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Domenica, 24 marzo 1974
Un martire, un nuovo martire è riconosciuto oggi dalla Chiesa, e
proposto alla venerazione dei fedeli. Il suo nome è quello del
sacerdote Liborio Wagner, della diocesi di Würzburg, ucciso a
trentotto anni di età, per causa della sua confessione cattolica, il
9 dicembre 1631. Varie cause hanno ritardato il riconoscimento
ufficiale del suo martirio, ma ora finalmente esso risulta storicamente
e canonicamente provato. E se davvero, come dicono i fatti e la fama
di questo servo di Dio, egli è un martire, dunque egli è un
cittadino del cielo, egli è «beato».
La prima e più forte impressione, che una tale notizia produce negli
animi nostri è la meraviglia; sentimento questo che non nasce soltanto
da questo momento di generale consenso della Chiesa, né
dall’improvviso e ineffabile splendore di questa nuova stella che si
accende al nostro sguardo nel firmamento escatologico della celeste
città, ma dalla considerazione obiettiva di chi sia un martire.
Questo termine acquista in questo momento il suo pieno e stupendo
significato.
Chi è un martire, nel linguaggio autentico che la Chiesa attribuisce
a questa troppo spesso enfatica e abusata parola? Martire è un
seguace di Cristo, che dà a Lui testimonianza col proprio sangue.
Egli confessa Cristo col sacrificio cruento della propria vita.
Annuncia la propria fede morendo per essa. Dimostra con la prova più
forte di cui l’uomo sia capace la fermezza della propria convinzione;
non solo, il martire attesta in modo originale la verità religiosa di
tale convinzione, perché egli non avrebbe da se stesso la forza
sufficiente per soffrire volontariamente, senza opporre violenza a
violenza, l’atrocità del martirio se l’energia dello Spirito Santo
non subentrasse nella sua debolezza per trasformarla in eroismo puro
(Cfr. Matth. 10, 19). Egli proclama, con una evidenza che
stupisce, l’esistenza d’un valore, la fede, che vale più della
vita, fino a dimostrare che la fede è essa stessa la vera vita.
Noi siamo abituati alle notizie di scene di sangue e di storie in cui
la violenza e la malizia si manifestano in forme drammatiche e
impressionanti e ci lasciano profondamente turbati; ma quando questi
avvenimenti riguardano una persona, che chiamiamo martire, non
possiamo non rilevare due note salienti, le quali, senza attenuare
l’orrore per la crudeltà del fatto, vi aggiungono uno stupore, che
confina con l’ammirazione e con la pietà; e sono queste due note,
una quella della non resistenza da parte del paziente, il quale
piuttosto oppone alla fierezza dell’aggressione una singolare mitezza;
l’altra quella d’un’intenzionale affermazione spirituale da parte
della vittima, affermazione espressa nel sangue e nella morte, che
conferisce al tragico episodio il significato ed il valore d’un
sacrificio. La figura della vittima assume l’aspetto dell’agnello;
ed il simbolo dell’«Agnus Dei», che subito si affaccia allo
spirito, richiama il ricordo di Cristo e quasi l’identificazione del
martire col divino Crocifisso; e, come avviene alla memoria della
straziante morte di Liborio Wagner, sopra il dolore e lo sdegno per
la sua spietata condanna prevale la visione della sua fortezza e della
sua umiliata bontà. Per questo, noi dicevamo, un senso di
meraviglia ci invade, e ci ritornano alla memoria le parole di
Sant’Agostino: «nei martiri Cristo stesso diventa testimonio»;
ed il martire tale è non tanto per la pena a lui inflitta, quanto per
la causa per cui essa 6 sofferta: Martyrem non facit paena, sed
causa.
Lasciamo dunque che l’ammirazione invada ora i nostri animi e con
l’ammirazione il gaudio che la vittoria del martirio reca con sé.
«Questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede» (1
Io. 5, 4).
Wir müssen der verehrungswürdigen Kirche von Würzburg unsere
herzliche Mitfreude zum Ausdruck bringen. Denn ihre jahrhundertealte
religiöse Überlieferung wird durch die Seligsprechung dieses ihres
Sohnes Liborius Wagner geehrt, der ihr als Märtyrer des
katholischen Glaubens zur Verehrung und Nachahmung vorgestellt wird.
Wir selbst sind von Freude über diese Verherrlichung erfüllt und
haben den Wunsch, daß sie sich fruchtbar auswirken möge für die
Erneuerung des christlichen Glaubens, und zwar nicht nur für die
Diözese, aus der Liborius hervorgegangen ist, sondern ebenso für
die gesamte heilige katholische Kirche.
Der Verlauf seines kurzen Lebens, das auf dieser Erde erlosch, um
sich durch seinen schmerzvollen und glorreichen Tod im Rimmel
fortzusetzen, ist in jedem Abschnitt sehr bedeutungsvoll und verdient
es, jetzt im Lichte der heutigen Verherrlichung unter seinen
verschiedenen Gesichtspunkten betrachtet zu werden für eine neue
Erwägung des geschichtlichen und geistlichen Rahmens, in dem es sich
abspielte.
Viele bedeutungsvolle Umstände im Leben des seligen Liborius legen
uns ernste und fruchtbare Überlegungen nahe. Ist seine Herkunft aus
einer guten und vorbidlichen protestantischen Familie nicht schon für
uns ein Grund achtungsvoller Wertschätzung des religiösen und
christlichen Erbes, das sich bei der deutschen Bevölkerung trotz
aller aufwühlenden Veränderungen dieser stürmischen Zeit erhalten
hat? Und die Hinwendung von Liborius zum katholischen Glauben, dem
diese Gebiete durch so viele Jahrhunderte mit so hochbedeutsamer und
reicher Blüte christlichen Lebens und menschlicher Kultur
angehörten, ist dies für uns alle nicht ein Grund zu geschichtlicher
Oberlegung und zur Hoffnung für die Wiederherstellung der
vollkommenen Einheit der Kirche, die immer ersehnt ist? Und muß
diese Einheit, die sich von Christus ableitet und auf Christus
ausgerichtet ist, nicht leiden unter der jetzt bestehenden Trennung,
und darf man nicht hoffen, daß diese Trennung ihre glückliche
Wiedervereinigung finde in dem einen und einzigen Glauben sowie einer
neuen lebendigen Liebe?
Es möge uns gestattet sein, bei dieser Gelegenheit an die
christlichen Brüder, die noch nicht in voller Gemeinschaft mit dem
Apostolischen Stuhl leben, ein ehrerbietiges und herzliches
Grußwort zu richten, und zwar im Namen des seligen Liborius, der
uns allen den Wunsch nach einem Ukumenismus im Herzen zu bekräftigen
scheint, der die Eintracht und den Frieden erneuert. Er, der
selige Liborius, ist ein Beispiel, ist ein Märtyrer, den wir
freilich nicht feiern wollen als eine «gezielte Glaubenskundgebung»,
nämlich um aus seinem Martyrium einen Grund zur Polemik und zur
Anklage zu machen, wohl aber als ein Zeugnis des Beispiels für alle
und der Einladung zur Versöhnung und zum Geiste der
Brüderlichkeit.
Die Tatsache, daß Liborius Schüler einer hochangesehenen Schule
war und dann sein junges Leben dem Priestertum und der Seelsorge
weihte, wieviel Anregungen konnten wir hieraus schöpfen, um der
ganzen Kulturwelt unsere Wertschätzung und unsere über-Zeugung zum
Ausdruck zu bringen, daß eine Übereinstimmung zwischen
wissenschaftlichem Denken und christlichem Glauben nicht nur
möglich, sondern immer auch notwendig ist! Und wie gern möchten wir
hier in diesem Augenblick ein wenig länger verweilen, um einen
väterlichen und mitbrüderlichen Gruß an die Priester und
Ordensleute zu richten, die auch heute noch ihr Leben Christus und
der Kirche vollständig und für immer weihen! In besonderer Weise
möchten wir sie nicht nur auf das leuchtende Beispiel des seligen
Liborius Wagner hinweisen, sondern auf sie ebenso die geheimnisvolle
und stärkende Kraft seines Schutzes herabrufen!
Und im Vertrauen, daß wir alle den neuen Seligen als Beispiel
christlicher Stärke und Schützer unseres christlichen Glaubens in
steter Treue zur Kirche Christi haben dürfen, segnen wir den
Oberhirten der Diözese Würzburg und alle anderen anwesenden
deutschen Bischöfe sowie die Vertreter der staatlichen Behörden und
alle Gläubigen, die dieser erhebenden liturgischen Feier beiwohnen.
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