|
Domenica, 21 giugno 1964
Dobbiamo oggi, fra tutti, salutare il grande Pellegrinaggio della
Arcidiocesi di Milano, della Nostra sempre carissima, sempre
ricordata Chiesa Ambrosiana.
Siamo lieti e commossi di vederla qui presente, in questo anniversario
della Nostra elezione alla Cattedra di S. Pietro, in grande
forma: ecco S. E. Mons. Giovanni Colombo, già Rettore dei
Seminari milanesi e perciò Nostro grande collaboratore e sostegno nel
governo pastorale dell’Arcidiocesi, e Nostro degnissimo successore
in quella sede gloriosa e benedetta; eccolo alla testa del
Pellegrinaggio, venuto a salutarCi con intenzione e solennità
ufficiale; ecco S. E. Mons. Giuseppe Schiavini, Vicario
Generale e Vescovo Ausiliare, allora e tuttora; ecco Mons. Guido
Augustoni, Presidente del Collegio dei Parroci Urbani con una
bella corona di Prevosti e di Parroci e di Sacerdoti; ecco la
rappresentanza del Capitolo metropolitano e della veneranda Curia e
della Fabbrica del Duomo; ed ecco le Autorità civili, che con
tanta deferenza hanno voluto associarsi al Pellegrinaggio per recarci
il saluto della Città, rappresentata da S. E. l’on. Avv.
Luigi Meda, Vice-Sindaco di Milano, accompagnato da cinque
Assessori, da Noi, per il nome che egli porta e per la carica che
esercita, tanto apprezzato; e per recarci il saluto della Provincia
di Milano, qui presente nella illustre e cara persona del Presidente
del Consiglio provinciale Avv. Adrio Casati, con tre Assessori,
dalla quale persona tante prove avemmo di rispettosa e affettuosa
adesione e alla quale dobbiamo particolare riconoscente ricordo;
partecipa altresì a quest’udienza il Dott. Ossola, Sindaco di
Varese col Sig. Vice-Sindaco; così un Assessore di quella
Amministrazione provinciale; così cospicue rappresentanze dei
Seminari diocesani e di quello Lombardo a Roma, dell’Università
Cattolica, della valorosa Azione Cattolica, del giornale cattolico
«L’Italia», della Caritas Ambrosiana; poi quella cospicua
dell’Ospedale Maggiore; e Prevosti e Parroci, e Gruppi
Parrocchiali in grande numero.
Cari Milanesi! Tutti cordialmente vi salutiamo e vi ringraziamo di
questa visita, tanto religiosa nel suo significato, tanto fedele nei
suoi sentimenti, tanto consolante in quanto Ci lascia scorgere del
vostro fervore e dei vostri propositi. Voi Ci portate, per rendere
ancor più espressivi i vostri sentimenti, una prima pietra da benedire
d’una chiesa nuova, che, dedicata ai Santi Giovanni e Paolo, vuol
associare al culto di questi Santi la memoria di Papa Giovanni,
Nostro compianto e venerato Predecessore e del Papa, che ora vi
parla, e che fu per otto anni e mezzo vostro Pastore. Quale prova di
bontà e di generosità!, quale nuovo titolo alla Nostra affezione e
alla Nostra gratitudine!, e quale stimolo per Noi a ricordarvi
tutti, a conservarvi nel Nostro cuore e nella Nostra preghiera!
La vostra presenza, così documentata, ravviva in Noi una domanda,
che spesso sorge nel Nostro spirito, e che non Ci stanchiamo di
soddisfare con lunghe interiori risposte. La domanda è questa: quali
vincoli Ci uniscono ancora a Milano?
Voi comprendete come la domanda stessa dica la Nostra non sopita
sensibilità d’un distacco, che Ci colse all’improvviso e che
produsse uno strappo fra i più forti che l’esperienza della Nostra
vita, piuttosto varia e discontinua, Ci abbia riservati. Quando
infatti il 16 giugno dello scorso anno partimmo dall’aeroporto di
Milano non Ci parve affatto saluto di commiato, quello che la
cortesia di non poche persone ed autorità presenti Ci suggeriva, ma
piuttosto di più vivo desiderio di prossimo incontro. Dobbiamo
assicurarvi, cari Milanesi, che Noi avevamo fra voi posto le radici
di ogni Nostro affetto. Il proposito enunciato al Nostro ingresso
nella Arcidiocesi Ambrosiana, solennemente ripetuto all’inizio della
Nostra Visita pastorale, e in ogni occasione poi manifestato e
confermato, era quello di consacrare a Milano tutti i giorni, tutte
le forze, tutti gli interessi e gli affetti della vita che ancora la
Provvidenza Ci avesse concesso di chiamare nostri. Come S.
Paolo, Ci sembrava di poter dire: «Voi siete nel Nostro cuore per
la vita e per la morte» (2 Cor. 7, 3). Perciò la Nostra
elezione al Pontificato romano è stata per Noi un distacco molto
sentito; e se tante ragioni Ci obbligano a considerare consiglio della
divina Provvidenza questa Nostra destinazione al tremendo e sublime
ufficio apostolico, e perciò a goderne, sia pure nella confusione e
nella oppressione della loro formidabile responsabilità, le misteriose
e misericordiose divine intenzioni, ciò non ostante non possiamo non
sentirci mancare quanto oramai occupava tutto il Nostro cuore: voi,
figli carissimi; voi, venerati fratelli della dilettissima terra
ambrosiana!
Ma la domanda, che insiste nel darci coscienza dei legami spirituali,
che tuttora Ci tengono a voi uniti, si consola con molte buone
risposte, di cui la prima stiamo già esponendo, anzi celebrando; ed
è la memoria. Sì, carissimi figli, la memoria Nostra per voi è
non meno costante e cordiale della vostra per Noi. Vogliamo Noi
profittare di questa occasione per annodare in reciproca promessa di
scambievole memoria gli animi nostri? Anche a questo proposito S.
Paolo, per quanto Ci riguarda, Ci soccorre con la sua parola:
«Noi rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, facendone menzione
nelle Nostre preghiere, e non cessando mai di ricordare nel cospetto
di Dio e Padre Nostro l’operosa e la costante speranza che voi avete
in Gesù Cristo Nostro Signore» (1 Tess. 1, 2). Così
sarà da parte Nostra, e così sia dalla vostra.
La memoria non è tuttavia il solo vincolo che a voi tuttora Ci tiene
legati, anche perché essa, vi dicevamo, si esprime in riconoscenza.
Noi Ci sentiamo a voi obbligati da grande riconoscenza, per la bontà
con cui ci avete accolto, aiutato, sopportato, incoraggiato. Non è
che il Nostro soggiorno fra voi sia stato esente da grandissima pena;
la fatica pastorale è di natura sua pazienza, sofferenza,
sacrificio; per le Nostre deboli spalle il peso della cura pastorale
d’una Diocesi come quella Ambrosiana, per le sue dimensioni, per i
suoi problemi sembrava a Noi essere ben grave e sensibile. Ma una
volta di più quel peso, che Ci veniva da Cristo, fu, al tempo
stesso, soave e leggero, e in gran parte per merito vostro. Ve ne
ringraziamo di cuore e sempre ringrazieremo coloro che hanno aiutato
l’umile Arcivescovo a portare l’immane sua croce. E perciò abbiamo
ricavato da tale esercizio della cura pastorale non solo l’esperienza
del cuore milanese e della virtù del Clero e del popolo ambrosiano.
ma altresì quella diretta dei problemi religiosi, morali e sociali
della vita moderna. Grande esperienza, grande scuola, grande fortuna
è stata per Noi la permanenza fra voi; e a questo proposito una sola
conclusione Noi qui vi confideremo: essere cioè codesta Chiesa,
dove non invano hanno seminato insegnamenti ed esempi i due Santi
Vescovi, giganti di sapienza e di santità, Ambrogio e Carlo,
particolarmente benedetta e privilegiata, erede d’una tradizione
spirituale d’incomparabile valore, tuttora padrona d’un magnifico
patrimonio religioso e morale; e questo diciamo non tanto perché di
ciò siate fieri e ambiziosi (che del resto è pur dovere esserlo,
quando di tanti benefici si riconosce nella bontà di Dio la sorgente e
nella sua gloria lo scopo), ma per un duplice altro motivo: che vi
sentiate cioè, dapprima, responsabili di così copiosa dovizia di
talenti, e li sappiate con zelo conservare e trafficare; e che poi
possiate in ciò scorgere una vocazione all’esempio e alla carità
verso la regione lombarda, verso la Nazione italiana, verso la
Chiesa intera.
Ed ecco allora venire in evidenza altri vincoli che Ci uniscono
tuttora, e più che mai, all’Arcidiocesi di Milano; e sono quelli
della sua appartenenza alla Chiesa cattolica, che ha a Roma il centro
della sua unità. Se prima eravamo per voi Pastore e Maestro per
l’ufficio dell’Episcopato, ora lo siamo ancora, a diverso livello e
con diverso esercizio, per l’ufficio del sommo Pontificato, il quale
Ci obbliga ad amarvi, a servirvi con cuore e con impegno non minore di
prima. Qui sarebbe da ricordare la lunga storia dei rapporti
ecclesiastici fra Milano e Roma, rapporti che voi, Noi lo
sappiamo, conoscete benissimo, e con mirabile fedeltà, a vostro
vanto, a Nostra consolazione, voi alimentate ancor oggi; questo
incontro ne è prova. La parola di Sant’Ambrogio è diventata legge
per voi, la quale mentre consente e promuove l’espressione
caratteristica della vostra tradizione rituale, culturale e religiosa,
unisce la Chiesa ambrosiana a quella di S. Pietro in una magnifica
comunione spirituale e disciplinare: «In omnibus cupio sequi
Ecclesiam Romanam, . . . cuius typum in omnibus sequimur et
formam»; in ogni cosa io desidero, diceva quel Santo vostro
Vescovo, seguire la Chiesa Romana,... noi ne seguiamo sempre il
modello e la forma (De Sacram. III, 5). Ed ecco che allora
il legame non è unilaterale, a filo semplice, tra il Nostro
ministero e la vostra Chiesa, ma è bilaterale, a filo doppio, tra
la vostra, Ambrosiana altresì, e questa Chiesa Romana.
E poiché così è, tale legame non è soltanto storico e giuridico,
ma vitale di mutua carità.
Ed è con questa carità, Fratelli e Figli carissimi, che Noi vi
salutiamo specialmente quest’oggi; e comprendiamo nel Nostro
beneaugurante saluto con la comunità diocesana anche quella civile,
tutta la terra ambrosiana, tutte le Province che con essa in tutto o
in parte coincidono: Milano, Varese, Como, Bergamo, Pavia; e
al proferire il nome di queste Città, Capoluoghi di Provincia,
altri illustri nomi di Città di cotesto vasto e fiorente territorio
vengono alle Nostre labbra: Monza regale, e Lecco, e Rho, e
Legnano, e Gallarate, e Busto Arsizio, e Magenta, e Melzo, e
Abbiategrasso, e Desio, e Cantù, e Erba, e Treviglio, e
Vimercate, e Saronno, e Sesto San Giovanni, e Tradate, ecc.,
e tant’altre vorremmo citare, come sempre abbiamo nella memoria.
Diremo terminando, ancora con S. Paolo, è giusto per Noi così
pensare di tutti voi, perché vi abbiamo nel cuore! (cfr. Phil.
1, 7). Si, nel cuore; e dal cuore traiamo per voi tutti la
Nostra Benedizione.
|
|