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Mercoledì delle Ceneri, 8 febbraio 1967
RIMANE SEMPRE LA NECESSITÀ DELLA
PENITENZA
Ai carissimi figli in Cristo il Santo Padre rivolge il proprio
saluto. Ci ritroviamo qui - Egli dice - per la grazia del Signore
anche quest’anno in capite jeiunii, all’inizio, cioè, del lungo
periodo penitenziale che la Chiesa antepone alla celebrazione del
Mistero pasquale. E siamo tutti compresi dei motivi sia spirituali
che ascetici, che qua ci conducono per dirigerci nel cammino della
santa Quaresima.
Un cammino di penitenza. Arrivati a questa conclusione e, speriamo,
al corrispondente proposito, sorge nella mente di tutti un dubbio molto
facile, una domanda quasi spontanea: che cosa resta della penitenza,
oggi, nella disciplina e nello spirito! della Chiesa?
Si sono fatte riduzioni, semplificazioni, si sono accordate
dispense: e sembra che dell’albero frondoso che ancora dona i suoi
frutti e le sue ombre sin dai tempi più remoti e proprio nei luoghi
santi e suggestivi in cui ci troviamo, non rimangano che poveri rami
spogli dell’autentica penitenza. Il rilievo non contraddice al fatto
che siamo indulgenti e ragionevolmente convinti della necessità di
essere pietosi verso questa nostra povera vita umana molto affaticata
per tante vicende, assai debole per costituzione, inetta a sostenere
le discipline ascetiche di altri tempi.
Di qui alcune teorie, le quali parlano del rispetto non solo della
persona astrattamente considerata, ma della vita umana quale si
presenta; per cui, invece di ,aggravarla con pratiche che possono
rendere più triste e difficile la sua esistenza, bisognerà, si
dice, alleggerire i suoi pesi e rendere facile, comoda e, se
possibile, piacevole la sua giornata terrena.
OCCORRE PORTARE LA CROCE
A questa visione materialistica, assai diffusa e corrente, altra se
le aggiunge: quella che ci fa considerare il Cristianesimo sotto
l'aspetto grave, severo, esigente, che ci è stato tante volte e
ragionevolmente, del resto, presentato e autenticamente esposto;
mentre pur sappiamo che il Cristianesimo ci deve apparire, come è,
pieno di bellezza, di attrattive, di felicità, sì che è nostro
dolce dovere tradurlo in aumento di vita e di gaudio; accogliendo le
ricchezze che la mano di Dio ha diffuso intorno a noi. Questo
dobbiamo vedere nel Cristianesimo e non una disciplina che mortifica e
castiga la vita umana.
Adunque, seguendo appieno le suddette mentalità, tutto si ridurrebbe
a piccoli precetti di salvaguardia o di igiene per raggiungere un pieno
benessere e per evitare i più piccoli malanni?
Orbene - prosegue il Santo Padre - in questo momento, in questo
atto di pietà e di riflessione da noi qui compiuto, che non è
soltanto un ricordo arcaico di tempi andati, ma sì, invece - come il
Papa ha detto al mattino nella Basilica di San Pietro - una
professione di vita odierna, moderna, attuale, ecco che noi ancora
una volta troviamo la risposta dovuta alla domanda iniziale: che cosa
resta della penitenza cristiana? La prima verità - e nessuno,
Vangelo alla mano, potrà contestarla - è la seguente: rimane
sempre la necessità della penitenza: non si può fare a meno della
penitenza. La parola di Cristo è là: sonante, tagliente a
proclamare: «Si paenitentiam non egeritis, omnes . . .
peribitis: se non farete penitenza, perirete tutti». E lo dice due
volte il Vangelo di S. Luca, che di solito preferisce registrare le
effusioni misericordiose di Gesù. Bisogna fare penitenza.
Ognuno, da questa certissima premessa, vorrà proseguire per proprio
conto, e cogliere nel Vangelo, in tutto il Nuovo Testamento, gli
altri testi che confermano, con una gravità che non ammette
discussioni e riduzioni: occorre portare la croce.
E allora, ci chiediamo ancora, che cosa resta della penitenza?
PROFONDO MUTAMENTO INTERIORE
La sua necessità. Questa è documentata dalle due fonti che gli
studiosi, i maestri di spirito ci ricordano. Innanzitutto la
penitenza è un correttivo della nostra maniera di vivere. Lo sappiamo
bene: la nostra natura non è perfetta; non funziona bene: porta in
sé un guasto profondo interno che deve essere rimediato, e perciò
quanti tessono l’apologia della immediatezza dell’azione e di taluni
comportamenti, della bontà sostanziale della vita umana, sono profeti
di illusioni e tante volte di delusioni, poiché appunto il
funzionamento e lo sviluppo della nostra vita, abbandonata a se
stessa, senza questi correttivi e questa disciplina, la quale viene a
ridimensionare, come oggi si dice, l’espressione di ogni nostra
attività, la vita non sarebbe buona e quindi, in realtà, non
sarebbe nemmeno felice.
C’è, poi, un altro titolo a ribadire la necessità della
penitenza; ed è la riparazione. Abbiamo peccato, abbiamo dei
debiti. Poiché esiste un ordine obiettivo di giustizia e Iddio
giusto ci propone una legge, una legge d’amore, esigente,
bruciante, se noi non l’abbiamo osservata, bisogna fare i conti
proprio col Signore. Sono conti pesanti: richiedono, da parte
nostra, ogni possibile riparazione. Occorre perciò ritornare alla
disciplina che intende accogliere la divina giustizia e ci fa
inginocchiare dinnanzi a Dio, pronti ad assumere qualche castigo per
essere risparmiati da pene più gravi.
La penitenza, adunque, rimane e, nel contempo, un’altra cosa resta
pratica e diviene per ognuno di noi parlante nel profondo del cuore.
Lo diciamo ogni qualvolta vogliamo sfuggire ai rigori delle penitenze
antiche: è lo spirito della penitenza; e tale spirito la Chiesa ci
raccomanda.
LA NECESSITÀ DELLA RIPARAZIONE
A chiedere agli studiosi in che cosa esso consiste ci si sentirebbe
rispondere che elemento primo è la metanoia, cioè un cambiamento
interiore. È più facile un mutamento esteriore o interiore? È più
agevole, ad esempio, rinunciare a qualche cosa che circonda la nostra
vita dal di fuori o trasformare il cuore, i nostri pensieri, gli
stinti, le idee, quel tesoro di interiorità che ciascuno custodisce
ostinatamente nel suo interno e dice: io sono così; questi i miei
principi, il mio modo di pensare, la mia educazione e - la grande
parola! - la mia personalità?
La Chiesa è pronta e sollecita ad ammonirci: è lì che devi mettere
la tua attenzione e rivolgere il tuo sforzo. Bisogna davvero rinnovare
lo spirito. La penitenza non produce un regresso nella vita e nella
pedagogia moderna; compie anzi un progresso, giacché diventa più
interiore, ed è più esigente in merito alla riflessione sopra se
stessi, e alla elaborazione della propria personalità per renderla
quale deve essere: cristiana. Ora, siccome l’essenza del
cristianesimo è la carità, ciascuno di noi deve affrontare le
rinunce, i sacrifici, l’abnegazione, la perseveranza che la carità
esige; sino a raggiungere una certa forma di ,abdicazione di noi
stessi, del nostro io. Bisogna morire interiormente, se si vuole
rinascere; è necessario avere il coraggio della umiltà totale, del
lavorio interiore, dell’accusa di sé e non degli altri e non
appellandosi alle circostanze. Occorre riconoscere pienamente: io
sono debole, io sono illogico, io sono stato cattivo ed ho commesso lo
sbaglio che devo deplorare nella mia coscienza, di fronte a Dio e, se
occorre, di fronte alla Chiesa, dicendo sinceramente mea culpa.
LA PREGHIERA E LA MERITORIA CARITÀ
Lo spirito di penitenza: ecco il fondamento. Sopravvivono, poi,
anche alcune pratiche esteriori, le quali, più che altro, sono il
simbolo verace dell’impegno di rinnovamento interiore. Oggi,
mercoledì delle Ceneri, la Chiesa ci ordina l'astinenza e il
digiuno, quasi a indicare la rinuncia e a dimostrare che siamo padroni
di noi stessi. che lo spirito ha il sopravvento su ogni incontrollata
istintività della nostra complessa natura.
Resta poi la grande penitenza, cioè la direzione della nostra anima
verso Dio, la preghiera: elevatio mentis ad Deum. Anche questa
forma di spirituale dovere noi riteniamo facile, poiché la preghiera
ci è familiare, riempie le nostre giornate, i nostri orari. Ma è
indispensabile pregare bene; tendere a Dio con amore ed umiltà, con
senso religioso pieno e profondo, col desiderio sincero di giungere al
meraviglioso colloquio, a parlare al Signore: è un esercizio, per
chi lo conosce, molto difficile. I Santi impiegavano diverse ore per
arrivare a qualche istante del sublime contatto con Dio.
Pertanto, la Chiesa ci raccomanda di fare almeno questa penitenza;
ci esorta a educare lo spirito al linguaggio religioso, a riprendere le
grandi, belle, classiche preghiere offerteci dalla Liturgia; e
soprattutto a cercare di coglierne lo spirito per allenare le nostre
espressioni interiori alla grande epopea, all’eccelsa poesia
dell’anima, costituita appunto dal ciclo liturgico quaresimale.
Infine, sempre tra le opere di penitenza, oggi specialmente la
Chiesa prescrive l’esercizio della carità.
Anch’esso è bellissimo, entrato ormai nelle nostre consuetudini e,
sotto vari aspetti, ritenuto facile, specie nell’attuare le opere di
misericordia, che sono il tessuto pratico appunto nell’esercitare la
carità. Ma, a guardarle più da vicino, queste pratiche, ci si
può imbattere in alcune sorprese. È facile perdonare un’offesa?
Quante reazioni si avvertono e si moltiplicano a proposito del
necessario perdono, specie quando l’orgoglio esige riparazione o vuole
comunque spiegare ed imporre al prossimo le proprie ragioni!
Del pari, come è difficile, nella carità materiale, privarsi di
qualche cosa di caro, di utile, forse di necessario: fare una
elemosina che davvero incida nei nostri risparmi, nel nostro peculio.
Si dà volentieri il superfluo, quel che non costa niente. La vera
carità, invece, propone di dare qualche parte di ciò che costa, che
sembra a noi indispensabile. Qui la sapiente norma che può
dischiudere inesplorati orizzonti.
AFFRETTARE LA PACE NEL MONDO
Al termine del suo dire, il Sommo Pontefice insiste su una speciale
fervida esortazione. Consentite - Egli dice - che parlando del
multiforme esercizio del bene, adempiuto anche con il coraggio e con il
proposito di affrontare gli ostacoli - sono le difficoltà della
penitenza - Noi raccomandiamo una cosa, del resto facilissima: una
preghiera speciale per la pace. Avete forse già appreso dalle notizie
del pomeriggio, che Noi abbiamo reiterato l’appello a tutti coloro
che sono parte in causa nel lontano conflitto in atto ma che coinvolge
un po’ le sorti e soprattutto lo spirito del mondo moderno,
invitandoli a preparare ed attuare la pace. Voi, anime buone,
specialmente voi Religiose, pregate per la pace. Voi non potete,
certo, concretare grandi imprese o partecipare a speciali organismi,
ma essere le anime militanti nella preghiera, nell’ardore della
carità e della fiducia in Dio: voi lo potete. E perciò a voi, in
particolare, tale intenzione raccomandiamo; come a voi, carissimi
figli, e a voi, confratelli nella preghiera e nell’esercizio del
sacro ministero, questo desiderio sincero affidiamo: che la pace renda
tutti buoni gli uni per gli altri, capaci di perdono, di
considerazione, di stima; cercando, in tal modo, di dare a questo
mondo che va tanto agitandosi, una nuova carica di speranza, di bontà
e di spirito cristiano.
E con tale voto nel cuore vi salutiamo, aggiungendo l’augurio di
buona Quaresima, di buona Pasqua, mentre tutti, nel nome di
Cristo, benediciamo.
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