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Festività di San Giuseppe, Patrono della Chiesa universale
Sabato, 19 marzo 1966
Signori Cardinali!
Venerati Fratelli! e diletti Figli!
Il conferimento dell’ordine episcopale, che abbiamo ora compiuto,
avviene nel giorno dedicato al culto di San Giuseppe, l’umile,
silenzioso, fedele e ammirabile padre putativo di nostro Signore
Gesù Cristo, lo sposo purissimo della beata Vergine Maria, il
Protettore della santa Chiesa, modello e patrono dei Lavoratori
cristiani. La luce evangelica di questo Santo, che più d’ogni
altro conobbe, servì e protesse i misteri dell’infanzia di Cristo e
della immacolata sua madre, si proietta sopra l’avvenimento, che noi
stiamo celebrando, e ci invita a penetrarne il senso recondito, a
gustarne il divino disegno, a derivarne la cristiana virtù, ad
accettarne le doverose risultanze.
Come quella di lampada domestica, che diffonde lume modesto e
tranquillo, ma provvido ed intimo, e fuga l’oscurità della notte,
invitando alla veglia pensosa e laboriosa, conforta il tedio del
silenzio e il timore della solitudine, vince il peso della stanchezza e
del sonno, e sembra discorrere con voce piana e sicura dell’alba che
verrà, così la luce della pia figura di San Giuseppe, pare a
Noi, diffonde i suoi raggi benefici nella «casa di Dio», che è la
Chiesa; la riempie degli umanissimi ed ineffabili ricordi della venuta
nella scena di questo mondo del Verbo di Dio, fatto uomo per noi e
come noi, e vissuto sotto la protezione, la guida e l’autorità del
povero artigiano di Nazareth; e la rischiara del suo incomparabile
esempio, quello che caratterizza il santo tra tutti fortunato per tanta
comunione di vita con Gesù e con Maria, quello cioè del suo
servizio a Cristo, del suo servizio per amore. Questo è il segreto
della grandezza di San Giuseppe, che ben si accorda con la sua
umiltà: l’aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al
mistero dell’Incarnazione e alla missione redentrice che vi è
congiunta; l’aver usato dell’autorità legale, che a lui spettava
sulla sacra famiglia, per farle totale dono di sé, della sua vita,
del suo lavoro; l’aver convertito la sua umana vocazione all’amore
domestico nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuore e d’ogni sua
capacità, nell’amore posto a servizio del Messia germinato nella sua
casa, suo figlio nominale e figlio di David, ma in realtà figlio di
Maria e figlio di Dio. Se mai a qualcuno si conviene questa insegna
evangelica, che fa la gloria di Maria, la profetessa del
«Magnificat», quella del Precursore, quella, si può dire,
d’ogni santo: «servire per amore», a S. Giuseppe la dobbiamo
attribuire, il quale ci appare da essa rivestito, come del profilo che
lo definisce, come dello splendore che lo glorifica; servire Cristo
fu la sua vita, servirlo nell’umiltà più profonda, nella dedizione
più completa, servirlo con amore e per amore.
Ora, venerati Fratelli, che Noi abbiamo testé avuto la fortuna di
rivestire del carattere episcopale, e voi, Fratelli e Figli, che
qui fate loro corona, non è forse questa stessa divisa, che da
sempre, ma da oggi in avanti, dopo il Concilio, più che mai e
massimamente, conviene a chi è, scelto per essere Vescovo nella
Chiesa di Dio? Così grande cosa è l’episcopato, che vari sono
gli aspetti, con cui esso a noi si presenta: il nostro occhio umano
(ma ben si può dire anche del nostro più penetrante occhio
cristiano) subito resta sorpreso e quasi abbagliato dalla luce,
vogliamo dire dalla dignità, che rifulge nella persona e nella
funzione del Vescovo.
Avete or ora sentito le parole del canto della consacrazione e della
forma stessa, con cui questo grado supremo del sacramento dell’ordine
è conferito: vi abbiamo qualificati, o venerati Fratelli or ora
consacrati, come ornamentis totius glorificationis instructos,
rivestiti delle insegne della più alta dignità; e così è per coloro
che sono autentici successori degli Apostoli, che hanno ricevuto il
sacerdozio di Cristo nella più ampia misura comunicabile ad uomini,
che sono inondati dallo Spirito Santo con una speciale grazia
santificante, che sono segnati da un carattere indelebile, per cui
sono distinti dagli altri fedeli e dagli altri ministri dell’altare e
abilitati a funzioni esclusive e vitali per Ia conservazione storica e
visibile e per la santificazione del corpo mistico di Cristo, e che
come suoi legati (cfr. 2 Cor. 5, 20) parlano ed operano, «in
persona Cristi», quasi la sua divina persona in essi fosse vitalmente
presente: dignità maggiore non esiste su questa terra; ed è
spiegabile come sempre la tradizione della Chiesa e la coscienza del
popolo cristiano abbiano attribuito ai Vescovi tanti segni di
venerazione e d’onore.
Né minore ammirazione suscita nel credente un altro aspetto della
figura del Vescovo, considerata non solo nel suo essere personale, ma
nelle sue funzioni, nelle potestà cioè che le sono conferite e che la
costituiscono: egli è il testimonio ed il maestro della fede, egli è
l’apostolo, il missionario, l’araldo della Parola di Dio, è il
messaggero del Vangelo, è il predicatore, il maestro, il profeta
nella Chiesa; egli è la guida, il tutore, il rappresentante, il
giudice, il capo del popolo cristiano; in una parola, che tutto
riassume, è il Pastore. Il Vescovo è il Pastore. Aspetto
questo familiare quasi, tanto coincide con il consacrato all’ufficio
episcopale, e tanto riflette ben note immagini evangeliche; ma aspetto
stupendo, come quello che Cristo a se stesso attribuì e rivendicò:
«Io sono il buon Pastore» (Io. 10, 11), e che Egli a
Pietro principalmente conferì; e a tutti gli Apostoli, ai
«Seniori», come scrive S. Pietro stesso (1 Petr. 5, 2) è
stato esteso.
Ma vi è nell’Episcopato un terzo aspetto, che la coscienza della
Chiesa del nostro tempo mette in maggiore evidenza: è la ragione
finale, il perché dell’Episcopato, lo scopo del suo essere e della
sua funzione: il servizio cioè della Chiesa. Il Vescovo è il
servitore per eccellenza della Chiesa. Tale si definisce Cristo
stesso: «Non sono venuto per essere servito, ma per servire»
(Matth. 20, 28); servo e ministro San Paolo chiama tanto
sovente se stesso «. . . cum liber essem ex omnibus, omnium me
servum feci, ut plures lucrifacerem» (1 Cor. 9, 19); e
tale, fra tutti, S. Agostino non cessa di qualificare il Vescovo
: «Debet enim qui praeest populo, prius intellegere se servum esse
multorum . . . Talis debet esse bonus episcopus; si talis non
erit, episcopus non erit» (Sermo de ord. ep.; Morin, Miscell.
agostiniana 1, 563, ss.).
E non è con un’accentuazione di tale concetto che colui al quale
nella Chiesa di Dio è riconosciuta la missione di Vescovo universale
presenta se stesso: servus servorum Dei? Non è meraviglia perciò
se i più assidui e valenti studiosi moderni della teologia
sull’Episcopato su questo aspetto fermano principalmente la loro
attenzione: «Il tema della gerarchia come consistente essenzialmente
in un servizio corre attraverso tutta la tradizione cristiana... La
maniera per cui, nel Vangelo, la dignità dell’apostolato è legata
alla Persona di Gesù e ad una missione da lui ricevuta, significa
che questa dignità è data come un incarico e un dovere, non
formalmente, né dapprima come un diritto, che apparterrebbe
all’apostolato . . . È un dovere, non un diritto» (Congar,
L’Episcopat, p. 67 ss.). Anche la grazia, conferita al
Vescovo mediante la consacrazione, è, sì, «un dono che lo
arricchisce interiormente, ma innanzitutto per il servizio degli
altri» (Lecuyer, ib. 787).
Del resto voi, neo consacrati, dopo aver sentito il peso del libro
dei Santi Evangeli sulle vostre spalle, avete poco dopo ascoltate le
tremende parole: «Accipe Evangelium et vade, praedica populo . .
.» . quale comando, quale dovere, quale servizio! E voi tutti
conoscete in quali termini il Concilio ecumenico, mentre proclama i
poteri del Vescovo, ricorda i loro doveri: l’episcopato è una
responsabilità, anzi una corresponsabilità che prende le proporzioni
del mondo, è una cura, è un’oblazione di sé, è un debito, che
tende ad esaurire tutte le proprie possibilità di servizio e di
sacrificio.
Fratelli veneratissimi! Diciamo forse queste cose per oscurare la
serena e luminosa letizia di questo giorno? ovvero per aumentare fino
allo sgomento il timore che già invade i vostri animi al pensiero degli
obblighi immensi che d’ora innanzi vi saranno imputati? No, diletti
Fratelli «et in passione socii»! questo diciamo, perché la realtà
delle cose, alla quale siete stati assunti; perché la grandezza
stessa dei nuovi doveri è l’indice della predilezione che, tramite la
santa Chiesa, il Signore ha avuto per voi: perché la vostra
destinazione al servizio della Chiesa stessa è accompagnata da una
grazia abilitante e corroborante: «Potens est enim Deus, ut augeat
vobis gratiam suam»; perché il carisma proprio dell’Episcopato è
la diffusione del Vangelo nel mondo, un carisma, che esalta e che
consuma, come una fiamma divorante; il carisma della carità, Parola
e Grazia e governo, nell’atto del suo misterioso e umano passaggio,
da Dio, da Cristo al suo ministro, e dal ministro alle anime, al
Popolo di Dio: è il carisma del servizio dell’amore e per amore.
Così che, venerabili Fratelli, non possiamo disgiungere le Nostre
felicitazioni per la somma grazia, che vi è conferita, dal Nostro
fraterno incoraggiamento: è vero, vi attendono gravi
responsabilità, grandi doveri, molte difficoltà, fors’anche
dispiaceri e dolori; così è la sequela di Cristo; così è la
vocazione ad essere suoi apostoli e suoi ministri. Ma «nolite
timere»; non abbiate davanti a voi la prospettiva degli ostacoli e
delle pene, che sono proprie dell’ufficio episcopale; ma abbiate
piuttosto davanti a voi: gli uomini da amare e da servire e da
salvare; il mondo vi è aperto davanti! Se mai dubbio, delusione,
stanchezza vi sorprendessero nel cammino che state per intraprendere,
vi sorregga il ricordo di quest’ora incomparabile: dobbiamo servire,
servire per amore: le anime, la Chiesa, il mondo, Cristo.
Voi Ci sarete collaboratori diretti, Fratelli carissimi! quale
conforto per Noi! e quale, osiamo pensare, conforto per voi! Due
di voi, Ci sono vicini nella guida e nella assistenza alla Chiesa
universale, in questa Santa Sede, a cui piacque a Cristo affidare
una singolare e indispensabile
missione. Questi tempi post-conciliari la rendono forse più delicata
e difficile; non sempre gli animi, dentro e fuori della Chiesa, vi
sono bene disposti; problemi di rinnova-mento spirituale e di
adattamento canonico esigono una attenzione, una sapienza, una
fermezza che dànno un carattere nuovo e alquanto straordinario al
governo centrale della Chiesa, e impegnano chi, come voi, attende
all’esame e alla soluzione delle questioni presenti e imminenti, ad un
lavoro assai faticoso.
Ma ci sostenga tutti la carità del Signore: «Caritas patiens est,
benigna est . . . omnia suffert . . . omnia sustinet». E Dio
voglia che questa carità animatrice dell’opera insonne della Sede
apostolica sia così vera e così comunicabile, che tutti i Nostri
Fratelli nel mondo, guardando
a questa stessa Sede Apostolica ne abbiano sempre edificazione, e possano
sempre meglio sperimentare non solo le esigenze dell’unità, ma
altresì il gaudio ed il vigore.
E gli altri due neo-consacrati eccoli destinati al ministero pastorale
in questa Nostra Roma del cuore! Godiamo di sapervi al fianco del
Nostro Cardinal Vicario, da lui designati e al suo ministero
direttamente associati, ma non meno al Nostro, nuovi e validi
collaboratori.
Voi siete, e lo proverete, i segni viventi della Nostra carità
episcopale per la Nostra diletta e tanto cresciuta Diocesi di Roma;
voi infatti dimostrate con la vostra elezione e certamente con il vostro
ministero, condiviso da Monsignor Vicegerente e dagli altri zelanti
Vescovi Ausiliari, lo sforzo pastorale che vogliamo fare, affinché
all’Urbe, piena di gente nuova e di nuovi problemi non manchi
l’opera molteplice e nuova di cui essa ha bisogno per conservarsi,
anzi per rinnovarsi cristiana, e per essere in esempio alla Chiesa
intera, e sempre idonea e degna di comprendere e sostenere la missione
universale di Roma cattolica, la Diocesi del Papa.
Sono auguri e sono doveri; sono speranze e sono preghiere; che Noi,
sigillando il ricordo di questo momento sublime con l’invocazione della
Madonna, di S. Giuseppe, di S. Giovanni Battista e dei Santi
Pietro e Paolo, vogliamo accompagnare e quasi illuminare con il motto
ora citato: «servire per amore», e avvalorare con la Nostra
Benedizione Apostolica.
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