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Domenica, 27 febbraio 1972
Una fervida esortazione ad amare la Chiesa è il tema del Santo
Padre nella Omelia pronunciata durante la Messa nella parrocchia di
San Pier Damiani ai Monti di San Paolo in Acilia, dove il Papa
è presente per la stazione quaresimale.
Paolo VI innanzitutto richiama l’attenzione dei presenti sul motivo
della visita. Egli l’attua come Vescovo di Roma, e desidera
sottolineare il particolare vincolo di parentela spirituale che lo lega
ai parrocchiani di S. Pier Damiani in quanto componenti della stessa
diocesi romana. Indica poi tra i motivi principali della sua venuta il
fatto che la parrocchia sia dedicata a San Pier Damiani e sottolinea
la presenza del Cardinale Cicognani, presidente del comitato per le
celebrazioni in onore del Santo, con i presuli che del comitato stesso
fanno parte.
Il Santo Padre si sofferma quindi sull’attualità dell’insegnamento
di San Pier Damiani, il quale, nove secoli or sono, disse parole,
compì gesti, assunse posizioni che trovano riscontro nella situazione
del nostro tempo. Il Santo, fu, tra l’altro, vescovo di Ostia,
e a quel tempo la zona dove oggi sorge Acilia si trovava proprio nel
territorio di quella diocesi. Fu vescovo, fu cardinale. Prima era
stato monaco, e ancora tanti monaci camaldolesi continuano la sua
tradizione, a cominciare dall’abbazia di Fonte Avellana, un
complesso storico, antichissimo in cui si conservano tuttora i tesori
originali delle sue opere.
Ma la ragione principale che spinge oggi a onorare questo Santo, al
quale da dieci anni è dedicata la parrocchia scelta dal Papa per la
visita quaresimale, consiste nel fatto che egli fu esemplarmente «uomo
di Chiesa». Questa caratteristica emerge come la nota saliente da
tutta la sua vita, piena di avvenimenti e di opere prodigiose. Fu
monaco, fu maestro e fu ambasciatore dei Papi del suo tempo. Certe
sue lettere e pagine sono vibranti come quelle degli scrittori che hanno
lo slancio dell’espressione più ardita e più forte. San Pier
Damiani scrisse i suoi libri per la Chiesa. Egli amò intensamente
la Santa Chiesa, la Santa Chiesa Romana, di cui fu strenuo
difensore. Le parole che ci ha lasciato sulla funzione del Papa che
deve presiedere a tutta la Chiesa sembrano scritte negli anni del
Concilio Ecumenico Vaticano II. Per ordine di Cristo, il
Successore di San Pietro deve avere la responsabilità di tutta la
Chiesa, deve portare il suo servizio a tutta la Chiesa.
Questa prerogativa del Sommo Pontefice fu energicamente difesa da
San Pier Damiani in tempi, purtroppo, corrotti. Noi sentiamo
tanto spesso parlare male della nostra società, e non di rado a buon
diritto. Abbiamo molte cose da lamentare. Ma era forse migliore quel
tempo? Grazie a Dio, osserva il Santo Padre, i nostri tempi sono
migliori. Allora erano decaduti i costumi, i sentimenti del vivere
cristiano, e purtroppo anche nell’interno della Chiesa. Perfino
alcuni ministri della Chiesa, meritarono riprensione e rimprovero.
Nel periodo della vita di San Pier Damiani ci fu più di un
antipapa. Era quasi difficile sapere quale fosse il vero Papa. Ma
il Santo, seguendo la logica del Vangelo, la logica del Diritto
Canonico, della legge della Chiesa, sapeva distinguere il vero
Papa. Con forza tremenda, inveiva e scriveva contro chi abusava
delle possibilità sfrenate di quei tempi per arrogarsi diritti che non
aveva, contro i laici che, secondo un vizio diffuso, comperavano gli
uffici ecclesiastici, ottenendo così ricchezza e potenza per sé e per
i propri familiari. Contro questo disordine insorse San Pier
Damiani, così come molti altri. Paolo VI ricorda, per esempio,
l’abate di San Paolo, Ildebrando, che, in seguito divenuto Papa
Gregorio VII, impose la libertà della Chiesa contro le
intromissioni del potere secolare, stroncò questi vizi e dette
gradualmente alla Chiesa un’espressione genuina, sana, dirigendola
verso i suoi scopi spirituali e morali.
L’esempio di San Pier Damiani ci invita ad amare la Chiesa. È
questa la richiesta del Papa alla parrocchia che porta il nome del
Santo, alla diocesi di Roma e a tutta la grande famiglia universale
di Cristo che arriva ormai a tutti i confini della Terra. È un
invito a voler bene all’umanità, perché è di Cristo e perché
Cristo l’ha amata, ha dato il suo sangue per salvarla e ne ha fatto
una famiglia di fratelli destinati ad essere una cosa sola con Lui.
Bisogna amare la Chiesa proprio come ideale dell’umanità, come
scopo delle intenzioni divine sulla vita umana.
Tra i sentimenti degli uomini quello dell’amore per la Chiesa deve
essere emergente. L’amore alla Chiesa deve trovarsi al vertice della
piramide, perché la Chiesa è l’umanità amata da Cristo, esaltata
da Cristo. Noi tutti siamo componenti di questa famiglia umana, e
l’appartenenza a questa società religiosa spirituale è per ciascuno
motivo di sacrificio, di servizio, di speranza e di gioia. Essere
nella Chiesa significa avere una grande confidenza nella vita. Tanti
sono sconsolati, disperati. Noi che apparteniamo alla Chiesa
dobbiamo essere sempre felici di appartenere a questa famiglia di
Cristo che si chiama Chiesa.
Ce lo insegna San Pier Damiani. Si sentono, nel nostro tempo,
tante parole offensive verso la Chiesa, parole non solo di critica,
che può avere uno scopo, ma di contestazioni avanzate quasi per
difendersi, nella vita sociale, dalle espressioni di vita che non si
considerano autentiche e buone. Viviamo in un periodo in cui si cerca
di colpire lo scandalo nella Chiesa, di trovarlo anche se non c’è,
di vedere tutto sotto una luce sinistra. La critica è facile e
spesso, specie presso le giovani generazioni, si presenta come un
vezzo elegante.
Come si comportò San Pier Damiani di fronte ai difetti della
Chiesa, che allora erano molto gravi? Egli amò la Chiesa ed
insegnò ad amarla. Dobbiamo amare tanto più la Chiesa quanto più
essa ci si presenta inferiore a quello che dovrebbe essere. I mali
stessi della Chiesa devono essere per noi motivi per amarla di più.
Come amiamo di più una persona ammalata perché ha bisogno di essere
assistita, così dobbiamo amare di più la Chiesa nelle sue
infermità, nelle sue debolezze, nelle sue ombre umane.
La Chiesa dovrebbe essere santa, buona, dovrebbe essere come l’ha
pensata e ideata Gesù Cristo. San Paolo mette il titolo di «sposa
di Cristo» nel cuore e sulle labbra di Gesù. La Chiesa deve
essere bella, splendida, santa, pura. Così dobbiamo pensarla e
desiderarla, anche se tante volte vediamo che qua e là non è vestita
di questi meriti. Se siamo veramente figli della Chiesa, se abbiamo
capito il disegno di Cristo dobbiamo amarla con maggiore forza,
cominciando noi stessi a essere più fedeli, più osservanti, più
bravi nella preghiera e nell’esercizio delle virtù cristiane. Si
riedifica la Chiesa se ciascuno, personalmente, si sforza di essere
autentico nella fedeltà che la Chiesa ha il diritto di pretendere.
San Pier Damiani ha veramente amato la Chiesa e ha vissuto da uomo
di Chiesa. Ha predicato la penitenza e ha fatto penitenza. Ha
insegnato la preghiera ed è stato uomo di preghiera. Ha invitato ad
essere onesti e la sua vita è stata splendente di virtù e di onestà.
Ha pregato perché la Chiesa fosse purificata dalle sue scorie ed ha
dato egli stesso testimonianza alla Chiesa con la sua integrità e con
la purezza della sua vita.
La mancanza che più frequentemente commettiamo, osserva a questo
punto il Santo Padre, è quella di essere incoerenti. Siamo
battezzati: dobbiamo dunque essere tutti figli di Dio e degni di
questo titolo. Lo siamo veramente? Diciamo di essere cristiani:
applichiamo dunque la legge cristiana alla nostra vita. Diciamo di
essere buoni fedeli: siamo veramente fedeli? La logica ci obbliga a
trarre le conseguenze da questa nostra dignità cristiana. Se siamo
cristiani, da cristiani dobbiamo vivere. Dobbiamo dimostrare con la
nostra vita e con i nostri sentimenti che l’essere fedeli figli della
Chiesa non è un nome vano, non è un attributo insignificante.
Paolo VI richiama poi l’attenzione dei presenti sul brano evangelico
letto poco prima, quello della Trasfigurazione. Gesù, con tre dei
suoi discepoli, si reca su un monte: forse il Monte Tabor,
nell’alta Galilea. Arrivano stanchi, di notte. I discepoli cadono
a terra e si addormentano. Gesù invece si raccoglie a pregare da
solo. A un certo punto gli occhi dei discepoli dormienti si aprono
perché si è accesa una gran luce. Vedono che Cristo si è
trasfigurato. Il testo parla di una specie di metamorfosi. Gesù è
mutato. Il suo volto è irraggiante come un sole e abbaglia i
discepoli. Le sue vesti, che erano quelle di un povero viandante,
sono diventate candide come la neve, bianche come la luce. I
discepoli restano sbalorditi, incantati. Pietro, che è sempre il
più impulsivo, il più generoso, il più pronto, il più
entusiasta, comincia a parlare. Esprime la gioia di trovarsi lì.
Vede vicino a Gesù due altri personaggi. Come li riconosca, non
sappiamo. Ma ha un intuito: capisce che sono Mosè ed Elia.
Propone di fare tre capanne e di restare in quel luogo così bello.
Ma ecco diffondersi un alone luminoso che circonda i tre personaggi:
Cristo è al centro, irradiante. I due misteriosi accompagnatori che
rappresentano l’uno la legge dell’Antico Testamento, l’altro la
profezia, stanno parlando con Lui. La nube li avvolge; i discepoli
si gettano a terra. Si ode una voce, profonda, dolcissima,
celeste, che dice: «Questo è il mio Figlio amatissimo.
Ascoltatelo». I discepoli restano esterrefatti e non hanno il
coraggio di sollevare la testa. Si sentono toccare da Cristo, che li
invita ad alzarsi. La scena è scomparsa.
Ci sarebbe da chiedersi, come i discepoli conoscessero Gesù. Fino
ad allora, lo conoscevano con i loro sensi, come la loro conversazione
con lui, la sua compagnia lo avevano a loro presentato: come un uomo.
Anche se intravvedevano in Lui qualcosa di singolarissimo, erano
affascinati dalla sua presenza, dalla sua parola, dai suoi miracoli,
lo vedevano come l’uomo Gesù, il profeta, il maestro. Ma in quel
momento videro che in Gesù c’era qualche altra realtà, lo videro
trasfigurato, lo videro in trasparenza, lo videro illuminato e
illuminante. Si accorsero che Gesù non era soltanto un uomo, ma era
un mistero. E la voce dal cielo annunciò questo mistero: è il
Figlio di Dio, è Dio fatto uomo. Ascoltatelo. La sua Parola
esige d’essere ascoltata perché è venuta dal cielo. Egli è Colui
che porta la Parola di Dio nel mondo. È il Verbo, la Parola di
Dio che si è fatta uomo, che si è fatta carne nostra. È svelato il
mistero dell’incarnazione.
Il Papa invita gli ascoltatori a tener sempre in mente questa immagine
del Vangelo che la Chiesa ci propone di meditare. La Chiesa, è un
altro Cristo, è Cristo che passa attraverso la storia, è Gesù
che si prolunga nel tempo, è il Corpo Mistico di Cristo.
Guardando questo Corpo Mistico, vediamo delle persone come tutte le
altre, magari anche difettose, che smentiscono con la loro condotta il
titolo sovrano di cui sono insignite, cioè il titolo di cristiani.
Vorrei, esorta il Santo Padre, che aveste la capacità di
intravvedere nella Chiesa la luce che porta dentro, la capacità di
vedere trasfigurata la Chiesa, di vedere cioè quello che il Concilio
ha illustrato tanto chiaramente nei suoi documenti. La Chiesa
racchiude una realtà misteriosa, un mistero profondo, immenso,
divino. Dio è nella Chiesa. La Chiesa è il sacramento, il segno
sensibile di una realtà nascosta che è la presenza di Dio tra noi.
È l’apportatrice di Dio nel mondo. Non è un’apparizione che
sfugge; è un destino, un nostro destino perché reca con noi la
vocazione di cui siamo insigniti, di diventare figli di Dio, viventi
di Dio. Cristo è il grande disegno di Dio di abbassarsi, di farsi
come noi perché noi diventassimo associati alla sua vita. Siamo tutti
destinati a diventare divinizzati e la Chiesa porta con sé questa
vocazione, questo mistero, questa forza che ha di farci cristiani, di
trasfigurarci.
Il Papa invita a concepire la storia, tutti i nostri dolori, le
nostre fatiche, le nostre gioie, come eventi convogliati a diventare
immagine e trasparenza di Dio. Sono parole difficili, ma sono
reali, sono belle, sono vere. Tutti vorrebbero vedere un miracolo,
ma il miracolo siamo noi stessi se siamo cristiani. La Chiesa è
anche umana, ma è la sposa di Cristo, è la bellezza di Cristo, è
la virtù di Cristo, è la vocazione di Cristo alla umanità di
diventare suo Corpo, di vivere di Lui, di essere unita in Lui, di
essere trasfigurata dalla sua presenza e dalla sua virtù
divinizzatrice. Ecco il messaggio che il Papa lascia a questa
parrocchia, dove è venuto ad onorare il Santo che ha amato la Chiesa
e che ha visto in lei, nonostante tutti i suoi difetti, le sue colpe,
le sue bassezze, la sposa di Cristo. C’è qualcuno escluso da
questa vocazione, da questo destino? È escluso soltanto chi non vuole
essere chiamato, chi ama il peccato, e staccarsi dalla Chiesa,
preferisce rinunciare a questa fortuna, giocando con la sua sorte
eterna. Ma se invece - conclude il Santo Padre - accettiamo con
umiltà e con gioia l’invito ad essere figli della Chiesa, membri di
questo grande Corpo, siamo destinati fin da adesso a vedere questo
destino in una forma sacramentale, dove il segno c’è e la realtà
dentro è nascosta. E inoltre siamo pure destinati a veder
sfolgorare, come Cristo sul monte, la nostra sorte di essere anche
noi figli di Dio, figli per l’eternità.
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