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17 aprile 1965
Prima di procedere al rinnovo delle Promesse Battesimali, il Santo
Padre desidera rivolgere a tutti gli astanti una breve parola di
riflessione e di gioia intorno a un punto centrale del sacro Rito, che
richiama il pensiero e i propositi.
Anzitutto Egli saluta i numerosi pellegrini venuti dall'estero e
presenti in Basilica, nelle lingue: francese, inglese, tedesca e
spagnuola. Quindi prosegue in italiano.
La nota dominante - riassumiamo i concetti di Sua Santità -della
Liturgia, così complessa, alta e ricca, della Veglia Pasquale,
vero poema di teologia e di spiritualità, è data da un fatto
ricorrente e sempre nuovo. Come in ogni altra sacra manifestazione,
si verifica il congiungimento di due poli: il divino e l'umano. E
qui - lo abbiamo testé accolto nel Preconio Pasquale, l'Exsultet
- se viene ribadito che "terrenis caelestia, humanis divina
junguntur", è per mettere in evidenza che l'interesse, a un certo
punto, più che soffermarsi sul Cristo, il protagonista, il centro
benedetto d'ogni atto liturgico, si effonde sopra il popolo umano,
sul mondo creato.
Si potrebbe, con un paragone, spiegare questo sorprendente fenomeno.
Chi è abbagliato da un potente faro di luce, quale è il Lumen
Christi, poco fa acclamato, resta come sbalordito e incapace di
rifissare lo sguardo su tanto splendore. Si rende conto, invece,
della potenza di esso, soffermandosi su le cose che lo circondano,
prendendo conoscenza di quanto gli sta intorno.
Ripensa, perciò, in questa Vigilia, al canto delle profezie, alla
benedizione del fuoco, del cero, dell'acqua; e vede che il cosmo
intero partecipa a una festa, in cui la storia umana trova il suo
fulcro. Soprattutto avverte che la prima conseguenza della
Resurrezione di Cristo sta nella resurrezione dell'uomo, nella
partecipazione dell'intera umanità a così ineguagliabile vittoria.
In che modo la Liturgia Pasquale presenta tale realtà? Lo
sappiamo: con il riferimento principe al Santo Battesimo. Tutti i
particolari della sacra Azione, che stiamo compiendo e vivendo, fanno
corona al Battesimo. Questo Sacramento, - ce lo assicura
precipuamente San Paolo - rispecchia e riproduce la Resurrezione di
Cristo in noi. Significa la nuova vita dopo la morte. Il Battesimo
è il Sacramento pasquale per eccellenza.
Due sono le forze - ecco i poli, a cui si accennava poc'anzi che lo
attuano e ne procurano i sublimi effetti. L=una, eccelsa,
potentissima, quella divina, la sola che dà la grazia e il potere
redentore; l=altra, misera, vacillante, ma indispensabile, più
condizione che causa, la nostra volontà.
Insieme, dunque: la volontà di Dio salvatrice; la nostra, che
accetta e risponde. Qui è il punto su cui deve fermarsi la nostra
attenzione e azione. Il Battesimo ha due aspetti, due coefficienti,
giacché è un fatto divino e un fatto umano. Da una parte la grazia;
dall'altra la promessa. Cosi la vita del cristiano è un impegno
fondamentale e decisivo. Essa introduce in noi uno stile; ci
rigenera; ci fa rinascere in Dio. È il principio della nostra
resurrezione. Siamo diventati cristiani. Lo siamo realmente?
Siamo, cioè, forti, coerenti, veri cristiani? O, invece, siamo
dimentichi e deboli? Fino dove arriva il disimpegno dell'uomo moderno
di fronte agli obblighi assunti col santo Battesimo. Oltre al male in
se steso, è noto come ogni noncuranza e trascuratezza è di scandalo e
di cattivo esempio per molti. Ognuno di noi, invece, - ammonisce il
Santo Padre - faccia proprio e rafforzi personalmente il Rito
pasquale, nel senso di assicurare al Signore, con fermezza e con
gioia, che intendiamo essere fedeli e rispondere alla grazia,
associandoci alla sua stessa vita.
Se vogliamo davvero rendere leggiero il giogo di Cristo, non useremo
certo il mezzo di portarlo male o di scuoterlo dalle nostre spalle. Se
lo desideriamo, così come Egli lo ha definito, soave e lieve, e
cioè fonte di energia, fiducia, vita, dobbiamo portarlo con
lealtà, coerenza, comprensione, vale a dire con tutto il cuore.
Gioia pasquale è, dunque, il sentire che l'essere cristiani non è
cosa vana, bensì principio di vita nuova e di speranza che non muore.
(Sabato Santo, 17 aprile 1965)
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