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Solennità del «Corpus Domini»
Giovedì, 28 maggio, 1970
Fratelli e Figli carissimi!
Il primo nostro riverente e rispettoso saluto va al Cardinale Angelo
Dell’Acqua, Nostro Vicario Generale per questa Nostra amatissima
Diocesi di Roma, e intendiamo salutare e benedire, con intima unione
di fede e di carità, tutta la Nostra Diocesi di Roma, qui
presente, o qui rappresentata.
PATERNI SALUTI
Poi salutiamo cordialmente il vostro Parroco Don Carlo Bressan,
degno figlio di Don Bosco, che con i suoi bravi Confratelli presta
il suo ministero pastorale a questa nuova Parrocchia, insignita del
bel titolo di Santa Maria della Speranza; così all’intera
Parrocchia, che sta diventando, con i suoi oratori salesiani,
maschile e due femminili, una comunità numerosa, viva ed organica: a
tutti ed a ciascun membro di essa, alle famiglie cristiane
specialmente, il Nostro affettuoso e benedicente saluto. Lo
estendiamo alle Parrocchie vicine, a tutto il quartiere e a tutti
quanti sono venuti a questa celebrazione per onorare nostro Signore
Gesù Cristo nel sacramento eucaristico: grazie a voi tutti della
vostra presenza, che non sarà senza copiose benedizioni del Signore.
Ancora altri saluti speciali: alla Gioventù, che sappiamo qui
assistita ed animata dallo spirito di San Giovanni Bosco; Giovani!
Un grande saluto a voi: vi portiamo nel cuore e oggi nella Nostra
preghiera di questa Messa speciale; abbiamo fiducia nella vostra fede
a Cristo, nella vostra fedeltà alla Chiesa, nel vostro senso di
carità sociale per il bene di tutta questa nascente e fiorente
comunità parrocchiale. Poi il pensiero va a tutti quelli che hanno
bisogno di conforto e di aiuto: ai sofferenti, ai poveri, ai
forestieri, ai bambini, agli infelici; per tutti invochiamo dalla
Madonna della Speranza, da Cristo amico di tutti i tribolati la
consolazione del cuore e l’assistenza della carità dei fratelli, che
qui, Noi speriamo, non lascerà loro mancare.
Un grande saluto rivolgiamo all’Ateneo Salesiano qui vicino, che
alle sue benemerenze aggiunge quella di ospitare la Parrocchia, in
attesa che anch’essa abbia la sua chiesa. E a tutte le istituzioni,
che fanno capo a questo nuovo e già famoso Ateneo, e specialmente al
suo degno Rettore Don Luigi Colonghi e a tutto l’insigne corpo
universitario, Professori e Studenti, un vivo augurio di prosperità
e di particolare assistenza della divina Sapienza.
Infine salutiamo con devota cordialità il Cardinale Carlo Wojtyla,
Arcivescovo di Cracovia, e con lui i Venerati Fratelli Vescovi
Polacchi, che lo accompagnano, e che guidano insieme a lui il
numeroso e carissimo gruppo di Sacerdoti Polacchi, pellegrini a
Roma, e oggi qui presenti. La loro presenza ci ricorda
l’anniversario, che essi celebrano, della loro ordinazione
sacerdotale; ci ricorda la grande sofferenza, che non pochi di essi,
prigionieri e deportati durante la guerra, hanno sopportato con invitta
fortezza e cristiana pazienza; ci ricorda la loro patria, la cattolica
Polonia, Nazione a Noi carissima, per la cui prosperità civile e
religiosa, Noi oggi sinceramente pregheremo, sinceramente grati
d’avere con Noi oggi una così cospicua rappresentanza di
quell’eroico e cristiano Paese.
Per celebrare bene la festa, che qui ci riunisce, la festa del
«Corpus Domini», la festa del sacramento eucaristico, occorre un
momento di riflessione, come noi ora stiamo facendo.
COMUNITÀ VIVA
Un momento di riflessione. Cominciamo così: chi siamo noi? Noi
siamo Chiesa; una porzione della Chiesa cattolica, una comunità di
credenti uniti nella stessa fede, nella stessa speranza, nella stessa
carità, una comunità viva in virtù di un’animazione, che ci viene
dal Signore, da Cristo stesso e che il suo Spirito alimenta; siamo
così parte del suo Corpo mistico.
Ora la Chiesa possiede dentro di sé un segreto, un tesoro nascosto,
un mistero. Come un cuore interiore. Possiede Gesù Cristo
stesso, suo fondatore, suo maestro, suo redentore. State attenti:
lo possiede presente. Presente? Sì. Con l’eredità della sua
Parola? Sì, ma anche con un’altra presenza. Quella dei suoi
ministri? dei suoi apostoli, dei suoi rappresentanti? dei suoi
sacerdoti? cioè della sua tradizione ministeriale? Sì; ma vi è di
più. Il Signore ha dato ai suoi sacerdoti, a questi suoi ministri
qualificati un potere straordinario e meraviglioso: quello di renderlo
realmente, personalmente presente. Vivo ? Sì. Proprio Lui?
Sì, proprio Lui. Ma dov’è, se non si vede? Ecco il segreto,
ecco il mistero: la presenza di Cristo è vera e reale, ma
sacramentale. Cioè nascosta, ma nello stesso tempo identificabile.
Si tratta d’una presenza rivestita di segni speciali, che non
lasciano vedere la sua divina ed umana figura, ma solo ci assicurano
che Egli, Gesù del Vangelo ed ora Gesù vivente nella gloria del
cielo, è qui, è nell’Eucaristia.
Dunque, si tratta d’un miracolo? Sì, d’un miracolo, che Egli,
Gesù Cristo, diede il potere di compiere, di ripetere, di
moltiplicare, di perpetuare ai suoi Apostoli, facendoli Sacerdoti,
e dando a loro questo potere di rendere presente tutto il suo Essere,
divino ed umano, in questo Sacramento, che chiamiamo Eucaristia, e
che sotto le apparenze di pane e di vino contiene il Corpo, il
Sangue, l’anima e la divinità di Gesù Cristo. È un mistero, ma
è la verità. Ed è questa verità miracolosa, posseduta dalla
Chiesa Cattolica, e custodita con gelosa e silenziosa coscienza, che
noi oggi celebriamo, e vogliamo, in un certo senso, pubblicare,
manifestare, fare vedere, fare comprendere, esaltare. La Chiesa,
Corpo mistico di Cristo, oggi celebra il Corpo reale di Cristo,
presente e nascosto nel Sacramento dell’Eucaristia.
VERITÀ MIRACOLOSA
Ma è difficile capire? Sì, è difficile; perché si tratta d’un
fatto reale e singolarissimo, compiuto dalla potenza divina, e che
sorpassa la nostra normale e naturale capacità di comprendere.
Bisogna credervi, sulla parola di Cristo; è il «mistero della
fede» per eccellenza.
Ma stiamo attenti. Il Signore ci si presenta, in questo
Sacramento, non come Egli è, ma come Egli vuole che noi lo
consideriamo; come Egli vuole che noi lo avviciniamo. Egli ci si
presenta sotto l’aspetto di segni, di segni speciali, di segni
espressivi, scelti da Lui, come se dicesse: guardatemi così,
conoscetemi così; i segni del pane e del vino vi dicano ciò che Io
voglio essere per voi. Egli ci parla per via di questi segni, e ci
dice: così io ora sono tra voi.
PRESENZA REALE
Perciò, se noi non possiamo godere della presenza sensibile, noi
possiamo e dobbiamo godere della sua reale presenza, ma sotto il suo
aspetto intenzionale. Qual è l’intenzione di Gesù, che si dà a
noi nell’Eucaristia? Oh! questa intenzione, se bene riflettiamo,
ci è apertissima, e ci dice molte, molte cose di Gesù; ci dice
soprattutto il suo amore. Ci dice che Egli, Gesù, mentre
nell’Eucaristia si nasconde, nell’Eucaristia si rivela; si rivela
in amore.
Il «mistero di fede» si apre in «mistero di amore». Pensate:
ecco la veste sacramentale, che al tempo stesso nasconde e presenta
Gesù; pane e vino, dato per noi.
Gesù si dà, si dona. Ora questo è il centro, il punto focale di
tutto il Vangelo, dell’Incarnazione, della Redenzione: Nobis
natus, nobis datus: nato per noi, dato per noi.
Per ciascuno di noi? Sì, per ciascuno di noi. Gesù ha
moltiplicato la sua presenza reale ma sacramentale, nel tempo e nel
numero, per potere offrire a ciascuno di noi, diciamo proprio a
ciascuno di noi, la fortuna, la gioia di avvicinarlo, di poter dire:
è per me, è mio. «Mi amò, dice S. Paolo, e diede Se stesso
- per me!» (Gal. 2. 20).
E per tutti, anche? Sì, per tutti. Altro aspetto dell’amore di
Gesù, espresso nell’Eucaristia. Conoscete le parole, con le
quali Gesù istituì questo Sacramento, e che il Sacerdote ripete
alla Messa, nella consacrazione: «. . . mangiatene tutti; . .
. bevetene tutti». Tanto che questo stesso Sacramento è istituito
durante una cena, modo e momento, familiare e ordinario, di
incontro, di unione. L’Eucaristia è il sacramento che raffigura e
produce l’unità dei cristiani; è questo un aspetto caratteristico
della Eucaristia, molto caro alla Chiesa, ed oggi molto
considerato. Dice, ad esempio, il Concilio recente, con parole
estremamente dense di significato: Cristo «istituì nella sua Chiesa
il mirabile sacramento della Eucaristia, dal quale l’unità della
Chiesa è significata ed attuata» (Unitatis redintegratio, 2).
L’aveva già detto S. Paolo, primo storico e primo teologo
dell’Eucaristia: «Noi formiamo un solo corpo, noi tutti che
partecipiamo dello stesso pane» (1 Cor. 10, 17). Bisogna
proprio esclamare, con S. Agostino: «O Sacramento di bontà! o
segno di unità! o vincolo di carità!» (S. AUG., In Io.
Tr., 26; PL 15, 1613). Ecco: dalla reale presenza,
così simbolicamente espressa nell’Eucaristia un’infinita
irradiazione si effonde, un’irradiazione d’amore. D’amore
permanente. D’amore universale. Né tempo, né spazio gli
impongono limiti.
Ancora una domanda: ma perché questo simbolismo espresso mediante le
specie degli alimenti: pane e vino? Anche qui l’intenzione è
chiara: l’alimento entra in colui che se ne nutre, viene in comunione
con lui. Gesù vuol venire in comunione con il fedele che assume
l’Eucaristia, tanto che noi siamo soliti a dire che assumendo questo
sacramento facciamo la «comunione». Gesù vuol essere non solo
vicino, ma in comunione con noi: poteva amarci di più? E questo
perché? perché vuol essere, come l’alimento per il corpo,
principio di vita, di vita nuova; Lui lo ha detto: «Chi mangia,
vivrà; vivrà di me; vivrà per l’eternità» (Cfr. Io. 6.
48-58). Dove arriva l’amore di Cristo!
SACRIFICIO E SALVEZZA
E vi sarebbe un altro aspetto da considerare: perché due alimenti,
pane e vino? Per dare all’Eucaristia il significato e la realtà di
carne e di sangue, cioè di sacrificio, di figura e di rinnovazione
della morte di Gesù sulla croce. Parola ancora dell’Apostolo:
«Tutte le volte che voi mangerete di questo pane e berrete di questo
calice, voi rinnoverete l’annuncio della morte del Signore, fino a
che Egli non venga» (1 Cor. 11, 26).
Estremo amore di Gesù! Il suo sacrificio per la nostra redenzione
si rappresenta nell’Eucaristia, affinché a noi ne sia esteso il
frutto di salvezza.
Amore di Cristo per noi; ecco l’Eucaristia. Amore che si dona,
amore che rimane, amore che si comunica, amore che si moltiplica,
amore che si sacrifica, amore che ci unisce, amore che ci salva.
Ascoltiamo, Fratelli e Figli carissimi, questa grande lezione. Il
Sacramento non è soltanto questo denso mistero di divine verità, di
cui ci parla il nostro catechismo; è un insegnamento, è un esempio,
è un testamento, è un comandamento.
Proprio nella notte fatale dell’ultima cena Gesù tradusse in parole
indimenticabili questa lezione di amore: «Amatevi gli uni gli altri
come Io vi ho amato» (Io. 13, 34). Quel «come» è
tremendo! Dobbiamo amare come Lui ci ha amati! né la forma, né la
misura, né la forza dell’amore di Cristo, espresso
nell’Eucaristia, saranno a noi possibili! ma non per questo il suo
comandamento, che emana dall’Eucaristia, è per noi meno
impegnativo: se siamo cristiani, dobbiamo amare: «Da questo
conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore
scambievole» (ibid. 35).
Noi celebriamo il «Corpus Domini». Pensiamo: noi celebriamo la
festa dell’Amore. Dell’Amore di Cristo per noi, che spiega tutto
il Vangelo. Essa deve diventare festa dell’Amore nostro per Cristo
e da Cristo a Dio, ch’è tutto ciò che dobbiamo fare di più
indispensabile e di più importante in questa nostra vita, destinata
appunto all’amore di Dio. Festa poi dell’amore nostro fra di noi,
dell’amore nostro per i fratelli - e sono tutti gli uomini, dai più
vicini ai più lontani; ai più piccoli, ai più poveri, ai più
bisognosi, fino a quelli che ci fossero antipatici o nemici. Questa
è la fonte della nostra sociologia, questa è la Chiesa, la società
dell’amore. E perciò di tutte le virtù religiose ed umane che
l’amore di Cristo comporta, del dono di sé per gli altri, della
bontà, della giustizia, della pace, specialmente.
Forse, tanto si parla d’amore - ahimé! di quale amore? -, che
noi crediamo di conoscere il significato e la forza di questa parola.
Ma solo Gesù, solo l’Eucaristia, ce ne può insegnare il senso
totale, vero e profondo. E perciò eccoci a celebrare, umili,
raccolti, esultanti, la festa del «Corpus Domini».
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