacque dare di Sé e ci consegnò, quasi dichiarando: pensatemi
così: Io sono il Buon Pastore. Ha voluto perciò consegnare alla
nostra anima, alla nostra memoria, al nostro raziocinio, questa sua
definizione. E con tale evidenza che la prima e più antica
iconografia cristiana, come si sa, ci presenta proprio l’immagine
agreste, semplice, paesana del pastore che porta sulle spalle una
delle sue pecorelle.
Il Buon Pastore è Gesù. Adesso si tratta di capire, giacché
non basta guardare l’immagine della persona scomparsa, non è
sufficiente una rievocazione sensibile, ma occorre comprendere,
penetrare quel ch’è rivelato da tali sembianze. Era così Gesù?
È proprio Lui che ha voluto essere in tal modo, da Buon Pastore,
ricordato e celebrato? Di ciò, infatti, si tratta, e dei caratteri
salienti che così delineano Gesù. Ebbene, il Vangelo ce ne
informa con parole assolutamente semplici; e, come sempre, con
insegnamenti profondi, abissali, che quasi danno le vertigini e
fiaccano il nostro potere di comprensione. Nondimeno, siamo invitati
dallo ste.sso Signore - e la liturgia della Chiesa ripete il
richiamo - a pensarlo così: una figura estremamente amabile, dolce,
vicina; e noi possiamo attribuire soltanto al Signore l’esprimersi
con bontà infinita.
Ecco, poi, riaffiorare nella nostra memoria altre parole che Gesù
ha detto di Sé: Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore.
La sua bontà, anche qui, si definisce con eloquio, con virtù che
prodigiosamente fanno discendere sino a ognuno di noi il Salvatore del
mondo, il Figlio di Dio fatto Uomo, Gesù, centro
dell’umanità.
Presentandosi in tale aspetto, Egli ripete l’invito del Pastore;
disegna, cioè, un rapporto che sa di tenerezza e di prodigio.
Conosce le sue pecorelle, e le chiama per nome. Poiché noi siamo
del gregge suo, è agevole la possibilità di corrispondenza, che
antecede il nostro stesso ricorso a Lui. Siamo chiamati uno ad uno.
Egli ci conosce e ci nomina, si avvicina a ciascuno di noi e desidera
farci pervenire ad una relazione affettuosa, filiale con Lui. La
bontà del Signore si palesa qui in maniera sublime, ineffabile. La
devozione che la fede, la pietà cristiana tributerà al Salvatore,
arriverà con slancio - non solo momentaneo, ma capace di sondare le
meraviglie di tanta dilézione - a penetrare nel cuore: e la Chiesa
ci presenterà il Cuore di Cristo perché abbiamo a conoscerlo,
adorarlo, invocarlo. La devozione al Sacro Cuore di Gesù ben può
attribuirsi alla sorgente evangelica oggi rievocata: «Io sono il
Buon Pastore».
IL BUON PASTORE DÀ LA VITA PER IL SUO
GREGGE
V’è, poi, un tratto che corregge una delle più comuni ed inesatte
interpretazioni della bontà. Noi siamo abituati ad associare il
concetto di bontà a quello di debolezza, di non resistenza; a
ritenerla incapace di atti forti ed eroici, di manifestazioni in cui
trionfino la maestà e la fortezza.
Nella figura di Gesù, semplice e complessa insieme, le qualità,
le doti che si direbbero opposte, trovano, invece, una sintesi
meravigliosa. Gesù è dolce e forte; semplice e grandioso; umile e
a tutti accessibile; una sommità inattingibile di fortezza d’animo,
che nessuno potrà giammai eguagliare. Nondimeno, Egli stesso ci
introduce in questa sua psicologia, nella penetrazione, diremmo, del
suo temperamento, della sua mirabile realtà.
Il Buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle, per il suo
gregge. È come dire: l’immagine della bontà si congiunge a quella
d’un eroismo che si dona, si sacrifica, s’immola, per cui tale
bontà si congiunge ad altezze e visioni dell’atto redentore, talmente
elevate da lasciarci sorpresi e attoniti.
Dobbiamo avvicinarci a Gesù, così presentato dal Vangelo, e
dobbiamo chiederci se davvero noi cristiani portiamo bene questo nome,
se cioè abbiamo un esatto concetto del nostro Divin Salvatore.
Certo: molte Vite sono state scritte di Lui; un diffuso catechismo
lo concerne e lo presenta; e tante pagine del Vangelo ci sono
familiari. Ma una sintesi, come dire?, fotografica, completa, di
Lui, la possediamo? Abbiamo un giusto concetto di quel che Egli è
stato? Orbene, la cara immagine evangelica e quasi arcadica,
offertaci dallo stesso Divino Maestro, lascia riposare, in un
incanto di amore, il nostro spirito, e lo dirige e l’aiuta nella
ricerca di Dio.
TUTTI EGLI CI CONOSCE E CI CHIAMA
Che fa Gesù per attirarci e conquiderci in modo tanto sicuro? Egli
ci conosce. Si pensi, quindi, quale prodigio ciò rappresenti.
Siamo noti, chiamati uno ad uno, per nome, da Cristo: e in una
forma completa, totale, cioè nel nostro essere, nella nostra
persona, nei doni da Lui prodigatici, nei nostri desideri, nei
nostri destini. Sono inseriti in questo Libro, che contiene le
pagine della infinita bontà. Tutti siamo iscritti nell’elenco dei
suoi: ciascuno può trovare se stesso nel Cuore di Cristo. Quale
stupenda bellezza quella di rispecchiarsi in Gesù e di indovinare come
Egli ci conosce! San Paolo lascia vedere tale stupenda realtà come
una delle cose future: «Nunc cognosco ex parte; tunc autem cognoscam
sicut et cognitus sum» (1 Cor. 13, 12). Ora conosco in
parte; allora poi conoscerò in quel modo stesso ond’io pure sono
stato conosciuto. Ma già fin d’ora qualche cosa possiamo percepire,
e così diventiamo un po’ diversi dalla ordinaria statura di uomini
orgogliosi, o indifferenti o anche talvolta cattivi. Davanti a
Gesù, che si denomina Buon Pastore, ci conosce e ci chiama per
nome, vuole avvicinarci e ci guida assicurando di condurci ai pascoli
della vera vita e agli alimenti necessari, oh come diventiamo un po’
migliori anche noi e come sentiamo, per via di amore e di elezione,
l’energia nuova, divina, sostituire la nostra umana e tanto ribelle
psicologia! In una parola, il divenire perfetti cristiani.
E ancora un’ulteriore nota che concerne e definisce il Buon
Pastore. Gesù ha sofferto, è morto per noi. Il Buon Pastore ha
dato la sua vita per salvare la nostra. Se qualcuno di noi ha avuto la
sorte d’essere stato, in qualche pericolosa circostanza, liberato da
una malattia, o d’essere risparmiato da una disgrazia per intervento e
merito di qualcuno, che ha agito con disinteresse, persino con
sacrificio, certamente avverte insopprimibile, perenne, il vincolo
della gratitudine verso il benefattore. Adunque, per il Signore
Gesù dobbiamo avere, e a titoli superlativi, l’atteggiamento,
l’obbligo di una riconoscenza senza fine. Questa attitudine di
ringraziamento illimitato dobbiamo sentirla verso Gesù. Egli ci ha
salvato offrendo la sua vita per noi, dandola coscientemente, con
inenarrabili sofferenze, mentre - lo dicono i Padri - Egli poteva
dare la sua vita in una maniera più semplice e meno tormentosa. Ha
voluto, invece, conferire al suo Sacrificio una evidenza dolorosa
fino allo spasimo; ha voluto imprimere nelle nostre anime l’immagine
sanguinante delle sue membra straziate per noi!
HA DATO LA VITA PER NOI TRA INDICIBILI
SOFFERENZE
Allora, la più bella definizione che troviamo nel Vangelo è quella
che il Precursore Giovanni diede di Lui: Ecco l’Agnello di Dio,
ecco Colui che toglie i peccati del mondo. Gesù è la vittima:
Colui che paga per gli altri ed ha pagato per noi; si è sacrificato e
immolato per noi. Ha stretto una reale parentela di obbligazione verso
di noi appunto perché ha sostituito ai nostri debiti la sua ricchezza;
ed ha soddisfatto per la nostra miseria; ha riparato la nostra rovina.
Il mistero della salvezza, che è il mistero d’una donazione divina,
al posto dei nostri moltissimi doveri e debiti, dovrebbe, nuovo motivo
di fervore, sigillare la figura di Cristo nei nostri cuori; e
suscitare in noi piena e sentita corrispondenza.
Nel Vangelo, quando si accenna ai rapporti tra il Figlio di Dio e i
suoi discepoli, c’è sempre, da parte loro, qualche cosa di
manchevole, dubbio, instabilità e insufficienza. Solo dopo la morte
di Cristo e il suo Sacrificio, essi hanno a Lui ripensato come al
Pastore che dà la vita per le sue pecorelle. Si è accesa, così,
nel loro animo, la fiamma di adesione, entusiasmo, fedeltà; di
quell’amore e dono di sé che il Signore domanda appunto a tutti i
suoi seguaci.
PIENA GENEROSA E COSTANTE SIA LA NOSTRA
RISPOSTA
Oggi è la «Giornata delle Vocazioni». Come è felicemente scelta
in coincidenza con il tratto del Vangelo ora rimeditato!
Dovremmo sentirci un po’ tutti chiamati per nome; è necessario
vedere in Gesù la guida dei nostri destini, dell’intera nostra
vita; dobbiamo tutti rincorrerlo per dirgli: grazie: anch’io farò
qualche cosa; la mia vita è tua, come la tua vita è stata ed è
mia.
Il nuovo rapporto di amore, che unisce l’umanità a Cristo è stato
definito come il connubio, lo sposalizio tra l’umanità e Cristo.
Perciò la Chiesa, cioè l’umanità che segue Cristo, è chiamata
la Sposa del Signore. Il che vuol dire una risposta: amore per
amore; e quello che noi appartenenti alla Chiesa dobbiamo essere: i
clienti della bontà di Dio, di Cristo. Indica, inoltre, la
capacità nostra di superare e vincere timidezze, ignoranze, dubbi,
per stabilire con Lui rapporti diretti d’interiore conversazione e di
segreto, indissolubile amore.
Questa, o figliuoli - conclude il Santo Padre - la meditazione per
oggi e per sempre. Non dovrà mai aver fine. Pensate alle parole del
Signore, che dice di Sé: Io sono il Buon Pastore. Con quale
infinita carità Egli le ripete a ciascuno di noi e le convalida con le
altre: guarda che il Buon Pastore ha dato per te la sua vita! E
tu? E tu? Figliuoli a voi la risposta.
PELLEGRINAGGIO DELL’ARCIDIOCESI DI
GENOVA
Dopo la celebrazione dei santi Misteri Ci sentiamo in dovere di
rivolgere un breve saluto ai Nostri visitatori, ai quali meglio si
conviene il nome di Pellegrini, perché vengono a Roma espressamente
per motivi religiosi, ed il nome di Fedeli, che non mai come in
questa circostanza li qualifica e li onora, perché essi qua sono
giunti mossi dal proposito di rinnovare la loro professione di Fede,
in quest’anno dedicato appunto alla Fede, in memoria ed in onore dei
Santi Apostoli Pietro e Paolo, corifei della Fede, dei quali
celebriamo l’anno centenario del loro martirio.
Ed ecco fra questi Pellegrini Fedeli il gruppo numeroso e cospicuo,
al quale va per primo il Nostro saluto, quello di Genova. Salve,
diremo, a Genova cattolica, che qui si attesta in forma magnifica e
altamente significativa. Si tratta d’un Pellegrinaggio di ben
3.500 partecipanti, guidati e rappresentati dal loro illustre e
veneratissimo signor Cardinale Giuseppe Siri Arcivescovo di codesta
storica, insigne, fiorente ed a Noi carissima Chiesa metropolitana
della Liguria. Al dotto e zelante Pastore, che Noi abbiamo la
sorte di conoscere da lunghi anni, porgiamo il Nostro riverente e
cordiale «benvenuto»; a lui il Nostro riconoscimento per la sua
dottrina teologica, per l’opera prestata durante non brevi e non
facili anni all’intero Episcopato Italiano, per quella che tuttora
presta come Presidente delle Settimane Sociali dei Cattolici
Italiani e di Consulente dell’Unione Cristiana dei Dirigenti e
Imprenditori Italiani, per lo zelo e la dottrina con cui attende alla
cura pastorale dell’Arcidiocesi genovese. E con lui salutiamo il suo
Clero, di cui conosciamo, in esponenti d’alto valore, la fedeltà,
l’attività, la saggezza, il fervore; e col Clero, i Religiosi e
le Religiose partecipanti a questa spedizione spirituale e quelli che
nella Città e nell’Arcidiocesi diffondono esempi di santità, di
carità, d’apostolato. Notiamo con particolare interesse le
rappresentanze della vita cattolica, alle quali vorremmo poter dare
conforto di perseverante e generosa milizia morale e spirituale, quale
i tempi richiedono. A tutti i buoni e cari Genovesi presenti e a
tutti i loro cari, ch’essi portano nel cuore, un affettuoso e
corroborante saluto, nel Signore. Né alla fine possiamo dimenticare
le Autorità e le Personalità civili della Città, che con.
esemplare senso di spirituale solidarietà hanno voluto associarsi a
questo Pellegrinaggio: per le loro Persone, per i gravi uffici loro
affidati, per l’onore e per la prosperità di Genova, Noi
esprimiamo loro i Nostri migliori voti ed invochiamo la divina
assistenza su di esse e sulla comunità civile, che esse qui, con
tanta Nostra compiacenza, degnamente rappresentano.
Questi saluti non dicono quanto la presenza qualificata di Genova
mette nel Nostro cuore. Avremmo molte molte cose da dire ai
Genovesi, anche tacendo i ricordi personali che Ci legano alla
bellissima ed attivissima Città; ma Ci limitiamo a due soli brevi
accenni, che Ci sembrerebbe deplorevole omissione tacere. Il primo
accenno è alla vostra tradizione cattolica, o Genovesi! Sarebbe
tema di meditazione assai lunga, se la volessimo passare nella rassegna
degli avvenimenti secolari e delle grandi figure, che dànno alla
storia della Città la sua impronta gloriosa e caratteristica. I nomi
di quattro Papi genovesi vengono qui spontaneamente alla memoria:
Innocenzo IV († 1254), Adriano V († 1276), entrambi
della Famiglia Fieschi, Innocenzo VIII († 1492), Cybo,
e finalmente a noi vicino e da Noi stessi conosciuto (chi non lo
ricorda?), Papa Benedetto XV († 1922), della Famiglia
Della Chiesa. Vengono i nomi dei vostri Santi, ed uno per tutti
celebrato nel duplice campo della mistica e della carità,
Caterinetta, cioè S. Caterina Fieschi Adorno; vengono quelli
delle vostre grandi istituzioni benefiche, che ancora illustrano la
città come fra quelle che hanno saputo organizzare opere ospedaliere e
di assistenza con maggiore intelligenza dei bisogni dei poveri e dei
sofferenti e con maggiore generosità. Dovremmo ricordare alcune
grandi figure di Arcivescovi e di ecclesiastici (p. Semeria, ad
esempio, genovese d’adozione) e anche di Laici (come Camillo
Corsanego), specialmente in quest’ultimo periodo della vostra storia
religiosa e sociale. E non dovremmo dimenticare che Genova, città
marinara, fu ai suoi tempi città missionaria; l’Oriente ne porta
ancora le tracce, e il lontano Occidente non può contestare la
paternità d’uomo di fede, che si chiama Cristoforo Colombo.
Questo per dire che la professione di fede, che voi oggi venite ad
esprimere nel centro della cattolicità, è un atto di coerenza storica
e spirituale che deve definire davanti alle vostre coscienze e alla
vostra comunità cittadina ciò che voi foste, ciò che siete e che
sarete: cristiani e cattolici, Genovesi per i quali l’adesione alla
santa Chiesa apostolica e romana è ragione di impegno storico e morale
e principio di quelle virtù morali e religiose, che resero grande il
vostro passato e devono rendere non meno grande, se pur tanto diverso,
il vostro avvenire.
E il presagio sull’avvenire pone un altro accenno a questione vitale
per il vostro Popolo; non è questione che vi riguardi
esclusivamente, ma maggiormente forse che molte altre Città; la
questione cioè della fusione della tradizione con i radicali mutamenti
della società moderna rispetto all’antica ed anche solo a quella che
la precede di pochi anni; mutamenti prodotti principalmente dagli
sviluppi industriali, che cambiano non solo l’aspetto esteriore del
vostro panorama, ma quelli altresì interiori della vita, del
pensiero, del costume. Ebbene cotesto Pellegrinaggio già dimostra
che, per quanto difficili possano essere le questioni di tale fusione,
essa impossibile non è. Anzi la vostra presenza romana intravede che
proprio una fede cosciente, istruita, sincera nella vitalità del
Vangelo, di cui la Chiesa è custode e maestra, lungi dall’essere
eterogenea alle esigenze della vita moderna, può esserne il fermento
propulsore ed il farmaco preventivo per le sue facili e pericolose
decadenze.
Lode perciò a Genova credente ed operante. Il nostro plauso è il
Nostro voto per l’avvenire grande e buono della Città che
l’Immacolata, Giovanni Battista e Lorenzo tengono sotto la loro
vivificante protezione.
Saluto alle altre Diocesi
Alcune altre Diocesi sono ufficialmente presenti a questo felicissimo
incontro spirituale; meriterebbero anch’esse un panegirico; Ci
dobbiamo accontentare della semplice menzione, ch’è però quella
della memoria più affettuosa e fedele. Qui è la Diocesi di
Cremona, e vi è pure quella di Lodi; due Diocesi suffraganee
dell’Arcidiocesi di Milano, e che perciò Noi avemmo occasione di
conoscere, di visitare, di ammirare, specialmente nello zelo
pastorale dei loro degnissimi e carissimi Vescovi: Mons. Bolognini
di Cremona, e Mons. Benedetti di Lodi. Ogni Nostro miglior voto
è per loro, e una speciale benedizione lo sancirà.
Abbiamo gruppi di altre Diocesi, i nomi delle quali commuovono il
Nostro spirito. Come: Trento, Chiavari, Benevento, Albano,
Padova, Vicenza. A tutte il più cordiale saluto in nostro
Signore. Ma andiamo con ordine.
Un gruppo che non possiamo lasciare senza una particolare menzione è
quello delle Donne di Azione Cattolica della Diocesi di Brescia,
la Nostra patria naturale e spirituale d’origine. Conosciamo lo
spirito che anima questo gruppo di Donne piissime e fedelissime; e ne
diremo anche la ragione: Nostra Madre appartenne a questa Unione di
Donne Cattoliche, e vi dedicò, nell’ultimo periodo della sua
vita, le cure più assidue, con molta Nostra edificazione e,
vogliamo credere, con buon profitto dell’Unione stessa, la quale
sembra darne prova anche con questo Pellegrinaggio. A queste Figlie
in Cristo carissime, ed a tutte le loro socie di fede e di cattolica
attività il Nostro plauso cordiale e la Nostra Benedizione.
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