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Domenica, 15 ottobre 1967
SALUTO ED AUGURIO DEL PADRE PER
L'IMPEGNO DEI LAICI ALL'APOSTOLATO
SOTTO LA GUIDA DELLA SACRA GERARCHIA IN
OGNI NAZIONE DEL MONDO
Figli carissimi!
Prima di tutto il saluto!
Voi avete già ricevuto e scambiato saluti molto belli, molto
affettuosi, e molto significativi: non potevano mancare ad un incontro
come questo. Ebbene, ricevete anche il Nostro saluto; non è
convenzionale, non è retorico, non è superfluo. Il Nostro saluto
vi dice il cuore col quale siete qui accolti, il cuore di Chi, in
Cristo, vi è Pastore, cioé legato a voi da doveri, da
sentimenti, da speranze che impegnano il sentimento, il pensiero, la
vita. Sì, il cuore di Chi, in Cristo, vi è Padre, vi è
Fratello, vi è Amico. Questo saluto, come quelli, del resto,
che già a voi sono stati rivolti, vi dice che nessuno di voi qui è
straniero. Voi siete qui a casa vostra: la casa della fede comune;
la casa della carità centrale; la casa dell’unità e
dell’universalità cristiana. Bisogna che noi tutti abbiamo coscienza
di questa fondamentale e vivente comunione, che indarno, pari a
questa, noi cercheremmo altrove. Così vi dica questo saluto la
Nostra gioia per vedervi raccolti intorno alla tomba di San Pietro,
su cui Cristo ha voluto fondare la sua Chiesa, e per ravvisare in
questo incontro un segno e una speranza dell’umanità che trova in
Cristo la sua vocazione, la sua fratellanza, la sua pace, il suo
destino. Prende forma nei Nostro spirito la visione dei Popoli, da
cui voi provenite e che voi rappresentate, e si accende nel Nostro
cuore una grande, soprannaturale affezione per ciascuna delle vostre
Nazioni: la vostra presenza accresce in Noi la coscienza della
Nostra missione, di amatori del genere umano; e accresce in Noi la
fiducia che la sua storia si arrenderà un giorno ai disegno divino che
la guida a trovare in Cristo il suo significato ed il suo termine; la
fiducia, diciamo, che questo grande disegno unitario, tuttora chiuso
nel cuore di Dio: si affretti, anche attraverso la vostra
collaborazione, l’efficacia del vostro impegno nei mondo, l’ardore
della vostra partecipazione all’apostolato, di cui le radiose giornate
romane del vostro Congresso sono per Noi la promessa e l’aurora.
Risuonano alla Nostra memoria, quasi fatidiche, le parole di S.
Agostino: «Vi è nel campo, cioè nei mondo, fino alla fine del
tempo, il crescente frumento del Signore (sunt per agrum, id est per
mundum, usque ad finem saeculi crescentia frumenta dominica [Contra
litteras Petiliani, II, 78; P.L. 43, 3131)». Voi
ci attestate questa spirituale vegetazione, voi siete per Noi un
«segno dei tempi»: siate i benvenuti, Figli carissimi, siate
benedetti!
Ma non possiamo dimenticare che partecipano a questa assemblea orante,
in comunione di preghiera e di affetto, anche tutti i Padri del
Synodus Episcoporum, i rappresentanti dell’episcopato universale,
raccolti qui a Roma nelle loro altissime assise di studio per offrirCi
la loro collaborazione nell’universale governo della Chiesa. Sono
pertanto i vostri Vescovi, che vi guardano con immensa simpatia, e vi
incoraggiano e vi salutano.
E qui l’umile Successore di Pietro rivolge il Suo deferente,
fraterno omaggio a tutti voi, venerati membri del Sinodo, al cospetto
dello splendente e policromo quadro del laicato cattolico mondiale, e
osa dirvi fraternamente: vogliate bene ai laici, ai vostri laici!
Siate la loro guida paterna, lungimirante, aperta, e date loro
fiducia piena, che non sarà delusa! È il Concilio che ve lo
chiede, è il Papa che vi esorta, certo di trovare in voi gli
stimolatori consapevoli delle generose energie del laicato.
E un saluto pieno, cordiale, ricolmo di affetto e di stima va poi.
agli Osservatori delle varie denominazioni cristiane, che onorano con
la loro pietà questa assemblea. Ci procura grande piacere notare che
siete venuti in numero tanto cospicuo; e quanto gradiremmo che anche
voi pienamente gustaste la bellezza e l’incanto di questo incontro,
secondo le parole ispirate: «Ecce quam bonum et quam iucundum
habitare fratres in unum!» (Ps. 132, 1).
Noi vi ringraziamo di cuore per questa presenza, tanto significativa,
mentre sale dal Nostro spirito l’augurio e la preghiera - che
sappiamo condivisa da voi e dai vostri fratelli, sparsi nel mondo -
che tutti possiamo un giorno celebrare insieme la comunione perfetta
nell’unità voluta da Cristo, anelito supremo del suo Cuore.
SOLENNE RICONOSCIMENTO DELLA CHIESA
PER LA DIGNITÀ E LA MISSIONE DEI LAICI:
CHIAMATI AD ESSERE NON SOLTANTO FEDELI
MA VALIDI COOPERATORI DEL REGNO DI DIO
Nel corso di questa breve conversazione, Ci sembra indispensabile
riassumere in qualche affermazione fondamentale il pensiero della
Chiesa su di voi, cari Laici cattolici. Come i navigatori nel corso
del loro itinerario attraverso l’immensità dei mari «fanno il punto»
cioè determinano la loro posizione e direzione, così Ci sembra che
il vostro terzo Congresso mondiale esiga che si mettano in evidenza le
acquisizioni dottrinali proclamate dalla Chiesa in questa più recente
fase della sua storia, specialmente nel Concilio Ecumenico Vaticano
II.
Non sono cose nuove ma sono cose vere, importanti, e per voi che qui
le ascoltate e meditate, cose feconde, ricche di una immensa
vitalità. Ecco la prima: la Chiesa ha affidato al laico, membro
della società nello stesso tempo misteriosa e visibile dei fedeli, un
solenne riconoscimento. La Chiesa ha riflettuto sulla sua natura,
sulla sua origine, sulla sua storia, sulla sua funzionalità e ha
dato, del laico che le appartiene, la definizione più degna e più
ricca; essa l’ha riconosciuto come incorporato al Cristo e come
partecipante alla funzione sacerdotale, profetica e regale del Cristo
stesso, senza tuttavia disconoscere la sua propria caratteristica, che
è di essere un secolare, un cittadino di questo mondo, di occuparsi
delle cose terrene, di esercitare una professione profana, d’avere
una famiglia, di consacrarsi in ogni campo agli studi e agli interessi
temporali.
La Chiesa ha reclamato la dignità del laico non solamente perché è
uomo, ma anche perché è cristiano. Essa l’ha dichiarato degno di
essere, nelle forme e misure convenienti, associato alle
responsabilità della vita della Chiesa. L’ha giudicato capace di
rendere testimonianza della sua fede. Al laico - uomo o donna - ha
riconosciuto la pienezza dei diritti: diritto all’eguaglianza nella
gerarchia della grazia; diritto alla libertà nel quadro della legge
morale ed ecclesiastica; diritto alla santità conforme allo stato di
ciascuno.
Si direbbe che la Chiesa ha avuto una certa compiacenza nel
manifestare questa dottrina sul laicato, tanto sono numerose a questo
riguardo le espressioni che si leggono, si ripetono, si incrociano in
molti documenti conciliari. E se si può dire che in sostanza la
Chiesa aveva sempre pensato così, bisogna riconoscere che non si era
mai espressa con tanta insistenza, con simile ampiezza.
Ebbene questo riconoscimento della «Cittadinanza» del Laico nella
Chiesa di Dio, Noi ve lo ridiciamo qui, felici di confermare la
parola conciliare; felici di vedervi il compimento di un processo
teologico, canonico e sociologico, desiderato da lungo tempo e da
molti spiriti chiaroveggenti; felici di fondare su esso le speranze
d’una Chiesa autentica, ringiovanita, resa più atta a compiere la
sua missione per la salvezza cristiana del mondo.
Ma non è ancora detto tutto, cari figli e figlie, quando si è
riconosciuto e proclamato ciò che voi siete nella Chiesa di Dio.
Bisogna riconoscere e proclamare ciò che voi potete e dovete fare,
ciò che voi, cattolici liberamente consacrati all’apostolato, vi
operate effettivamente. Ed eccoci nell’intimo dell’argomento, alla
definizione stessa del vostro ideale e dei vostri sforzi, a ciò che
tutti possono leggere nel titolo del vostro congresso: Apostolato dei
Laici.
Qui il Nostro imbarazzo è grande perché Noi non sapremmo che
ridirvi sotto un’altra forma ciò che il Concilio ha proclamato con
incomparabile autorità e in formule molto studiate, notevoli sia per
la precisione che per la ricchezza del loro contenuto.
Il principio è fissato - ed è già molto dirne l’importanza - nel
testo medesimo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa. «I Laici
- vi si legge - riuniti nel Popolo di Dio e organizzati nell’unico
Corpo di Cristo, sotto un solo Capo, sono chiamati, chiunque essi
siano, a cooperare come membri vivi al progresso della Chiesa e alla
sua santificazione permanente. . . . A tutti i laici per
conseguenza incombe il nobile incarico di lavorare affinché il disegno
divino della salvezza giunga a un sempre maggior numero di uomini di
ogni tempo e di tutta la terra» (Lumen gentium, n. 33).
La Chiesa quindi riconosce il laico, voi lo vedete, non solamente
come fedele, ma come apostolo. E aprendo davanti a lui un campo quasi
illimitato, gli rivolge con fiducia l’invito della parabola
evangelica: «Andate, anche voi, a lavorare nella mia vigna»
(Matth. 20, 4). Questo lavoro sarà multiplo e diversificato.
Il Decreto conciliare sull’Apostolato dei Laici dopo aver a sua
volta messo il fermo principio che «la vocazione cristiana è anche,
per natura, vocazione all’apostolato» consacra due interi capitoli a
specificare i «diversi campi» e le «diverse maniere» di questo
apostolato. Questi testi vi sono certo familiari; basti averli citati
per rinforzare nelle vostre anime, cari figli e figlie, la convinzione
incrollabile della realtà della chiamata che la Chiesa vi rivolge nel
mezzo del secolo ventesimo, della fiducia che mette in voi, della
vastità delle responsabilità che essa vi invita ad assumere per far
progredire il regno di Cristo in mezzo ai vostri fratelli, per essere
pienamente, come a ciò vi invita il tema del vostro Congresso, «il
Popolo di Dio nell’itinerario degli uomini».
PIENA E CONVINTA RISPONDENZA ALLA
MISSIONE DELLA CHIESA DOCENTE, CHE
SOLA HA RICEVUTO DA CRISTO IL MANDATO
DI «INSEGNARE, REGGERE E SANTIFICARE»
A questo punto viene spontanea un’obiezione. Si potrebbe infatti
chiedersi: se i compiti affidati ai laici nell’apostolato sono così
estesi, non si potrebbe ammettere che di conseguenza ci sono nella
Chiesa due Gerarchie parallele? Non sarebbero due organizzazioni
viventi l’una a fianco dell’altra, il meglio per assicurare il grande
lavoro della santificazione e salvezza del mondo?
Questo tuttavia sarebbe un dimenticare la struttura della Chiesa,
quale Cristo ha desiderato che fosse mediante la diversità dei
ministeri. Certamente il Popolo di Dio, ricolmo di grazie e doni,
in cammino verso la salvezza, presenta un magnifico spettacolo. Ma ne
segue forse che i membri del Popolo di Dio sono a se stessi gli
interpreti della Parola di Dio e i ministri della sua grazia? Che
essi possano sviluppare direttive di insegnamenti religiosi, facendo
astrazione dalla fede che la Chiesa professa con autorità? O che
essi possano temerariamente allontanarsi dalla tradizione ed emanciparsi
dal Magistero?
L’assurdità di tali supposizioni è sufficiente a dimostrare la
infondatezza di una tale obiezione. Il Decreto sopra l’Apostolato
dei Laici accuratamente richiamava che «Cristo ha conferito agli
Apostoli e ai loro successori il compito di insegnare, reggere e
santificare in suo nome e con la sua autorità» (N. 2).
Invero a nessuno farà meraviglia che la causa strumentale dei disegni
divini sia la Gerarchia, o che, nella Chiesa, l’efficacia sia
proporzionale all’adesione di ciascuno a coloro che Cristo «ha posto
come custodi a pascere la Chiesa del Signore» (cf. Act. 20,
28). Chiunque tenti di agire senza la Gerarchia o contro di essa,
nel campo del padre di famiglia, può essere paragonato al ramo che si
atrofizza perché non è più connesso col tronco che gli provvede la
linfa. Come la storia ha dimostrato, costui sarebbe soltanto come un
rigagnolo che si separi dal grande corso dell’acqua e che finisce
miserabilmente per perdersi nella sabbia.
Non vogliate pensare, cari figli e figlie, che in questo modo la
Chiesa desideri imbrigliare le vostre generose ispirazioni.
Semplicemente essa è fedele a se stessa e alla volontà del suo divin
Fondatore. Poiché, il più grande servizio che essa può fare a voi
è di definire il vostro esatto posto e compito in quell’organismo che
è destinato a portare al mondo la buona novella della salvezza.
«Nella Chiesa c’e diversità di ministero, ma unità di missione»
(Decreto sull’Apostolato dei Laici, N. 2).
CATECHISMO, AIUTI AL SACERDOTE,
ESERCIZIO MULTIFORME DELLE OPERE DI
CARITÀ; CONSACRARE A DIO IL MONDO;
COMPENETRARE DI SPIRITO CRISTIANO LE
MENTI I COSTUMI LE LEGGI
Da un laicato generoso, fedele ai suoi capi, organizzato, che cosa
attende la Chiesa? Innanzitutto un aiuto sostanziale per il buon
funzionamento delle sue istituzioni. Grazie al progresso teologico di
cui noi spesso parliamo, è divenuto più facile delimitare la parte di
responsabilità tra il clero e il laicato. Bisogna, tenendo conto
soprattutto del numero insufficiente del clero - sacerdoti e diaconi -
in tante regioni del mondo, che i laici assumano sempre più - sia nei
ranghi dell’Azione Cattolica, sia fuori di essa - i compiti che non
esigono necessariamente il carattere sacerdotale. E anche se questi
compiti sono talora molto umili, come può essere l’insegnamento del
catechismo ai fanciulli e come l’esercizio multiforme delle opere di
carità, sia materiali che spirituali, si ricordino che questi sono
fondamentali e vi si prestino di buon cuore, testimoniando così lo
spirito di servizio a cui tutti, sacerdoti e laici, sono invitati dal
Concilio.
Un altro compito ricade su di voi espresso da una parola che ha fatto
fortuna in questi ultimi anni, cioè la Consacrazione del mondo.
Il mondo è il vostro campo di azione. Voi siete immersi in esso per
vocazione. Ma il movimento naturale di questo mondo sotto l’azione di
mille fattori, che sarebbe troppo lungo esaminare, lo spinge verso
quel fenomeno che hanno molto bene analizzato - per gioirne e per
affliggersene - alcuni pensatori contemporanei, sotto i diversi nomi
di «secolarizzazione», di «laicizzazione», di «dissacrazione».
Noi lo diciamo con pena; si sono trovati scrittori cattolici i quali
si augurano, al contrario della tradizione bimillenaria della Chiesa,
l’attenuazione progressiva fino alla scomparsa del carattere sacro dei
luoghi, dei tempi, delle persone.
Il vostro apostolato, cari figli e figlie, si inscrive nel senso
inverso di queste correnti. Il Concilio ve l’ha detto e ripetuto:
«I laici consacrano a Dio il mondo», essi lavorano alla
«santificazione del mondo», al «risanamento delle istituzioni e
delle condizioni della vita nel mondo»: sono le espressioni stesse dei
documenti conciliari.
E che cosa è tutto questo se non riconsacrare il mondo facendovi
penetrare e ritornare quel soffio potente della fede in Dio e in
Cristo, che solo può condurlo alla vera felicità e salvezza? Il
compianto Cardinale Cardijn l’ha espresso tante volte ed in termini
commoventi. Noi stessi lo abbiamo detto recentemente: «I laici
devono assumere come loro compito proprio il rinnovamento dell’ordine
temporale. Tocca a loro (. . .) compenetrare di spirito cristiano
la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della loro comunità
di vita» (Populorum progressio, n. 81).
Noi ve lo ripetiamo con forza: portate al mondo di oggi le energie che
gli permetteranno di avanzare sui sentieri del progresso e della
libertà e di risolvere i suoi grandi problemi: la fame, la giustizia
internazionale, la pace.
«ABBIATE FIDUCIA: ROMA VA AVANTI E IL
PAPA LA GUIDA». NELLA UNIONE PERSONALE
CON CRISTO È LA CERTEZZA DI OGNI
VITTORIA. ESEMPI LUMINOSI: DUE GRANDI
SANTE PRECONIZZATE DEGNE DEL TITOLO DI
DOTTORE DELLA CHIESA
Concludiamo, cari figli e figlie, con alcune parole sopra la
spiritualità che deve caratterizzare la vostra attività. Voi non
siete eremiti ritirati dal mondo per meglio dedicarvi a Dio. È nel
mondo, nell’azione stessa che voi dovete santificarvi. La
spiritualità che dovrà ispirarvi avrà quindi le sue proprie
caratteristiche, e il Concilio non ha dimenticato di illustrarle in un
lungo paragrafo del Decreto sopra l’Apostolato dei Laici (n.
4). Basta dirvelo in una parola: solo la vostra unione personale e
profonda con Cristo assicurerà la fecondità del vostro apostolato,
qualunque esso sia. Cristo, voi lo incontrate nella Scrittura,
nella partecipazione attiva sia alla liturgia della Parola sia alla
liturgia Eucaristica. Voi lo incontrate nella preghiera personale e
silenziosa, insostituibile per assicurare il contatto dell’anima col
Dio vivo, fonte di ogni grazia.
Il compromesso dell’apostolato in mezzo al mondo non distrugge questi
presupposti fondamentali di ogni spiritualità, ma li suppone, anzi li
esige. Chi fu mai più «compromesso» con il mondo che la grande
Santa Teresa, festeggiata ogni anno in questo giorno 15 ottobre?
E chi più di essa seppe trovare la sua forza e la fecondità per la
sua attività nella preghiera e nella unione con Dio in ogni istante?
Noi Ci proponiamo di riconoscere a lei un giorno, come a Santa
Caterina da Siena, il titolo di Dottore della Chiesa.
Aggiungeremo ancora: che la grazia di questo Congresso, che la
grazia di questo incontro col Vicario di Cristo, che la grazia di
Roma vi accompagni e vi sostenga. Chiamato ad indirizzare la parola
al vostro secondo Congresso mondiale nel 1957, sotto il Nostro
Predecessore Pio XII, avevamo creduto potervi dire: «Abbiate
fiducia: Roma va avanti e il Papa la guida». Lasciate che oggi lo
ripetiamo con umile coscienza dei Nostri limiti, ma con l’identica
gioiosa certezza, rinforzata dalla splendida esperienza che ha vissuto
la Chiesa in questi dieci anni.
Che nella Nostra vote risuoni tutto il fervore della fede di San
Pietro, tutto l’ardore della carità di San Paolo. Con la loro
autorità impartiamo a tutti voi di gran cuore la Nostra Apostolica
Benedizione, che estendiamo alle vostre famiglie, alle vostre
Nazioni, al laicato cattolico del mondo intero.
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