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15 aprile 1973
Venerati Fratelli, Figli tutti carissimi,
E voi, ragazzi e giovani specialmente, che anche quest’anno noi
abbiamo invitato a questa singolare e solenne cerimonia religiosa, la
quale precede e inaugura le grandi e sempre nuove celebrazioni
pasquali!
Noi diremo brevemente, ma voi ascoltateci bene: È di sommo interesse
che noi tutti ci uniamo alla Chiesa, anzi che noi componiamo la
Chiesa (che vuol appunto significare l’assemblea dei credenti in
Cristo), per commemorare, per rinnovare liturgicamente
l’avvenimento che supera tutti gli avvenimenti e a tutti gli
avvenimenti della terra e della storia si riferisce sotto l’aspetto
della nostra salvezza; è la Pasqua, fatto e mistero della redenzione
dell’umanità. Non mai come nell’ora della Pasqua la nostra
religione assume importanza decisiva per la nostra vita, presente e
futura, di tutti e di ciascuno; la Pasqua è il punto focale in cui
convergono tutti i raggi della nostra esistenza, dei nostri destini.
Tutti, per il sì o per il no, siamo impegnati nell’avvenimento
pasquale.
Come e perché questo fatto e questo mistero? Chi è capace di
rispondere a questa domanda, nella quale si compie la sintesi suprema
della fede con la vita?
Proviamo a rispondere con due considerazioni, che ci sono suggerite
dalla celebrazione liturgica, che ora stiamo compiendo. La festa
delle Palme, riportata alla sua origine evangelica, di cui noi ora
facciamo memoria e simbolica ripetizione, che cosa ci dice? Ci dice,
innanzitutto, che Gesù, il Gesù di Nazareth, il figlio di
Maria, e legalmente figlio del fabbro Giuseppe (Matth. 13,
55), il giovane Rabbi che da circa tre anni percorreva la
Palestina, predicando come nessuno mai aveva predicato (Io. 7,
46), con un linguaggio semplice e sublime da rivelarsi senz’altro
misterioso profeta (Cfr. Io. 4, 19; 6, 14), e compiendo
miracoli stupefacenti (Io. 3, 2), suscitando insomma un
inesplicabile e tormentoso interesse circa la realtà della sua
Persona, - tutto il Vangelo è pieno della curiosità relativa
appunto alla definizione di chi fosse veramente Gesù (Cfr. Matth.
11, 3; 16, 14; e specialmente il Vangelo di S.
Giovanni), - ebbene quel Gesù scioglie, finalmente, in parte
almeno, il mistero della sua identità, e in quel giorno, il giorno
delle Palme, cioè del suo ingresso umile e trionfale in
Gerusalemme, si lascia proclamare Messia.
Messia, che cosa vuol dire? qui il discorso sarebbe lungo, ma
dobbiamo concentrarlo nel significato che questo nome aveva assunto
nella maturazione provvidenziale della divina rivelazione al Popolo
eletto: Messia voleva dire, da un lato, l’uomo della tradizione
genuina e privilegiata, cioè il figlio di David per eccellenza, e
voleva dire, d’altro lato, l’uomo dell’avvenire, l’uomo della
speranza, il re dei divini destini, il profeta della buona novella
(Cfr. Is. 61, 1); il Sacerdote investito di suprema
potestà, il servo di Yahweh espiatore e liberatore, il Figlio
dell’uomo in cui confluivano tutte queste prerogative, così da
rendere la sua figura, quasi indefinibile (Cfr. Io. 8, 14),
ma superlativa per maestà e potenza (Cfr. Marc. 14, 62).
Gesù, nelle umilissime parvenze che il Vangelo ci ricorda, lascia
alla fine trasparire i titoli della sua realtà, quella realtà
trascendente che costituirà i capi d’accusa per la sua imminente
condanna: Figlio di Dio (Io. 19, 7; Matth. 26, 63),
e Re dei Giudei (Cfr. Matth. 2, 2; 21, 5; 27,
37): leggete la narrazione del processo di Gesù, posta dalla
liturgia odierna immediatamente dopo il rito delle Palme, e vedrete
emergere questi titoli messianici di Gesù, per i quali Egli sarà
crocifisso, ma in forza dei quali Egli, dopo la sua risurrezione,
sarà dalla prima Chiesa e poi fino a noi proclamato Gesù Signore,
Gesù Cristo (Cfr. Act. 2, 36).
Così che noi, celebrando oggi questa festività delle Palme,
lasciamo che l’eco delle voci, che hanno acclamato Gesù quel giorno
quale Messia, risuoni nei nostri animi, anzi vogliamo che nei nostri
cuori e sulle nostre labbra esso risuoni: viva Gesù, il Messia
dell’umanità, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, re e maestro,
luce e salvatore del mondo. Noi siamo qui per professare con vigore
vittorioso che in Cristo è la via, la verità, la vita, è la
nostra salvezza, la nostra sicurezza, la nostra pace, il nostro
amore, la chiave d’ogni potere su l’umana esistenza (Cfr. Apoc.
1, 18), la nostra speranza, la nostra felicità! È così forte
l’esplosione della nostra fede, oggi, che, come Gesù stesso ebbe
allora a dire: se le nostre voci tacessero, parlerebbero le pietre!
(Luc. 19, 40)
Ed ecco allora la seconda nostra considerazione; e questa riguarda
direttamente noi uomini, noi fedeli, che ci professiamo credenti e
cristiani. Riguarda specialmente voi, giovani, qui presenti: vi
sentite di proclamare Cristo, con questa convinzione, con questa
reazione alla mentalità indifferente e negativa, che ci circonda, con
questa scelta decisiva del suo nome benedetto e delle conseguenze
innovatrici del nostro modo di concepire e di condurre la vita, che
essa comporta? Vogliamo davvero proclamare Gesù come nostro
Messia, nostro Cristo, Signore e Salvatore? nostro Amico e
Maestro?
Oh! quale questione! quale scelta! quale assalto alle nostre
abitudini, alle nostre idee, alle nostre speranze! Ci inseriamo
anche noi nel popolo festante, che finalmente si mette sui suoi passi,
indovina Chi Egli è, e proclama coraggiosamente e gioiosamente la
propria fede in Gesù?
Noi avremmo stimolo, a questo punto, a parlare non solo a voi,
giovani, ma di voi. Sì, di voi, giovani, quali la vita moderna vi
configura, e quali alcuni di voi si vantano di essere, contestatori,
ribelli, rovesciatori di quanto le generazioni precedenti hanno
costruito, e insieme sicuri d’una radicale e liberatrice
trasformazione della società. Di voi, che spesso siete creduti e
qualificati come insofferenti di ogni obbedienza, di ogni giogo,
d’ogni disciplina, d’ogni dovere, e avidi e liberi di vita istintiva
e gaudente, disimpegnati da ogni ideale che esiga rinuncia, impegno,
fatica, lealtà. No, non così vi parleremo. Non faremo oggi
l’analisi della gioventù decadente, della quale, sì, il nostro
tempo ci offre qualche pietoso e punto simpatico esemplare. Guarderemo
piuttosto a voi con altra intenzione, fiduciosa di scoprire l’aspetto
più vero, più umano, più cristiano dei vostri atteggiamenti. Noi
conosciamo le vostre inquietudini. Esse sono in realtà profonde e
personali aspirazioni ad una ideale figura di uomo, che sia vero,
sincero, forte, generoso, eroico e buono. Migliore insomma dei
modelli umani del passato e del presente; nuovo e perfetto. Esse sono
desideri grandi e stupendi verso un mondo migliore, libero e giusto,
affrancato dal dominio della ricchezza egoista e dell’autorità
dispotica e ingiustamente repressiva, reso invece fraterno da un comune
impegno di solidarietà e di servizio. Voi pensate all’amore, quello
della amicizia, lieta, pacifica, cortese espressione d’ogni migliore
sentimento; e voi sognate l’amore, quello interpersonale e sacro del
dono di sé; quello per la espansione della vita; quello che merita
sacrificio e tutto, e che rende felice. E poi voi, ormai maturi per
comprendere in sintesi panoramica la società, la politica, la
storia, la dignità del genere umano, voi attendete un’età ideale,
ma reale, dove l’unità, la fratellanza, la pace regnino finalmente
fra gli uomini. Giovani, e voi tutti fratelli, che così andate
agitando dentro di voi questi alti e universali pensieri, oh! aprite
gli occhi, svegliate le coscienze; voi attendete e auspicate un’era
messianica; voi andate, forse senz’avvedervene, incontro a un
Messia; sì, incontro al Cristo Gesù. È Lui; non vi è che
Lui, che possa appagare la sete profonda e misteriosa degli animi
vostri. Gesù, Gesù; è Lui la luce e la salvezza del mondo e di
ciascuno di noi. Gesù, Gesù! Oggi è il giorno, oggi è la
festa della nostra scoperta, della nostra speranza, della nostra
gioia. Acclamiamo insieme: osanna! Benedetto colui che viene nel
nome del Signore! (Marc. 11, 9-10).
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