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18 maggio 1975
Venerati Fratelli, Figli dilettissimi,
Parlare della Pentecoste! Due sentimenti, spontaneamente contrari,
si agitano nell'animo di chi si propone di aprire le labbra su tema di
tale natura e di tale importanza; il primo è quello paralizzante di
trepidazione, che la Bibbia attribuisce a Geremia, il giovane
predestinato, a cui il Signore comunica l'ordine d'essere profeta
alle genti, e che la nostra Volgata dalla voce balbettante di lui
traduce così: «ah! ah! ah! Signore Iddio, ecco ch'io non so
parlare» (Ier. 1, 6), tanto questo tema sale al livello del
sublime, e raggiunge l'ineffabile; si preferirebbe contemplare in
assorto silenzio il mistero della Pentecoste. L'altro sentimento
invece è quello d'un esuberante entusiasmo, quale erompe dal petto di
Pietro, ormai da discepolo in funzione di apostolo con gli altri
undici, il quale nell'ora dell'avvenimento strepitoso grida:
«Uomini, ascoltate; ciò che ora accade è quello che fu predetto
dal profeta Joele: e avverrà, dice il Signore, che Io negli
ultimi giorni manderò del mio Spirito su ogni carne, e i vostri figli
e le vostre figlie profeteranno, e i vostri giovani avranno delle
visioni e i vostri vecchi avranno dei sogni. Sì, in quei giorni,
sui miei servi e sulle mie serve, diffonderò del mio Spirito e
profeteranno . . . » (Act. 2, 14-18).
E indubbiamente questo secondo sentimento prevale e trascina il primo
con sé, per dare alla Chiesa, al mondo l'annuncio del grande
evento, rivelatore innanzi tutto della Vita intima di Dio, unico
nell'Essere, trino nelle Persone, com'era già stato predetto da
Cristo: «Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro
Paraclito, affinché rimanga in eterno con voi, lo Spirito di
verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede, né lo
conosce; ma voi lo conoscerete, perché dimorerà in voi e sarà in
voi» (Io. 14, 16-17). Così che, Fratelli e Figli, il
discorso di Pentecoste, vogliamo dire, la dottrina, la teologia, la
scienza della suprema Realtà religiosa, il mistero stesso della
Vita, infinitamente trascendente, di Dio, ci è oggi proposto, e
non lo potremo mai più dimenticare, anche se la capienza del nostro
pensiero ne rimane, al tempo stesso, inondata e sopraffatta. Sì,
è difficile, anzi impossibile ai nostri occhi fissare il sole; essi
ne restano abbagliati, bruciati; ma sta il fatto che nulla noi potremo
con questi medesimi occhi vedere, se l'oggetto del nostro sguardo non
sia illuminato dal sole.
Dio è il nostro sole. E la sua diretta fulgurazione ci ha rivelato
che le Relazioni intrinseche alla sua sovrana esistenza sono Persone,
le tre divine Persone; e che il Padre, eterno primo principio,
genera il proprio Pensiero, il Verbo, il Figlio eterno, ch'Egli
mandò al nostro mondo, affinché vestito della nostra umanità si
chiamasse Gesù e ne vivesse il dramma salvifico; e poi lo Spirito
anch'Egli divina Persona procedente come Amore dall'infinita
compiacenza e beatitudine tra il Padre e il Figlio, fu pure mandato
al mondo a compiere, a dilatare l'opera del Figlio, cioè di
Cristo: ecco la Pentecoste, momento di pienezza e sorgente della
forma istituzionale di questa opera divinizzante e salvatrice, ecco la
Chiesa, «sacramento o segno e strumento dell'intima unione con
Dio», come afferma il recente Concilio (Lumen Gentium, 1),
indicando così il primo effetto trascendente e il primo aspetto
soprannaturale del nuovo e diretto rapporto, che Dio ha voluto
instaurare con l'umile e sublime sua creatura, ch'è l'uomo, che
siamo noi; e poi, continua la lezione del Concilio, ancora
riferendosi alla Chiesa ne estende la definizione di «sacramento o
segno e strumento dell'unità di tutto il genere umano».
Perciò noi fissiamo questo cardine di tutto il sistema religioso e
teologico, che definisce le vere, le autentiche, le necessarie
relazioni dell'umanità con la divinità: esse si realizzano ora nello
Spirito Santo. «In verità, in verità ti dico, insegna Gesù a
Nicodemo, se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito Santa non
può entrare nel regno di Dio» (Io. 3, 5). Dopo un simile
discorso noi oggi vorremmo non solo possedere subito lo Spirito
Santo, ma sperimentare gli effetti sensibili e prodigiosi di questa
meravigliosa presenza dello Spirito Santo dentro di noi. Perché
sappiamo che lo Spirito è luce, è forza, è carisma, è infusione
d'una vitalità superiore, è capacità di oltrepassare i limiti
dell'attività naturale, è ricchezza di virtù soprannaturali,
ricchezza di doni, i celebri sette doni, che rendono pronto ed agile
l'operare dello Spirito Santo coordinato al complesso sistema
psicologico umano, e ricchezza di frutti spirituali che adornano di
bellezza il fecondo giardino della cristiana esperienza (Cfr. Gal.
5, 22-23).
Ma noi ora, annunciando il mistero di Pentecoste, sostiamo sulle sue
soglie: come, come possiamo a noi procurarlo? Anche questa fase
dell'avvenimento pentecostale merita e basta per ora alla nostra
presente riflessione. La preparazione non è superflua anche se il
grande Dono dello Spirito è gratuito, e può in noi trasfondersi con
l'impeto del suo vento e con l'improvvisa accensione del suo fuoco,
come accadde in quel giorno unico e storico della nostra prima
Pentecoste. Anch'esso del resto, quel giorno prodigioso, ebbe la
sua preparazione. Preparazione del silenzio interiore, in cui la
coscienza ha maturato la sua conversione, la sua purificazione, la sua
metánoia. Noi moderni siamo troppo estroflessi, viviamo fuori di
casa nostra, e forse, come ebbe a dire un noto filosofo, uscendo di
casa noi abbiamo perduto la chiave per rientrarvi. L'incontro con lo
Spirito Santo e santificante, se pur sparge le sue tracce dappertutto
nella scena delle cose esteriori («niente è senza voce» (Cfr. 1
Cor. 14, 10) per chi sa ascoltare), avviene nel segreto del
cuore, dov'è custodita la parola del Signore (Cfr. Io. 14,
23), là dove l'uomo è se stesso, nella solitudine della sua
personalità.
Per questo gli apostoli, prima del grande giorno, erano «insieme
perseveranti nell'orazione . . . con Maria, Madre di Gesù»
(Act. 1, 14): è il primo, fortunatissimo ritiro spirituale.
Al silenzio perciò si unisce la preghiera, che nell'espressione
tradizionale della Chiesa si pronuncia con un'implorazione ben nota,
d'invocazione, di desiderio: vieni! vieni, o Spirito creatore!
vieni, o Spirito Santo! E il miracolo si compie, per noi nel
momento sacramentale della giustificazione, la remissione dei nostri
peccati, lo sappiamo, mediante la confessione, che risuscita l'anima
sollevandola allo stato di convivenza con la vita divina (Cfr. 2
Petr. 1, 4), stato questo che chiamiamo di grazia sì,
ineffabile grazia, stato che ci dovrebbe essere più caro, come
c'insegnano i Santi, della stessa vita naturale, perché vale per
essa e vale più di essa; è uno stato infatti di vita soprannaturale,
a cui di per sé è assicurata la pienezza e la beatitudine della vita
eterna.
A questo punto la preparazione già sfocia nel compimento del mistero
pentecostale: lo Spirito Santo, cioè Dio Amore, vive
nell'anima, e l'anima subito si sente invasa da un improvviso bisogno
di abbandonarsi ,all'Amore, un super-Amore; e si sente insieme
quasi sorpresa da un insolito coraggio, il coraggio proprio di chi è
felice e di chi è sicuro; il coraggio di parlare, di cantare, di
annunciare agli altri, a tutti «le cose grandi di Dio» (Act. 2,
11). Ecco scoppiare il miracolo delle lingue, che per noi
lontani, ma non pigri eredi di tanto prodigio, si traduce nella
facilità e nella felicità della testimonianza, a tutti, per tutti,
in uno sconfinato raggio di apostolato. Non solo di ministero, ma di
positiva, volontaria, coraggiosa attività effusiva e diffusiva del
messaggio di Cristo; di apostolato, ripetiamo. E qui si fermi oggi
il nostro annuncio di Pentecoste: è l'annuncio della donazione
d'una nuova vita interiore animata dalla presenza e dall'energia di
Dio che si comunica in Amore; è la sublimazione della vita naturale
in vita soprannaturale, vita di grazia, è l'accensione cosciente,
personale della duplice vocazione del nostro povero essere caduco,
timido, inetto, reso abile alla contemplazione interiore e all'azione
esteriore; è il giorno natalizio della Chiesa apostolica, una,
cattolica e sant'a; la nostra Chiesa, la Chiesa di Cristo!
Esultiamo!
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