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Domenica, 16 novembre 1969
Il brano del vangelo letto durante la Santa Messa è quello della
XXV domenica dopo la Pentecoste, corrispondente, quest’anno,
alla VI dopo l’Epifania.
Esso ci presenta due parabole, cioè similitudini, confronti,
immagini. La prima è quella del granello di senape, seminato in
campo adatto. Benché la più minuta di tutte le semenze, essa cresce
e la sua pianta è maggiore di tutti gli erbaggi: anzi diventa un
albero e gli uccelli dell’aria vanno a porre i loro nidi sui suoi
rami. La seconda immagine è nella piccola porzione di lievito, che
una donna rimescola con tre staia di farina, fintanto che tutta sia
fermentata. Possiamo benissimo immaginare l’operosa massaia in atto
di preparare la pasta che diventerà poi il buon pane della mensa.
RIVELAZIONE DEL REGNO DI DIO
Si tratta, è ovvio, di due immagini, assai modeste ma oltremodo
esatte e adeguate. In esse si rispecchia stupendamente l’arte di
Cristo nell’enunciare le cose grandi, misteriose, che ci superano e
ci avvincono, giacché rivelano alla nostra mente ed al nostro cuore il
Regno di Dio. Tale è la misteriosa, imponente realtà che forma il
tema dell’intera predicazione evangelica e che, in queste, come in
altre similitudini, viene come dipinta e presentata all’intelletto ed
alla comprensione di chi ascolta. Anche se si tratta di uditori
inesperti e impreparati, si può essere certi che la narrazione diventa
pensiero capace d’essere ospitato in ogni anima, in ogni uomo.
Il Regno di Dio è l’ordine che l’Onnipotente vuole stabilire tra
gli uomini; è il rapporto nuovo che Egli intende instaurare tra Sé
e le creature. Questo rapporto deve ammettere, anzitutto, una
ragione d’essere, la causalità, la presenza agente di Dio tra gli
uomini. Per spiegarla occorrerebbe lunga dissertazione: oggi però
noi ci limitiamo a cogliere i punti essenziali.
Con mirabile semplicità, Gesù scolpisce e dice: pensate a un
piccolissimo seme e al suo sviluppo; pensate a un tenue fermento che
crea sviluppo nell’ambiente in cui è posto. Sono paragoni tenui,
quasi insignificanti; eppure da essi si manifesta in modo splendente
ciò che è il Regno di Dio.
Che cosa avranno capito quanti erano intorno al Signore durante la sua
istruzione? Forse non tutti hanno potuto completamente afferrare il
profondo significato delle parabole; ma noi, oggi, possiamo
comprendere assai meglio se ricordiamo, istruiti dalla storia e dalla
esperienza, come la parola di Dio si sia esplicata ed attuata
attraverso i secoli.
La storia e le esperienze degli uomini del nostro tempo ci insegnano
come ciò sia avvenuto. Il Signore sapeva benissimo che il suo grande
programma di trasformazione del mondo si iniziava proprio con una forma
modesta, tenue, quasi insignificante. Allorché gli uomini fanno i
loro progetti e guardano il panorama che hanno preparato per la loro
attività, quanti calcoli non devono fare sui mezzi, i tempi, le
cause e tutto il complesso della meccanica, diremmo, temporale,
umana, da cui si ripromettono effetti proporzionati. 11 Signore
invece nel suo insegnamento gioca concettualmente con la sproporzione,
con lo squilibrio; le piccole cose producono effetti enormi; c’è una
corrispondenza tra il principio umilissimo e il risultato glorioso,
finale. Che cosa è avvenuto, perché una così grande risultanza sia
scaturita da un così umile inizio?
L’AZIONE PRODIGIOSA DEL SIGNORE
Qui appunto è il mistero del Regno di Dio. Sono intervenute una
causa, una forza, una presenza agente; è intervenuto Dio che crea
il suo Regno. Gli uomini non fanno, in realtà, che mettere delle
condizioni, preparare delle circostanze, dire un sì che si arrende
alla infusione mirabile, e può definirsi miracolosa, dell’azione di
Dio. Tutte le cose, che hanno lo stampo di Dio, l’impronta del
Cristianesimo, pi-esentano questa fenomenologia; possono cioè
cominciare molto umilmente, possono sfidare il confronto con le
difficoltà perché hanno in se stesse queste modeste entità iniziali,
un germe, una forza virtuale, una capacità espansiva, proprio come
il piccolo seme che ha in se stesso una virtù di crescita e di
espansione, che da un piccolissimo principio produce una vegetazione,
una pianta che sembra impossibile sia nata da quel piccolo germe.
Così è il Cristianesimo: e la storia ce lo afferma. Chi avrebbe
detto che dei dodici, umili, poveri pescatori - d’uno di essi le
sacre Spoglie riposano sotto questo altare - sarebbe nata nientemeno
che la trasformazione del mondo e la civiltà cristiana; che ancora
dura e sembra, anzi, essere agli inizi della sua capacità espansiva e
missionaria? Ciò può essere applicato anche alle altre opere.
Quando un germe divino agita i principii, anche se questi sono umili e
sproporzionati, non c’è da aver timore: l’esito non mancherà. La
forza delle idee potenti, vere, vive; la forza dei principii:
questo, soprattutto è quello che noi dobbiamo cercare e che noi
veniamo a implorare da Cristo.
BISOGNA ARRIVARE AL CUORE
E ancora questa mirabile fecondità non deve essere esterna se infatti
restasse fuori delle anime, rimarrebbe inerte. Noi assistiamo,
proprio nella nostra scena moderna, a uno sfoggio enorme di
propaganda, di « réclame », di stordimenti, diremmo, di immagini
e di pubblicità. Fino a quando la grande manifestazione del principio
divino resta fuori di noi e ci lascia indifferenti, spettatori
passivi, tutto è vano. Ma quando qualche idea, qualche principio da
questa manifestazione entrano dentro di noi, allora fermenta,
incomincia ad agire, diventa forza energetica che può generare davvero
cose grandi e nuove. Tutto ciò ci indica che se vorremo ottenere
risultati grandi, specialmente se ci è davanti il Regno dei Cieli,
il Cristianesimo e questa civiltà che ci preme di portare avanti nelle
sue migliori espressioni, dobbiamo badare allo spirituale, alla
inserzione, cioé delle verità che professiamo, dei principii che
vogliamo servire nel cuore degli uomini, non certo nella fantasmagoria
sensibile e soltanto esterna della propaganda.
Bisogna arrivare al cuore, mettere qualche cosa nell’interno dove il
fermento agirà da sé. Tutto ciò conferma come la preghiera sia
imparentata con il lavoro e come non possiamo pretendere dalle nostre
opere grandi risultati se non le abbiamo prima vissute, amate e
sofferte e se prima di affidarle alle nostre mani non le abbiamo
assicurate nel colloquio con Dio, il Quale veramente può dare forza
e capacità realizzatrici a ogni nostra impresa.
Procedere, dunque - questo l’invito del Papa - con risoluto
vigore. Le ricordate similitudini evangeliche invitano tutti a
ripensare che il Regno di Dio, cioè tutto quello che di bene e di
grande l’uomo si aspetta né può cominciare da piccole cose; ne
bisogna sgomentarsi per l’esiguità del principio, per la sproporzione
materiale, economica delle forze, quando è certo che l’uomo ha in
sé l’idea, la verità, la fede; e Dio è presente in lui.
Perciò l’attività dell’uomo non può limitarsi ad un’opera
esteriore, ma deve avere una sua vigilia, una sua preparazione
interiore. Così soltanto la parola di Dio seminata nel cuore
dell’uomo, come il grano di senape e come il lievito di cui parla il
Vangelo, produrrà da sé i suoi effetti che saranno grandi, gloriosi
e benefici.
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