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«Dominica Palmarum», 23 marzo 1975
A voi giovani, invitati a questo rito, tanto significativo, il
nostro saluto particolare! A tutti i Fedeli, che con voi vi
partecipano, esprimiamo la nostra spirituale e cordiale accoglienza.
È un momento importante questo, non solo nel disegno celebrativo della
Settimana Santa, che oggi iniziamo, ma altresì nella ripercussione
ideale e religiosa, che esso deve assumere nei vostri, nei nostri
animi, per la decisione del giorno d'oggi. Ancora una volta noi
commemoriamo, noi riviviamo il mistero pasquale. Il grande dramma,
tragico e trionfante, della passione, della morte e quindi della
vittoriosa risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, si riflette
nel mondo, nella storia, e proprio in questo Anno, che chiamiamo
santo, per le ragioni speciali da noi enunciate, che vi rendono
presente Colui che costituisce il centro del tempo (Cfr. Gal. 4,
4): come il sole lontano, egli è qui, con la sua luce, con la sua
azione, con la sua perenne assistenza (Cfr. Matth. 28, 20).
Ascoltateci adesso, voi Giovani specialmente. Si tratta,
innanzitutto di avere coscienza, primo, di quello che voi siete,
della vostra identità, come oggi si dice. Voi siete qui proprio come
giovani, perché giovani. Siete qui come tipici rappresentanti del
nostro tempo, come protagonisti della vostra generazione; non tanto
come spettatori, invitati e assistenti passivi, ma come attori e
fattori del fenomeno caratteristico della vostra gioventù, il fenomeno
della novità. Secondo: persuasi della ragione, che giustifica la
vostra presenza a questa liturgia rievocatrice, cioè della vostra
gioventù, voi assumete un aspetto rappresentativo della vostra
generazione; voi rappresentate, nelle vostre persone, la categoria
umana a cui appartenete; rappresentate la gioventù del nostro tempo,
qualunque ne sia la patria, la classe, la formazione d'origine.
Siete qui, perché siete giovani; e come tali noi vi abbiamo
invitati, perché vogliamo vedere in voi la età giovanile, nelle sue
tipiche espressioni, prescindendo dalle distinzioni differenziali che
pure esistono fra di voi e fra le file dei vostri coetanei, di cui
tuttavia questa cerimonia affida a voi la funzione qualificante.
Perché noi vi abbiamo qua invitati? Per due motivi: uno riguarda il
rito religioso, il quale vuole riprodurre in modo simbolico e sacro la
scena evangelica, che voi conoscete, quella cioè dell'ingresso,
modesto nella forma, ma clamoroso nelle intenzioni (Cfr. Luc.
19, 40), di Gesù in Gerusalemme, ch'era in quei giorni
gremita di popolo per la Pasqua imminente, affinché Egli, Gesù,
fosse finalmente e pubblicamente riconosciuto ed acclamato come il
Cristo, come il Messia, come il prodigioso Salvatore, atteso da
secoli, inviato da Dio, e finalmente arrivato e presente. Momento
storico, momento solenne, momento misterioso, di cui, fra tutti, i
ragazzi ed i giovani di quella folla, delirante di gioia, meglio
intuirono il significato rinnovatore e festivo; e non sapendo come dare
all'improvvisata manifestazione lo splendore che meritava, essi
principalmente proruppero in acclamazioni bibliche e popolari:
«Hosanna, benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re
d'Israele» (Io. 12, 13); e strappati dei rami dalle palme e
dagli olivi del luogo, era quello il monte Oliveto, si dettero ad
agitarli festosamente, gridando: «Pace in cielo e gloria
nell'alto» (Luc. 19, 38).
Ecco; ripensate bene la scena evangelica. I fanciulli, i giovani,
riconoscono il Cristo e pur nell'ambiente infido ed ostile dei
Farisei e degli scribi della Gerusalemme giudaica di quel tempo
(Cfr. Io. 12, 19), essi lo acclamano, essi lo glorificano.
Così ora, con questo rito. Secondo motivo. Giovani, voi lo
intuite. Noi vorremmo che la fede e la gioia della gioventù, che
inneggiò a Gesù Signore, riconosciuto per il vero Cristo, centro
della storia e della speranza di quel Popolo, fossero oggi e fossero
per sempre le vostre: fede e gioia. Perché ciò sia, noi abbiamo
dapprima in silenzio, personalmente pregato; poi vi abbiamo invitato.
Ce ne rendiamo conto: il nostro invito è provocante! come un invito
d'amore! L'invito a questa festiva cerimonia vuole entrare nei
vostri cuori, con una incalzante domanda: Giovani del nostro tempo,
volete riconoscere che Gesù è il Salvatore? È il Maestro? È il
Pastore, è la guida, è l'amico della nostra vita?
È Lui, e solo Lui, che conosce in profondità il nostro essere, il
nostro destino (Io. 2, 25); è Lui, Lui solo che può
estrarre dalla nostra oscura coscienza la nostra vera personalità
(Cfr. Io. 3, 7; 4, 29; etc.); Lui, Lui solo, che
autorizza con efficacia beatificante, ad aprire il dialogo trascendente
col mistero religioso ed a rivolgere al Dio infinito e inaccessibile il
confidente discorso di figli ad un dolcissimo e verissimo «Padre
nostro», che stai nei cieli; Lui, Lui solo, diciamo, che sa
tradurre il nostro rapporto religioso in rapporto sociale autentico,
cioè a fare dell'amore a Dio il fondamento incomparabile e fecondo
dell'amore al nostro prossimo, cioè agli uomini; e ciò tanto più,
quanto più questo nostro interesse per il bene altrui è gratuito e
universale, e quanto più gli uomini, ormai in Cristo qualificati
fratelli, sono nel bisogno, nella sofferenza, e perfino
nell'ostilità. Cioè il nostro invito a questa caratteristica
cerimonia, nel cuore dell'Anno Santo, si risolve in una domanda
decisiva: volete anche voi, Giovani di questo critico momento storico
e spirituale, come quelli del giorno delle Palme a Gerusalemme,
riconoscere Gesù come il Messia, come il Cristo Signore, centro e
cardine della vostra vita? Lo volete davvero porre al vertice della
vostra fede e della vostra gioia?
Si tratta di uscire da quello stato di dubbio, d'incertezza, di
ambiguità, in cui si trova e si agita spesso tanta parte della
gioventù contemporanea. Si tratta di superare la fase di crisi
spirituale, caratteristica dell'adolescenza che passa alla
giovinezza, e poi dalla giovinezza alla maturità; crisi di idee,
crisi di fede, crisi di orientamento morale, crisi di sicurezza circa
il significato e il valore della vita. Quanti giovani crescono con gli
occhi chiusi, o miopi almeno, circa la direzione spirituale e sociale
del loro cammino verso il futuro; la freschezza delle forze giovanili e
gli stimoli degli istinti vitali imprimono, sì, una energia al loro
libero movimento, una vivacità ai loro comportamenti; ma sanno essi
dove vanno, dove valga la pena di impegnare la propria esistenza?
L'inquietudine giovanile non supplisce spesso la mancanza di uno stile
elegante ed energico d'una vita illuminata da coscienti e superiori
ideali? E non scopriamo noi spesso in fondo all'anima giovanile oggi
una strana tristezza, che accusa un suo vuoto interiore? E che cosa
significa l'incantesimo di qualche barlume spirituale in tanti giovani
insoddisfatti e quasi delusi di tutto quanto il mondo moderno loro apre
davanti? Un richiamo alla coscienza interiore, alla preghiera, alla
fede?
Non prolunghiamo ora questa diagnosi, e accogliamo la conclusione che
quest'ora benedetta ci suggerisce. La conclusione è Cristo delle
Palme. Un Cristo riscoperto. Un Cristo acclamato. Un Cristo
umilmente e fermamente creduto, non nella perpetua e pigra penombra del
dubbio, ma nella limpida luce della dottrina, che la Chiesa maestra
di verità ci propone. Un Cristo incontrato nell'adesione esultante
alla sua parola e alla sua misteriosa presenza ecclesiale e
sacramentale. Un Cristo vissuto nella fedeltà semplice e lineare al
suo vangelo, sì esigente fino al sacrificio, ma solo fonte di
inesausta speranza e di vera beatitudine. Un Cristo, velato e
trasparente in ogni volto umano del collega, del fratello bisognoso di
giustizia, di aiuto, di amicizia e di amore. Un Cristo vivo. Il
«sì» della nostra scelta; il «sì» della nostra esistenza.
Giovani, sappiate così comprendere l'ora vostra. Il mondo
contemporaneo vi apre nuovi sentieri, e vi chiama portatori di fede e
di gioia. Portatori delle palme, che oggi avete nelle mani, simbolo
d'una primavera nuova, di grazia, di bellezza, di poesia, di bontà
e di pace. Non indarno, non indarno: è Cristo per voi; è Cristo
con voi! Oggi e domani; Cristo per sempre.
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