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Martedì, 19 marzo 1968
La liturgia della parola ci obbliga, in questo momento, a sospendere
il Rito e a concentrare la nostra attenzione sul grande Santo del
giorno, Giuseppe, e a dedicare a lui un istante di intensa
meditazione.
Questa elettissima figura ci appare al termine del periodo preparatorio
della Redenzione e all’inizio della nuova èra: nel punto focale
della storia: il più solenne, decisivo, ricco di grandi cose e di
alti misteri.
LA REDENZIONE SI INIZIA NELLA PIÙ
PROFONDA UMILTÀ
San Giuseppe ci si presenta nelle sembianze più inattese. Avremmo
potuto supporre in lui un uomo potente, in atto di aprire la strada al
Cristo arrivato nel mondo; o forse un profeta, un sapiente, un uomo
di attività sacerdotali per accogliere il Figlio di Dio entrato nella
generazione umana e nella conversazione nostra. Invece si tratta di
quanto di più comune, modesto, umile si possa immaginare.
È bene che noi consideriamo il singolare aspetto della venuta di
Cristo sulla terra. Egli ha disposto che il quadro privato,
personale, per tale avvenimento, fosse di estrema semplicità.
Giuseppe doveva dare al Signore, diremo, il suo stato civile, cioè
la sua inserzione nella società. E qui ancora un altro pensiero.
Siccome Giuseppe apparteneva alla discendenza di Davide, si poteva
supporre di trovarsi di fronte a chi avesse consuetudine con il trono,
o emergesse nel fragore di qualche avvenimento guerresco, oppure nel
dramma d’una contesa politica. Siamo, invece, sulle soglie d’una
miserrima bottega artigiana di Nazareth. Ecco Giuseppe, il quale
appartiene, sì, alla progenie di Davide, ma senza che da ciò
derivi un titolo o motivo di gloria, bensì, si direbbe, un
contrasto, per cui si trova livellato alla statura di tutti gli altri,
senza rinomanza e senza storia.
Non solo: ma pur nella sua qualità di capo della famiglia umana in
cui Gesù si è degnato vivere, nessun particolare il Vangelo ci ha
dato di lui. Un uomo silenzioso, povero, ligio al dovere, pur con
la sua regale ascendenza. Era giusto, questo l’unico attributo con
cui lo indica il Vangelo: ma è sufficiente per darci il quadro
sociale scelto da nostro Signore per Sé.
Potremmo quindi ignorare questa figura, non soffermarci dinanzi ad
essa? No, affatto: poiché non capiremmo, in tal caso, la dottrina
insegnata dal Divino Maestro: la Buona Novella sin dalla prima sua
forma caratteristica, quella d’essere annunciata ai poveri, agli
umili, a quanti hanno bisogno di essere consolati e redenti. Perciò
il Vangelo delle Beatitudini comincia con questo introduttore,
chiamato Giuseppe. Ci troviamo di fronte a un quadro incantevole, e
che ciascuno di noi, se fosse un artista, potrebbe ideare solo in
maniera inadeguata. Ma ecco: proprio Gesù ci presenta questo suo
introduttore, questo suo custode e padre putativo, nelle forme le più
umane, le meno solenni, quelle a tutti accessibili.
SAPER ASCOLTARE ED ESEGUIRE I PRECETTI
DEL SIGNORE
Nondimeno, c’è uno speciale aspetto che merita di essere osservato e
compreso. Questa sommessa vita, che si intreccia con quella del
Cristo nascente e con quella beatissima della Vergine, ha qualche
cosa di caratteristico, di molto bello, di misterioso.
Ricordiamo il brano di San Matteo testé letto: tre volte, nel
Vangelo, si parla di colloqui d’un Angelo con Giuseppe nel sonno.
Che cosa vuol dire? Significa che Giuseppe era guidato, consigliato
nell’intimo dal messaggero celeste. Aveva un dettato della volontà
di Dio che si anteponeva alle sue azioni: e quindi il suo
comportamento ordinario era mosso da un arcano dialogo che indicava il
da farsi: Giuseppe non temere; fa’ questo; parti; ritorna!
Che cosa allora scorgiamo nel nostro caro e modesto personaggio?
Vediamo una stupenda docilità, una prontezza eccezionale
d’obbedienza ed esecuzione. Egli non discute, non esita, non adduce
diritti od aspirazioni. Lancia se stesso nell’ossequio alla parola a
lui detta; sa che la sua vita si svolgerà come un dramma, che però
si trasfigura ad un livello di purezza e sublimità straordinarie: ben
al di sopra d’ogni attesa o calcolo umano. Giuseppe accetta il suo
compito, perché gli è stato detto: «Non temere di prendere Maria
quale tua sposa, poiché quel che è nato in lei è opera dello
Spirito Santo».
I DOVERI DEL PROPRIO STATO E LE IMPRESE
DI PERFEZIONE
E Giuseppe obbedisce. Più tardi gli sarà ingiunto: occorre
partire, giacché il neonato Salvatore è in pericolo. Ed egli
affronta un lungo viaggio, attraversando deserti infocati, senza mezzi
e senza conoscenze, esule in paese straniero e pagano; sempre ligio e
pronto alla voce del Signore che, in seguito, gli ordinerà di
tornare.
Appena rientrato a Nazareth, vi ricompone la vita consueta, di
riservato artigiano. Suo è l’ufficio di «educare» il Messia al
lavoro, alle esperienze della vita. Lo custodirà e avrà,
nientemeno, la sublime prerogativa di essere lui a guidare, dirigere,
assistere il Redentore del mondo. E Gesù «erat subditus illis»:
obbediva a Giuseppe ed a Maria!
La caratteristica adesione di San Giuseppe alla volontà di Dio è
l’esempio sul quale dobbiamo oggi meditare.
Intendiamo, quindi, anzitutto riflettere che i grandi disegni di
Dio, le provvide imprese che il Signore propone ai destini umani
possono coesistere, adagiarsi sopra le condizioni più comuni della
vita. Nessuno è escluso dal compiere, e a perfezione, il divino
beneplacito. Anzi, ciascuno dovrebbe essere così attento alle voci
del Cielo da porsi il quesito: sono io chiamato? In parole più
ovvie: qual è la volontà di Dio sulla mia esistenza? Come devo
dirigere l’impiego dei miei giorni, delle mie forze, dei miei
talenti, per essere in corrispondenza con le disposizioni del
Signore?
Sappiamo che il far coincidere la nostra volontà capricciosa,
indocile, spesso errante, talvolta perfino ribelle; far coincidere
questa piccola, ma pur sublime volontà e libertà con il volere di
Dio, in una parola, il «fiat voluntas tua», è il segreto della
grande vita. È l’innestare se stessi sopra i pensieri del Signore ed
entrare nei piani della sua onniveggenza e misericordia, ed anche della
sua magnanimità. Se vogliamo essere veramente in Dio e partecipare
al Regno dei Cieli, questo punto di raccordo fra la volontà nostra e
quella di Dio deve essere assolutamente studiato, specie negli anni,
nei giorni, nei momenti in cui la nostra vita sceglie il suo stato, la
sua direttiva, la sua mèta. Ci si deve convincere, allora, che una
voce dal Cielo - interna o esterna, mediante alcune circostanze o la
parola di qualche maestro - viene a farci conoscere l’interpretazione
giusta ed elevata, che ognuno è obbligato a dare alla propria
esistenza. Nessuna vita è banale, meschina, trascurabile,
dimenticata. Per il fatto stesso che respiriamo e ci moviamo nel
mondo, siamo dei predestinati a qualche cosa di grande: al Regno di
Dio, ai suoi inviti, alla conversazione, alla convivenza e
sublimazione con Lui, sino a diventare «consortes divinae naturae».
LA PERFETTA ARMONIA TRA VOLONTÀ DIVINA
E LIBERTÀ UMANA
Come comportarsi per raggiungere così meraviglioso traguardo? Ce
l’insegna Giuseppe, con il suo fedele e costante ascolto
dell’Onnipotente.
Nelle cognizioni umane continuo è il progresso. Si diventa capaci ed
abili a leggere nel creato, a fare calcoli i più complicati, ad
acquisire innumerevoli scoperte: ma raramente affiora l’insegnamento
sul come intuire e cogliere la volontà di Dio nei nostri confronti; i
criteri fondamentali, almeno, con cui la legge dell’Altissimo si
pronuncia circa la nostra esistenza. Orbene, tutto quanto è
necessario, obbligato e immutabile in noi ci induce a riconoscere ed
affermare: qui è la volontà di Dio. L’uno sarà infermo,
l’altro povero, altri ancora si troverà nella tribolazione, in
condizioni difficili. Allora si curva la fronte e si esclama in
maniera convinta: tutto è disposto dal Signore! E di qui si avvia
un reale colloquio con Lui. In più, c’è il possesso individuale
della libertà. Chi sceglie da sé, deve essere in grado di esprimere
personalmente le cose migliori. Ecco un altro aspetto della volontà
di Dio. Il Signore desidera da noi che non siamo gente dimentica,
aberrante, insensibile. Egli dispone che ognuno abbia una riserva di
generosità nella propria coscienza, il desiderio delle cose grandi,
difficili, anche, e sublimi. Possiamo nutrire tale desiderio? Lo
dobbiamo: indirizzando, perciò, la nostra vita verso le più nobili
mete, e ponendoci in tal modo sul cammino della completa rispondenza al
Signore: fiduciosi, arditi, pronti ad affrontare il rischio delle
grandi scelte.
Di conseguenza, lo stato in cui ciascuno viene a trovarsi mediante la
fusione di circostanze, e intenti onesti con la volontà di Dio,
accolta da quella umana, è cosa di immenso valore. Dunque, i doveri
del proprio stato sono stabiliti dal manifestarsi della disposizione
divina: chi bene li compie dà una grandezza incomparabile all’intera
sua attività.
In ciò rivediamo l’esempio datoci da Giuseppe: da lui apprendiamo
la ricerca illuminata, forte, generosa, della volontà del Signore
sopra la nostra vita.
OLTRE L'ESEMPIO, LA PROVVIDA
INTERCESSIONE
Si arriva, ora, a considerare un secondo benefico motivo di
riflessione. Siccome tutto quanto noi pensiamo di grande, di buono,
di bello, supera in ogni caso la nostra possibilità di esecuzione,
ecco manifestarsi il bisogno di un aiuto, oltreché dell’esempio.
Giuseppe ci insegna non solo la fedeltà al paradigma della vita,
fissato da Dio per i nostri passi, ma è altresì un elettissimo
protettore per noi. Qui entriamo nel mistico campo del Regno di
Dio. Giuseppe è stato il custode, l’economo, l’educatore, il
capo della Famiglia in cui il Figlio di Dio ha voluto vivere sulla
terra. È stato, in una parola, il protettore di Gesù. E la
Chiesa, nella sua sapienza, ha concluso: se è stato il protettore
del corpo, della vita fisica e storica di Cristo, in Cielo Giuseppe
sarà certamente il protettore del Corpo Mistico di Cristo: cioè
della Chiesa.
Oggi la Chiesa celebra appunto questa protezione del mirabile Operaio
di Nazareth sulla umanità redenta.
Avviciniamoci anche noi, con devozione filiale, come gente di casa,
alla porta dell’umile bottega di Nazareth e ciascuno preghi
Giuseppe: dammi una mano, un sostegno; proteggi anche me. Non
c’è una vita che non sia insidiata da molti pericoli, da tentazioni,
debolezze, mancanze. Giuseppe, silenzioso e buono, fedele, mite,
forte, invitto ci insegna come dobbiamo fare; e certamente un soccorso
egli largisce con squisita bontà.
Perciò, tornando, ora, alla celebrazione del sacro Rito,
chiederemo, per l’intercessione di questo carissimo Santo, che
l’aiuto celeste non ci manchi nell’accettare il compimento della
divina Volontà nelle nostre singole vite.
Ci dichiariamo - dice Sua Santità - vivamente partecipi alla
vostra celebrazione, centenaria e cinquantenaria; nulla Ci piace più
che il vedere il rigoglio dell’albero antico ‘ma sempre verdeggiante
della Gioventù Maschile e quello sempre primaverile della Gioventù
Femminile. Considerando l’intero panorama della Chiesa, ognor più
acquistano risalto la vostra funzione, il vostro posto nella comunità
ecclesiale, distinguendosi, i vostri gruppi, sia per la dignità -
siete molto stimati ed onorati dalla Chiesa di Dio -, sia per la
funzionalità - avete degli obblighi, avete delle missioni da
compiere, potete fare una quantità di bene -, sia, ancora, per la
fedeltà da voi custodita ad ottima formula organizzativa ed operativa.
E non è tutto: siete uniti, siete solidali con quanti vi hanno
preceduto; siete una grande famiglia che copre tutta la nazione; e
ciò è già un eccellente, splendido servizio, mediante una rete di
saldi rapporti spirituali, la quale dà consistenza non solo alla
Chiesa, ma a un intero popolo, il popolo italiano. Siamo lieti e
fieri di rilevare tale comportamento della Gioventù Cattolica
Maschile e Femminile.
Dopo il paterno saluto, così ricco di profondo compiacimento e viva
speranza, una raccomandazione. Quella di ripensare e tradurre in
pratica le belle cose che vi sono state dette durante il Convegno,
specialmente dalle labbra del Signor Cardinale Pellegrino. Il Papa
fa suo il discorso del Porporato; e dice ai giovani di rileggerlo, ed
applicarlo con fervido impegno.
Quindi un’altra nota di apostolica sollecitudine: vi abbiamo sempre
nel cuore, Figliuoli, preghiamo per voi, vi seguiamo; spesso
parliamo di voi con i vostri dirigenti, e con la grande fiducia che voi
sappiate davvero fare sul serio. Nella vostra militante operosità non
si tratta più d’una preferenza, d’un diletto, d’un passatempo, di
vicende occasionali, bensì d’argomento di primaria importanza, che
si innesta nella causalità spirituale del momento, della storia, del
popolo in cui ci troviamo. Proseguite nella convinta responsabilità!
Siate realmente ligi e fedeli alla vostra insegna; cercate di rendere
la vostra formula ognor più viva, moderna, efficiente, piena di
opere molteplici, geniale anche in ulteriori iniziative. Cercate di
essere, in una parola, felici e come inebriati della vostra
appartenenza a queste due Associazioni gloriose; e sappiate che, come
esse costituiscono una gloria per la Chiesa, così la Chiesa medesima
vi tiene nel cuore, vi apprezza, vi benedice e confida che dall’opera
e dalla collaborazione del laicato giovanile cattolico abbiano a sorgere
mirabili novità per il tempo nostro.
Il cammino è arduo e la missione non sempre facile. Siete come
avvolti da un dramma esterno. La vita odierna considerata nelle sue
espressioni teoriche, nelle sue ideologie che si combattono l’una con
l’altra, in tanta precarietà di lotte sociali e politiche, nel suo
trasformismo di vario genere, soprattutto economico e morale, ha
bisogno di anime generose come le vostre. Tutti hanno visto, in
questi giorni, che cosa è la gioventù quando non ha ciò che voi,
per grazia di Dio, possedete: la fede, la sapienza, la carità nel
cuore. Cercate di essere degni di questo dono e di offrire
testimonianza con la vostra letizia, con la vostra energia e con le
vostre certezze cristiane. Iddio vi benedica!
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