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Solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
Giovedì, 8 dicembre 1966
Quanti pensieri affollano il Nostro spirito in questa festa dolcissima
di Maria Immacolata, nel primo anniversario della conclusione del
Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, in questa Basilica, che ne
ospitò la celebrazione sulla tomba dell’Apostolo Pietro, posto da
Cristo a fondamento della sua Chiesa, presenti, oggi, le schiere
delle Religiose di Roma, quasi per tradurre qua in immagine di
spirituale bellezza e di biblica reminiscenza quel Popolo di Dio, che
il Concilio descrisse e cantò, e che noi non vanamente aspiriamo ad
essere, mentre il ricordo del mondo, in cui siamo, della storia, che
stiamo vivendo, dinamica, formidabile, tremenda, non mai ci
abbandona!
NEGLI SPLENDORI DI MARIA IMMACOLATA
L’INNO ALLA «MATER ECCLESIAE»
Quanti pensieri! Ci basti metterli in fila, e presentarli
semplicemente alla vostra considerazione, che saprà prolungarli in
meditazione, oltre quest’ora benedetta, per l’avvenire, per la
vita.
Diciamo dunque che oggi la nostra pietà onora il mistero della
Immacolata Concezione di Maria: il mistero del privilegio, il
mistero dell’unicità, il mistero della perfezione di Maria
Santissima. Maria, la sola creatura umana, che per divino disegno
(quanta sapienza, quanto amore esso contiene!), in virtù dei
meriti di Cristo, unica sorgente della nostra salvezza, fu preservata
da ogni imperfezione, da ogni contagio della colpa originale, da ogni
deformazione del modello primigenio dell’umanità; la sola perciò in
cui l’idea creatrice di Dio si rispecchia fedelmente ed in cui la
definizione intatta ed autentica dell’uomo si realizza: immagine di
Dio! Luce, intelligenza, dolcezza, profondità d’amore,
bellezza, in una parola, sono sul volto candido e innocente della
Madonna, che noi onoriamo: Tota pulchra es, Maria! Basterebbe
questo pensiero per inebriare i nostri spiriti, che tanto più sono
avidi di umana bellezza, quanto più falsa, più impudica, più
deforme, più dolente, la sembianza umana ci è oggi presentata nella
molteplice e quasi ossessionante visione dell’arte figurativa. Si
fermi a questo pensiero chi vuole, per restaurare la scienza della
bellezza e per scoprirne i suoi trascendenti rapporti, e per il gaudio
interiore e per il costume esteriore ritrovi in Maria la più alta, la
più vera, la più tipica figura dell’estetica spirituale umana.
Per noi ora è sufficiente ristorare a questa fontana purissima la
nostra sete di umanità buona e bella ad un tempo, di umanità, in cui
la grazia opera il suo prodigio rigeneratore, di umanità cristiana,
in una parola. E siamo al Nostro secondo pensiero, quello che ci
richiama all’anniversario del Concilio, che di questa economia della
salvezza fu grande discorso, quasi un poema.
BRILLA IL CONCILIO
FRA I GRANDI AVVENIMENTI DEL
CRISTIANESIMO
Ad un anno di distanza noi cominciamo a meglio comprenderne l’enorme
importanza; esso si iscrive fra i grandi avvenimenti del
cristianesimo, anzi della vita religiosa dell’umanità, per la sua
coerenza storica, per la sua felice celebrazione, per la sua ricchezza
dottrinale, per la sua fecondità pratica, per la sua profondità
spirituale, per la sua apertura universale. Non dobbiamo chiudere gli
occhi su fatto di tale natura e di tale rilievo; non lo possiamo
classificare fra le cose passate, quando per ogni verso ci segue, ci
stimola, ci illumina, ci impegna. Perciò, mentre lo stupore per il
suo carattere straordinario e la comprensione per il suo valore
ecclesiale vanno crescendo nei nostri spiriti, un primo dovere
avvertiamo da ciò derivare: quello di ringraziare il Signore che ci
ha concesso di partecipare e di assistere a questo grande episodio dei
suoi provvidenziali disegni nella storia della salvezza; e il rito,
che stiamo celebrando, ancor più che semplicemente commemorativo,
vuol essere espressivo della nostra riconoscenza al Signore, che ha
guidato la sua Chiesa alla testé compiuta celebrazione conciliare.
Un secondo dovere succede a quello della riconoscenza, ed anche questo
subito noi promettiamo di compiere; ed è la fedeltà al Concilio.
Esso ci impegna. Dobbiamo comprenderlo; dobbiamo seguirlo. E,
professando questo proposito di fedeltà a quanto il Concilio
c’insegna e ci prescrive, sembra a Noi doversi evitare due possibili
errori: primo quello di supporre che il Concilio Ecumenico Vaticano
Secondo rappresenti una rottura con la tradizione dottrinale e
disciplinare che lo precede, quasi ch’esso sia tale novità da doversi
paragonare ad una sconvolgente scoperta, ad una soggettiva
emancipazione, che autorizzi il distacco, quasi una
pseudo-liberazione, da quanto fino a ieri la Chiesa ha con autorità
insegnato e professato, e perciò consenta di proporre al dogma
cattolico nuove e arbitrarie interpretazioni, spesso mutuate fuori
dell’ortodossia irrinunciabile, e di offrire al costume cattolico
nuove ed intemperanti espressioni, spesso mutuate dallo spirito del
mondo; ciò non sarebbe conforme alla definizione storica e allo
spirito autentico del Concilio, quale lo presagì Papa Giovanni
XXIII. Il Concilio tanto vale quanto continua la vita della
Chiesa; esso non la interrompe, non la deforma, non la inventa; ma
la conferma, la sviluppa, la perfeziona, la «aggiorna».
RICCHEZZA DI INSEGNAMENTI
E PROVVIDENZIALE FECONDITÀ
RINNOVATRICE
E altro errore, contrario alla fedeltà che dobbiamo al Concilio,
sarebbe quello di disconoscere l’immensa ricchezza di insegnamenti e la
provvidenziale fecondità rinnovatrice che dal Concilio stesso ci
viene. Volentieri dobbiamo attribuire ad esso virtù di principio,
piuttosto che compito di conclusione; perché, se è vero ch’esso
storicamente e materialmente si pone come epilogo complementare e logico
del Concilio Ecumenico Vaticano Primo, in realtà esso rappresenta
altresì un atto nuovo e originale di coscienza e di vita della Chiesa
di Dio; atto che apre alla Chiesa stessa, per il suo interno
sviluppo, per i rapporti con i Fratelli tuttora da noi disgiunti, per
le relazioni con i seguaci d’altre religioni, col mondo moderno quel
è, - magnifico e complesso, formidabile e tormentato -, nuovi e
meravigliosi sentieri.
Ed è questa avvertenza della Chiesa viva che ci richiama in questa
circostanza, ad un altro dovere verso il Concilio, quello della
nostra interiore e personale riforma mediante la quale la professione
della religione cristiana, a cui tutto il Concilio si riferisce,
diventa per ogni singolo fedele una sincera ragione di vita, diventa un
ritorno al Vangelo, diventa un incontro con Cristo, diventa un
combattimento per la santità.
Ed eccoCi allora con voi, Religiose qui presenti, Nostre dilette
figlie in Cristo. Voi Ci documentate, con la vostra vita ed oggi,
qui, con la vostra assistenza, che vi sono anime nella Chiesa di
Dio, le quali, al suo invito di fare della vita presente un perpetuo
tirocinio alla santità, a cui appunto il Concilio esorta il Popolo
di Dio, rispondono un sì totale, un sì assoluto, un sì
definitivo; anime perciò che realizzano, tendenzialmente almeno, una
pienezza di sapienza, di generosità, di carità, che illumina, che
edifica, che conforta, che purifica, che santifica tutta la comunità
ecclesiale.
SALUTO ALLE ANIME
CONSACRATE AL SERVIZIO GENEROSO DEL
SIGNORE
Beate voi, figlie in Cristo carissime, che tale posizione, tale
missione avete assunto nella Chiesa. Voi, le seguaci umili ed
ardite, che tutto avete osato per seguire, come le donne del
Vangelo, i passi frettolosi e ardimentosi di Cristo; voi, le
generose, che non solo le vostre cose, i vostri nomi e i vostri
servizi gli avete offerto, ma i vostri cuori, le vostre vite; voi,
le vergini consacrate, che S. Ambrogio chiama «piae hostias
castitatis», vittime della pia castità (Exhortatio virginitatis,
94), e dell’amore avete fatto pieno a Cristo olocausto; voi, le
piissime, le oranti, le silenziose, le contemplative, non mai tarde
a pregare e ad intessere con Gesù l’interiore colloquio; voi, le
ancelle sollecite, voi, le api «argumentosae», instancabili ad ogni
cura, ad ogni assistenza, ad ogni umana e cristiana pietà, ad ogni
fatica scolastica e ospedaliera; voi, le discepole e le apostole,
docili, sagge e forti, che vediamo presenti e operanti dove Cristo è
predicato, nelle attività benefiche ed apostoliche, nelle
parrocchie, nelle missioni; voi, perciò quasi le ultime, e voi
perciò quasi le prime nella comunità ecclesiale, siate salutate,
siate benedette. Cantando oggi alla Madonna, la benedetta fra voi
tutte, le acclamazioni bibliche: «Tu gloria Ierusalem, tu laetitia
Israel, tu honorificentia populi nostri»; sembra a Noi di veder
scendere su di voi stesse queste lodi, come se il manto di Maria tutte
vi coprisse della sua bontà, della sua bellezza, della sua dignità,
della sua santità. Siate tutte salutate, siate benedette!
Né la candida visione di questo giardino di anime fedeli distoglie dal
Nostro spirito un altro pensiero, il pensiero del mondo, che ci
circonda e di cui tutti facciamo parte. Due circostanze specialmente
ravvivano in Noi questo pensiero: il Natale che viene, e la guerra,
che in un angolo remoto del mondo, ma per tutto il mondo dolorosa e
minacciosa, la guerra che continua. Come sono incompatibili questi
due termini, questi due fatti: il Natale e la guerra!
LA PACE VERA PORTATA DA CRISTO
È OPERA DELLA GIUSTIZIA
Noi non possiamo dimenticare, in questo momento ed in questo luogo,
che i Padri del Concilio, sul punto di lasciare Roma, dopo anni di
preghiera e di studio, hanno desiderato di rivolgere un rispettoso
saluto ed una parola anche a «coloro che sono i depositari del potere
temporale» per invitarli ad essere promotori dell’ordine e della
pace, chiedendo loro, in pari tempo, per la Chiesa, la libertà di
diffondere «ovunque e senza ostacoli» la, «buona novella di
Cristo». Questo Messaggio evangelico, «in armonia con le
aspirazioni e gli ideali più elevati del genere umano, risplende in
questa nostra epoca di rinnovato fulgore, poiché esso proclama beati i
promotori della pace, perché saranno chiamati figli di Dio»
(Gaudium et Spes, 77 Pass.). Ma la pace, la pace vera che
Cristo ha portato al mondo - «Pacem relinquo vobis, pacem meam do
vobis» (Io. 14, 27) - è opera della giustizia. Essa è
ancora - proclama il Concilio Vaticano II rifacendosi alla
definizione di S. Agostino - frutto di quell’ordine che è stato
impresso nell’umana società dal suo stesso Creatore, e che potrà
essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia
sempre più perfetta, fondata nella decisa volontà di rispettare la
libertà e la dignità dei popoli e degli individui (Gaudium et
Spes, 78). Quanto a Noi, chiamati da Cristo a governare la sua
Chiesa, fin dall’inizio del Nostro apostolico ministero, nulla
abbiamo trascurato per sostenere e promuovere, nella misura delle
Nostre possibilità, la causa della pace, e per invitare
insistentemente a comporre dissidi e divergenze tra le nazioni mediante
sincere e leali trattative, senza che alcun indebito egoismo nazionale
ed alcuna ambizione di supremazia abbia a prevalere, mentre profondo
rispetto è dovuto a tutta la umanità, avviata ormai così
laboriosamente verso una maggiore unità.
Era perciò Nostra intenzione profittare di questa ricorrenza per
rinnovare il Nostro invito ad entrambe le parti contendenti a deporre
le armi, almeno durante le feste natalizie, restituendo ad esse il
senso morale e religioso che esse hanno e devono avere ormai
universalmente nella coscienza dell’umanità.
Ma siamo stati prevenuti, felicemente prevenuti, come voi tutti
sapete. La tregua d’armi nel Vietnam, da una parte e dall’altra,
è già stata annunciata! La Nostra voce, tante volte piangente e
implorante, si fa esultante e riconoscente. Noi vogliamo gridare il
Nostro plauso, il Nostro ringraziamento. Sentiamo d’interpretare
il sentimento del mondo. Mandiamo ai Capi responsabili, che hanno il
merito di questo atto pio e cavalleresco, l’espressione
dell’universale compiacenza.
LA PROSSIMA TREGUA NEL VIETNAM
SI TRASFORMI IN ARMISTIZIO E QUINDI IN
LEALI TRATTATIVE
Tuttavia questa temporanea sospensione non soddisfa del tutto l’attesa
dell’umanità, perché essa è breve, perché è passeggera, perché
lascia intravedere, con maggiore rammarico, la ripresa delle
ostilità. Ci sia pertanto concesso di augurare che la tregua si
trasformi in armistizio, che l’armistizio offra l’opportunità a
leali trattative e che queste conducono alla pace. Più che augurare:
chiedere, supplicare. Se, come è annunciato, dopo la tregua
natalizia un’altra poco dopo sarà parimente concessa, perché non
saldare da entrambe le parti in conflitto l’una tregua con l’altra,
in un solo spazio continuato di tempo, in modo che possano essere
esplorate nuove vie per un’intesa onorifica e risolutiva del
conflitto?
Noi sappiamo che a questa ipotesi non manca il suffragio di uomini
autorevoli; perché non dovrebbe essa raccogliere l’adesione di
tutti? Quanto ciò sarebbe meritorio e glorioso per tutti,
altrettanto sarebbe grave di responsabilità e di pericoli perdere la
buona occasione per superare questo doloroso episodio della storia
contemporanea.
Non permetta il Signore che cada nel vuoto il Nostro invito, a cui
fanno eco l’ansia, le aspirazioni ed i voti dei fratelli cristiani,
da Noi separati, i quali, come tutti i fedeli cattolici, auspicano
per il diletto popolo vietnamita il ritorno alla tranquillità ed
all’ordine.
Per questo, dilette figlie, vi invitiamo ad elevare con Noi nuove
suppliche, perché il Signore datore di ogni bene ispiri nelle menti
dei governanti saggi pensieri e propositi di pace, e dia loro la forza
di seguire con coraggio la via che porterà al raggiungimento della
pace.
E perché la nostra preghiera sia più efficace, affidiamola alla
Vergine Immacolata, Madre di Dio e degli uomini, e Regina della
pace. Ella, che è «segno di sicura speranza e di consolazione per
il Popolo di Dio fino a quando verrà il giorno del Signore»
(Lumen Gentium, VIII, 68), interceda presso il Trono del
Figlio suo e ci ottenga che tutti i popoli della terra, nella
giustizia, nella libertà e nella pace, formino una sola famiglia,
quale è nei disegni del Padre di tutte le genti.
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