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Signori e Figli carissimi!
Eccoci fra voi per celebrare la vostra Giornata! Come la
chiameremo? Il vostro programma vorrebbe chiamarla, come ogni anno,
la «Giornata del ringraziamento». Il titolo, certamente, è molto
bello, pieno di profondo significato spirituale, e per sé tanto
appropriato a questo momento dell’annata agricola giunta al suo
termine, e pronta a iniziare un suo nuovo ciclo. Ma il ringraziamento
suppone benessere e tranquillità, mentre ora noi tutti ci troviamo
nell’afflizione, che le alluvioni dei giorni scorsi hanno inflitto non
solo negli animi di quanti sono stati colpiti da così immane sciagura,
ma negli animi altresì di quanti si sentono fratelli, concittadini,
colleghi delle vittime e dei sofferenti per tanta calamità. Non
possiamo cancellare dal Nostro spirito le visioni terrificanti e
desolate di tante parti di questo Paese. Quali e quanti spettacoli di
rovina e di tristezza! e quale oscura prospettiva per l’inverno che
viene e per le stagioni successive incombe, per le zone colpite e in
non piccola misura, sulla comunità nazionale!
Chiameremo perciò questa Giornata con altri titoli? Giornata della
solidarietà e della comprensione? Sì. E profittiamo
dell’occasione che ci riunisce nell’affetto e nella preghiera per
mandare un pensiero, un pensiero pieno di compassione e di amicizia, a
tutte le città, a tutte le borgate, a tutte le case, a tutte le
persone, famiglie e comunità colpite da questa disgrazia; ma il
ricordo speciale vuol ora fermarsi sulle campagne devastate dalle
inondazioni: su i paesi rurali e montani, sulle borgate, le
fattorie, le cascine devastate dalle alluvioni; guardiamo con immensa
tristezza ai danni portati ai frutti di tante sudate ed oneste fatiche e
quasi travolti prima dalla furia e oppresse poi dal dominio delle
acque: case, strade, canali, impianti, coltivazioni, piantagioni,
orti e giardini, allevamenti, stal!e, pollame, bestiame,
macchine, scorte, . . . tutto travolto, tutto sepolto! E le
persone? Care famiglie rurali, ottimi coltivatori e contadini, brave
massaie, vecchi fedeli e giovani animosi, fanciulli fiorenti nel
quadro vivo della natura, voi agricoltori tutti e voi tutte popolazioni
delle campagne e delle montagne: oh! non rifiutate il Nostro fraterno
saluto! ve lo mandiamo sulle ali dello spirito che ama e che prega!
Perché questa Giornata, proprio per la sventura e per la sofferenza
che la qualifica, si chiamerà quest’anno per noi la Giornata della
fraternità per tutta la gente rurale! Vediamo con compiacenza che
questo sentimento non è nuovo, non è estraneo a voi, agricoltori,
coltivatori e lavoratori dei campi qua convenuti. E le circostanze in
cui ci troviamo ci offrono l’opportunità per riaffermare il sentimento
di fraternità, che deve collegare tutta la varia ed immensa categoria
delle popolazioni agricole. Dovrà essere approfondito codesto
sentimento, dovrà essere confermato codesto proposito di fraternità;
dovrà essere autenticato dalle radici di cui dev’essere alimentato:
la radice della patria comune, la radice del lavoro comune, la radice
della fede comune!
E allora la Giornata può assumere anche un altro nome: la Giornata
della promessa! Una nuova promessa deve saldare i vincoli della vostra
unione spirituale e professionale: quella di ridare all’agricoltura
quanto le spetta nel concerto dell’intera società. Se la sua
funzione è primordiale ed insostituibile, se la sua attività incontra
nella vita umana tanta naturale rispondenza, se i suoi quadri sono
suscettibili di ogni moderno rinnovamento: il prestigio, il profitto,
il livello sociale, la formazione culturale, l’influsso sulla vita
pubblica devono essere riconquistati all’agricoltura! Anche su questo
punto vediamo con soddisfazione quanto è stato fatto, e quanto si vuol
fare; e non possiamo tacere anche il Nostro personale riconoscimento
ed il Nostro incoraggiamento per gli sforzi che da ogni parte sono
rivolti per lo sviluppo moderno dell’agricoltura; ma sappiamo che per
conseguire gli scopi di tali sforzi è necessario il concorso della
gente stessa dei campi! È necessaria la loro fedeltà e la loro stima
per scelta professionale qualificante; è necessaria la loro unione;
è necessaria la loro rispondenza ai programmi di elevazione culturale
indispensabili per fare uscire l’agricoltura dalla sua atavica ed
empirica immobilità e per innestarvi le nuove forme di lavoro, di
strumentazione e di amministrazione; è necessaria, in una parola la
vostra coraggiosa perseveranza in quanto già state facendo con le
vostre associazioni. La vostra promessa dovrà diventare più
cosciente e più operante, proprio per apportare all’agricoltura
devastata dalle presenti rovine una nuova e sollecita rinascita. La
natura, che oggi s’è mostrata nemica e crudele, ritornerà presto
tranquilla e feconda; la terra ancora una volta attende il vostro
aratro e la vostra fatica; la primavera non sarà lontana e la messe
non mancherà. Abbiate fiducia!
Ed ecco, a questo punto, risorgere un pensiero, che vi è abituale,
e che proprio doveva avere in questa Giornata il posto d’onore; il
pensiero della fede. La coltivazione dei campi ha questo di
caratteristico e di nobile; vorremmo quasi dire di filosofico e di
misterioso: essa obbliga all’impiego di tutte le forze e di tutte le
abilità dell’uomo, del coltivatore; ma essa gli ricorda ad ogni
istante che un altro lavoro deve fondersi col suo, il lavoro della
natura. Uomo e natura sono i due fattori della produzione agraria. E
la natura, che cos’è? questo mondo a noi esteriore e con noi
compenetrato, questa vita che cos’è? La domanda, che sempre
insiste nell’opera e nell’animo del bravo ed intelligente
agricoltore, si risolve nell’osservazione dell’insufficienza
dell’opera umana e nell’osservazione d’una causalità,
meravigliosa, che deve venire in collaborazione con l’opera umana: e
queste due osservazioni, che sono alla base della saggezza rurale,
stimolano facilmente l’animo dell’uomo ad uno sforzo di salita, pure
connaturale allo spirito umano; di salita a Dio; ad un atto
religioso. Qui la nostra educazione cristiana ci viene in aiuto, e
subito dà a tale atto religioso la sua espressione; la sua fede e la
sua preghiera. Non è veto che voi sapete tutto questo?
E allora: se vogliamo dare nuovo impulso all’attività agricola, non
è forse logico e bello che vi sia una «giornata» in cui ci ricordiamo
di questa concezione del nostro mondo, della nostra fatica, e della
nostra vita, in cui cioè alziamo la fronte sudata dalla terra e la
volgiamo al cielo? e non è forse questa la giornata per tale atto,
così semplice, così grave, così umano, così cristiano? non
potremo dunque chiamare questa giornata la «Giornata
dell’invocazione»? la giornata della preghiera? la giornata di Dio
e della fede? e se siamo capaci di fare questo, non possiede già la
nostra vita una grande fortuna? Quella di sapere scoprire nelle cose
della natura una Mano creatrice e dispositrice. Quella di saper
vedere nella nostra vita un dramma a due: noi e Dio. Quella di saper
trovare in ogni contingenza del nostro cammino terreno uno stimolo al
bene, un invito alla virtù, una possibilità di diventare migliori,
un’occasione di servire e di amare. Quella, e voi la conoscete, di
saper trarre dalle prove di questa vita, lezioni di bontà e di
sapienza.
Se così è, se cioè noi possediamo questa fortuna, non è forse
questo il momento, proprio perché tanto penoso e pensoso, di
ringraziare Iddio che ci ha dato la fortuna anche nella sventura di
credere e di amare? non dovremo ringraziarlo che fra tante prove Egli
ci risparmia quella della disperazione; che anzi sempre con la speranza
ci consola e ci sorregge?
Chiameremo perciò ancora questa la «Giornata del ringraziamento» e
faremo ancora di essa la felice conclusione del vostro annuale lavoro,
l’inizio del vostro annuale lavoro: reso oggi più unito, più
forte, più fiducioso; con la Nostra Benedizione Apostolica.
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