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Notte Santa di mercoledì, 25 dicembre 1974
La nostra parola, che ora osa interpretare la voce del Natale ed il
linguaggio simbolico di questo rito giubilare, è semplice ed unica:
Venite! Sì, Fratelli, venite!
Ma è parola polivalente ! Vogliate ascoltarne la risonanza nel fondo
dei vostri animi; vogliate procurare di comprenderla. Innanzi tutto
perché essa vuol essere parola universale. A tutti, noi lanciamo
come un grido di richiamo, questo invito del cuore: Venite! La
parola risuona in questa basilica; ma essa è rivolta a tutti i
Fedeli, a tutta la Chiesa qua convergente dai quattro punti cardinali
della terra; venite! come «un Cuor solo ed un’anima sola» (Act.
4, 32) a celebrare insieme il Natale di Cristo ed a compiere
insieme il Giubileo del rinnovamento e della riconciliazione, nel
prodigio e nel gaudio di quella unità di fede e di amore, che il
Signore ci lasciò suo comandamento e suo retaggio: venite!
E poi la medesima parola, piena di rispetto e di speranza, si effonde
dovunque il nome di Cristo definisce una fratellanza e ne reclama una
felice pienezza: venite! noi conserviamo sempre disponibile, intorno
all’unico nostro e vostro Signore e Maestro, il posto d’onore e di
amore, che a voi è dovuto in questo Natale di novità e di
riconciliazione: venite! È l’invito ecumenico! L’invito subito si
allarga nei grandi cerchi dell’umanità non cristiana, con lo stesso
suono, ma con accento diverso, anche se non meno riguardoso e
cordiale: anche voi, uomini amici, siete invitati, anche voi attesi
all’incontro della nostra fraternità. Trema la nostra voce, di
commozione, non d’incertezza, affermando che il richiamo è anche,
e, in un certo senso, specialmente per voi, che siete solidali con
noi, in Abramo, della nostra fede e tuttora figli della sua
promessa, in noi già operante.
E ancora non tace la nostra chiamata. Essa vuole diffondersi verso i
lontani, verso gli spiriti vagabondi, solitari, sfiduciati, verso i
cuori chiusi, e perfino verso coloro che si sono resi refrattari alla
religione e alla fede: venite! Sarà forse la nostra una parola al
vento? In ogni caso, non sarà priva d’una sua segreta virtù, che
non deriva dalla nostra debole voce, ma dal fatto inconfutabile al
quale essa rende testimonianza: Cristo vi attende! Egli aspetta
anche voi e voi forse con amorosa impazienza: venite! Voi ci
domandate, Fratelli tutti e Uomini ai quali perviene questo nostro
invito, tanto incalzante e tanto fiducioso: don e esso deriva? quali
motivi lo mettono sulle nostre labbra?
Non chiedeteci in questo momento un’adeguata risposta: soltanto
quella che deriva da voi stessi noi vi daremo; ed è questa: venite,
perché questa è già la via dei vostri passi. Venite, perché ne
avete inconscio desiderio e assoluto bisogno. Venite, perché il
cammino dell’uomo è segnato verso la direzione, alla quale noi vi
chiamiamo; diciamo la grande parola: la meta della vita umana è
Dio! venite: e noi vi faremo incontrare o riscoprire quel Dio
vivente, che non avete mai cessato di cercare. Lo andate cercando
quando la traccia della vostra vita è semplice e primitiva, perché
quasi per attrazione naturale noi siamo tutti orientati verso il polo
originario e terminale della nostra esistenza; è la sintesi di
Sant’Agostino, che scolpisce nelle note parole questo nostro
destino: «Tu, o Dio, ci hai fatti per Te, e il nostro cuore non
avrà pace finché in Te non riposi» (Conf. 1, 1). E anche
oggi che la vita nostra non è più semplice, ma complicata nello
sviluppo del suo pensiero e del suo progresso, la verità è sempre
quella, anzi più quella che mai: perché dove sfocia il pensiero e
dove il progresso nelle sue estreme conclusioni, quando non voglia
perdersi nella notte del nulla, se non in un supremo anelito, in un
inno estatico, verso l’Essere assoluto e necessario, ch’è il Dio
della luce e della vita?
E ancora noi vi ripetiamo: venite! perché siamo peccatori,
diciamolo con umile, ma salutare franchezza; il che vuol dire che se
il prodigio del Natale non fosse realmente avvenuto non potremmo
nemmeno camminare con speranza: la nostra sorte sarebbe disperata.
Non noi abbiamo capacità di raggiungere Dio, ma Dio ha avuto
l’infinita bontà di venirci incontro, anzi di giungere Lui, dagli
insondabili spazi del suo regno, che è mistero, fino a noi.
Lui è venuto incontro a noi fino a farsi uno di noi, fino a farsi
uomo; e così «è comparso sulla terra, e si è messo a conversazione
con gli uomini» (Bar. 3, 38). Questo è il Vangelo, questo
è il Natale.
Il Natale! il punto di contatto vitale del Verbo di Dio, Dio lui
stesso col Padre e con lo Spirito Santo, con noi, gente di questo
piccolo pianeta, ch’è la terra; Emmanuele è il suo nome, che
appunto vuol dire: Dio con noi (Matth. 1, 23; Is. 7, 14).
Ma allora, sembra di dover dire, non altro occorre; non dobbiamo noi
andare da Lui, se Lui è venuto da noi. La soluzione ultima dei
nostri problemi non sarebbe già raggiunta? la salvezza già
assicurata?
Ascoltate un’ultima volta il nostro invito, Fratelli e Uomini di
buona volontà, invito che ancora ripetiamo per i passi che ci restano
da compiere, affinché l’incontro si realizzi e si consumi
nell’abbraccio, anzi nella comunione col Cristo, il Dio-uomo,
nostro salvatore, nostro rigeneratore nell’ordine di vita
soprannaturale, che ci è destinata.
Venite! Sono due i passi nostri, insignificanti rispetto alle
distanze che Gesù, il Messia divino, ha colmato per avvicinarsi a
noi, ma per noi estremamente importanti, e non privi di nostre
drammatiche difficoltà.
Il primo passo, il grande passo, che umilia il nostro abusivo
orgoglio di presunta autosufficienza, ma amplifica il nostro spirito
alle proporzioni immense ed esaltanti della Parola rivelatrice di
Dio, è la fede. Su le soglie del presepio, del Vangelo, della
salvezza sta la fede. Occorre da parte nostra la fede; dobbiamo
credere al regno di Dio, che ci è aperto davanti, e dire con
l’anonimo personaggio evangelico : «Credo, o Signore; ma Tu
aiuta la mia incredulità» (Marc. 9, 24).
Poi il secondo passo, che la celebrazione del Giubileo, con la sua
semplice ma profonda disciplina spirituale, e con l’apertura simbolica
delle sue porte di misericordia e di perdono, vuole significare, il
passo della metamorfosi interiore, il passo coraggioso della verità
morale, il passo evangelico del figlio prodigo, che ritorna alla casa
paterna, il passo che il Padre attende e interiormente ispira e rende
gioioso; ecco, è il passo della conversione del cuore: «Io
sorgerò e andrò».
Ciascuno di noi lo può fare questo passo; lo deve. È in fondo,
così facile. È così felice. È così dolce. È il passo che noi
stiamo facendo. Il passo di Natale per l’Anno Santo, che abbiamo
insieme questa notte inaugurato.
La Chiesa è con noi! così lo sia il mondo! Con questi voti nel
cuore riprendiamo ora la nostra preghiera.
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