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CERIMONIA INAUGURALE NELLA BASILICA
VATICANA
Venerdì, 29 settembre 1967
Gratia vobis et pax a Deo Patre nostro et Domino Iesu Christo!
A voi il Nostro saluto, che con grande venerazione e grande letizia
vi accoglie, vi esprime la Nostra gioia di vedervi riuniti d’intorno
a Noi, e riconosce in voi i Fratelli scelti per rappresentare tutta
la Gerarchia della Chiesa Cattolica quali Pastori dell’intero
Popolo di Dio al Sinodo Episcopale, di cui ora inauguriamo la prima
riunione. Salute a voi, Fratelli carissimi: salute alle Chiese
donde provenite e di cui Ci portate con la vostra presenza e con la
vostra carità il segno magnifico dell’ineffabile comunione, che
misticamente e realmente compagina la santa Chiesa di Dio. E a voi
siano rese grazie per la voce, venerata ed eletta, che interpretando
il comune sentimento, ora dice a Noi la vostra devozione, la vostra
affezione, il vostro proposito di sempre concorde operare per la gloria
di Dio e per la salute del mondo: voce degna del Nostro plauso,
della Nostra riconoscenza; voce pari alla bontà dei vostri animi e
alla coscienza del vostro mandato; vi fa eco fin d’ora la Nostra
Benedizione.
NELLA LUCE SFOLGORANTE DEL «MYSTERIUM
FIDEI» E «MYSTERIUM CARITATIS»
Voi sapete che cosa noi stiamo facendo.
Noi abbiamo insieme celebrato il Sacrificio Eucaristico, che per
eccellenza è designato quale mysterium fidei e quale mysterium
cavitatis. Né può essere altrimenti chiamato il prodigio
sacramentale che attualizza fra noi, pellegrini nel tempo, la presenza
reale di Cristo nell’incruenta rappresentazione della sua immolazione
redentrice; nessuna scienza, che non sia la fede nella sua parola, ci
dà certezza di così eccelsa realtà; e nessuna spiegazione ci dà di
tanto dono qualche adeguata comprensione, se non la immensa carità di
Cristo che lo istituì e la umile carità nostra, che tenta di
corrispondervi nelle sue sconfinate implicazioni di amore unitivo e
diffusivo. È la Messa, questa celebrazione della nostra ricorrente
fortuna di poterci incontrare con Cristo, non solo per via di
memoria, di simbolo, di promessa, ma per via altresì e
principalmente di vera e viva comunione, se pur nascosta ed espressa
nei segni sacramentali; la nostra forza, il nostro alimento, la
nostra felicità, la nostra estasi, umile e beata che concede alla
nostra faticosa e concreta vicenda terrena di gustare un ineffabile
preludio della vita celeste; è il nostro misterioso incontro
quotidiano, nel segno della sua Croce, col Cristo glorioso alla
destra del Padre; è la forza operante di Cristo che compagina
nell’unità del suo Corpo Mistico quanti partecipano di Lui fatto
pane unico della moltitudine dei fedeli.
Perché, Fratelli, diciamo a voi queste cose, a voi pure ben note e
a voi pure carissime?
Perché a Noi pare che esse possano e debbano essere particolarmente
presenti nei nostri animi in una circostanza come questa, che tutti ci
invita ad una piena e vivace professione di fede e di carità.
LA MEMORIA CENTENARIA DEI SANTI
APOSTOLI PIETRO E PAOLO
Ci troviamo, come ci eravamo impegnati, a distanza di due anni dalla
fine del Concilio Ecumenico, di nuovo riuniti in questa aula
benedetta per un duplice scopo: per onorare con la oblazione della
nostra fede la memoria centenaria del martirio dei Santi Pietro e
Paolo, e per accendere la nostra carità in vista della felice
celebrazione della prima riunione del Sinodo dei Vescovi. Queste
nostre intenzioni non sono senza un evidente riferimento al Concilio
medesimo, del quale questo incontro d’un così cospicuo e autorevole
numero di Vescovi con l’umile Successore di San Pietro, se non
riveste la solennità e la potestà, fa tuttavia propri alcuni
principali propositi, primo fra questi il mantenimento e il
rinvigorimento della fede cattolica, la sua integrità, la sua forza,
il suo progresso, la sua coerenza dottrinale e storica, il suo
riconoscimento d’indispensabile principio della vita cristiana, causa
e ragion d’essere della Chiesa. Noi non possiamo dimenticare le
parole sacrosante con le quali il Nostro Predecessore di venerata
memoria Giovanni XXIII apriva il Concilio Ecumenico Vaticano
II e ne fissava l’altissimo impreteribile impegno:
«. . . Concilium Oecumenicum primum et vicesimum - quod efficaci
magnique aestimando auxilio utitur eorum, qui scientia sacrarum
disciplinarum, apostolatus exercendi resque recto ordine agendi
excellunt - integram, non imminutam, non detortam tradere vult
doctrinam catholicam, quae licet inter difficultates et contentiones,
veluti patrimonium commune hominum evasit. Hoc non omnibus quidem
gratum est, tamen cunctis qui bona voluntate sunt praediti, quasi
paratus thesaurus uberrimus proponitur . . . In praesenti oportet ut
universa doctrina christiana, nulla parte inde detracta, his
temporibus nostris ab omnibus accipiatur novo studio, mentibus serenis
atque pacatis, tradita accurata illa ratione verba concipiendi, et in
formam redigendi, quae ex actis Concilii Tridentini et Vaticani
primi praesertim elucet . . .» (A.A.S. LIV, 1962,
pp. 791-792).
SUPREMA GUIDA: LA FEDELTÀ DOTTRINALE
La sollecitudine della fedeltà dottrinale, che fu all’inizio del
recente Concilio, così solennemente enunciata, deve perciò guidare
questo nostro periodo post-conciliare, e con tanto maggiore vigilanza
da parte di chi nella Chiesa di Dio ha da Cristo il mandato
d’insegnare, di diffondere il suo messaggio e di custodire il
«deposito» della fede, quanto più numerosi e più gravi sono i
pericoli che oggi la minacciano, pericoli immani a causa
dell’orientamento irreligioso della mentalità moderna, e pericoli
insidiosi che dall’interno stesso della Chiesa si pronunciano per
opera di maestri e di scrittori, desiderosi, sì, di dare alla
dottrina cattolica nuova espressione, ma spesso maggiormente desiderosi
di adeguare il dogma della fede al pensiero ed al linguaggio profano,
che di attenersi alla norma del magistero ecclesiastico, lasciando
così libero corso all’opinione che, dimenticate le esigenze
dell’ortodossia, si possa scegliere fra le verità della fede quelle
che a giudizio d’un’istintiva preferenza personale sembrano
ammissibili, rifiutando le altre, quasi che si possano rivendicare i
diritti della coscienza morale, libera e responsabile dei suoi atti,
di fronte ai diritti della verità, primi fra tutti quelli della divina
Rivelazione (cf. Gal. 1, 6-9), e si possa sottoporre a
revisione il patrimonio dottrinale della Chiesa per dare al
cristianesimo nuove dimensioni ideologiche, ben diverse da quelle
teologiche, che la genuina tradizione, con immensa riverenza al
pensiero di Dio, delineò. La fede, come sappiamo, non è frutto
d’un’interpretazione arbitraria, o puramente naturalista della
Parola di Dio, come non è l’espressione religiosa nascente
dall’opinione collettiva, priva di guida autorizzata, di chi si dice
credente, né tanto meno l’acquiescenza alle correnti filosofiche o
sociologiche del momento storico transeunte. La fede è adesione di
tutto il nostro essere spirituale al messaggio meraviglioso e
misericordioso della salvezza a noi comunicato per le vie luminose e
segrete della Rivelazione; essa non è solo ricerca, ma innanzitutto
certezza; e più che frutto delle nostre indagini è dono misterioso
che vuole docili e disponibili per il grande dialogo di Dio che parla
le nostre anime attente e fiduciose.
L'ARCANO CARISMA E L'ESIGENTE IMPEGNO
DELLA FEDE
La tutela perciò della fede è parsa a Noi così imperiosa, dopo la
conclusione del Concilio, che abbiamo invitato la Chiesa intera a
celebrare un «Anno della Fede» in onore dei due Apostoli,
principali maestri, e testimoni del Vangelo di Cristo, per meditare
appunto sulla fede da loro a noi trasmessa, e per valutare, al
confronto delle contingenze della vita moderna, la funzione decisiva
che questa fondamentale virtù ha per la stabilità della nostra
religione, per la vitalità della Chiesa, per l’edificazione del
regno di Dio nelle anime, per il dialogo ecumenico, e per il contatto
autentico e rigeneratore, che i seguaci di Cristo intendono avere col
mondo contemporaneo. Vogliamo così confortare la nostra propria fede
di maestri, di testimoni, di pastori nella Chiesa di Dio, affinché
allo sguardo del suo unico sommo Capo, Cristo vivente e invisibile,
sia trovata umile, sincera e forte; vogliamo altresì confortare
quella di tutti i nostri figli, dei nostri studiosi di teologia e di
religione specialmente, affinché essi vogliano con una rinnovata e
vigilante coscienza della dottrina immutabile e certa della Chiesa
collaborare sapientemente alla promozione delle scienze sacre e al
mantenimento, nella luce e nella fecondità, del proposito inviolabile
della dottrina cattolica.
Per questo, venerati Fratelli, vi abbiamo invitati a celebrare con
Noi il mysterium fidei sulla tomba dell’Apostolo Pietro, e accanto
a Chi gli è indegno ma autentico Successore, e a sperimentare una
volta di più l’arcano e inebriante carisma della fede ed il suo
esigente e corroborante impegno.
Poi dal mysterium caritatis, irradiante dal Sacrificio eucaristico,
noi dobbiamo attingere lo spirito e quasi indovinare l’intima essenza
del secondo scopo (importantissimo per la sua novità e per i suoi
riflessi. sulla vita della Chiesa), che qui ci riunisce; vogliamo
dire l’apertura del Synodus Episcoporum.
Noi non parleremo ora di questa nuova istituzione; già ne abbiamo
detto la natura ed il fine nel Nostro «Motu proprio» del 15
settembre 1965 Apostolica sollicitudo (A.A.S. LVII,
1965, pp. 775-780), e avremo domani occasione di
aggiungere qualche cenno circa l’aspetto canonico dell’istituzione
stessa; qui ora Ci basta indicare quale ne sia la fonte spirituale
donde essa proviene; e quale il valore morale ch’essa vuole
rivestire. Al quale proposito Noi dicevamo doversi questo nuovo
organo del governo visibile della Chiesa riferire al Concilio testé
celebrato, come a suo principio prossimo: durante il Concilio fu da
Noi istituito e quasi dal Concilio fu generato. Nel Concilio
infatti è emerso il bisogno d’una maggiore comunione non soltanto in
essere, ma anche in azione dell’Episcopato cattolico, la cui
collegialità il Concilio mise in giusta evidenza nel disegno
costituzionale della Chiesa; come pure s’era già a Noi resa chiara
ed urgente la necessità di valerci in più larga e sistematica forma
della collaborazione e del consiglio dei Nostri Fratelli
nell’Episcopato per il governo pastorale della Chiesa stessa, forma
resa oggi praticamente più facile dallo sviluppo prodigioso dei mezzi
di trasporto.
Vuol essere pertanto un ministero di carità ecclesiale questo Synodus
Episcoporum; e che questo ministero di carità interno alla Chiesa
abbia il suo più vero e profondo principio nel mysterium caritatis,
con cui Ci piace indicare il Sacrificio eucaristico, Ci sembra
dimostrato dal fatto che nostro Signor Gesù Cristo pronunciò
proprio durante l’ultima sua cena pasquale le celebri parole, sintesi
del suo Vangelo: «Mandatum novum do vobis, ut diligatis invicem,
sicut dilexi vos, ut et vos ditigatis invicem. In hoc cognoscent
omnes quia discipuli mei estis, si dilectionem habueritis ad invicem»
(Io. 13, 34-35). Alle quali parole divine possiamo far
seguire, quasi a commento, quelle notissime e stupende dell’Apostolo
Paolo: «. . . unum corpus multi sumus, omnes qui de uno pane
participamus» (1 Cor. 10, 17).
DILATARE GLI ORIZZONTI E STRINGERE I
VINCOLI DELLA CARITÀ
Questo ci ricorda che la Chiesa è una comunione, una società
fondata sulla fede e sulla carità. Abbiamo detto della fede. Che
cosa diremo della carità, in ordine al tema che ora ci interessa?
Diremo essere opportuno ricordarci sempre che la carità - l’Amore,
ch’è da Dio, e che si diffonde nei cuori dei credenti e li abilita
ad amare come Cristo li ha amati - è principio costitutivo e vitale
della santa Chiesa, che non il sangue, non il territorio, non la
cultura, non la politica, non l’interesse compagina interiormente,
ma l’amore. E aggiungeremo una domanda: può questo amore aumentare
nella Chiesa di Dio? Rispondiamo subito, con tante reminiscenze
nell’animo delle alterne vicende di tale amore nella storia e nelle
istituzioni ecclesiastiche: sì, può aumentare; deve aumentare. La
Chiesa ha bisogno di amarsi interiormente, di amarsi di più;
diciamo: coloro che la compongono, e tanto più coloro che la
rappresentano e la guidano, devono sentirsi oggi maggiormente uniti fra
di loro da quell’imponderabile ma formidabile vincolo che e l’amore,
insegnato, comandato ed elargito da Cristo. Se fu detto
magnificamente «dilatentur spatia caritatis» (Aug., Sermo 69;
PL. V, 440), noi possiamo anche soggiungere: si restringano i
vincoli della carità.
Alle difficoltà d’ogni genere che la Chiesa incontra nel secolo
nostro, e all’impulso crescente ch’ella sente di doversi prodigare
per la dilatazione del regno di Dio e per il bene dell’umanità,
questo rimedio, questa forza deve dare la Chiesa a se stessa:
crescere nella dilezione, che cristiana la qualifica, e che fa dei
suoi membri «un Cuor solo ed un’anima sola» (Act. 4, 32).
E quale meraviglia, se così è, che coloro che come Vescovi sono
posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio (cf. Act.
20, 28) siano solleciti a lasciarsi vieppiù animare dalla carità
di Cristo e a dare alla professione della carità un nuovo modo di
esprimersi e di rivestirsi di una nuova forma istituzionale?
Questo vuol essere il Synodus Episcoporum. E così Dio ci aiuti a
renderlo nella pratica realtà quale vuol essere nell’intenzione e
nell’ispirazione, come dicevamo, ministero di carità derivante dal
mistero della carità.
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