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Domenica, 26 maggio 1968
Prima di concedere alcuni istanti ai saluti da scambiare, il Santo
Padre afferma che occorre concentrare la nostra attenzione, in devoto
raccoglimento, sulla parola del Vangelo, su ciò che il Signore ci
propone da meditare, attraverso il ministero della Chiesa, cercando
di raccogliere qualche cosa delle sante, profonde e stupende
espressioni che la lettura del Libro sacro oggi ci offre.
LA TESTIMONIANZA DEL DIVINO PARACLITO
Come sapete - spiega Sua Santità - il brano testé letto
appartiene agli ampi discorsi, alle aperture d’animo, alle confidenze
supreme che Nostro Signore Gesù Cristo, nella notte ultima della
sua vita mortale e prima di essere abbandonato alla dolorosissima
Passione, volle lasciare quasi testamento spirituale ai suoi
discepoli, rimasti in undici dopo la partenza, dal Cenacolo, di
Giuda il traditore.
Gesù lascia dunque che il suo Cuore si dischiuda a prodigiose
rivelazioni, dettate da un mirabile pensiero conduttore nel Sermone
dopo la Cena.
Anzitutto la realtà: il Signore lascia i suoi. Come li lascia?
Soli, orfani, poveri e senza più alcuna comunicazione con Lui?
Egli non sarà più presente in mezzo a loro? Non parlerà più; non
avrà ulteriore influsso sulle loro anime?
Ebbene, il Divino Maestro rivela una nuova maniera di comunicare con
i suoi eletti; anzi, un nuovo mistero della divina presenza fra gli
uomini. Annuncia l’invio del Paraclito, cioè dell’Assistente,
del Consolatore, dell’Avvocato: lo Spirito Santo, la terza
Persona della Santissima Trinità. Lo Spirito Santo sarà mandato
dal Padre e dal Figlio - come ricanteremo tra breve nel Credo: Qui
ex Patre Filioque procedit - e sarà inviato da Gesù per mantenere
nei discepoli non solo il ricordo, ma la presenza, l’azione, la
grazia sua, la nuova vita che Egli infonderà in coloro che gli sono
fedeli e saranno i suoi apostoli; e, dopo di loro, all’immensa
schiera dell’umanità credente e per tutti i secoli che seguiranno a
quell’altissimo avvenimento.
Noi stessi siamo i destinatari della promessa del Signore. Essa ci
ripete: vi manderò lo Spirito, il Consolatore; e lo Spirito
Santo renderà testimonianza di Me; - si noti bene questa parola -
e quindi voi, a vostra volta, renderete tale testimonianza agli
altri.
IL DONO SOPRANNATURALE DELLA FEDE
Proprio su questo punto basilare il Santo Padre desidera intrattenere
brevemente il suo uditorio, giacché, esattamente su quella promessa
si fonda l’economia, l’ordine, che Iddio ha decretato per la
religione e per la società da lui istituita.
Che vuol dire testimonianza? Significa la trasmissione di una verità
in chi, ricevendola, non può direttamente esaminarla e conoscerla.
La deve accogliere sulla parola, cioè per fiducia. Siamo, così,
all’insegnamento sacrosanto del catechismo: bisogna credere. La
nostra vita religiosa è stabilita sulla fede, cioè sull’accettazione
di una testimonianza.
La stessa parola ha, poi, oltreché diversi significati, molte
applicazioni. Il Signore, nel tratto del Vangelo che abbiamo
letto, ne prospetta due principali. La prima è quella interiore,
che i discepoli i seguaci, i fedeli di Gesù, cioè, - e tra essi,
per divina -elezione, noi siamo - possono ricevere in una maniera
imponderabile ma reale e, sotto certi aspetti, tangibile, nel proprio
intimo. Siffatta prima testimonianza ci dice: guarda che Cristo era
ed è veramente l'Inviato da Dio: è il Figlio di Dio. Abbiamo
dunque la certezza di poterci fidare di Cristo, del suo Vangelo,
delle sue opere, dei suoi precetti e di tutto quanto scaturisce dalla
sua apparizione nel mondo.
Questa certezza interiore potremmo forse darcela da noi, ad esempio
studiando bene il Vangelo, la religione, il catechismo; oppure
ascoltando conferenze e lezioni, come fanno tanti studiosi e docenti
per le discipline umane? No, di certo. Pur conoscendo mille cose su
Gesù, la sua vita, la sua apparizione nella storia, i tanti episodi
ad essa inerenti, le varie circostanze del suo passaggio sulla terra,
rinomati luminari della scienza hanno scritto opere voluminose, e
tuttavia sono rimasti increduli, ciechi, sordi ed inerti davanti a
questa apparizione straordinaria, unica e - lo dicono anch’essi -
superiore a tutte le manifestazioni umane. Quale la ragione di tale
fenomeno negativo? Essi non posseggono quella adesione vitale che noi
chiamiamo la fede e che porta, nientemeno, dentro il nostro spirito
Gesù medesimo: «. . . Christum habitare per fidem in cordibus
vestris» (Eph. 3, 17), come scrive San Paolo: Cristo
abita, mediante la fede, nei nostri cuori.
UN ALTO E INCOMPARABILE DOVERE DEL
CRISTIANO
È, dunque, necessaria questa testimonianza dello Spirito: la grazia
della fede. Bisogna che il Signore immetta nelle nostre anime luce
nuova, capacità di pensiero, disposizione di animo, certezza
ineffabile, gioia di accettare la sua parola e il suo messaggio, in
modo da renderci sicuri, beati, completamente suoi, fino ad
anticiparci, in qualche maniera, il possesso che, un giorno, avremo
di Lui; l’incontro, che sarà allora visibile e pieno, con Dio,
nei rapporti vitali e sublimi che a Lui ci uniscono. Intanto però -
è bene ripeterlo - la grazia del Signore deve sempre alimentare in
noi la letizia autentica della fede: beati quelli che avranno creduto!
Oltre alla prima, esiste una seconda testimonianza, non eguale, ma
analogica, diciamo: la trasmissione, da parte nostra, agli altri
della verità di fede che il Signore ci ha, per sua grazia e bontà,
largita. Tale comunicazione, che si attua in varie forme, quali
l’apostolato, la missione, con inesauribili attività, della
Chiesa, è definita da Gesù, anch’essa, testimonianza, che noi
renderemo al di fuori di noi, in vantaggio del prossimo. Se la prima
è interna, questa seconda testimonianza è sociale. Dobbiamo
propagarla tra tutti i nostri fratelli, nel mondo che ci circonda, fra
quanti aspettano conforto dalla nostra parola, recandola specialmente a
coloro che ci stanno a guardare, chiedendo se sappiamo diffondere la
verità e se riusciamo a viverla.
Prospettate così le due diverse e conseguenti testimonianze, sorge
per noi una domanda: come faremo per conseguirle ed attuarle; come
ottenere questo dono, posto al di sopra di tutti gli strumenti della
scienza, dello studio e di ogni ricerca intellettuale? Come possiamo
acquisire dal Cielo questa luce che aumenta il nostro potere
comprensivo e ci dà la certezza di credere senza avere gli argomenti
palesi, visibili e tangibili della nostra ordinaria conoscenza
naturale?
Il Signore ci viene incontro con la sua promessa: Io vi manderò lo
Spirito, il Consolatore, Colui che vi parla nell’intimo
dell’essere. Io vi manderò lo Spirito Santo. Si tratta, è
ovvio, d’un mistero insondabile. Ci basterà sapere ch’esso esiste
ed opera in salvezza e in santificazione.
Figliuoli carissimi - dichiara con ardente zelo il Santo Padre -
sicuramente voi possedete tanto tesoro. Se Noi vi chiedessimo:
credete in Gesù Cristo?, siamo sicuri che tutti risponderete ad una
voce: sì. Orbene, chi rende possibile tale affermazione, chi vi
dà forza interiore per aderire alla verità che, or sono venti
secoli, è stata annunciata al mondo e che noi accettiamo oggi come se
fosse presentata nel nostro tempo e nelle circostanze della vita
odierna? È il soffio, il sospiro, l’alito di Dio: esso viene a
respirare dentro di noi. È lo, Spirito Santo a confortarci, a
illuminarci con una chiarezza che non è temeraria, né ci lascia nel
dubbio e quasi nel rischio di poggiare la nostra personalità sopra
elementi non stabili o insufficienti. No. È, invece, una certezza
che ci rende tranquilli, gioiosi, sicuri. Credo in Te, o
Signore!; aggiungendo con Pietro, sul cui Sepolcro glorioso ci
troviamo: Tu solo, o Signore, hai parole di vita eterna. Io credo
che Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo!
«VENI, LUMEN CORDIUM!»
Sentiamo vivissima in noi tale fede, possiamo quindi comunicarla.
Come pratica conseguenza, di fronte ad una realtà essenziale per
noi, che cosa, in pratica, dobbiamo compiere? Anzitutto essere
devoti dello Spirito Santo; essere meno indegni di riceverlo, quando
e dove la sua luce, la sua parola arcana, interiore, dolce,
persuasiva può farsi presente. Perciò la nostra anima deve essere
ricettiva, aperta.
Prendiamo un paragone dal mondo profano. Nella sviluppata tecnica
moderna, siamo circondati da miriadi di voci delle stazioni radio, che
emettono i loro programmi e li fanno circolare intorno a noi. Chi
riesce a prendere, ad ascoltare quello esatto e voluto? Senza dubbio
colui che possiede il mezzo adeguato e lo pone nella fase corrispondente
alla preferita, tra le voci disparate, spesso opposte, che egli deve
ascoltare.
Analogamente dobbiamo agire nei riguardi della nostra anima: dobbiamo
disporla sull’onda giusta per un perfetto ascolto dello Spirito
Santo. Dobbiamo essere adatti e preparati a raccogliere la voce di
Dio, che vuole parlare dentro di noi. Prima condizione per ottenere
ciò è il conservare l’anima pura, sempre pronta a capire il divino
eloquio. Un bravissimo professore di università - il Santo Padre
aggiunge questo ricordo - così ammoniva un giovane che iniziava gli
studi superiori: Bada, figliuolo, di essere in ogni momento puro,
attento, buono. Giacché se un giorno il Signore ti volesse chiamare
e parlare, se volesse entrare in comunicazione con te, non accada
che, in quell’ora, tu ti trovi nell’impossibilità di apprendere e
di far tua la voce del Divino Maestro che batte alla porta del tuo
cuore.
ASCOLTARE E DIFFONDERE LA VOCE DEL
SIGNORE
È ovvio che, se saremo onesti, puri, fedeli, il Signore si farà
sentire, non fosse altro che col darci la gratuita fortuna, di cui non
apprezzeremo mai abbastanza il valore, di professare la fede, di
possedere il mondo celeste, a noi dato mediante la comunicazione della
parola di Cristo, divenuta in noi persuasiva, vibrante,
conquistatrice.
Siamo devoti dello Spirito Santo! In questi giorni si svolge la
novena che ci prepara alla sua festa, la solennità della Pentecoste.
Cerchiamo di disporre le nostre anime perché siano davvero meno
indegne di accogliere la voce del Signore.
E ai carissimi sofferenti - aggiunge Paolo VI -, a quanti
assistono i diletti ammalati, ed agli altri ascoltatori Egli
riconferma: fra tutte le esperienze che la vita umana può avere, la
più bella, la più gioiosa, la più ricca di promesse e consolazione
è proprio quella di possedere lo Spirito di Dio, la sua Grazia,
l’infusione della sua energia vitale, la quale non si spegnerà col
nostro declino mortale, ma ci garantisce sin d’ora il possesso
eterno, e, nel fulgore di piena luce, la realtà e la gloria di
Dio.
Essere devoti dello Spirito Santo; apprendere la sua testimonianza
per divenire capaci di trasmetterla, come ci è insegnato, anche agli
altri fratelli: ecco l’invito finale del Padre delle anime a ricordo
d’un eletto incontro spirituale; mentre Egli implora da Dio di
volerlo rendere per tutti pieno di consolazioni e di indistruttibile
vigore.
PARTECIPI DEL MISTERO DELLA CROCE E
DELLA REDENZIONE
Riserviamo il Nostro primo saluto, fra i componenti di questa grande
e varia assemblea convenuta intorno all’altare di San Pietro, alla
numerosa e commovente schiera dei «Volontari della Sofferenza», a
questa tanto singolare e mirabile associazione di fedeli segnati dal
dolore e contrassegnati dall’amore. Vi salutiamo, figli carissimi,
infermi e pazienti che Ci circondate e che Ci rappresentate i tanti
vostri colleghi materialmente assenti, ma spiritualmente presenti a
questo singolare e spirituale raduno; vi salutiamo con la
considerazione, con la predilezione, con la compassione che le vostre
pene meritano da parte Nostra, ministri come siamo e rappresentanti di
quel Gesù, a cui fu misterioso destino e gloria incomparabile essere
chiamato «l’uomo dei dolori ed esperto nella sofferenza» (Is.
53, 3); vi salutiamo ad uno ad uno, rammaricati di non poterci
appressare a ciascuno di voi, a causa del vostro numero e della misura
-del tempo a Noi concessa per questo incontro, ma tanto fortunati di
avervi e di sentirvi a Noi vicini, di pregare con voi, di consolarvi
per quanto Ci è possibile, di benedirvi tutti con pienezza di cuore.
Cari, cari Nostri malati, doppiamente fratelli per la carità che a
tutti dobbiamo e per il titolo particolare che obbliga il Nostro
spirituale ufficio a considerarvi più degli altri partecipi del mistero
della Croce e della Redenzione; cari Nostri figli, a cui il dolore
conferisce una dignità che vi merita la preferenza della Nostra
carità, della Nostra affezione, della Nostra comunione; cari
tesori della santa Chiesa, che voi beneficiate con il vostro esempio
di pazienza e di pietà, che voi consolate con il dono delle vostre
sofferenze, che voi edificate con la vostra unione a Cristo
crocifisso; cari pellegrini nel duro cammino verso il Cielo, non con
passo più lento e più stanco, quale farebbe supporre il vostro stato
d’infermità fisica, ma con passo più spedito ed esemplare sul
sentiero erto ed aspro, che al cielo conduce. Siate tutti da Noi
salutati, nel nome del Signore e come da Lui da Noi benedetti.
IL VALORE POSITIVO DEL DOLORE
CRISTIANO
Noi vi dovremmo un lungo ed originale discorso: quello che una
penetrante riflessione della vita cristiana suggerisce alla
considerazione del dolore umano, specialmente se questo dolore, come
il vostro, non è più respinto come un assurdo nemico della nostra
vita, ma stranamente, eroicamente accolto come un fattore di
perfezionamento morale e come un valore di mistico significato. Per il
fatto che vi intitolate «Volontari della sofferenza», voi questo
discorso non solo già conoscete, ma vivete; e siamo così dispensati
dal dirvi quanto sul tema che voi offrite alla considerazione di quanti
vi incontrano e vi assistono, sarebbe, se non facile dire, doveroso
almeno ricordare. «Volontari della sofferenza»! Questa è
espressione sovrabbondante di significati! Pare a Noi che essa
concluda una lunga e non a tutti ovvia meditazione sul valore positivo
del dolore cristiano. Dobbiamo Noi ricordarvi la parentela che il
dolore cristiano stringe fra il paziente e l’Agnello di Dio, Gesù
Cristo, che proprio mediante il dolore, e quale dolore quello della
sua Passione, «ha cancellato il peccato del mondo» (Io. 1,
29) e che associa il paziente stesso a quel misterioso complemento,
che, come dice l’apostolo, «manca alle sofferenze di Cristo»
(cfr. Col. 1, 24)? Voi certo avrete percorso questo cammino
della Croce più e più volte (ne abbiamo udito Noi stessi i canti
del vostro pio esercizio compiuto ieri sera sulla Piazza San
Pietro); e sapete quali siano le profondità di questa assimilazione
a Cristo mediante l’accettazione e la sublimazione della sofferenza.
E nulla diciamo della ricchezza ascetica ch’essa nasconde e svela alle
anime valorose, che ne fanno esercizio di forza morale, di padronanza
di sé, di espiazione delle proprie colpe. Nulla della bellezza che
un’anima disposata a Cristo nel connubio della sua Passione può
acquistare mediante l’ardenza e la trasparenza dell’amore provato dal
fuoco del dolore forte e silenzioso; nulla della sapienza riservata a
chi soffre sapendo ciò che l’umana saggezza assai difficilmente
percepisce, non essere inutile la sofferenza e non essere degradato,
ma esaltato uno stato di vita immolato al sacrificio e all’oblazione di
sé ai segreti, dolorosi, ma sempre buoni e fecondi disegni della
divina volontà.
APOSTOLI DI PACE NELLA SINCERITÀ
GIUSTIZIA LIBERTÀ E FRATELLANZA
Voi le conoscete, figli carissimi, Volontari della sofferenza,
queste umili, ma luminose verità; a Noi non resta che esortarvi a
perseverare nel vostro esercizio di pazienza e di oblazione, e a fare
dei vostri cuori doloranti, fisicamente e moralmente, dei silenziosi
santuari di orazione e di bontà.
E tanto è il valore che Noi dobbiamo riconoscere a codeste condizioni
di fisica infermità, trasformata in spirituale efficienza, che
pensiamo Noi stessi di profittarne, chiedendo a voi, figli e figlie
del dolore cristiano, di fare Noi stessi partecipi dei vostri meriti,
affinché il Signore Ci renda meno indegni di quanto siamo del
servizio ch’Egli Ci ha affidato, ed affinché i grandi bisogni della
Chiesa e del mondo, i quali formano oggetto delle Nostre continue ed
imploranti intenzioni, abbiano ad essere presenti parimente nelle
vostre intenzioni ed ottengano il prodigioso suffragio della orante
oblazione dei vostri santificati dolori. Voi potete ben pensare quanto
pesino sul Nostro cuore le agitazioni, le lotte, le guerre, le
competizioni, gli odi, che ora turbano la pace del mondo e sembrano
renderla oggi più difficile e quasi non sinceramente desiderata.
Pregate, Volontari della sofferenza, per la pace, per la vera
pace, nella sincerità, nella giustizia, nella libertà e nella
fratellanza.
ADESIONE ALLA CHIESA «MADRE E MAESTRA»
DELLA NOSTRA SALVEZZA
Voi forse potete ciò che i potenti ed i saggi del mondo non riescono a
conseguire. E poi per la Chiesa offrite al Signore le vostre pene :
mentre tante energie nuove e buone la risvegliano e la ringiovaniscono,
troppe inquietudini la scuotono e la turbano, perché il Nostro cuore
non sia talvolta profondamente afflitto e attenda dal Signore ciò che
tanti figli della Chiesa sembrano rifiutare a questa «Madre e
Maestra» della nostra salvezza, vogliamo dire il senso dell’adesione
alla verità, ch’ella ci custodisce e c’insegna, e la filiale gioia
di seguirne i suoi precetti ed i suoi consigli: la fede e l’obbedienza
hanno bisogno d’una reviviscenza in tanti figli della santa Chiesa,
mentre essi sembrano talvolta farsi ingegnosi per ferire l’una e
l’altra, dimenticando quali sacrosanti e vitali impegni ad essa ci
leghino e quali esempi attendano i Fratelli cristiani da noi divisi per
riaccostarsi fidenti alla gaudiosa ed unica comunione voluta da
Cristo.
Volontari della sofferenza, ecco che Noi allarghiamo gli orizzonti
della vostra visuale di generosità; non rifiutateci il vostro prezioso
dono di preghiera e di sacrificio; Noi ne faremo tesoro davanti al
Signore; e siamo sicuri che voi, voi stessi per primi, ne avrete
merito e ricompensa. Possa la Nostra Benedizione Apostolica esserne
pegno sicuro.
Un pensiero speciale vada a quanti promuovono ed assistono codesta
provvida iniziativa, intesa a mettere in valore cristiano la sofferenza
ed a tessere vincoli di unione organizzativa e spirituale ai Nostri
malati; una menzione dobbiamo avere per lo zelante Nostro Mons.
Luigi Novarese.
Speciale saluto di fede ai pellegrinaggi di Salerno e Benevento
Poi dobbiamo salutare altri cospicui Pellegrinaggi presenti. A tutti
dovremmo rivolgere particolari sermoni. Alcuni gruppi non possono
essere taciuti, anche se dobbiamo privarci del piacere di più lunga
conversazione.
Come non salutare i quattromila Pellegrini di Salerno, la storica e
gloriosa Arcidiocesi che tanti ricordi del passato e tante
considerazioni sul presente sveglia nel Nostro spirito? Porgiamo
almeno uno speciale e riverente saluto al degno Presule
dell’Arcidiocesi, Mons. Demetrio Moscato, da Noi tanto venerato
e da lungo tempo conosciuto nello zelo delle sue opere e nella bontà
del suo spirito. Salerno Ci ricorda il tesoro ch’esso custodisce,
secondo la tradizione: le reliquie dell’Evangelista San Matteo
(tanto nomini nullum par elogium!), e quelle del celebre e santo
Papa Ildebrando, San Gregorio VII, di cui ieri la Chiesa ha
celebrato la festa, e che a Salerno morì, nel 1085, esule e
oppresso dal dolore, esclamando le famose parole, a lui attribuite:
«Dilexi iustitiam, odivi iniquitatem, propterea morior in exilio»:
si direbbero parole d’un vinto; e aveva invece vinto la lotta per la
libertà della Chiesa e per, il risveglio del suo costume. A
Salerno il venerato Cardinale Schuster, già sofferente, compi,
nel luglio del 1954, il suo ultimo viaggio, poco prima della sua
santa morte.
Anche Salerno è erede e custode di grandi tradizioni storiche e
religiose; Noi accogliendo il Pellegrinaggio Salernitano, che viene
a professare la sua fede sulla tomba di San Pietro, non abbiamo
migliore voto da esprimere alla gloriosa comunità diocesana ch’essa
sappia non solo conservare il suo patrimonio di memorie cristiane, ma
che le sappia fare rivivere in nuove e gloriose testimonianze di fede
cattolica nelle nuove generazioni. Al venerato Arcivescovo, al nuovo
Ausiliare Mons. Guerrino Grimaldi, alle Autorità civili, a
tutti i Pellegrini ed all’intera Arcidiocesi il Nostro augurale
saluto e la Nostra cordiale Benedizione.
E poi abbiamo Benevento!
Salute al suo Arcivescovo ed al suo Clero! Salute a tutti i tremila
Pellegrini Beneventani. Anche la vostra presenza, cari figli di
Benevento, tenta la Nostra memoria a celebrare la vostra storia, da
quando «Male ventum» era il nome della vostra città cambiato, dopo
la vittoria di Curio Dentato su Pirro, in quello, che poi rimase,
perenne e buono auspicio di Benevento. Roma, Bisanzio, i
Longobardi, i Normanni si contendono la vostra storia e quanto
agitata e complessa. Poi quale lunga storia legata al Pontificato
Romano! Non per nulla voi ricordate l’elogio di Paolo Diacono,
che dice la Chiesa Beneventana «Provinciarum caput ditissima»! Il
vostro Arco di Traiano, la famosa «porta aurea» e il monumento a
Papa Benedetto XIII Orsini alla Chiesa della Minerva in Roma
(1730) dicono quale immenso arco di storia si descrive sulla
vostra Città. Ed anche a voi ricorderemo il dovere che deriva dalla
storia, e che lo spirito rivoluzionario dei tempi moderni ci fa spesso
dimenticare, quello di conoscere e conservare, come prezioso tesoro
culturale e spirituale, il patrimonio della vostra storia e di renderlo
vivo e fecondo per i tempi moderni, in coerenza di spirito e di
sviluppo specialmente sul tronco d’una tradizione che non muore,
quella della fede cattolica. Siete venuti a Roma per professare la
fede, e siete venuti per rifornirvi di nuova fede: sappiate viverla!
e non crediate ch’essa possa intralciare i nuovi sviluppi che l’età
moderna promette; sappiate essere moderni ed ancorati nei valori eterni
della vita cristiana. A tanto vi esorta la Nostra fiducia e la
Nostra Benedizione.
Delegazioni di Como Gorizia Milano e Brescia
Dovremmo infine salutare Como, salutare Gorizia con i suoi
Lavoratori Italiani e Sloveni. Care, gloriose Città, se il
tempo Ci vieta di prolungare il Nostro discorso, sappiate che la
vostra presenza Ci riempie di gaudio e di auguri, per voi qui presenti
e- per quanti rappresentate ed amate. A Como, a Noi dilettissima
come diocesi suffraganea della Nostra Milano, a Gorizia, la
gloriosa città ch’è nel cuore di tutti gli Italiani, il Nostro
speciale e benedicente saluto.
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