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Domenica, 7 marzo 1971
Durante la celebrazione della S. Messa nella Parrocchia di S.
Luigi Grignion de Montfort, dove si è recato il 7 marzo per la
funzione quaresimale, Paolo VI si rivolge ai presenti dopo il
Vangelo con queste parole. Salute a voi, fratelli e figli
carissimi! Questo incontro suppone che noi ci conosciamo. Voi mi
vedete e sapete chi sono. Io sono felice di vedervi e anch’io so chi
voi siete: i parrocchiani di questa chiesa. Io sono il Papa. Chi
è il Papa? Il servo dei servi del Signore, ministro di Gesù
Cristo, che ha una duplice funzione. La prima, che mi porta tra
voi, è quella di Vescovo di Roma. Sua Santità ricorda, ora, i
rapporti che lo legano ai suoi diocesani: ad essi è stato mandato come
responsabile delle loro anime, per il loro bene spirituale, per la
loro salvezza. Perciò egli è interessato a tutte le cose che li
riguardano sotto il profilo pastorale. Ho, poi, un altro ufficio;
non solo l’incarico della cura pastorale della chiesa romana, ma
dell’intera Chiesa cattolica. La responsabilità di tutte le anime
di coloro che credono in Cristo in pratica prevale su quella di
Vescovo dei romani: per occupazioni, difficoltà, prove. E così
il Papa è spesso assente dall’immediato contatto col popolo. Per
questo esiste l’incarico di Vicario del Papa per la diocesi di
Roma, esercitato attualmente dal Signor Cardinale Angelo
Dell’Acqua. A lui Paolo VI rivolge un pubblico ringraziamento
per il bene che va prodigando in sua vece. Ma anche il Cardinale
Vicario si avvale di collaboratori, vescovi e sacerdoti. Di qui un
particolare saluto a uno di questi collaboratori qualificati, il
Rev.do Don Eugenio Falsina parroco della comunità di S. Luigi
Grignion de Montfort e la esortazione ai parrocchiani a corrispondere
alle sue cure, intese a formare con lui la grande assemblea che è il
Corpo Mistico di Cristo.
A questo punto Paolo VI parla dell’importanza della visita
pastorale, che coincide con il presente incontro. Essa è un momento
speciale della vita di una comunità parrocchiale, perché sottolinea
che cosa significa appartenere alla Chiesa, essere, come diceva San
Paolo, dei «santi». La visita del Pastore è rivolta a quanti
sono veramente fedeli, a quanti costituiscono questo «essere un cuore
solo e un’anima sola». È rivolta ai piccoli, che interessano
direttamente il ministero del Papa; a coloro che di essi si occupano,
membri della famiglia monfortana o esponenti delle organizzazioni del
laicato cattolico, tra cui in particolare le donne di Azione
Cattolica, iniziatrici e realizzatrici di particolari opere di
apostolato e di carità nell’ambito della Parrocchia: esse meritano
di essere segnalate e imitate.
Il Papa a questo punto inizia la spiegazione del Vangelo della
Messa, quel servizio reso ai fedeli da ogni sacerdote, ma che
acquista il suo significato più alto quando è esercitato da un vescovo
successore degli Apostoli e ancor più dal capo del Collegio
apostolico.
Sua Santità illustra ai presenti la stupenda pagina del Vangelo
della Trasfigurazione. L’avvenimento fu preceduto da due fatti: la
scena di Cesarea di Filippo, quando Pietro aveva proclamato: «Tu
sei il Cristo, figlio del Dio vivo» e l’annuncio dato da Gesu ai
discepoli della sua imminente passione. Paolo VI descrive ai fedeli
la visione suggestiva del Monte Tabor, così come è rimasta ’
impressa nella sua memoria dopo il pellegrinaggio in Terra Santa: una
forma quasi conica che si erge al centro di una pianura tondeggiante di
colline. Il Papa rievoca, immagine per immagine, il miracolo della
Trasfigurazione: il sonno di Pietro, Giacomo e Giovanni; la
preghiera di Gesù; il chiarore improvviso e sfolgorante, la sorpresa
dei discepoli destati improvvisamente da quella luce mirabile; le
figure di Mosè e di Elia accanto a Cristo; la proposta appassionata
di Pietro; la voce del Padre che proclama: Questo è il mio Figlio
diletto; l’impressione globale dell’avvenimento sui discepoli, e in
particolare su Pietro, che lo rievocò successivamente in una delle
sue Lettere ai cristiani.
Commentando il miracolo, il Papa lo presenta come una rivelazione di
chi realmente Gesù è. Gesù, nel Vangelo, si manifestò
lentamente, gradualmente, e non a tutti. Questa volta, mostrò
anche ai sensi dei suoi discepoli l’immagine che lo definisce e lo
qualifica: la luce. Gesù infatti è luce, è la luce del mondo, la
bellezza dell’umanità, Gesù è colui nel quale si concentrano i
destini del mondo.
Il cammino della vita cristiana deve, quindi, essere incentrato in
questa stella polare che si chiama Cristo Gesù, Figlio di Dio
benedetto. Perciò siamo esortati ad aprire finalmente gli occhi
dell’anima e conoscere Gesù. Possiamo dire veramente di
conoscerlo, di sapere chi è? Meditate e credete in Nostro Signor
Gesù Cristo. Con i sensi, non si arriverebbe mai a conoscerlo; ma
ci sono gli occhi della Fede. Se crediamo a ciò che Egli ha detto,
sappiamo che è veramente Dio fatto uomo, il centro dell’umanità,
il nostro salvatore, l’indispensabile nostro maestro, amico,
fratello.
Il Vangelo suggerisce al Santo Padre un’altra considerazione: come
vive fra noi Gesù Cristo adesso? Come si prolunga la sua presenza
nel tempo, come si manifesta, si attualizza, diventa vita e storia
nostra? La sua continuazione è la Chiesa, che da Lui promana come
un fiume. Questo fiume umano che vive di Lui presenta fenomeni
analoghi, simili a quelli di Gesù. La Chiesa sembra umana e poi,
se la si guarda bene, si vede che è divina, proprio come la persona
di Gesù, che era Uomo ed era Dio. Della Chiesa, di solito, noi
vediamo l’aspetto umano. E in questi anni tale aspetto umano è
criticato in maniera acerba. Esso non è nella Chiesa sempre
perfetto. Ha dei difetti, dei limiti, dei caratteri non sempre
simpatici, non sempre attraenti. Allora si diventa critici,
contestatori, anticlericali, infedeli. L’aspetto umano e storico
della Chiesa non attrae. Ci secolarizziamo. Vogliamo vivere la vita
del tempo e non altro. Ma a bene guardare non è la fede ma la
fantasia, forse ammantata di parvenze culturali, a causare questi
giudizi.
Invece la realtà è diversa: la Chiesa, sì, è umana, ed ha
quindi un suo aspetto sperimentale limitato, difettoso. Esso può
essere talvolta, purtroppo anche non edificante. Ma se la guardiamo
bene, con gli occhi della sapienza, che il Signore dà ai suoi che
hanno ricevuto il Battesimo e la Fede, sappiamo che dietro questa
faccia umana c’è una realtà divina che a noi preme di penetrare al di
là dei suoi limiti terreni. La Chiesa è Cristo presente, vivente
nella storia. Più che curarci dei suoi difetti visibili, dobbiamo
cercare di penetrare nella sua realtà, di vederla trasfigurata, di
vedere la sua luce che è splendente come il sole e candida come la
neve.
Amate la Chiesa - aggiunge Paolo VI -, anche per i suoi
difetti, che sono i bisogni che la Chiesa ha. Ma soprattutto amatela
perché davvero nasconde Cristo e dà Cristo; ha dei poteri
miracolosi, sacramentali; comunica la sua vita; ha il segreto di
metterci in comunicazione diretta, vivente con Cristo. Ed è per
questo che io sono, come Santa Caterina, folle d’amore per la
Chiesa.
Nell’applicare, infine, il tema alla vita parrocchiale, Paolo VI
esorta i presenti ad uno sforzo per trasfigurare la parrocchia, cioè
renderla spiritualmente bella, santa, piena della presenza di
Cristo, e per vederla non soltanto con occhi umani. Essa è un
mistero, una realtà divina presente, ed è la nostra casa, è la
famiglia di ciascuno, la strada attraverso la quale è possibile
raggiungere il Cielo.
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