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IV Domenica (Laetare) di Quaresima, 28 marzo 1965
Il nostro primo pensiero, la nostra meditazione devono concentrarsi
sul brano del Vangelo testé letto, per farne alimento, principio
direttivo e vita delle anime nostre.
La pagina di questa Domenica è quella sullo stupendo miracolo della
moltiplicazione dei pani. Esso è grande innanzitutto perché è fra i
più documentati nel Vangelo. Tutti e quattro gli Evangelisti ne
fanno il racconto. San Giovanni - suo è il testo odierno - vi
aggiunge alcuni particolari che dimostrano la sua presenza al prodigio.
Nomina infatti Filippo e Andrea; dice che il pane era di orzo,
accenna ad alcune caratteristiche del luogo; dà varie altre notizie,
che certo nessuno avrebbe inventato se non fossero state reali e
registrate nella memoria di un testimone oculare.
Grande miracolo perché compiuto davanti a ben cinquemila persone ed a
loro beneficio; quindi spettacolare, fatto davvero per essere un segno
non soltanto per alcuni osservatori, ma per una folla, per un popolo.
Miracolo, dunque, dal significato sociale, collettivo; esteso a
tutta la gente che sarebbe accorsa ad ascoltare allora, e in seguito,
l’insegnamento di Gesù.
La moltiplicazione dei pani. Il primo aspetto di questo avvenimento
sarebbe la maraviglia, che quasi ci fa immaginare la sorprendente
improvvisa creazione di tanti e tanti pani che Gesù, con l’aiuto
degli Apostoli, è in grado di distribuire a quanti sono in attesa.
Nondimeno un altro aspetto deve richiamare subito la nostra
attenzione, anche per il conseguente profitto che ne trarranno le
nostre anime.
Siamo dinanzi alla fame. Gesù ha intorno a Sè un popolo affamato.
Ora, - ecco una nota oltremodo interessante -, Gesù stesso ha
provocato questa fame, giacché procedendo, con i vari episodi della
sua predicazione, oltre il Lago di Tiberiade in luogo deserto, ha
distolto quanti lo seguivano dalla possibilità di raggiungere
agevolmente i centri abitati, le rispettive dimore, ove rifocillarsi.
E Gesù lo dice apertamente rivolgendosi all’Apostolo Filippo:
Come faremo a dare da mangiare a tutti costoro? Il rilievo del
Signore, già di per sé, pone in risalto una necessità vasta ed
urgente. Ma, come nota l’Evangelista, Egli ben sapeva ciò che
stava per compiere, anche perché, nel caso estremo di inedia, la
moltitudine sarebbe stata indotta facilmente a cambiare la propria
mentalità nei riguardi di un Profeta così venerato ed attraente.
Quindi Gesù compie il miracolo, che, per tanti motivi, si rivela
fondamentale.
Che cosa c’è infatti di più conosciuto e di più sperimentato, da
tutti, della fame? Essa richiede il cibo; è la denuncia della
insufficienza del nostro organismo, incapace di ‘reggere con le sole
sue forze. Esso ha, infatti, indispensabile bisogno di una regolare
fornitura dell’alimento, altrimenti verrebbe meno.
Né solo di cibo noi abbiamo necessità, ma di vari altri elementi, a
cominciare dall’aria che respiriamo, senza contare tutto quello che
viene richiesto dal nostro essere spirituale, dall’anima,
dall’intelletto, dal cuore. Siamo come degli occhi che esigono la
luce esterna per essere funzionanti. In una parola non siamo degli
indipendenti, e tanto meno degli autosufficienti.
È dunque chiaro che non bastiamo a noi stessi; e nulla v’è di più
reale e sperimentato di tale imponente fenomeno. Si sente invece
dire, da molte persone del mondo moderno, esattamente il contrario.
V’è, oggi, chi esalta, in una maniera sconsiderata, la
sufficienza dell’uomo a se stesso, definendo umiliazione ogni soccorso
che gli venga dall’esterno. Eppure la realtà delle cose conferma ad
ogni istante che la vita umana non continuerebbe ad essere tale senza un
completo alimento.
Siamo dunque degli esseri affamati, sempre in attesa di trovare
qualche cosa di proporzionato alle nostre capacità, che ci renda meno
faticosa l’esistenza; anche perché il cibo non ha solo la facoltà di
nutrire, ma pur quella di far crescere, di compensare gli squilibri
fisiologici ecc. Non possiamo, dunque, rinunciare alla
organizzazione definita mondo economico, e alle regolari provvidenze di
cui viviamo e che ci porgono aiuto ad ogni momento.
Questa la realtà. Quale ne è il senso? Che significato Gesù
Cristo vuol attribuire, nel Vangelo, alla naturale esigenza della
vita umana? Perché il Signore ha condotto lontano quella folla, ed
ha quindi compiuto il miracolo? Per riconoscere la primaria nostra
richiesta: quella del pane.
Ora qui si profila qualche difficoltà per il duplice significato di
questo tratto evangelico. Deve il Signore direttamente e sempre
provvedere al nostro pane materiale? Il cristianesimo è forse sorto
per soddisfare alle necessità economiche della nostra vita? Possiede
cioè un valore temporale? Sappiamo benissimo che, di per sé, ciò
non è. Gesù dà a tutti noi, prima di qualsiasi cosa, un altro
Pane.
A ben comprendere il brano che stiamo meditando, dovremmo ripensare a
quanto avvenne il giorno successivo a quello del miracolo, con il
memorabile discorso tenuto dal Divino Maestro a Cafarnao, a commento
del prodigio della moltiplicazione dei pani, e rivolto alla gente,
che, accalcandosi intorno a Gesù, continuava a ripetere:’ dacci
ancora di quel pane così buono.
E Gesù a dichiarare: no; voi cercate il pane della terra, io
voglio darvi il Pane del cielo. Il Signore, cioè, voleva
stimolare le anime, a cui si dirigeva, ad avvertire altre indigenze,
oltre quelle materiali, corporee e temporali. Lo dirà in tante altre
pagine del suo Vangelo. Non di solo pane vive l’ uomo - abbiamo
letto nel Vangelo della prima Domenica di Quaresima - ma di ogni
parola che scende dal Cielo. Alla Samaritana che non ammette in
Gesù la capacità di dissetare - Come lo puoi tu che non hai di che
attingere l’ acqua dal pozzo? - il Signore dirà: C’ è una sete
d’ altro genere. Ed ora .qui afferma: C’ è un’ altra fame.
Esistono ulteriori alimenti che l’uomo reclama, che voi dimenticate,
e che io solo posso offrire. «Ego sum panis vitae; qui venit ad me,
non esuriet; et qui credit in me, non sitiet unquam». Il prodigio
che il Signore ha compiuto dando il pane materiale voleva essere prova
e simbolo di un atto dell’onnipotenza del Signore: quello di saziare
la fame dello spirito; di dare alla nostra vita quel completamento che
Egli soltanto possiede e largisce.
Io sono il Pane! Gesti dice di farsi nostro cibo e alimento. Non
è una cosa paradossale? No, affatto: noi dobbiamo nutrirci di Lui
per osservare i suoi precetti ed essere ossequenti al disegno di
potenza, bontà, misericordia, da Lui svelatoci in questa pagina del
Vangelo.
Cristo è il Pane della vita. Cristo è colui che viene a saziare le
nostre vere necessità. Ne consegue che noi dovremmo fare, in un
certo senso, l’inventario di tali necessità. Che cosa ci è
indispensabile? Senza dubbio il pane materiale: e il miracolo di
Gesù dimostra che coloro i quali avranno fede nella sua parola e le
daranno il primato nell’ordine delle cose, non mancheranno nemmeno del
pane economico e del pane quotidiano.
Ma la gradualità dei bisogni, quella che corrisponde alla gerarchia
dei valori, dice: cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia,
e tutto il resto vi sarà dato. Ora, proprio nel Vangelo, il
Signore ha dimostrato la sua onnipotenza per soddisfare anche alle
istanze economiche e temporali del nostro corso terreno. Tuttavia
Egli ciò ha disposto per dare poi la lezione che intendeva condurre i
suoi uditori a definire Gesù stesso come alimento insostituibile per
l’umanità. Tutto quanto noi desideriamo di più alto, di
definitivo, di supremo e - possiamo dirlo con una parola sola - di
vittorioso sulla morte, sulla nostra caducità, debolezza,
insufficienza, Gesù lo individua e pone come il reale complemento,
come la piena soddisfazione della nostra esistenza.
La Chiesa ha scelto apposta questo brano per condurci a pensare a
Gesù davvero come al Pane del Cielo, e dato a noi. Ci si può
privare del pane in questa vita? Non si può. Ed allora Gesù si
definisce e si fa Pane affinché noi comprendiamo che senza di Lui non
possiamo vivere. È indispensabile, giacché corrisponde al pane che
sazia la nostra fame e dà sostentamento.
Gesù viene incontro alla nostra attesa spirituale di essere alimentati
misteriosamente dalla sua presenza, dalla sua Persona, dalla sua
parola e da questa sua capacità di comunicare e di moltiplicarsi per
venire a contatto con tutte le anime. Voi comprendete come la Chiesa
abbia messo allora in questa Domenica giuliva - la quarta di
Quaresima, che è come una specie di sosta nel periodo penitenziale
che conduce alla Pasqua - per dirci: pensate al Cibo dell’anima
vostra; preparatevi alla Pasqua; cercate di desiderare Cristo, di
aver fame di Lui, di conseguire l’unione con Lui, e di capire che
senza di Lui non possiamo vivere; di comprendere invece che con Lui
siamo in grado di avere la vita che non muore, la vita che non
fallisce, la vita senza la quale noi non potremmo essere né realmente
vivi né completamente beati.
«Io sono il Pane del Cielo». «Io sono il Pane della vita».
Sono venuto a dare l’alimento per la vita del mondo. Questa è la
lezione che il Signore ci imparte nel suo Vangelo. Ce la ripete la
Chiesa in questa quarta Domenica di Quaresima, volendo che ciascuno
di noi rientri in se stesso e si chieda: ma io ho desiderio di
Cristo? so io nutrirmi di Lui? cogliere, dalle sue parole, dalla
sua grazia, dal suo insistere alla porta della mia anima, il senso
della prossimità che Egli stabilisce col mio spirito? avvalermi della
immensa oblazione di bontà, di carità e di potenza con cui Egli
vuole che io viva di Lui?
Dobbiamo concludere ripetendo quanto San Paolo diceva di sé:
«Mihi vivere Christus est»: Io vivo di Cristo. Dobbiamo
arrivare a tale radiosa mèta per essere veramente cristiani e,
aggiungiamo, per essere veramente buoni e felici.
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