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Venerdì, 25 dicembre 1964
[...] Ed ora gli auguri natalizi.
Una sola espressione li raccoglie ed enuncia tutti: carissimi, buon
Natale! Festa grande, festa bella, ed io sono venuto a celebrarla
con voi.
E qui richiamo per alcuni istanti la vostra attenzione. Che faremo
per celebrare bene il Natale? È semplice: dovremo ripresentarci quel
che è avvenuto in quella mirabile notte di Betlemme. Dovremo
ripetere, siccome nostri, i sentimenti, i gesti, gli atti che hanno
composto quella sublime scena evangelica.
L’avete presente? Certo; anzi, avete fatto il presepio nelle
vostre case: segno indubbio che conoscete bene i particolari narratici
dal Vangelo.
[...]
A chi parlarono i messaggeri celesti? A gente umile, a lavoratori.
A questi è dato udire la voce angelica: vi reco una grande e lieta
notizia. È nato il Salvatore: andate a vedere; troverete un bambino
in una mangiatoia. Ed ecco il canto eccelso: Gloria a Dio nel più
alto dei cieli!
Questa è la cosa che, per prima, deve interessare la nostra anima.
Vogliamo ripetere il Natale? Vogliamo rinnovare in noi la grazia
dell’incontro con Cristo? Ebbene occorre subito ascoltare la voce
del Cielo, la voce che ci annuncia i principi e le norme della fede.
Perciò: se desideriamo incontrare Cristo, e che la grazia e il
gaudio del Natale si rinnovellino in noi, il primo nostro dovere -
ch’è poi la prima fortuna - è quello di accogliere la parola del
Signore. In termini più semplici: bisogna istruirsi. Ecco un
ricordo concreto della visita del Papa. Ognuno di voi rammenti sempre
quanto Egli ha detto: se volete essere bravi cristiani e dare alla
vostra vita il senso e il valore che essa merita, anzitutto la fede:
credete; e, per credere, ascoltate, istruitevi. A tale importante
ufficio attende il vostro Parroco: poiché se i fedeli non si curano
di essere i discepoli di Cristo, non lo potranno né conoscere, né
seguire. Fondamentale dovere, dunque: ascoltare.
Ed eccoci al secondo insegnamento del Vangelo odierno. Dopo
l’apparizione e l’annunzio degli Angeli in una luce improvvisa, è
tornato il silenzio e l’oscurità fonda della notte. I pastori
avrebbero potuto discorrere, riflettere, indugiare nella curiosità e
meraviglia o nel riposo. Invece, dopo, aver ascoltato, si pongono
immediatamente in cammino. Muoversi, quindi, andare, cioè agire
secondo la fede. I pastori non avevano una precisa indicazione del
luogo ove erano felici di recarsi. E perciò si avviano sollecitamente
- «festinantes» - e riescono senz’altro ad arrivare. Così il
Presepio si accresce d’un nuovo elemento. Ecco Maria che tiene fra
le braccia il Bambino avvolto in poveri panni : dappresso è
Giuseppe, il padre putativo, che sta contemplando e adorando.
Adesso si aggiungono i pastori.
Questo loro andare, cioè il tradurre in pratica gli insegnamenti
della fede è il secondo punto del nostro programma. Non basta aver
letto il catechismo o aver sentito qualche predica o possedere questo e
quell’elemento sulle verità della fede. Bisogna che la religione
diventi vita; diventi la legge del nostro operare; diventi la luce dei
nostri passi; e sia la nota determinante nei nostri atti; la coerenza
della nostra vita comune. Dobbiamo comportarci secondo la fede;
applicare alla nostra condotta le nozioni apprese; tradurre in pratica
quanto abbiamo imparato. In caso contrario, saremmo colpevoli di non
aver applicato la legge di Dio pur conoscendola; e saremmo ben più
responsabili di quanti sono lontani e non hanno ancora ricevuto il
messaggio beato della venuta di Cristo.
Noi sappiamo che Nostro Signore è venuto: dobbiamo muovere i nostri
passi; cioè l’anima, la volontà, il cuore, i propositi, secondo
questa fede che abbiamo da Lui accolta. E allora: agire Fare la
volontà di Dio, sempre.
Terzo elemento e ricordo. Giunti alla Grotta santa, i pastori
vedono il Pargolo annunciato; non si stupiscono per tanta povertà, e
subito si prostrano in preghiera. Sicuramente il Signore ha infuso
nel loro cuore un fascino, una commozione, une certezza; il Vangelo
lo dice: cognoverunt de verbo. Hanno conosciuto che la parola era
vera. Erano dunque riboccanti di entusiasmo e di gioia interiore:
vale a dire hanno tradotto in sentimenti religiosi tutto quello che
avevano imparato e compiuto. Siamo all’epilogo, al coronamento della
vita cristiana.
Bisogna prima credere, quindi operare, infine pregare. È necessario
saper trovare il Signore là ove Egli si offre a noi. Se è
piccolo, nascosto, povero, non importa: se la religione nostra si
presenta velata di misteri, di elementi che soverchiano la nostra
mente, e ci invita alla Casa di Dio, ai Sacramenti, dobbiamo avere
la coerenza e la virtù di dire: Signore, io credo; e prostrarci a
pregare e adorare.
In una parola: occorre la pratica religiosa.
Riassumendo: istruirsi nella fede; praticare la nostra vita
cristiana; essere costanti nella unione con Dio. In tal modo si
risponderà adeguatamente ai richiami del Signore, nel fervente
colloquio con Lui, nel ricorso fiducioso alla sua bontà ed
onnipotenza.
E, infine, una considerazione che riguarda da vicino l’uditorio.
Chi sono stati i primi a incontrare Gesù? A chi ha riservato Egli
il primato, la preferenza della sua amicizia, del suo incontro, della
sua comunicazione? Alla gente povera, alla gente del lavoro, alla
gente umile. Non è andato a chiamare i grandi, i filosofi, i
potenti, i ricchi, benché pur essi invitati; ma i primi sono gli
uomini semplici, comuni, il popolo.
Vogliamo tradurre in linguaggio nostro questo episodio evangelico?
Diremo allora: attenti, o carissimi. Guardate che anche ora i primi
a essere chiamati siete voi. Voi avete forse l’impressione di essere
fuori della città, fuori della società, di essere un po’ in
disparte, di non avere un posto eguale agli altri, di essere obbligati
a tante cose pesanti: lavorare con fatica, preoccuparsi per la casa e
per altre necessità. Ebbene voi, proprio perché siete in queste
condizioni difficili e non avete un posto distinto nella società, e
non avete chi si curi di voi quanto meritereste e vorreste, ricordate:
siete da Cristo i più amati, i preferiti. Gesù è venuto proprio
per voi; siete i privilegiati, quelli che davvero possono avvicinarlo
di più; siete gli invitati; avete il primo posto nel Regno di Dio.
Dovete essere, di conseguenza, coloro che Lo amano di più, Gli
sono più fedeli, e maggiormente godono di Lui.
Per voi è venuto il Signore; e quando Egli volle lanciare il suo
programma al mondo e spiegare che cosa era accaduto nell’umanità,
nella storia, e quale trasformazione profonda stava per compiersi, che
ha detto Gesù nell’atto più grande del suo Magistero? Beati voi,
poveri, perché vostro è il Regno dei Cieli.
Venendo fra voi, io ripeto ed echeggio le parole di Cristo, nostro
Maestro e nostro Salvatore, e vi dico, carissimi: Beati voi, se
saprete conoscere Cristo!
Voi, questa mattina, fate festa al Papa; e vi commovete tutti e lo
circondate della vostra cordialità e con questa vostra accoglienza.
Io vi dico che, di fronte al Signore, sono ben poca cosa, ma sono
l’umile suo Rappresentante e Vicario. E vi dichiaro: potete avere
una fortuna anche più grande di quella di ricevere il Papa; avete la
sorte di incontrare e ricevere Cristo, se volete.
E certamente lo vorrete. E farete perciò, a conclusione e conferma
di questa giornata singolare, una promessa.
La raccolgo: sarete bravi cristiani, fedeli, che vorrete bene a
Cristo, ed imprimerete nella vostra esistenza questo sigillo, questo
stile della vita cristiana.
Se tale vostra promessa sale adesso dai vostri cuori e circonda
l’altare, io credo che il Divino Maestro sarà molto contento di
voi; ed io sono felice di ricevere, da questo lembo della città di
Roma, una espressione così viva e cordiale per me, così bella ed
importante: e sono lieto di offrirla a Gesù, sicuro che Egli
l’accetta, la premia.
Con l’augurio e con la benedizione del «Buon Natale».
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