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Sabato Santo, 9 aprile 1966
Nel rivolgersi ai Fratelli, ai figli e fedeli presenti, il Santo
Padre dichiara, anzitutto, che il Rito della Veglia Pasquale è
già di per sé tanto esteso e particolareggiato da non richiedere
commenti. Tuttavia, dovendo onorare, anche con un breve cenno
soltanto, la liturgia della Parola, Egli inviterà gli ascoltatori a
meditare sopra uno degli aspetti prevalenti, non l’unico, del Rito
medesimo, cioè il suo carattere vigiliare.
VIGILIA SACRA
È una vigilia quella che celebriamo; essa tocca pure la solennità di
cui è degna prefazione. Le grandi cose non avvengono mai
all’improvviso nella nostra storia umana. Non siamo mai così bravi
da comprendere tutto per via di intuito e senza la fatica di qualche
predisposizione voluta. La Quaresima, oggi terminata, è appunto il
ciclo preparatorio all’epilogo di quest’ora notturna, ricca d’una
forza ed intensità particolari.
La vigilia, e cioè l’attenzione ascetica, l’esercizio della nostra
volontà, l’impegno di tutte le nostre facoltà: memoria,
sentimenti, propositi, rivolge ogni elemento verso il punto più alto
del Mistero Pasquale. Questo aspetto ascetico diviene evidente per
il fatto che il Rito dovrebbe essere celebrato nel tempo destinato al
riposo, al sonno, durante la notte. Perciò è molto lungo. Deve
occupare tutte le ore che vanno dal tramonto all’alba, ed è frammisto
di letture, di canti e di preghiere, proprio per alternare, con la
diversità degli atti e riferimenti, la nostra attenzione e tenerla
vigile, desta e interessata. Lo sforzo per vincere il sonno assume in
questa notte uno spiccato aspetto penitenziale, e cioè di grande,
buona volontà, nel desiderio di andare al Mistero Pasquale preparati
con qualche sacrificio e rinunzia, con un raffronto fra ciò che ci è
abituale e caro e quel ch’è insolito e ancor più soave: l’incontro
con Cristo Risorto.
Alla preparazione ascetica si unisce quella della mente, interessata
alle lezioni, ai grandi quadri biblici che sono stati posti davanti a
noi con la lettura delle «profezie». Cosa vuol dire questo quadro,
questa sintesi della storia della salvezza, come oggi si dice, cioè
nel procedimento seguito da Dio nel concedersi a noi, in una
rivelazione graduale che ha avuto i momenti, i periodi, le stagioni,
gli istanti di luce e anche le pause, ma sempre con una coerenza, una
progressione che dalla comparsa dell’uomo sulla terra, l’antico
Adamo, giunge fino all’avvento di Gesù Cristo, il nuovo Adamo,
sintesi della lunga escursione divinamente predisposta per segnare la
storia della umanità?
IL SIGNORE E L'UOMO
È il fulcro della meditazione proposta durante la Santa Notte, la
quale ha il suo riflesso precipuo anche su come l’uomo, con tutte le
sue vicende ed alternative, con tutte le sue sconfitte e le vittorie;
con i suoi momenti di pienezza e altri di depressione; di fedeltà e di
infedeltà, abbia partecipato al dialogo proposto dal Signore. È la
storia spirituale del mondo, che ha poi il suo riscontro, si può dire
soggettivamente, nella piccola, ma per noi unica, interessante,
storia della nostra anima. Anche ciascuno di noi ha ricevuto graduali
rivelazioni.
Il Signore ha usato una pedagogia progressiva per noi e ci ha amati,
ci ha istruiti; e finalmente ecco la Pasqua in cui ancora Egli si
concede, ci viene incontro, e ci vuole idonei a ricordare degnamente
le preparazioni celesti e ad esaltare i grandi Misteri vitali.
Possiamo guardare in che cosa si riassuma tale celebrazione nel suo
significato finale. Abbiamo poco fa acceso il Cero pasquale, abbiamo
benedetto l’acqua del battesimo, e rinnovate le promesse battesimali:
infine prorompe l’Alleluja . . . Vediamo il contrasto notturno fra
le tenebre esteriori e la luce, fra la morte e la vita, fra il peccato
e la grazia, fra la beatitudine di chi è in contatto con la vita
stessa, Dio, e l’oscurità di chi non lo è. Ora questo dualismo,
in una parola, è il grande tema della Vigilia Pasquale.
CANTO SUBLIME
Chi ha seguito il canto dell’Exultet, che è forse il più lirico,
il più bello dei canti della liturgia cristiana, avrà sentito
echeggiare le parole e gli insegnamenti della primissima teologia,
quella di S. Paolo, che ha trovato nelle formule di Sant’Agostino
e di Sant’Ambrogio le sue espressioni più alte e più paradossali:
O felix culpa! Era necessario che l’uomo cadesse per avere un tanto
Redentore! Non sarebbe servito a nulla avere la vita naturale se non
ci fosse stata poi largita la vita soprannaturale. Il dualismo,
dunque, fra tenebre e luce, tra la vita e la morte, tra la storia di
Cristo che soffre e dà la vita per noi e quindi la riprende per
aprirci il cammino verso l’eternità. Tutto questo deve offrire alle
nostre anime argomento di riflessione e davvero colmare i nostri spiriti
di una moltitudine di pensieri, che riprendono il loro ordine risalendo
precisamente al dualismo del bene e del male, della grazia e del
peccato, della vita e della morte.
Ed ecco la conclusione da queste premesse: noi riconosciamo con
letizia e gratitudine di essere stati salvati. E cioè: tutta la
nostra storia, la nostra salvezza è guidata da un prodigio unico: la
misericordia di Dio, la quale gratuitamente ci redime per effondere in
noi la rivelazione suprema di ciò che Egli è: Bontà infinita.
Con indicibile amore ha voluto salvare l’umanità concedendosi senza
alcun limite, anche dopo che l’uomo avrebbe meritato ben altro; e
cioè la condanna, l’ira e la morte perpetua.
Il nostro inno alla bontà divina non toglie, anzi mette in rilievo,
quel che noi dobbiamo compiere per meritare la grazia del Signore.
Abbiamo poco fa rinnovato le promesse battesimali, cioè abbiamo
proclamato di voler porre a disposizione di Dio la nostra persona,
perché Egli agisca in noi, compia in noi la salvezza. Ed anche qui
Sant’Agostino, pare a Noi, ha la parola ardita, sintetica e
sublime che riassume tutto l’eccelso poema, benché spesso è in noi
un dramma continuo. Enuncia i due poli, due parole immense: una
riferita a Dio e si chiama misericordia; l’altra riferita all’uomo e
si chiama miseria. Nell’incontro di queste due entità - conclude il
Santo Padre -, e cioè della infinità di Dio che salva, e della
nostra povertà che ha bisogno di essere salvata, sta la Pasqua, la
risurrezione, la nostra gioia; e da ciò deriva il nostro impegno.
Sarà quello che porteremo nel cuore appunto come ricordo di questa
santa celebrazione.
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