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Cagliari, 24 aprile 1970
Questo è il momento prezioso del duplice incontro, che ha dato motivo
alla Nostra venuta da Roma a questo vostro Santuario della Madonna
di Bonaria. Duplice incontro: primo, quello della Nostra umile
persona, del Papa, con il Popolo Sardo; secondo, quello Nostro e
vostro con la Madre di Cristo, Maria Santissima, che in questo
luogo storico e sacro è venerata, da sei secoli, come la speciale
Patrona della Città di Cagliari e dell’Isola di Sardegna.
NEL SIGNORE IL SALUTO ALL’ISOLA
GENEROSA
Eccoci pertanto a celebrare il primo incontro, quello con voi, Sardi
carissimi. Ecco a voi nel Signore il Nostro saluto. Noi lo
dovremmo rivolgere dapprima al vostro Arcivescovo, il Cardinale
Sebastiano Baggio, dal quale abbiamo avuto l’irresistibile invito
per questo Nostro singolare pellegrinaggio, il Nostro cordiale e
riverente saluto; così lo dovremmo esprimere agli altri Confratelli
Vescovi qui presenti, alle Autorità civili e militari d’ogni
grado, che assistono, con tanta Nostra compiacenza, a questa
cerimonia; così alle altre Personalità e ai vari gruppi qualificati
della comunità ecclesiale dell’Isola, al Clero, ai Religiosi e
alle Religiose, agli Alunni dei Seminari, al Laicato Cattolico,
agli Amici ed ai Fedeli della Chiesa di Cagliari e dell’intera
Sardegna. Ma ci vogliano concedere, tutte queste categorie di
persone, che riserviamo per loro un altro momento di colloquio proprio
per loro, e che diamo ora la precedenza e la preferenza al Popolo,
che è qui presente, e che con le sue schiere e con la sua moltitudine
ci offre un quadro stupendo, la visione genuina e rappresentativa di
tutta la gente di Sardegna: a voi Sardi, a voi figli di questa
Isola, nella quale convergono dal poligono mediterraneo le più
antiche e le più varie linee etniche e storiche, ma voi ne costituite
una sintesi quanto mai caratteristica e relativamente uniforme, a voi,
cari figli della Sardegna, si rivolge il Nostro primo, affettuoso
saluto. Piace a Noi incontrarvi e immaginarvi ancora scolpiti nella
vostra fisionomia atavica di popolo semplice, laborioso, austero,
taciturno, selvatico e triste, ma dai costumi umani e pii; un popolo
adusato alle privazioni e alla fatica, un popolo isolato dal mondo,
come la sua terra; un popolo dalle passioni fiere e tenaci, ma insieme
dai sentimenti ingenui e gentili, capaci di esprimersi in leggendarie
fantasie ed in canti gravi e calmi come echi incantevoli, che recano
ancora la voce di secoli lontani. Forse Noi non vi conosciamo
abbastanza, ma ciò che Noi sappiamo di voi basta per riempire il
Nostro animo di affezione, di simpatia, di stima. Noi siamo molto
contenti d’essere fra voi Sardi, vi salutiamo tutti di gran cuore:
Siete anche voi contenti che il Papa sia venuto a trovarvi?
Siamo venuti per tutti. Ma a Noi piace rivolgere il Nostro
particolare pensiero a voi, Pastori della Sardegna. Voi Pastori
sembrate essere ancora i rappresentanti tipici della popolazione rurale
dell’Isola. È noto anche a Noi, come a tutti, il duro e rupestre
vostro genere di vita, che si svolge povera, primitiva e solitaria, e
sempre congiunta, come quella dei Patriarchi biblici, alle sorti dei
vostri greggi. Ci hanno detto che qualcuno di voi voleva venire a
questo incontro con Noi guidando qua le sue pecore; voi ci avreste
raffigurato al vivo la scena evangelica del buon Pastore, ricordando
così a Noi il primo dei Nostri doveri, quello pastorale! Questo vi
dice, cari Pastori Sardi, la simpatia con la quale vi salutiamo, e
la comprensione che Noi abbiamo per l’umile, continua e silenziosa
sofferenza, che caratterizza la vostra esistenza. Noi la vorremmo
consolare e migliorare! Siamo perciò anche Noi riconoscenti con
quanti si occupano di voi per alleviare le vostre misere condizioni
materiali, economiche e sociali. Ci è conforto sapere che la piaga
finora inguaribile della malaria è stata finalmente debellata, e che
alla bella e selvaggia scena dei vostri monti e dei vostri campi è
stato finalmente aggiunto il dono della salubrità: questa è una prima
grande conquista, alla quale certamente altre seguiranno per migliorare
le condizioni delle vostre abitazioni, della vostra istruzione, del
vostro lavoro. Auguriamo dunque che la pastorizia rimanga professione
onorata, rinnovata e florida della gente sarda e le conservi, con la
semplicità, la sanità del costume.
AI MINATORI
Poi vogliamo salutare i minatori della Sardegna. Anche il vostro
lavoro rappresenta una tradizione secolare del Popolo Sardo. Il
suolo di questa Isola, aspro ed avaro alla superficie, nasconde
tesori nelle profondità delle sue viscere. Fino dai primi tempi della
sua storia la Sardegna è conosciuta come un’isola mineraria; e si
deve a questa sua nascosta ricchezza se il Papa San Ponziano,
l’unico Papa che prima di Noi abbia messo piede in Sardegna, vi fu
deportato e condannato forse anche lui all’improba vostra fatica e
allora ancor più dura, al tempo degli Imperatori Romani,
Alessandro, Severo e Massimino, oltre diciassette secoli fa
(235); certo è che qui morì martire, adflictus, maceratus
fustibus, oppresso, torturato dalle bastonate (Lib. Pont.),
fino a morirne, martire di Cristo e della Chiesa Romana.
Voi, Minatori, avete così un collega, il Papa minatore, vittima
per la fede cristiana, mediante la durezza della vostra fatica e della
crudeltà dei suoi persecutori. Come non potremmo guardare a voi con
compassione e con affezione particolare? Oggi certamente il lavoro
nelle miniere non è più così inumano come era una volta; ma rimane
sempre un lavoro gravissimo e rischioso. Noi guardiamo a voi,
Minatori, con ammirazione e con un intimo rammarico d’essere a voi
tanto inferiori nella scala della sofferenza, che come seguaci ed
araldi della Croce, dovrebbe essere pure la Nostra. Ci siete di
monito e di esempio. Perciò vi accogliamo con particolare onore, con
particolare amore. Anche per le vostre condizioni Noi stessi, in
nome di Cristo, siamo riconoscenti a chi cerca di migliorarle, a chi
vi assiste, a chi vi ricorda che anche voi siete figli di Dio, e
perché più degli altri obbligati a così improba e socialmente
indispensabile fatica, più degli altri siete meritevoli della stima
comune e della cristiana carità. A voi, Minatori, il Nostro
cordiale saluto.
AI PESCATORI
E salutiamo poi i Pescatori. Ecco un altro mestiere che il Signore
ha voluto additare ad esempio del Nostro ufficio apostolico.
Pescatori erano i primi discepoli del Signore, pescatore era
Simone, poi da Lui chiamato Pietro, senza che con ciò fosse
cambiato il simbolo dell’attività, alla quale doveva essere dedicata
la missione di Pietro e del fratello Andrea e quindi ancor oggi la
Nostra: «Venite con me, Io vi farò pescatori di uomini»
(Matth. 4, 19). Anche a voi perciò, Pescatori, va la
Nostra simpatia e si rivolge oggi il Nostro invito per questo incontro
spirituale. E così vorremmo dire a coloro che lavorano nelle vicine,
celebri saline della Sardegna. Il repertorio delle similitudini
evangeliche contiene anche quella del sale: «Voi, disse il Signore
ai suoi apostoli attribuendo a loro un carisma, un ufficio, una
responsabilità speciale, voi siete il sale della terra» (Matth.
5, 13). Abbiamo in questo simbolo della Nostra funzione
gerarchica un titolo per pensare anche a voi come ad amici.
AGLI EMIGRANTI
Ma vi è un’altra categoria di persone che Noi vogliamo espressamente
salutare: sono gli Emigranti dalla Sardegna, qui oggi
rappresentati, e sono specialmente gli Emigranti nella Sardegna, che
sta diventando terra aperta all’attività d’ogni specie di lavoratori
e di operatori provenienti dal Continente: possiate voi tutti trovare
qui il Paese amico, al quale dare, dal quale ricevere, con i beni
temporali, quelli spirituali, del cuore e della fede.
ALLA GENTE DEL MARE
E finalmente salutiamo la Gente del mare, oggi qua convenuta: donde
venite, Marittimi, ora presenti davanti a questo Santuario? E
perché venite? Quali sconfinati orizzonti voi aprite dinanzi al
Nostro pensiero! Gli orizzonti del mare, gli orizzonti dei porti e
delle città marinare, gli orizzonti dell’umanità che affida alle
onde il proprio destino, per navigare, per lavorare, per trafficare,
per esplorare, per tessere fra gli abitanti della terra relazioni di
ogni genere. Voi fate del mare, che pare invalicabile elemento, e
che separa gli uomini fra loro, una via di comunicazione, anzi la via
più largamente e febbrilmente percorsa. Voi avete per casa la nave,
per campo di lavoro il mare, per patria il mondo. Il distacco
intermittente, ma continuamente ripetuto, dalle vostre famiglie è la
vostra sorte, la solitudine del cuore, la estraneità delle
compagnie, la nostalgia della casa, la frequenza del pericolo, la
severità della disciplina sono condizioni normali della vostra vita.
Lanciati sul mare verso paesi lontani e stranieri, chi pensa a voi?
chi vi assiste? Chi vi aiuta a riposare, a pensare, a pregare?
Oh! v’è chi nella Chiesa vi vuol bene, come marittimi, come
uomini, come cristiani: la rete delle opere dell’«Apostolato del
mare», ormai estesa in tanti porti della terra, non vi lascia soli,
vi attende e vi assiste; voi lo sapete. La vostra presenza qui lo
dice, perché questa cerimonia vuole essere anche per voi; e Noi
siamo lieti di incontrarvi in questa occasione per offrire anche a voi,
Marittimi, il conforto di sentirvi in comunione con la grande e comune
famiglia dei credenti, la Chiesa, e sapervi affidati ad una eccelsa e
rassicurante protezione, quella della Madonna.
LA SECOLARE DEVOZIONE A MARIA
Ed eccoci allora, Fratelli tutti e Figli carissimi, davanti a
Maria per il secondo e principale incontro, che ci ha chiamati oggi a
questo Santuario della Madonna di Bonaria. Dobbiamo non solo
riconfermare il culto, che per sei secoli ha fatto di questo Santuario
un punto, anzi un ponte, di spirituale contatto delle Genti Sarde e
degli Uomini del Mare con la benedetta fra tutte le creature, Maria
Santissima, Madre di Cristo secondo la carne, e Madre nostra
spiritualmente (Cfr. S. AUG., De S. Virg. 2; PL
40, 397). Dobbiamo soprattutto, a Noi pare, cercare di
comprendere nuovamente le ragioni della nostra venerazione e della
nostra fiducia verso la Madonna. Ne abbiamo bisogno? Sì, tutti ne
abbiamo bisogno. Bisogno e dovere. Questo momento prezioso deve
segnare un punto di illuminata ripresa, per tutti, della nostra
venerazione a Maria, di quella speciale venerazione cattolica alla
Madre di Cristo, che a lei è dovuta e che costituisce un presidio
speciale, un conforto sincero, una speranza singolare della nostra
vita religiosa, morale e cristiana.
Perché, oggi, che cosa è avvenuto? È avvenuto, fra i tanti
sconvolgimenti spirituali, anche questo: che la devozione alla
Madonna non trova sempre i nostri animi così disposti, così
inclini, così contenti alla sua intima e cordiale professione com’era
un tempo. Siamo noi oggi così devoti a Maria come lo era fino a ieri
il clero ed il buon popolo cristiano? Ovvero siamo oggi più tiepidi,
più indifferenti? Una mentalità profana, uno spirito critico hanno
forse reso meno spontanea, meno convinta la nostra pietà verso la
Madonna? Noi non vogliamo ora cercare i motivi di questa eventuale
diminuita devozione, di questa pericolosa esitazione. Noi vogliamo
adesso piuttosto ricordare i motivi della nostra obbligazione verso il
culto di Maria Santissima, che sono validi oggi come, e più, di
ieri. Non ci riferiamo ora alle forme di questo culto, ma piuttosto
alle ragioni, che lo giustificano e che devono farcelo più che mai
apprezzare e praticare: è ciò che ha fatto, a questo proposito, con
magnifiche pagine, il recente Concilio Ecumenico. Qui Noi dobbiamo
assai semplificare questo esame, e ridurlo a due fondamentali domande.
La prima: qual è la questione che oggi assorbe, si può dire, tutto
il pensiero religioso, tutto lo studio teologico, e che, lo avverta
egli o no, tormenta l’uomo moderno? È la questione del Cristo.
Chi Egli sia, come venuto fra noi, quale sia la sua missione, la
sua dottrina, il suo essere divino, il suo essere umano, la sua
inserzione nella umanità, la sua relazione e la sua rilevanza con i
destini umani. Cristo domina il pensiero, domina la storia, domina
la concezione dell’uomo, domina la questione capitale della umana
salvezza. E come è venuto Cristo fra noi? È venuto da Sé? È
venuto senza alcuna relazione, senza alcuna cooperazione da parte
dell’umanità? Può essere conosciuto, capito, considerato
prescindendo dai rapporti reali, storici, esistenziali, che la sua
apparizione nel mondo necessariamente comporta? È chiaro che no. Il
mistero di Cristo è inserito in un disegno divino di partecipazione
umana. Egli è venuto fra noi seguendo la via della generazione
umana. Ha voluto avere una Madre; ha voluto incarnarsi mediante il
mistero vitale d’una Donna, della Donna benedetta fra tutte. Dice
l’Apostolo, che ha tracciato la struttura teologica fondamentale del
cristianesimo: «Quando arrivò la pienezza del tempo, Dio mandò il
Figlio suo, nato di Donna . . . .» (Gal. 4, 4). E
«Maria - ci ricorda il Concilio - non fu strumento puramente
passivo nelle mani di Dio, ma cooperò alla salvezza dell’uomo con
libera fede ed ubbidienza» (Lumen gentium, 56). Questa dunque
non è una circostanza occasionale, secondaria, trascurabile; essa fa
parte essenziale, e per noi uomini importantissima, bellissima,
dolcissima del mistero della salvezza: Cristo a noi è venuto da
Maria; lo abbiamo ricevuto da Lei; lo incontriamo come il fiore
dell’umanità aperto su lo stelo immacolato e verginale, che è
Maria; «così è germinato questo fiore» (Cfr. DANTE,
Par., 33, 9). Come nella statua della Madonna di Bonaria,
Cristo ci appare nelle braccia di Maria; è da Lei che noi lo
abbiamo, nella sua primissima relazione con noi; Egli è uomo come
noi, è nostro fratello per il ministero materno di Maria. Se
vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo
riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce
la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a Lui ci conduce.
Una duplice vita: quella dell’esempio e quella dell’intercessione.
Vogliamo essere cristiani, cioè imitatori di Cristo? Guardiamo a
Maria; ella è la figura più perfetta della somiglianza a Cristo.
Ella è il « tipo ». Ella è l’immagine che meglio d’ogni altra
rispecchia il Signore; è, come dice il Concilio,
«l’eccellentissimo modello nella fede e nella carità» (Lumen
gentium, 53, 65, etc.). Com’è dolce come è consolante
avere Maria, la sua immagine, il suo ricordo, la sua dolcezza, la
sua umiltà e la sua purezza, la sua grandezza davanti a noi, che
vogliamo camminare dietro i passi del Signore; com’è vicino a noi il
Vangelo nella virtù che Maria personifica e irradia con umano e
sovrumano splendore. E come scompare, se di ciò vi fosse bisogno,
da noi il timore che dando alla nostra spiritualità questa impronta di
devozione mariana, la nostra religiosità, la nostra visione della
vita, la nostra energia morale debbano diventare molli, femminee e
quasi infantili, quando appressandoci a Lei, poetessa e profetessa
della redenzione, ascoltiamo dalle sue labbra angeliche l’inno più
forte e innovatore che sia mai stato pronunciato, il Magnificat; è
Lei che rivela il disegno trasformatore dell’economia cristiana, il
risultato storico e sociale, che tuttora trae dal cristianesimo la sua
origine e la sua forza: Dio, Ella canta, «ha disperso coloro che
insuperbivano nei loro pensieri . .., ha rovesciato dal loro trono i
superbi ed ha esaltato gli umili» (Luc. 1. 51-52).
E qui la seconda via Ella, la Madonna, ci apre per arrivare alla
nostra salvezza in Cristo Signore: la sua protezione. Ella è la
nostra alleata, la nostra avvocata. Ella è la fiducia dei poveri,
degli umili, dei sofferenti. Ella è perfino il «rifugio dei
peccatori». Ella ha una missione di pietà, di bontà,
d’intercessione per tutti. Ella è la consolatrice d’ogni nostro
dolore. Ella insegna ad essere buoni, ad essere forti, ad essere
pietosi per tutti. Ella è la regina della pace. Ella è la madre
della Chiesa.
Ricordate tutto questo, figli della Sardegna e Uomini del mare; e
non dimenticate mai di guardare alla Madonna come alla vostra «massima
Protettrice».
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