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Giovedì, 26 ottobre 1967
Amatissimo Fratello in Cristo,
«Tutti concordi» (Act. 1, 14) abbiamo reso grazie a Dio per
le meraviglie che Egli ha compiuto nella sua Chiesa. Non si deve
infatti alla sua onnipotente bontà se noi abbiamo la gioia profonda di
trovarci qui insieme per darci di nuovo il bacio di pace e di
riconciliazione, in mezzo ai nostri fratelli nell’Episcopato, sulla
tomba del corifeo degli apostoli, gloria di questa Chiesa di Roma,
il cui popolo fervente ci attornia, partecipando alla nostra gioia
spirituale e alla nostra preghiera?
Prima di lasciar parlare i nostri cuori bisognava cominciare col
proclamare che ogni dono eccellente discende dal Padre dei Lumi (cf.
Iac. 1, 17), e, rendendo a Lui gloria, aprirci alla
illuminazione del suo Spirito che solo può guidarci nell’intelligenza
dei suoi disegni misteriosi.
È da tempo che voi, Fratello amato e venerato, non nascondevate il
vostro desiderio di visitarci nella nostra Chiesa di Roma, ed ecco
che oggi il Signore ci concede di avervi in mezzo a noi, Voi che
rappresentate la tradizione di quelle Chiese «del Ponto, della
Galazia, della Cappadocia, di Asia e di Bitinia» alle quali
«Pietro, apostolo di Gesù Cristo» (1 Petr. 1, 1),
inviava una volta quella lettera che riflette tanto bene la vita della
Chiesa primitiva, la sua fede e la sua speranza. Quella lettera,
con l’insegnamento e le esortazioni che contiene, portava anche a
queste Chiese il saluto della Chiesa di Roma (cf. 1 Petr. 5,
13). Essa è quindi come una prima testimonianza delle relazioni
che si svilupparono in modo così fecondo durante i secoli che
seguirono, benché - bisogna pur riconoscerlo - gli urti e i
malintesi non siano mancati. Anche dopo l’epoca della sventurata
rottura, gli sforzi non cessarono, specialmente nel secolo XIII e
XV, per riparare questa scissione. Questi tentativi non ebbero,
purtroppo, effetti positivi permanenti. Essi tuttavia non sono mai
stati quanto oggi liberi da ogni elemento politico, o da ogni visione
estranea al solo desiderio di realizzare la volontà del Cristo sulla
sua Chiesa. Noi siamo infatti, da una parte e dall’altra, mossi
dall’unico desiderio di purificare le nostre anime obbedendo alla
verità per amarci sinceramente come fratelli, volendoci bene l’un
l’altro, con cuore puro senza finzione (cf. 1 Petr. 1, 22).
La rettitudine delle nostre intenzioni, l’autenticità della nostra
decisione sono un segno dell’azione dello Spirito Santo, di questa
azione potente di rinnovamento e di approfondimento di cui noi con
meraviglia facciamo l’esperienza nella Chiesa e in ciascuno dei
cristiani fedeli.
Ci è grato di ripeterlo e di meditarlo con voi durante questo anno
della fede, al principio del quale abbiamo sentito il dovere di
rendervi visita nel vostro nobile paese. Visitando Smirne ed Efeso
sentivamo risuonare nel nostro cuore il messaggio che lo Spirito
indirizzava alle Chiese di Asia Minore per mezzo di S. Giovanni:
«Colui che ha orecchie, ascolti ciò che lo Spirito dice alle
Chiese» (Apoc. 2, 7, 11, 17, 29; 3, 6, 13,
22). Lo Spirito, che ci fa conoscere Cristo (cf. 1 Cor.
12, 3), che ci concede di custodire il deposito che ci ha affidato
con la Chiesa (cf. 2 Tim. 1, 14), che ci fa penetrare nel
mistero di Dio (cf. 1 Cor. 2, 11) e nella sua verità (cf.
In. 16, 13), perché Egli è vita (cf. Gal. 5, 25) e
trasformazione interiore (cf. Rom. 8, 9, 13), lo Spirito ci
domanda in una maniera più imperiosa che mai, che noi siamo una cosa
sola, affinché il mondo creda (cf. In. 17, 21). Tale
richiesta dello Spirito Santo la vediamo manifestata innanzi tutto nel
rinnovamento che ovunque Egli suscita nella Chiesa. Questo
rinnovamento, questa volontà di fedeltà più attenta e più docile è
di fatto la condizione più fondamentale del nostro riavvicinamento
(Unitatis Redintegratio, 6). Il Concilio Vaticano II, nella
Chiesa Cattolica ne è una delle tappe. La realizzazione delle sue
decisioni si attua su tutti i piani della vita della Chiesa con
prudenza e determinatezza. Il Sinodo dei Vescovi qui presenti ne è
un segno, esso, che alla nostra epoca quando i problemi si presentano
su una scala mondiale, assicura in forme nuove una migliore
cooperazione tra le Chiese locali e la Chiesa di Roma, che presiede
alla carità (S. Ignace, ad Rom. tit.). Noi abbiamo
cominciato così la revisione della nostra legislazione canonica, e
senza aspettare la fine del lavoro, abbiamo voluto già con la
promulgazione di nuove direttive, sopprimere certi ostacoli allo
sviluppo della vita quotidiana della Chiesa, della fraternità
progressivamente ritrovata tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa
cattolica.
Noi sappiamo che un medesimo sforzo di rinnovamento è in corso nella
Chiesa ortodossa e ne seguiamo gli sviluppi con tutta l’attenzione
della nostra carità. Voi pure sentite questo bisogno, di cui abbiamo
parlato, di assicurare una migliore cooperazione tra le Chiese
locali. La prima conferenza panortodossa di Rodi, frutto in gran
parte degli sforzi pazienti e sopportati da Vostra Santità, fu una
tappa importante su questa via, ed è significativo che il programma da
essa indirizzato, benché steso indipendentemente e anteriormente, per
quanto riguarda l’essenziale, a quello del Concilio Vaticano II,
gli sia stranamente parallelo. Non è questo forse un segno di più
dell’azione dello Spirito che sollecita le nostre Chiese a prepararsi
attivamente in vista di rendere possibile il ristabilimento della loro
piena comunione?
Dobbiamo coraggiosamente proseguire e sviluppare lo sforzo da una parte
e dall’altra, quanto è possibile in contatto e in una cooperazione,
le cui forme dovrebbero essere fissate in comune. Molto più che per
mezzo di una discussione sul passato è in una collaborazione positiva,
in vista di rispondere a quello che lo Spirito domanda oggi alla
Chiesa, che noi arriveremo a sormontare quello che ancora ci separa.
Se vediamo negli sforzi di rinnovamento un segno dell’azione dello
Spirito che ci stimola a ristabilire tra di noi la piena comunione e vi
ci prepara, il mondo di oggi invaso da una incredulità multiforme, ci
richiama anch’esso in maniera imperiosa il bisogno della nostra
unità. Se l’unità dei discepoli di Cristo è stata data come il
grande segno che deve sollecitare la fede del mondo, l’incredulità di
molti dei nostri contemporanei è anch’essa una voce con la quale lo
Spirito parla alle Chiese e fa loro prendere nuova coscienza
dell’urgenza di realizzare quel precetto di Cristo, il quale è morto
«per stringere nell’unità i figli di Dio che erano dispersi»
(In. 11, 52). Questa testimonianza comune, una e varia,
decisa e persuasiva, di una fede umilmente sicura di se stessa,
zampillante in amore e raggiante la speranza, è ciò che lo Spirito
domanda innanzi tutto oggi alle Chiese.
È questa la ragione per la quale abbiamo voluto consacrare alla fede,
al rinnovamento e all’approfondimento della fede, questo anno del
diciannovesimo centenario del martirio di Pietro e di Paolo, della
suprema testimonianza della loro fede, del loro amore (cf. Io.
15, 13) e della loro speranza. Che cosa sarebbe un rinnovamento
che non terminasse in una affermazione della fede, in un più grande
fervore della carità, in una più grande certezza della speranza?
Che sarebbe un rinnovamento che non ravvivasse la nostra fede in questa
comunione profonda e misteriosa stabilita tra di noi da una medesima
obbedienza al Vangelo di Cristo, dai medesimi sacramenti, e sopra
tutto dal medesimo battesimo e medesimo sacerdozio, che celebra la
medesima Eucaristia, l’unico sacrificio del Cristo, un medesimo
episcopato ricevuto dagli apostoli per guidare il popolo di Dio verso
il Signore e predicargli la sua parola (Unitatis Redintegratio,
15-17)? Sono queste altrettante voci di cui si serve la Spirito
Santo per farci tendere con tutto il nostro essere verso la pienezza di
questa comunione già così ricca, ma ancora incompleta, che ci unisce
nel mistero della Chiesa.
Noi tocchiamo qui, con quest’altro aspetto dell’azione dello
Spirito da noi evocata all’inizio, la sua azione in ciascuno dei
fedeli cristiani, i frutti di santità e di generosità che essa
produce, un’altra condizione fondamentale del nostro riavvicinamento:
la conversione del cuore (Unitatis Redintegratio, 7) che nella
nostra vita personale ci fa ascoltare e seguire sempre più docilmente
ciò che lo Spirito ci chiede. Senza questo sforzo, da rinnovarsi
continuamente, di fedeltà allo Spirito Santo che ci trasforma
nell’immagine del Figlio (cf. 2 Cor. 3, 18) non vi può
essere fraternità vera e duratura. Infatti non è se non divenendo
figli nel Figlio in ogni realtà (1 Io. 3, 1-2) che noi
diveniamo anche realmente e misteriosamente fratelli gli uni degli
altri. «Quanto più stretta difatti sarà la nostra unione col Padre
e col Verbo e con lo Spirito Santo, tanto più potremo rendere
intima e facile la mutua fraternità» (Unitatis Redintegratio,
7). D’altronde tale sforzo di santità mette in opera tutto questo
patrimonio comune, da noi poco fa accennato e che il Concilio
Vaticano II ha esposto diffusamente (Unitatis Redintegratio,
13-18). Quale aiuto anche per noi e quali vincoli di
fraternità, nel sapere dalla fede che in questa corsa per sforzarci di
raggiungere Cristo (Phil. 3, 12) «noi siamo avviluppati da una
si grande e densa nube di testimoni» (Hebr. 12, 1), e tra
questi innanzi tutto di tutti i martiri della nostra fede comune, che
sono, come voi avete avuto la delicatezza di richiamare nella lettera
con la quale ci annunciavate la vostra visita, l’ornamento più bello
della Chiesa di Roma! Tutti questi santi dell’Oriente e
dell’Occidente sono qui con noi, essi gioiscono e supplicano Colui,
che ha cominciato questa opera meravigliosa, di condurla al suo
termine. Tutti quei santi, ancora, che in mezzo a innumerevoli
difficoltà, sofferenze e tentazioni, resistettero fermi come se
vedessero l’invisibile (cf. Hebr. 11, 27), ci insegnano col
loro stesso esempio ad andare dritti innanzi, tesi con tutto il nostro
essere (cf. Phil. 3, 13) «fissando attentamente i nostri occhi
su Colui che guida la nostra fede e la conduce alla perfezione,
Gesù» (Hebr. 12, 2).
Tutto questo ci è richiamato e simbolicamente presentato dal fatto che
la vostra visita abbia luogo nel momento in cui la Chiesa d’Occidente
si prepara a celebrare la festa di tutti i Santi, «di quella folla
immensa, impossibile a numerarsi, appartenente ad ogni nazione,
razza, popolo e lingua» (Apoc. 7, 9). Con gli occhi della
nostra fede fissi su questa assemblea del popolo degli eletti intorno al
Cristo risuscitato e glorioso che siede alla destra del Padre, uniti
in una carità fraterna che nulla deve incrinare, mossi dall’unico
desiderio di obbedire a ciò che lo Spirito domanda alla Chiesa, con
la speranza superiore ad ogni ostacolo, noi andremo avanti in nomine
Domini.
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