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Domenica, 2 maggio 1976
Chi è, chi è Colui, che oggi qua ci raccoglie per celebrare nel
suo nome beato una irradiazione del Vangelo di Cristo, un fenomeno
inesprimibile, eppure chiaro ed evidente, quello d’una trasparenza
incantevole, che ci lascia intravedere nel profilo d’un umile
fraticello una figura esaltante e insieme quasi sconcertante: guarda,
guarda, è San Francesco! lo vedi? guarda come è povero, guarda
com’è semplice, guarda com’è umano! è proprio lui, San
Francesco, così umile, così sereno, così assorto da apparire
quasi estatico in una sua propria interiore visione dell’invisibile
presenza di Dio, eppure a noi, per noi così presente, così
accessibile, così disponibile, che pare quasi ci conosca, e ci
aspetti, e sappia le nostre cose e possa leggere dentro di noi . . .
Guarda bene: è un povero, piccolo Cappuccino, sembra sofferente e
vacillante, ma così stranamente sicuro che ci si sente da lui
attratti, incantati. Guarda bene, con la lente francescana. Lo
vedi? Tu tremi? chi hai visto? Sì, diciamolo: è una debole,
popolare, ma autentica immagine di Gesù; sì, di quel Gesù, che
parla simultaneamente al Dio ineffabile, al Padre, Signore del
cielo e della terra; e parla a noi minuscoli uditori, racchiusi nelle
proporzioni della verità, cioè della nostra piccola e sofferente
umanità . . . E che dice Gesù in questo suo oracolo poverello?
Oh! grandi misteri, quelli dell’infinita trascendenza divina, che
ci lascia incantati, e che subito assume un linguaggio commovente e
trascinante: riecheggia il Vangelo: «Venite a me, voi tutti, che
siete affaticati ed oppressi, ed Io vi ristorerò» (Matth. 11,
28).
Ma dunque chi è? è Padre Leopoldo; sì, il servo di Dio Padre
Leopoldo da Castelnovo, che prima di farsi frate si chiamava
Adeodato Mandić, un Dalmata, come San Girolamo, che
doveva avere certamente nel temperamento e nella memoria la dolcezza di
quella incantevole terra adriatica, e nel cuore, e nella educazione
domestica la bontà, onesta e pia, di quella forte popolazione
veneto-illirica. Era nato il 12 maggio 1866, e morì a
Padova, dove fattosi Cappuccino, visse la maggior parte della sua
vita terrena, conclusa a 76 anni, il 30 luglio 1942, poco
più di trent’anni fa. Qui, in questo caso, il Diritto Canonico
si è fatto indulgente, derogando alla norma che differisce la
discussione delle virtù d’un Servo di Dio a cinquant’anni dopo la
sua morte; ma come rimandare questo atto processuale quando la vox
populi in favore delle virtù di Padre Leopoldo, invece che placarsi
al passare del tempo s’è fatta più insistente, più documentata e
più sicura della propria testimonianza? Al coro spontaneo di quanti
hanno conosciuto l’umile Cappuccino, o ne hanno sperimentato la
taumaturgica intercessione, s’è dovuto arrendere il giudizio della
Chiesa (Cfr. Codex Iuris Canonici, can. 2101),
anticipando le sue favorevoli conclusioni, così che a proclamare
l’eccezionale valore morale e spirituale di Padre Leopoldo non sono
soltanto quelli che raccolgono la postuma eredità, ma ancora esistono
non pochi che possono suffragare questa sua celebrazione dicendo: io
l’ho conosciuto; sì, era un santo religioso, un uomo di Dio, uno
di quegli uomini singolari, che effondono subito l’impressione della
loro soprannaturale virtù. E subito nella memoria di chi conosce un
po’ la storia della Famiglia religiosa dei Cappuccini si profilano le
grandi figure di questi Frati, fedeli alla più rigorosa tradizione
francescana, che ne hanno personificato la santità; e tra questi
limitiamoci ad una tipica figura letteraria, a tutti ben nota, Fra’
Cristoforo del Manzoni. Ma no: Fra’ Leopoldo era più piccolo,
di statura, di capacità naturali (non era nemmeno un predicatore,
come non pochi valenti Cappuccini lo sono), non era neppure di forte
salute fisica, era davvero un povero fraticello.
Una nota particolare non possiamo tuttavia trascurare; egli era
oriundo della sponda levantina dell’Adriatico, di Castelnovo, alle
bocche di Cattaro, nel territorio della Croazia - Montenegro –
Erzegovina - Bosnia; e conservò sempre per la sua terra un amore
fedele, anche se poi, vissuto a Padova, non fu meno affezionato alla
nuova patria ospitale e soprattutto alla popolazione presso la quale
esercitò il suo silenzioso e indefesso ministero. La figura perciò
del Beato Leopoldo riassume in sé questa bivalenza etnica, quasi a
fonderla in un emblema di amicizia e di fratellanza, che ogni suo
devoto cultore dovrà fare propria. È questo particolare dato
biografico del beato Leopoldo un primo compimento d’un pensiero,
d’un proposito dominante della sua vita. Come tutti sappiamo, Padre
Leopoldo fu «ecumenico» ante litteram, cioè sognò, presagì,
promosse, pur senza operare, la ricomposizione nella perfetta unità
della Chiesa, anche se essa è gelosamente rispettosa delle
particolarità molteplici della sua composizione etnica; unità voluta
dalle origini storiche e ancor più dalla sacra e misteriosa volontà di
Cristo fondatore d’una Chiesa, tutta penetrata da essenziali
esigenze del supremo voto di Gesù: ut unum sint, siano tutti uno
quanti una medesima fede, un medesimo battesimo, un medesimo Signore
congiungono in un solo Spirito, vincolo di pace (Cfr. Eph. 4,
3 ss.; Io. 17, 11-21). Oh! che il Beato Leopoldo sia
profeta e intercessore di tanta grazia per la Chiesa di Dio!
Ma la nota peculiare della eroicità e della virtù carismatica del
Beato Leopoldo fu un’altra; chi non lo sa? fu il suo ministero
nell’ascoltare le Confessioni. Il compianto Card. Larraona,
allora Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, scrisse, nel
Decreto del 1962 per la beatificazione di Padre Leopoldo: « il
suo metodo di vita era questo: celebrato di buon mattino il sacrificio
della Messa, egli sedeva nella celletta-confessionale, e lì restava
tutto il giorno a disposizione dei penitenti. Tale tenore di vita egli
conservò per circa quarant’anni, senza il minimo lamento . . .».
Ed è questo, noi crediamo, il titolo primario che ha meritato a
questo umile Cappuccino la beatificazione, che ora noi stiamo
celebrando. Egli si è santificato principalmente nell’esercizio del
sacramento della Penitenza. Fortunatamente già copiose e splendide
testimonianze sono state scritte e divulgate su questo aspetto della
santità del nuovo Beato. Noi non abbiamo che da ammirare e da
ringraziare il Signore che offre oggi alla Chiesa una così singolare
figura di ministro della grazia sacramentale della Penitenza; che
richiama da un lato i Sacerdoti a ministero di così capitale
importanza, di così attuale pedagogia, di così incomparabile
spiritualità; e che ricorda ai Fedeli, fervorosi o tiepidi e
indifferenti che siano, quale provvidenziale e ineffabile servizio sia
ancor oggi, anzi oggi più che mai, per loro la Confessione
individuale e auricolare, fonte di grazia e di pace, scuola di vita
cristiana, conforto incomparabile nel pellegrinaggio terreno verso
l’eterna felicità.
Che il beato Leopoldo conforti le anime amorose di spirituale
incremento all’assidua frequenza al confessionale, che certe correnti
critiche, non certo ispirate da cristiana e matura sapienza,
vorrebbero fosse relegata nelle forme superate della spiritualità
viva, personale, evangelica. Che il nostro beato sappia chiamare a
questo severo, sì, tribunale di penitenza, ma non meno amabile
rifugio di conforto, di verità interiore, di risurrezione alla grazia
e di allenamento alla terapia della autenticità cristiana, molte,
molte anime intorpidite dalla fallace profanità del costume moderno,
per fare loro sperimentare le segrete e rinascenti consolazioni del
Vangelo, del colloquio col Padre, dell’incontro con Cristo,
dell’ebbrezza dello Spirito Santo, e per ringiovanire in esse
l’ansia del bene altrui, della giustizia e della dignità del
costume.
A voi, Fratelli Francescani dell’Ordine Cappuccino, grazie
d’aver dato alla Chiesa e al mondo un «tipo» della vostra scuola
austera, amichevole, pia d’un cristianesimo altrettanto fedele a se
stesso, quanto idoneo a risollevare nel cuore del popolo la gioia della
preghiera e della bontà.
E onore a voi, Figli della Croazia, del Montenegro, della
Bosnia-Erzegovina e della Jugoslavia intera per aver generato al
nostro tempo un esemplare così alto e così umano della vostra
tradizione cattolica.
E voi, Padovani, sappiate onorare vicino al vostro S. Antonio
questo non dissimile fratello della genealogia francescana, e dell’uno
e dell’altro sappiate trasfondere nelle nuove generazioni le virtù
cristiane ed umane già così illustri nella vostra storia.
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