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Venerdì Santo, 16 aprile 1965
Il Santo Padre si rivolge agli ascoltatori, chiamandoli - per tutti
comprendere nel suo colloquio - fratelli, figli carissimi, pellegrini
e visitatori presenti al sacro rito.
E anzitutto un augurio cordiale: che il Signore ricolmi delle sue
grazie e dei suoi favori quanti hanno seguito il cammino della Croce e
condiviso meditazioni e preci di questa singolare cerimonia.
GESÙ IL PRIMO DEI SOFFERENTI
Ora il Papa desidera concluderla con un pensiero e con una preghiera.
Quanto al primo, Egli lo enuncia e lo spiega. Quale relazione
esiste fra il dolore di Cristo e il dolore umano; fra la sua Passione
e le sofferenze dell’umanità? La Passione di Cristo si innesta
soltanto come un numero nell’infinita serie dei dolori umani, ovvero
esiste un rapporto con questi dolori?
Bisogna ricordare che Gesù è il Figlio dell’uomo: si è chiamato
e definito Egli stesso così. È il Primogenito di tutta
l’umanità, il nuovo Adamo, come lo indica San Paolo; è il Re
spirituale del mondo e delle anime; vale a dire che ogni uomo, ogni
vita hanno un nesso con Lui. Gesù è in relazione con ogni
creatura, e quindi Gesù è in rapporto con chiunque soffre. E lo
è, anzi, con una particolare, complessa intenzione. Innanzitutto
perché è il primo dei sofferenti. Se la sofferenza è pari alla
sensibilità fisica, può esservi sensibilità maggiore, più squisita
e più vulnerabile di quella di Cristo? Chi mai ha sudato sangue;
chi mai ha preveduto la propria Passione; chi l’ha assorbita come un
calice sino in fondo, come Lui? E se lo spirituale soffrire è
proporzionato alla coscienza che uno ha della propria dignità, quale
non dovette essere quella di Cristo! In una parola, Gesù porta il
primato del dolore, e non soltanto, perciò, Egli è al centro di
questo regno desolato della sofferenza umana, e la fa sua. Lo ha
detto esplicitamente. Allorché sarò sollevato in alto, «omnia
traham ad meipsum», io attrarrò ogni cosa a me. Gesù polarizza
verso di Se ogni dolore umano; e non solo perché è Colui che ha
sofferto in maggior grado e per maggiore ingiustizia, ma anche perché
- entriamo nei misteri della psicologia di Cristo e della teologia
della Redenzione - ha immensa simpatia, compassione, comunione con
quelli che patiscono. Tutte le volte che voi farete del bene, ha
detto il Signore, ad uno di questi minorati, miseri, affamati, di
questi poveri e languenti - Gesù si nasconde dietro quel volto umano
- l’avrete fatto a Me. E quando l’aveste negato ad uno di questi
miseri, a Me lo avreste rifiutato. E cioè: l’umanità sofferente
diviene un simbolo, un segno, un sacramento umano, il quale nasconde
la presenza mistica, misteriosa di Gesù.
LA VIRTÙ REDENTRICE TRASFUSA NEL
DOLORE UMANO
Gesù è in ogni sofferente. Che questi lo sappia o no, Gesù
sicuramente c’è. E c’è pure - altro capitolo ineffabile di questa
analisi della storia e dei destini umani - non soltanto per
condividere, elevare e lenire i patimenti, ma per associarli ai
propri, per attribuire ad essi la medesima virtù di redenzione che la
Croce, la sua Croce, ebbe per il mondo. San Paolo ci dichiara
ancora: Io compio nella mia carne ciò che manca alla Passione di
Cristo: vale a dire che a noi viene comunicata la virtù redentrice
della sofferenza di Cristo. Occorrerà un contatto spontaneo per
questo, bisognerà volere, amare: ed è una realtà che la virtù
redentrice di Cristo può trasfondersi in ogni tormento dell’uomo.
Ora se noi ci siamo innalzati a considerare il panorama del regno del
dolore, dove Cristo domina e dove distende le sue grazie ed i suoi
aiuti, siamo quasi presi dalla curiosità di classificare questa
umanità che soffre. E sarebbe ed è compito di tanta pietà,
sapienza e penetrazione delle cose terrene e delle cose divine.
PREGHIERA PER QUANTI VERSANO NELLA
TRIBOLAZIONE
E qui - continua Sua Santità - sospendiamo il nostro pensiero per
far seguire la nostra preghiera conclusiva di questo pio esercizio.
Guardando alla grande molteplicità delle angosce umane, il nostro
occhio si ferma su una prima categoria di sofferenti, che quasi ci
aumenta la ripugnanza e il mistero del dolore.
Gli innocenti
Alludiamo al dolore innocente. Chi non l’ha visto nei poveri bambini
che portano forse l’eredità di mancanze paterne e materne? Chi non
ha visto tante malattie ed infelicità non meritate, non previste, che
non hanno una spiegazione? Eppure l’hanno: proprio il dolore
innocente è il più prezioso. Cristo era il perfetto innocente. Se
non fosse stato tale, non avrebbe avuto la forza, la potenza, il
carisma di redenzione da Lui posseduti. Era l’Agnello,di Dio, la
Vittima, e perciò ha potuto salvare il mondo. Allora tutto questo
dolore innocente ci viene in profonda simpatia e grandissima pietà.
Sono gli agnelli di Dio; sono forse quelli che ancora espiano e
tolgono i peccati del mondo, senza saperlo. Ma il Signore, che
tutto conosce, trae dal soffrire degli innocenti un prezzo che non
chiederebbe ad altri cuori e ad altre esistenze.
I peccatori
C’è, poi, una seconda categoria di dolore, opposta alla prima: il
dolore colpevole, quello che ci procuriamo da noi, che andiamo
costruendo con le lotte, gli odi, gli egoismi; con le guerre
diventate oramai un insulto alla storia degli uomini e al progresso,
alla libertà e maturità del genere umano. C’è ancora chi crede a
tale soluzione, e con quanta arte, con quanto impiego di forze, di
ingegno, di denaro e di vite, per creare altri affanni sulla terra!
Sono affanni che vengono come sanzioni delle nostre colpe, dei nostri
peccati. Ora, anche per questi la Passione di Cristo apre la Sua
infinita misericordia. Non c’è peccato che non possa essere
perdonato dal Signore. Uno solo sfuggirebbe alla virtù della sua
clemenza, e sarebbe quello della disperazione: il poter non dire più
«Padre nostro . . .» - uno scrittore lo rileva - è la più
grande infelicità quaggiù.
Il mondo del lavoro
Il nostro sguardo si volge ancora ad ulteriori sofferenze, a quelle
comuni, della vita quotidiana, della famiglia, delle esistenze
pesanti, povere, stentate; ci soffermiamo, in modo speciale, sulle
sofferenze del mondo del lavoro. Chi lo conosce, sa che cosa è la
fatica umana ancor oggi; sa che cosa è la mancanza di riconoscimenti
terrestri adeguati, che cosa è l’insicurtà e l’insufficienza del
pane, che cosa la fiamma che il nostro tempo ha fatto divampare
nell’intimo del lavoratore: desideri immensi che lo fanno soffrire e
alcune volte lo incattiviscono, mentre, per sé, il lavoro dovrebbe
rendere nobile, forte e lieto chi lo compie. Preghiamo, preghiamo,
affinché il Signore anche qui effonda la sua rugiada di bontà e di
consolazione, attenuando tutte le asperità inerenti al nostro
passaggio sulla terra.
I perseguitati
Altra sofferenza ancora. Incombe nei paesi dove i nostri fratelli di
fede non possono concedersi spettacoli come quello a cui noi
partecipiamo questa sera. Colà è minacciata la fede; è derisa, è
oppressa; non c’è libertà di espressione, di associazione; la
coscienza è intimidita da continue minacce e pericoli. Vorremmo che
questi diletti fedeli, - se mai a loro giungesse la Nostra voce -
sapessero che noi preghiamo per loro; condividiamo e conosciamo i loro
spasimi, e vorremmo infondere, proprio per l’onore delle nazioni a
cui appartengono, una speranza di giorni migliori.
I nostri defunti
E infine rivolgiamo lo sguardo al dolore che ha varcato i confini del
tempo, al dolore dei nostri defunti, che è originato da una tensione
divenuta estremamente cosciente, di desiderare la felicità in Dio e
di non poterla presto conseguire: questo è il Purgatorio. Per tali
care anime il Signore, che, appena morto, è disceso a dare ai
trapassati l’annuncio della Redenzione, salga la nostra supplica al
Cielo, porti loro refrigerio e, a Dio piacendo, la visione
beatifica.
Dunque, a tutti, - conclude l’Augusto Pontefice - a tutti quelli
che soffrono nello spirito, nel corpo; a tutti coloro che hanno le
stimmate di Gesù nella loro persona, giunga il conforto di Cristo,
il grande Paziente, il grande Consolatore, il grande Redentore,
mediante la Nostra Benedizione Apostolica.
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