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Festa della Presentazione di Gesù al Tempio
Venerdì, 2 febbraio 1973
Occursus, in latino, Ypapanté, in greco, era chiamata nella
primitiva Chiesa orientale questa festività; e il nome voleva
significare l’incontro, il fatto cioè dell’incontro di Gesù
bambino, portato al Tempio di Gerusalemme dopo quaranta giorni dalla
sua nascita, secondo la legge mosaica, per essere ivi offerto a Dio,
come o Lui appartenente: sappiamo tutti che nello svolgimento di
questo rito legale e religioso avvenne l’incontro con i! vecchio
Simeone, che, invaso dallo Spirito Santo, riconobbe in Gesù il
Messia e lo proclamò «Luce per illuminare le nazioni»; e subito
dopo avvenne anche l’incontro con la veneranda profetessa Anna,
ottantaquattrenne, la quale parimente «si mise a lodare il Signore e
a parlare del bambino a quanti in Gerusalemme aspettavano la
redenzione» (Luc. 2, 38). Un incontro messianico dunque, che
prende significato profetico e voce storica, e che inaugura
pubblicamente, proprio nel luogo sacro al culto dell’unico e vero
Dio, e alla coscienza del Popolo eletto circa i suoi misteriosi
destini, l’era di Cristo.
Ebbene, cominciamo la nostra pia cerimonia dando all’incontro, che
qui ci riunisce, il significato religioso e spirituale che riflette,
sotto certi aspetti, quello che oggi la liturgia ci fa commemorare.
Voi qua venite per compiere un atto di riconoscimento della missione
affidata alla nostra umile persona per realizzare e continuare nel tempo
quella di Gesù, il Cristo, luce e salvezza del mondo. È un
incontro che esprime principalmente due vostri sentimenti, di fede
l’uno, di fede in Cristo, nel suo Vangelo e nella sua Chiesa; di
aperta adesione, di filiale ossequio l’altro al Papa, al vostro
Vescovo, all’apostolo Pietro, a cui il Signore affidò le chiavi,
cioè la potestà del regno dei cieli, ed insieme la funzione pastorale
su tutta la Chiesa. Coscienti dei nostri limiti umani, noi saremmo
tentati di fuggire a questo incontro, ma l’investitura, a noi
pervenuta per legittima successione, dell’ufficio apostolico non ce lo
consente, anzi essa ci fa grave e dolce obbligo di accoglierlo con
tutto il cuore. Sì, benedetto sia questo incontro che ci offre la
gradita occasione d’avere d’intorno a noi un’assemblea così piena,
così varia, così devota, come quella che ora ci circonda, e che noi
stessi abbiamo voluta accurata-mente predisposta, in questa
monumentale e piissima Basilica, non per nostro, ma per vostro
onore, carissimi e venerati figli. L’incontro dice unità, dice
armonia, dice amicizia, dice coscienza della società gerarchica ed
organica ed insieme religiosa e spirituale, che insieme componiamo,
amiamo e serviamo. L’incontro dice Chiesa, e qui Chiesa Romana,
Chiesa apostolica. Ora a noi questa comune consapevolezza, resa
attuale e quasi sperimentale per il duplice fatto della presenza di
rappresentanze di tanti corpi ecclesiali, viventi nella stessa città,
ma non facili a confluire nel medesimo luogo e nella medesima
cerimonia; e per il fatto che ciascuna di codeste rappresentanze viene
recando l’offerta d’un suo cero, simbolo ricco di molteplici
significati e fra essi primo quello del vincolo cordiale, onde ogni
istituzione rappresentata vuole essere nella fede e nella carità a noi
collegata, reca profondo gaudio spirituale: celebriamo Cristo
insieme: per Lui e con Lui celebriamo la Chiesa. Quale altra cosa
può più vivamente rallegrarci e confortarci?
Ora noi pensiamo sovente che quel grande avvenimento, di cui il nostro
secolo andrà memorabile, il Concilio ecumenico testé concluso,
doveva servire, nelle intenzioni della divina Provvidenza, a
ravvivare, ad approfondire, ad armonizzare quel senso della Chiesa,
che le dottrine conciliari hanno nutrito di splendidi temi, e che
l’evoluzione dei tempi reclama più che mai limpido e forte; siamo
perciò pieni di letizia e di fiducia quando abbiamo del «senso della
Chiesa» qualche pur rapida e particolare quasi sensibile esperienza.
Quanto ci piace e ci commuove gustare ora con voi la comunione
ecclesiale della nostra diocesi! Come ci è facile supporre che gli
Apostoli, suoi fondatori, che i suoi martiri ed i suoi Santi, con
la Madonna Santissima, salus Populi Romani, ci assistano in questo
momento d’incontro spirituale, tanto espressivo; anzi pensare al
mistero della segreta presenza fra noi di Cristo stesso, il Quale ha
promesso di trovarsi in mezzo a quelli che sono congregati nel suo nome
(Matth. 18, 20).
Non possiamo omettere di rilevare una circostanza, che caratterizza
questa cerimonia, e che le conferisce una splendida nota di pietà e di
solennità. Vedete chi ha la parte maggiore e migliore quest’oggi
nella basilica? sono le religiose, sono le nostre suore, sono le
vergini e le vedove, consacrate al Signore, dimoranti Q Roma e
facenti parte della nostra comunità. Salute a voi, figlie in
Cristo, carissime! Voi benedette, che avete accolto il nostro
invito a questo incontro, che, come dicevamo, vuole raccoglierci
intorno al mistero messianico della presentazione di Gesù bambino al
Tempio ed esprimere così la rete di legami spirituali e canonici, che
dà forma e consistenza all’unità religiosa e sociale nella Chiesa di
Roma. Perché abbiamo voluto che in questa assemblea le religiose
«romane» (così le qualifica la loro permanenza, o anche il loro
temporaneo soggiorno nella nostra diocesi) abbiano oggi un posto
distinto? Oh! per molti motivi ! fra i quali eccone alcuni.
Vogliamo che la comunità diocesana abbia una volta occasione di
dimostrare di quale stima e di quale affezione essa circondi queste
elette sue figlie, umili e forti. Esse non sono «emarginate», no;
sono i fiori del suo giardino. Vogliamo che lo stile della loro
evangelica testificatio, della loro testimonianza evangelica sia
onorato e rivendicato dinanzi alla svalutazione laicista, che vorrebbe
secolarizzare anche le anime più ardenti e più fedeli della sequela di
Cristo. Vogliamo che una risvegliata generosa sensibilità della
comunità dei fedeli non dimentichi le necessità delle religiose più
povere e prive spesso dei mezzi di sussistenza. Vogliamo che la
tradizione ascetica, contemplativa, ovvero attiva, della vita
religiosa sia da tutti, dalla comunità ecclesiale specialmente,
riconosciuta valida ed attuale, restaurata come dev’essere secondo lo
spirito del recente Concilio, e secondo le norme suggerite dai
documenti di questa Sede apostolica, anzi in conformità allo sforzo
rinnovatore che le singole famiglie religiose hanno saputo imprimere
alle proprie consuetudini, alle volte stanche e puramente formali,
mediante le sagge revisioni dei loro statuti, studiate e compiute nei
loro recenti capitoli generali. Vogliamo che le vocazioni specifiche,
che qualificano gli Istituti religiosi, quali la preghiera e la
penitenza, l’isolamento e il silenzio in vista d’un più intenso
assorbimento interiore nella ricerca della conversazione con Dio,
ovvero l’infaticabile dono di sé nell’ardua e provvida attività
scolastica, o nell’esperta assistenza agli infermi o ai varii bisogni
sociali, oppure in ordine alle missioni cattoliche, e secondo il genio
inventivo della loro pietà e della loro carità, siano onorevolmente e
organicamente inserite, forse anche mediante una qualche sacra
iniziazione, nella compagine ecclesiale. Vogliamo poi promuovere e
perfezionare l’assegnazione delle religiose, che ne abbiano il gusto e
la preparazione, alla cooperazione nel ministero pastorale,
specialmente dove sia scarsezza di clero, o nelle parrocchie impegnate
all’assistenza religiosa e morale dei quartieri popolari e delle
borgate di periferia, o delle desolate campagne.
Le vogliamo insieme con la Chiesa orante, insegnante, operante,
sofferente, evangelizzante, queste nostre figlie generose e
coraggiose, queste nostre sorelle pie e laboriose, queste donne ornate
di semplicità e di dignità, esemplari sempre, e, secondo
l’appellativo attribuito ai membri sinceri delle primitive comunità
cristiane, sante!
Oh! sì! figlie predilette della santa Chiesa, lasciate che lo
spirito di comunione, di cui essa vive, entri nelle vostre case,
oltre i cancelli delle vostre clausure, entri nelle vostre anime, e
infonda il respiro del rinnovamento voluto dal Concilio ecumenico, e
dia anche a voi, anzi a voi specialmente, la visione dei grandi
disegni divini che attraversano l’umanità e ne segnano i destini in
ordine alla sua salvezza soprannaturale ed escatologica, così come a
noi presentano i nostri doveri e le nostre risorse per l’aiuto
necessario alla elevazione, alla concordia e alla pace del mondo.
Ecco che voi, beatissime figlie, non meno che gli ecclesiastici ed i
laici, avete compreso, e, seguendo sul sentiero evangelico i passi
della Madonna, interpretato dal rito liturgico che stiamo celebrando,
venite verso l’altare portando anche voi il vostro dono simbolico, il
vostro cero. Voi ci fate pensare alla parabola delle vergini del
Vangelo di S. Matteo; ci ricordate i tanti significati che il
linguaggio rituale e spirituale attribuisce a questa pura e primitiva
sorgente di luce, il cero; e ci suggerite di raccomandare a voi stesse
di fare del cero il simbolo delle vostre stesse persone: per la sua
dirittura e la sua soavità, immagine d’innocenza e di purità; per
la sua funzione d’ardere e d’illuminare, a cui il cero è destinato,
realizzando in sé la definizione della vostra vita, tutta destinata
all’amore unico, ardente e totale, al Padre, per Cristo, nello
Spirito Santa, un amore-fuoco; un amore, che con la preghiera,
l’esempio, l’azione rischiara provvidenzialmente la stanza ed il
cammino della Chiesa e del mondo circostante; per la sua sorte
infine, quella di consumarsi in silenzio, come la vostra vita
nell’ormai irrevocabile dramma del vostro cuore consacrato: il
sacrificio, come Cristo sulla Croce, in una carità dolente e
felice, che non si spegnerà all’ultimo giorno, ma superstite
risplenderà perenne nell’incontro eterno con lo Sposo divino.
Per voi, per tutti i presenti, con affettuosa riconoscenza la nostra
Benedizione Apostolica.
L’annunzio della porpora cardinalizia al Pro Vicario di Roma
Al termine del sacro rito, il Santo Padre dà all’adunanza il
seguente annunzio, sottolineato con vive acclamazioni.
Noi crediamo di non turbare lo spirito di questa cerimonia anticipando
a voi una bella notizia. Di solito dicono che le religiose sono le
ultime a saperle. Questa volta siete le prime. Sarà tra poco
pubblicata la notizia che, invocando lo Spirito Santo, noi abbiamo
deliberato di aggregare al Collegio cardinalizio Monsignor Ugo
Poletti, Pro Vicario di Roma. E diamo a lui la benedizione che
egli, in nostra rappresentanza, avrà l’occasione, nell’esercizio
del suo ministero, di distribuire anche a tutte le vostre famiglie
religiose.
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