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Domenica, 29 febbraio 1976
Figli carissimi,
amici Artisti e Cultori dell’arte!
Per la terza volta, durante il nostro Pontificato, Voi siete stati
convocati, e quest’oggi per un avvenimento che riteniamo quanto mai
ricco di significato. Il primo incontro nella Cappella Sistina volle
esprimere la volontà di un dialogo, o meglio la ripresa di una
conversazione per il cammino dell’amicizia e di una rinnovata comunione
di sentimenti e di pensieri. Nel secondo incontro i protagonisti
principali siete stati Voi, Artisti e Cultori dell’arte, con opere
di pittura e di scultura destinate alla Collezione d’Arte religiosa
contemporanea dei Musei Vaticani, testimonianza di sincera adesione
alle nostre attese e alle nostre speranze. Oggi ci ritroviamo insieme
nella atmosfera grave e solenne di una celebrazione liturgica che ha lo
scopo di dare degna commemorazione al quinto Centenario della nascita
di Michelangelo.
Il sacro rito si svolge sotto le volte gigantesche e maestose della
Cupola michelangiolesca. Nessun luogo era più adatto, a noi pare,
per cogliere il valore e il significato di questa celebrazione. Tutto
parla di Michelangelo qui, dove la mole stessa dell’edificio poderoso
ed elegante, maestoso e religioso, già mette i nostri spiriti in
esaltante contatto, in umile confronto, in riconoscente venerazione
con l’incomparabile artista. Qui l’anima percepisce più che mai lo
stimolo a salire verso l’alto, per qualcosa che trascende l’uomo
stesso e la sua storia, in intimo e beatificante colloquio con Dio,
sospinta dal medesimo desiderio di Michelangelo, che anelava ad uscire
dall’orribil procella in dolce calma.
È pertanto con grande rispetto che in questa solenne circostanza noi ci
avviciniamo a questa gigantesca figura del genio umano; col rispetto
cioè che è dovuto a così eccelso rappresentante del mondo
dell’arte, in ciò che questa ha di più elevato nella sua potenza
espressiva, nella sua capacità di essere tramite di realtà
invisibili, nella superiore grandezza della sua missione, come già in
tanti altri messaggi della sua vocazione, divinatrice dell’arcana
bellezza, ch’è nelle scoperte proporzioni delle cose e delle loro
innate misure, e specialmente nelle forme dell’uomo, creato ad
immagine stessa di Dio (Cfr. Gen. 1, 27). La funzione di
ogni arte - diceva il nostro Predecessore Pio XII di v. m. -
sta nell’infrangere il recinto angusto e angoscioso del finito, in cui
l’uomo è immerso, finché vive quaggiù, e nell’aprire come una
finestra al suo spirito anelante verso l’infinito (PIO XII,
Discorso dell’8 aprile 1952).
In questo sta la nota inconfondibile del genio artistico di
Michelangelo e l’attualità del suo messaggio. Maestro per ogni
generazione di un’arte che, conquisa dei valori umanistici, fino a
compiacersi delle forme di pagane espressioni, trae tuttavia la sua
più alta e genuina ispirazione dai valori religiosi, Michelangelo non
solo con essa intese liberare l’immagine dalla materia, la figura
dalla pietra, l’idea dal disegno, ma si sforzò altresì, attraverso
ammirabili forme sensibili, di rivelarci gli aspetti più veri della
dignità dell’uomo, della sacralità della vita, della bellezza
misteriosa e perfino terribile della concezione cristiana.
Volentieri ognuno si sofferma a considerare l’artista tutto assorto
nelle sue creazioni, vivo dentro la cerchia delle fattezze umane dei
suoi personaggi, emulo degli antichi nello sforzo titanico di
ingigantire idealmente l’umana statura, e nel rapimento estatico di
eguagliare la perfezione ellenica. Ma ciò che a noi piace
maggiormente notare in questo momento è la coerenza e la forza
grandiosa di realizzazione di tante opere, nelle quali il tema
fondamentale, Dio e l’uomo, stanno continuamente di fronte.
Meditando e contemplando il mistero del Dio vivente, creatore,
redentore, giudice, Michelangelo definì il destino di ogni umana
esistenza attorno all’adorabile figura di Cristo.
A questo punto il nostro pensiero vede sorgere dinanzi a sé le figure
incantevoli delle più celebri sculture di Michelangelo, a cominciare
da quella incredibile per un giovane non ancora venticinquenne, della
Madonna che ora veglia, dolorosa e piissima, alle soglie di questa
Basilica. Con questa Pietà, commenta il Papini (G.
PAPINI , Vita di Michelangelo, p. 435), non è soltanto
il genio giovane di Michelangelo che si afferma con vittorioso
splendore agli occhi di tutti, ma nasce la grande scultura cristiana
moderna, sintesi miracolosa della perfezione ellenica e della
spiritualità medioevale. E poi gli altri colossali simulacri famosi,
che definiscono questo massimo scultore, dal giovane atleta ch’è il
Davide fiorentino, al Mosè gigante corrucciato di S. Pietro in
Vincoli, alla singhiozzante Pietà del Rondanini, e via, via . .
. E si arresta lo sguardo alla rivelazione, non nuova, ma qui
insuperabile di Michelangelo pittore, alla Sistina, a quel sacrario
dell’arte che col suo possente compendio della storia umana
ricapitolata in Cristo, esprime nella maniera più sublime la
grandezza religiosa dell’arte michelangiolesca. Ci piace immaginare
l’artista aggirarsi negli spazi architettonici solenni, che lo videro
per lunghi anni, in periodi diversi della sua vita e in momenti
successivi dell’attività artistica, sui ponti di lavoro, in
compagnia del suo vasto poema pittorico, a cui collaborarono, come per
il poema di Dante, cielo e terra. Chi guarda quelle sequenze
pittoriche, si chiede che rapporto possa avere con noi quella
popolazione di figure vigorose: noi veniamo alcuni secoli dopo, e
tanto la società come il mondo cristiano hanno problemi ben diversi da
allora. Eppure la Sistina ci dà come il resoconto di una lotta e di
una conquista, quasi un mondo in fieri, dove i figli della luce, per
il carattere sacramentale che è il loro, coraggiosamente combattono,
senza stancarsi, per il trionfo della verità.
Le forme, qui più che mai, sono in funzione diretta delle idee
religiose. Possiamo sostare ammirati davanti alla folla della
Sistina, evocata dal genio di Michelangelo; ma non si può
tralasciare l’ascolto della parola, così bene individuabile
nell’atteggiamento dei corpi e nell’espressione del volto: ci sono
gli angeli, i profeti, gli Apostoli, i Pontefici, i martiri, i
confessori della fede, il mondo delle Sibille. Domina sovrana la
presenza di Dio, di un Dio giusto e misericordioso, che
all’umanità decaduta offre il soccorso della redenzione per una vita
nuova. Il collegamento dell’immenso scenario è la Bibbia,
emergente nei suoi valori sacri attraverso le immagini che col loro
linguaggio figurativo aggiungono un contributo di poesia e di profezia
all’esegesi del testo sacro.
Michelangelo è l’artefice, è il demiurgo, di questa grande
predicazione religiosa che a noi, non meno che agli uomini del suo
tempo, appare prodigiosa per l’arditezza della sua impostazione
iconografica e per la sua potenza espressiva. Non c’è parola umana
che possa suscitare tanta emozione, che faccia tanto riflettere e
meditare, quanto la rappresentazione che di quelle verità ha dato il
Buonarroti. La Cappella Sistina con il suo Giudizio Universale
diventa così quasi un libro aperto ai dotti e agli incolti, ai fedeli
e ai non credenti, come pure un efficace richiamo al popolo di Dio per
continuare a vivere le certezze del Vangelo, per non cadere come
fanciulli sbattuti da ogni vento di dottrine per gli inganni degli
uomini (Eph. 4, 14-15). La nostra celebrazione liturgica
vuol essere una doverosa testimonianza di gratitudine la quale, dopo
che a Dio, si rivolge a Michelangelo per l’aiuto che egli stesso ha
donato alla nostra preghiera, incoraggiandoci con la sua visione di
arte ad elevarci verso il divino, come si eleva al cielo la maestosa
Cupola ideata dal suo genio, sotto la quale insieme a tante anime
cantiamo il Credo e gli inni della nostra fede.
Ed ora, amici Artisti e Cultori dell’arte qui presenti, in un
momento così solenne e suggestivo il nostro pensiero si rivolge
particolarmente a voi. L’esempio che ci viene da Michelangelo è una
lezione che deve avere anche ai nostri giorni una sua continuità, per
la dignità della vostra missione, come pure per la gioia di una nuova
primavera dell’arte cristiana, che, sotto l’impulso del Concilio
Vaticano II, si annunzia ricca di promesse in seno alla Chiesa. E
tanto più urgente ed opportuno ci appare questo richiamo, in quanto
falsi principii ispirati ad una concezione della vita senza speranza
superiore minacciano di far decadere l’arte dai suoi sublimi compiti.
Se l’arte, secondo la scultorea definizione dantesca, è a Dio
quasi nipote, essa ha bisogno di avvicinarsi a Dio, di conoscerlo e
di amarlo in uno sforzo costante di purificazione e di donazione.
Chi conosce la biografia di Michelangelo ben sa che al vespro della
sua lunga vita (egli morì a 89 anni nel 1564), lo spirito
inquieto e veggente dell’Artista ebbe un tormentato pensiero, il
quale non paralizzò la sua mano sempre armata di scalpello, ma
sconvolse il suo giudizio di valore niente meno che su l’arte, la sua
arte, quasi fosse vana fatica, ostacolo alla sua salvezza. Ultimo
pensiero triste e agitato del Grande, ma pensiero sapiente: egli vide
che l’arte, per quanto regale e sublime, non è, nel quadro
dell’umana esistenza, fine a se stessa; è e dev’essere una scala
che sale; essa conta per quanto è rivolta al supremo vertice della
nostra vita, a Dio. Ricordate le sue gravi parole, rese più
espressive dalla poesia (forse del 1555)? Né pinger, né
scolpir fia più che quieti / l’anima volta all’amor divino /
c’aperse, a prender noi, ‘n croce le braccia (G. PAPINI,
Vita di Michelangelo, p. 999).
Cioè l’arte, specialmente l’arte, come ogni attività umana, deve
essere tesa in uno sforzo di sublimazione, come la musica, come la
poesia, come il lavoro, come il pensiero, come la preghiera, deve
rivolgersi in alto. Michelangelo perciò vi ricorda di quanto aiuto
sia la fede per l’artista, trovando questi in essa il continuo stimolo
a superarsi, a meglio esprimersi, a fondere le sue esperienze in
quelle magnifiche sintesi, di cui la storia dell’arte, nei suoi
momenti più alti, ci ha dato incomparabili modelli. Solo così,
come esige l’altissima vostra missione, saprete mettervi a servizio
nobile e cosciente dell’uomo, che ha continuamente bisogno di essere
aiutato ed istruito a ben pensare, a ben sentire e a ben vivere.
Porgendogli la mano fraterna che lo elevi ad amare tutto ciò che vi è
di vero, di puro, di giusto, di santo, di amabile (Phil. 4,
8), voi avrete contribuito all’opera della pace, e il Dio della
pace sarà con voi (Ibid.).
Con questo nostro paterno augurio ricevete la nostra Apostolica
Benedizione.
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