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8 maggio 1975
Fratelli venerati e Figli carissimi,
Fedeli alla norma liturgica, noi sospendiamo per un breve momento il
sacro rito, che stiamo celebrando, e cerchiamo di fissare la nostra
attenzione sul mistero che oggi mette in festa la Chiesa: il mistero
dell'Ascensione di nostro Signor Gesù Cristo al cielo, dove Egli
siede nella gloria alla destra del Padre. Mistero dell'Ascensione!
oh! veramente mistero! mistero per ciò che si riferisce a Cristo;
mistero per il modo con cui a noi è dato ancora di pensare e di avere
presente la sua divina ed umana figura, e mistero per il riflesso che
questo estremo e supremo destino di Cristo ha su quello
dell'umanità, sulla Chiesa da lui fondata, sulla terra e su
ciascuna delle nostre esistenze.
Oh! veramente mistero, sia nel senso ontologico e teologico che
questo avvenimento ultimo e conclusivo della vita di Gesù sulla terra
ha nel disegno divino dell'Incarnazione e della Redenzione: quale
nuova rivelazione ci è data dalla sua scomparsa dalla scena sensibile e
storica di questo mondo! E sia nel senso fenomenico per cui Cristo è
sottratto alla nostra terrena conversazione, e misteriosamente scompare
dal nostro sguardo sensibile. Ricordiamo la brevissima, ma
sorprendente narrazione del fatto, quale ci è data da San Luca nel
primo capitolo degli «Atti degli Apostoli», della quale abbiamo
testé ascoltata la laconica, ma scultorea lettura: dopo l'ultimo
saluto agli Apostoli, con la profetica promessa della missione dello
Spirito Santo e della diffusione del Vangelo fra i popoli, Gesù,
«mentre essi guardavano, si levò in alto e una nuvola lo nascose ai
loro occhi» (Act. 1, 8-9).
Primo aspetto dell'avvenimento, il solo sperimentale: Gesù si
innalza, cioè si distacca dalla terra, e scompare, si nasconde: i
nostri occhi bruceranno di insonne desiderio di rivederlo, di vederlo
ancora; ma fino alla sua «parusia», cioè fino alla sua ultima e
apocalittica apparizione, in un mondo totalmente diverso da quello
nostro presente, non lo vedremo più! la generazione degli Apostoli
scomparirà, senza che la tensione della loro attesa sia soddisfatta;
così per le altre generazioni successive, così per la nostra presente
generazione, che ancora vive del suo ricordo e ancora aspetta la sua
trionfale e finale ricomparsa, Gesù rimane invisibile. Facciamo
attenzione, Fratelli e Figli! Invisibile, ma non assente!
Innanzi tutto: questo distacco escatologico, cioè ultimo e
definitivo, di Gesù dalla umana conversazione è già di per sé una
conferma della sua divinità, e un avallo del suo disegno salvifico
nella storia universale dell'umanità. Gesù, nei discorsi della
notte imminente alla sua passione e alla sua morte, dichiarò: «Io
vi rivedrò e il vostro cuore esulterà, e nessuno potrà rapirvi la
vostra gioia . . . Io sono uscito dal Padre e sono venuto nel
mondo; di nuovo lascio il mondo e vado al Padre» (Io. 16,
22. 28); «è un bene per voi ch'io me ne vada, perché se non
vado, il Paraclito (quale annuncio!) non verrà a voi» (Ibid.
7).
Noi siamo qui in un'atmosfera, che potremmo dire surreale. Ma
questa rivelazione ci introduce finalmente nel disegno supercosmico
dell'economia soprannaturale: «noi aspettiamo, scriverà
l'Apostolo Pietro, nuovi cieli e nuova terra» (2 Petr. 3,
13). Solo che noi, diciamo noi moderni specialmente, educati alla
conoscenza scientifica del mondo, e soddisfatti e fieri della
sovrabbondante ricchezza delle nostre conquiste sperimentali e
culturali, non siamo facilmente predisposti ad ammettere un ordine
diverso da quello che costituisce il quadro della nostra presente
esplorazione; e sebbene esso ci sveli, ad ogni indagine, una
ordinatrice sapienza polivalente, anzi staremmo per dire, una libera
fantasia creatrice divina in ogni suo aspetto, noi siamo forse assaliti
dal dubbio circa la possibilità, circa la futura realtà d'un ordine
soprannaturale, e facilmente mormoriamo col servo cattivo della
parabola: «tarda ormai il mio padrone a venire . . . » (Matth.
24, 28); per concludere, circa la dottrina escatologica del
Vangelo: sarà vera? non manca forse di prove razionali?
Dimenticando così, come dicevamo, che Gesù, - ora invisibile, e
tollerante che la vicenda della natura e del tempo proceda col suo
inesorabile ritmo, mentr'e il dramma della libertà umana svolge il
suo gioco, docile o temerario, - Gesù non è assente, anzi Egli
è ancora con noi; sì, con noi, per chi è attento a cogliere nel
segno, cioè nel sacramento della sua parola (Io. 8, 25) ovvero
della sua immagine riflessa nell'umanità sofferente (Matth. 25,
40), oppure nella sua Chiesa vivente e testimoniante (Cfr.
Lumen Gentium, 1; Act. 9, 4), e finalmente nella realtà
sacramentale e sacrificale eucaristica la sua multiforme presenza.
Come, del resto, Egli, all'ultimo congedo, aveva asserito:
«Ecco, Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo»
(Matth. 28, 20).
Ma come, come vederlo, come riconoscerlo, come riascoltare la sua
voce, come aprirgli il nostro cuore, se le vie naturali della nostra
conversazione sono incapaci di superare l'abisso, che il mistero
dell'Ascensione ha scavato fra Lui e noi? Lo sappiamo. Gesù si
è nascosto, affinché noi lo cercassimo; e noi sappiamo qual è
l'arte, qual è la virtù, che ci abilita a questa ricerca, anzi a
questa scienza superrazionale della misteriosa presenza di Cristo fra
noi. È la fede, che nel battesimo ci è infusa, e che ex auditu si
determina (Cfr. S. THOMAE In IV Sent. 4, 2, 2,
sol. 3), accogliendo cioè la parola di Cristo insegnata dalla
Chiesa; la fede, che nel suo esercizio, come c'insegna S.
Agostino, ha pure i suoi occhi, habet namque fides oculos suos
(Cfr. S. AUGUSTINI Ep. 120: PL 33, 456; et
En. in Ps. 146: PL 4, 1897); esercitata con amore e
per amore alla divina verità, con gli «occhi del cuore», cresce
nella sua certezza, approfondisce la sua visione, e diventa
un'esigenza d'azione (Cfr. Gal. 3, 11).
Festa perciò della fede questa nostra dell'Ascensione; una fede che
spalanca la finestra sull'oltretempo riguardo a Cristo risorto,
lasciandoci intravedere qualche cosa della sua gloria immortale: e
sull'oltretomba riguardo a noi morituri, ma destinati, alla fine dei
nostri giorni nel tempo, alla sopravvivenza nella comunione dei Santi
e alla risurrezione dell'ultimo giorno per l'eternità. La fede
allora diventa speranza (Hebr. 11, 1); una speranza vittoriosa
emana dal mistero dell'Ascensione, fonte ed esempio del nostro futuro
destino, e che può e deve sorreggere il faticoso cammino del nostro
pellegrinaggio terrestre. E la speranza, ci è assicurato, non
delude: spes autem non confundit (Rom. 5, 5). Amen!
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