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Domenica, 16 luglio 1967
Oh! Cari e venerati Fratelli, che ora avete ricevuto una nuova
effusione dello Spirito Santo, e che per sua virtù siete stati
elevati alla pienezza del Sacerdozio di Cristo, quale a noi, suoi
discepoli e suoi ministri, è dato di conseguire, lasciate che per
pochi istanti Noi discorriamo con voi, per il vostro gaudio
spirituale, che vuol essere nuovo, ineffabile, traboccante; e per
quello dei Confratelli e dei Fedeli, che, vicini o lontani, vi
circondano, giustamente convinti di non essere estranei, o semplici
spettatori al rito ora compiuto, anzi al mistero celebrato, ma sono
consapevoli d’esserne loro stessi, in qualche modo, favoriti e
partecipi, quasi illuminati dalla luce, che in voi, lampade ardenti
della casa di Dio, si è, per comune fortuna, per generale letizia,
mirabilmente accesa.
LAMPADE ARDENTI DELLA CASA DEL SIGNORE
Sì, discorriamo, staremmo per dire, «prout Spiritus Sanctus
dabat eloqui illis» (Act. 2, 4), come lo Spirito Santo dava
potere di parlare ai presenti al prodigio di Pentecoste, così ora a
Noi «ex abundantia cordis» (Matth. 12, 34), per salutarvi
tutti e ciascuno, come in un giorno di grande festa, come nel momento
d’una comune scoperta «quia fecit . . . magna qui potens est»
(Luc. 1, 49); sì, ha fatto grandi cose Colui ch’è
potente; un avvenimento stupendo, un avvenimento unico, un
avvenimento formidabile e irreversibile, un avvenimento massimamente
rivelatore della bontà divina s’è ora realizzato, il quale
s’innesta non meno nella vostra vita personale, che in quella mistica
e sociale della Chiesa, e che Ci obbliga a cercare le parole più
alte, quelle che si arrendono all’incapacità di esprimersi e di
eguagliare le realtà a cui si riferiscono; a cercare i sentimenti più
veri e più commossi; i voti più grandi, grandi come vaticini, non
enfatici, non iperbolici, ma tangenti le maestose profondità dei
divini disegni.
SULL’ESEMPIO IN PAPA GIOVANNI: «TUTTO
E SOLO DI DIO»
Che cosa vi diremo, Fratelli carissimi? A Te, venerato Don
Loris, l’assicurazione del Nostro ricordo, in questo momento
straordinario, dell’anima grande e pia di Papa Giovanni, che
certamente gode, come si gode in Cielo delle cose di questa terra,
quando esse appartengono al regno di Dio, di quest’ora misteriosa, e
che, Noi pensiamo, sussurra nel cuore del suo fedele segretario le
parole ch’egli, Papa Giovanni, diceva a se stesso in occasione
della sua consacrazione: «. . . Voglio essere tutto e solo di
Dio, penetrato della sua luce, splendente della carità verso la
Chiesa e le anime» (Giornale dell’anima, 207).
Così! E al Fratello Nostro, Monsignor Ernesto, di cui ancora
ricordiamo le gentili premure in ordine alla Nostra destinazione alla
Sede arcivescovile di Milano, presenteremo i Nostri voti, uniti a
quelli del Fratello suo Mons. Luigi, Vescovo lui pure e Canonico
di questa Basilica, affinché la dedizione, la sapienza e lo zelo,
quali reclama l’ufficio a lui commesso nella Nostra Congregazione per
i Vescovi, sovrabbondino sempre nell’animo suo, a servizio e ad
edificazione della Chiesa di Cristo! A servizio e ad edificazione
della Chiesa di Cristo impegnati siete, e siate ognor più voi pure,
diletti e venerati Fratelli Nostri, Monsignori Agostino, Antonio
ed Amelio, ai quali la Sede Apostolica affida uffici di grande
responsabilità e di grande merito, nella lieta fiducia che nelle
vostre persone, nella vostra opera, col fulgore della dignità
episcopale, risplendano sempre, doverosa ed a voi cara e consueta
apologia di questa Chiesa romana, le virtù proprie del Sacerdozio
cattolico.
LA SUCCESSIONE APOSTOLICA CHE
ATTUALIZZA CRISTO NEL TEMPO
Ma le espressioni augurali non bastano; urge il desiderio di afferrare
la realtà sacramentale, che fa grande quest’ora: che cosa, che cosa
si è operato di così singolare, perché i nostri animi siano tanto
scossi ed invasi da superiori impressioni? Se è impossibile dire,
come si converrebbe, sembra doveroso afferrare qualche frammento di
tale realtà.
Sì, è avvenuto questo: che una trasmissione di grazia e di potere
è avvenuta; una trasmissione che aggiunge nuovi anelli viventi alla
catena gerarchica della Chiesa, risalente agli Apostoli e saldata a
Cristo; è un’estensione della sua virtù pastorale, santificante e
moderante ad un tempo, che da Lui, Cristo, arriva fino a noi; è
il prodigio della prima mistica radice di Cristo, che fa sgorgare la
sua linfa soprannaturale nelle vostre persone, e dimostra la secolare,
perenne vitalità del Corpo mistico e la sua capacità di attualizzare
Cristo nel tempo, anzi di mostrarne la sua perpetua giovinezza e la
virtù da Lui emanante di nuovi inattesi incrementi. Questo fatto
della successione apostolica, di cui ora noi qui celebriamo un illustre
episodio, è di somma importanza, come ognuno vede; e allo stesso
modo che fa del Vescovo lo strumento, il ministro, che da Cristo
tutto attinge: il contenuto e l’autorità del suo magistero, come
pure la virtù e la dignità del suo ministero, così lo obbliga ad
un’assoluta fedeltà, quella del custode geloso del patrimonio di
verità ricevuto (1 Tim. 6, 20), quella del dispensatore
integerrimo ed esatto dei tesori divini ricevuti (cf. 1 Cor. 4,
1; 1 Petr. 4, 10; Tit. 1, 7), quella del testimonio,
che non può tacere (Act. 4, 2O), quella dell’amico iniziato
alle divine confidenze (Io. 15, l5), e sempre teso e assorto
nell’intimo e ineffabile colloquio col divino Maestro (cf. Io.
15, 4, 9). E acquista oggi questo fatto peculiare risalto nella
riaccesa discussione sull’autenticità della vera Chiesa: quale può
essere la Chiesa di Cristo, se non quella che si fonda sulla propria
ininterrotta e coerente successione apostolica! Così pure nel
confronto di certe moderne ideologie, che oggi vorrebbero definire
l’autorità gerarchica nella Chiesa come semplice segno e autentica
testimonianza della fede e dell’unità della comunità ecclesiale, non
è forse questa derivazione da Cristo, tramite gli Apostoli, che fa
dei Vescovi «principio e fondamento» (cf. Lumen Gentium,
23), e perciò causa - oh!, sì! - derivata e dipendente da
Cristo, ma originale e generante rispetto alla vita cristiana dei
Fedeli? (cf. 1 Cor. 4, 15).
IL SACERDOZIO È SANTITÀ PER SÉ E PER GLI
ALTRI
L’apostolicità! Ecco: la derivazione sacramentale e vitale del
ministero episcopale da Cristo; è magnifica cosa! È la ragione
della dignità, è il principio dell’autorità, è il pegno della
santità, è lo stimolo della magnanimità, è il conforto della
spiritualità del Vescovo. Quale Cristo Sacerdote, Pastore e
Profeta, tale l'Apostolo; e quale l’Apostolo tale il Vescovo,
suo successore.
Ma, Fratelli, questo non è tutto. Sta bene che Noi,
considerando fugacemente la realtà religiosa di questa cerimonia
consacratrice, guardiamo alla sorgente, guardiamo alla trafila
gerarchica che qui attualizza i poteri sacerdotali di Cristo. Ma
resta una domanda da farCi: perché? È questa grazia fine a se
stessa? Termina questa istituzione divina, ch’è la gerarchia, alle
persone che ne sono investite? Certamente queste persone sono inondate
di grazia per loro stesse santificante, ma l’intenzione divina è che
il Sacerdozio sia soprattutto santificante per gli altri. È un
ministero ch’è ora conferito, non un privilegio, non una semplice
dignità; è una potestà destinata all’altrui vantaggio; è un
servizio affidato a beneficio del prossimo; una responsabilità, che
soltanto si giustifica se esercitata per la carità nella Chiesa.
Vale a dire che chi è investito della pienezza del Sacerdozio di
Cristo è più d’ogni altro tenuto al dono di sé e alla comunicazione
dei doni ricevuti; all’esercizio cioè più intenso dei poteri
pastorali, che effondono i doni del Vangelo per l’edificazione della
Chiesa, per il conforto del Popolo di Dio. Si vede allora che
apostolicità e apostolato sono correlativi; punto di partenza la
prima, punto d’arrivo il secondo. Questa è la traiettoria del
disegno divino, che attraversa le persone chiamate a fungere «in
persona Christi». E se queste persone, che siamo noi, miseri
eletti al sacerdotale servizio, esultano, pur trepidanti, guardando
meravigliati alla sua origine, tremano invece e piangono guardando alla
sua destinazione, che tanti doveri, tante difficoltà, tanti
sacrifici a noi presenta. Ricevere e dare è il ministero a noi
conferito; e se il ricevere ci è di somma gioia, perché si riferisce
alla ricchezza di Cristo che in noi si riversa; dare invece ci riempie
di trepidazione, perché mette in evidenza la nostra esiguità e la
nostra fragilità.
LE VARIE MISSIONI STABILITE DALLA
CHIESA
Ma è ancora una volta il caso di ripetere, con San Paolo:
«Gratia Dei sum id quod sum», quel che sono, lo sono per grazia di
Dio (1 Cor. 15, 10); ed ecco che la fiducia, la forza
interiore, la pace rinascono nei cuori, pronti ormai alla missione,
che a ciascun ministro è assegnata dall’autorità della Chiesa. Voi
già la intuite questa missione. Non sarà facile per alcuno, nei
tempi che corrono. È segnata fortemente dalla croce. Ma sarà la
missione di Cristo; e tanto basta per togliere dagli animi ogni
timore, e per riempirli dell’audacia dell’amore, quale ormai Cristo
attende da voi, quale parimente la Chiesa (cf. Act. 20,
24). A tanto vi esorta e vi conforta la schiera delle persone che
vi vogliono bene; a tanto la Nostra Apostolica Benedizione.
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