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Domenica, 3 luglio 1966
Venerati Fratelli!
Diletti Figli!
Impossibile isolare il momento di riflessione sulla parola del
Signore, che la Liturgia concede, anzi prescrive a questo punto
della santa Messa, dalla considerazione delle circostanze in cui
questo grande rito si compie. Esse non sostituiscono e non soffocano
la Parola del Signore, che, in fondo, sola merita la nostra
attenzione; sembra infatti a Noi che le circostanze, in cui ci
troviamo, aiutino a pensare e a comprendere ciò che il Signore vuol
dirci, oggi; esprimano, a chi sa cogliere il significato delle cose e
delle ore, qualche cosa del suo divino discorso, e servano di commento
ai misteri che stiamo celebrando.
AL CENTRO DONDE PARTE OGNI CAMMINO DEL
REGNO DI DIO
La prima circostanza è quella del luogo nel quale ci troviamo.
Nessuno può sottrarsi all’inesauribile fascino di grandezza, di
bellezza, di sacralità dell’edificio che ci ospita; veramente
l’antica epigrafe, che dava una definizione della basilica, in cui ci
troviamo, ripete nelle nostre menti il suo elogio: iustitiae sedes,
fidei domus, aula pudoris; ma non Ci trattiene dalla spontanea
ricerca del punto focale di questa folgorante visione; e subito lo
spirito si raccoglie, quasi dimenticando tutto il resto, intorno a
questo altare e ne cerca il segreto: perché qui? perché qui questo
monumento; perché qui questa affluenza della pietà religiosa, quasi
ad uno dei suoi centri più attraenti, più sacri e più ispiratori?
Qui è Pietro: il luogo del suo martirio e del suo sepolcro; qui è
il Principe degli Apostoli, colui ch’ebbe da Cristo promesse
fatidiche; non si possono dimenticare: il fondamento, che non cede e
non invecchia, il fondamento su cui riposa tutto l’edificio che
Cristo costruisce con ogni materiale umano e attraverso i secoli, è
qui; qui le chiavi, le potestà del governo della salute, che in
terra si compie ed in cielo si celebra. E noi siamo qui, come
viandanti alla stele, dove giunge e donde parte ogni cammino del regno
di Dio, come pellegrini sparsi che al primo arrivo si scoprono
fratelli fra di loro e figli di questa casa, come alunni pensosi, che
vogliono carpire una parola almeno da questa cattedra, per farne seme
di meditazione per tutta la vita. Non dobbiamo trascurare
l’avvertenza a questa circostanza, che l’umile Nostra presenza e la
paterna accoglienza, quali miseri, ma veri successori di quel Pietro
famoso, può rendere più suggestiva, più dolce, più memorabile.
«AMERICA LATINA, . . .
UN NUOVO GIORNO ILLUMINA LA TUA STORIA»
Poi l’altra circostanza, che Ci obbliga a sostare in gratissimo e
meravigliato pensiero, siete voi, carissimi figli, che abbiamo testé
investiti del sacerdozio eterno di Cristo. Voi che venite dai
Seminari della Obra de Cooperación Sacerdotal
Hispano-Americana, dal Collegium di Lovanio, dagli Stati
Uniti, dai Collegi Pio-Latino e Pio-Brasiliano dell’Urbe, da
differenti Comunità religiose; Voi che venite da quel Seminario di
Nostra Signora di Guadalupe, che il cuore magnanimo del Nostro
venerato Fratello, il Vescovo di Verona ideò e attuò, che il
concorso di questa Sede apostolica e dell’Episcopato Italiano, con
altri benemeriti sostenitori, promosse e sostenne, e che l’Italia
cattolica, quasi dimentica dei suoi gravi bisogni e amorosamente
prodiga dei suoi gelosi tesori, destina ai Paesi fratelli
dell’America Latina. L’America Latina! eccola davanti a Noi,
in questo momento. Questi novelli Sacerdoti, che le sono destinati
- molti dei quali già le appartengono, qua venuti per prepararsi e
pronti a subito ritornarvi come ministri del Vangelo - ce ne fanno
intravedere l’immensità; i Familiari dei neo-ordinati Ci stimolano
a ricordare le molte Nazioni, a cui questi nuovi apostoli saranno
mandati; e i Rappresentanti ufficiali di quelle medesime Nazioni, i
quali hanno voluto assistere a questo rito solenne, Ci offrono il
quadro stupendo dei loro rispettivi Paesi. Tanta è l’importanza di
quanto stiamo compiendo, tanto il sentimento che riempie di commozione
e di letizia questa cerimonia, che un vaticinio di amore e di speranza
vorrebbe salire dal cuore alle labbra: America Latina, questa è
l’ora tua. Erede fedele del patrimonio di fede e di civiltà, che
l’antica, non vecchia Europa ti ha consegnato nel giorno della tua
indipendenza, e che la Chiesa, madre e maestra, custodi con amore
superiore talora alle sue forze realizzatrici, adesso un nuovo giorno
illumina la tua storia: quello della vita moderna, con tutti i suoi
impetuosi e portentosi problemi; vita non già paganamente profana,
non già ignara dei destini spirituali e trascendenti dell’uomo, ma
vita cosciente della tua originale vocazione a comporre in sintesi nuova
e geniale l’antico e il moderno, lo spirituale e il temporale, il
dono altrui e la tua propria originalità; vita non incerta, non
debole, non lenta; ma giusta, ma forte, ma libera, ma cattolica:
un immenso continente è tuo; il mondo intero attende la tua
testimonianza di energia, di sapienza, di rinnovamento sociale, di
concordia e di pace; testimonianza novissima di cristiana civiltà.
IMMENSA FIDUCIA NEGLI APOSTOLI DEL SIGNORE,
LUCE DEL MONDO
Fratelli e Figli, che Ci ascoltate: come possiamo Noi osare simile
linguaggio? Noi potremmo esporre le ragioni naturali, che a ciò Ci
confortano. Conosciamo quanto basta la gente di quelle terre per
essere pieni di stima e di fiducia. Voi che vi predicherete il
Vangelo farete l’esperienza della bontà di quelle popolazioni e della
loro predisposizione all’accoglienza delle verità superiori, quelle
che idealizzano l’attività umana e quelle religiose che la ispirano,
la guidano e la santificano. Non diciamo di più, in questo momento.
Ma vogliamo invece dire una parola sulla ragione soprannaturale, che
quasi a ciò Ci invita: la ragione soprannaturale è il vostro
sacerdozio, cari Candidati al ministero sacro nell’America Latina.
Siamo infatti convinti che codesto sacerdozio (e parliamo di tutti i
Sacerdoti, dei Vescovi specialmente, che del Sacerdozio hanno la
pienezza), codesto sacerdozio possiede il tesoro di luce e di forza,
che può dare a quelle popolazioni la capacità di rinnovamento, di
sviluppo, di ordine morale e civile, che si attende da loro. Voi
siete la luce del mondo, vi diremo con la parola di Nostro Signore.
Voi siete il sale della terra. Voi siete il fermento. Voi siete i
dispensatori della parola e della grazia. Voi siete i pastori e i
maestri spirituali del popolo. Voi siete l’amicizia, la letizia, la
forza, la speranza delle anime. Voi il conforto, il collega, il
sostegno di chi soffre, di chi attende giustizia, di chi ha bisogno di
pentimento e di resipiscenza. Voi, ancora, gli esponenti di quel
principio attivo in seno alla comunità dei fedeli e alla società
circostante, ch’è la gerarchia, il sacerdozio ministeriale,
concepito da Cristo al tempo stesso come servizio e come autorità;
tutto dedito, fino al sacrificio, per il bene altrui, e tutto
trasfigurato da carismi e da funzioni, che solo dall’alto derivano, e
che da tutti meritano ossequio e docilità.
Noi abbiamo fiducia, lo ripetiamo, immensa fiducia che il ministero
sacerdotale sia sorgente di salvezza per il mondo; così il Signore ha
stabilito; e confidiamo che lo sia, in modo particolare, per i
diletti Paesi dell’America Latina. Per tale motivo è compiuto lo
sforzo di cui voi, neo-ordinati, siete espressione, lo sforzo di
collaborazione pastorale. Esso vuol rendere onore all’Episcopato e
al Clero, che con tanta dedizione già apostolicamente lavorano in
quelle terre benedette; vuol compiere atto di solidarietà, aumentando
colà il numero dei Sacerdoti e offrendo il saggio di qualche utile
esperienza ecclesiale, verso quelle buone e promettenti comunità
cattoliche; e vuol dimostrare che i voti del Concilio ecumenico circa
l’aiuto reciproco, che i membri della Chiesa cattolica devono
prestarsi l’un l’altro, non sono parole vane, ma sono vive ed
operanti e cominciano a portare i loro frutti.
IL SACERDOZIO ESIGE E GENERA
CON LA SANTITÀ LA GIUSTIZIA EVANGELICA
Ed ora, venerati Fratelli e Figli carissimi, il Nostro pensiero
dovrebbe fissarsi sul testo evangelico, proposto dalla Liturgia alla
nostra meditazione. Non sosteremo, per dovere di brevità, che sopra
una espressione del discorso di Cristo, la prima della pericope
odierna: «Se la vostra giustizia non sarà maggiore . . .»
(Matt. 5, 20), con quel che segue. Voi conoscete questa
parola, grave come una minaccia, esigente come una sfida, penetrante
come una vivisezione, originale come un programma nuovo di perfezione
morale. Cristo non si contenta d’una giustizia puramente formale ed
esteriore. Cristo ci vuole buoni d’una virtù che ci trasforma
interiormente e che ci educa continuamente ad un’estrema sincerità di
cuore e di azione. Se noi sovrapponiamo questa espressione alla nostra
vita sacerdotale, quale stimolo, quale tormento verso la perfezione,
verso la santità!
Ebbene non ci spaventi, ma ci incoraggi la severa parola di Gesù a
fare della vita sacerdotale un’equazione progrediente verso la
santità. Il sacerdozio esige e genera santità. La giustizia, che
il Signore vuole da noi, è quella evangelica. Voi tutto già
conoscete. Quella della carità, della grazia, della misericordia
divina ricevuta e dispensata. Perché questo sia, oh! non
dimenticate le auree massime della vostra formazione: custodire e
alimentare la vita interiore, prima d’ogni altra cosa. Il silenzio,
la meditazione, la preghiera personale; poi quella liturgica e
comunitaria, che alla prima dà nutrimento e da essa ne riceve. Poi
sapersi conservare immacolati anche se immersi nella conversazione
pastorale e profana; perciò l’ascetica semplice e virile, che tempra
l’animo a vigore personale, e snebbia lo spirito dagli incantesimi
mondani. E poi sapersi donare, nella «diaconia», nella ricerca
dell’altrui bene con sacrificio; la carità, la carità: non è la
carità la via alla santità per il sacerdote destinato al servizio
pastorale?
E finalmente Gesù! Gesù conosciuto; chi può mai dire di averlo
conosciuto abbastanza? Gesù imitato; non è questa la norma più
alta e più comprensiva di tutti i nostri doveri? Gesù seguito,
nell’obbedienza che fa grande l’umile, dove Lui vuole, come Lui
vuole, fino al Gethsemani, fino al Calvario. Gesù annunciato:
quale gioia, quale onore, quale merito maggiore di questo? Gesù
vissuto: Mihi vivere Christus est (Phil. 1, 21): questo è
tutto, Fratelli e Figli carissimi.
È il sacerdozio. È la missione. È il mistero. È la speranza.
Adesso potete accogliere l’ultima parola: andate! predicate,
battezzate; andate; Cristo vi manda; la Chiesa vi aspetta, il
mondo è aperto dinanzi a voi!
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