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Domenica, 1° marzo 1964
Dopo un amabile saluto al Signor Cardinale Pro Vicario, a
Monsignor Vice Gerente, che ha testé officiato la sacra funzione,
ai due Vescovi Ausiliari, Mons. Pecci e Mons. Giovanni
Canestri, ben conosciuto a Casal Bertone, per esserne stato il
parroco; ricordati, inoltre, gli altri ecclesiastici, il Santo
Padre si dirige ai carissimi fedeli, e, come prima impressione,
ritiene di poter leggere sui loro volti una domanda: il Papa è venuto
nella nostra parrocchia; che cosa penserà di noi, della nostra
chiesa?
ENCOMIO A UNA POPOLAZIONE FEDELE
Pur avendo notizia, come è ovvio, dell’intera zona, è questa la
prima volta che il Santo Padre può sostare nel quartiere, e con vivo
compiacimento tiene ad esprimere la sua profonda soddisfazione per la
grandiosità che si possa qui parlare di uno speciale ritorno della
grande parola programmatica di Cristo, registrata in uno dei momenti
più significativi del Vangelo, allorché, rivolgendosi a Pietro,
il Maestro Divino esclamò: «. . . Su questa pietra costruirò
la mia Chiesa». Di fronte alla imponenza del nuovo tempio col suo
stile moderno e pur consono ai precetti antichi dell’architettura
romana, si risale alle origini, anzi agli anni anteriori alla
costruzione. Venne effettuata all’indomani d’un periodo di grandi
tristezze e dolorosi eventi. Il territorio di Casal Bertone era
incluso in quello della finitima parrocchia di S. Lorenzo al
Verano: e come non ricordare la tragica giornata del 19 luglio
1943, quando il Papa di oggi potè accompagnare il predecessore
Pio XII di v. m., immediatamente accorso dopo un esteso
bombardamento sui centri ferroviari di Roma, e sulle zone
circostanti? È sempre viva la memoria di quelle ore terribili, per la
sofferenza di molte famiglie, la distruzione di tante case e il grave
danno ad insigne monumento; ma è del pari indimenticabile il conforto
recato da Pio XII, il quale indicò ai colpiti la via della
incrollabile fiducia, e proprio accanto a un cumulo di rovine fumanti,
levando le braccia al cielo, invitò tutti a recitare con lui il Pater
noster.
In quella medesima zona, dunque, devastata dagli orrori della
guerra, è sorto un nuovo quartiere, quasi una città a sé stante,
con quanto essa richiede per la sua vita, sia materiale che civica.
PIETRE VIVE DELLA CHIESA DI DIO
Perciò l’Augusto Pontefice vuole indirizzare un suo saluto
all’intera popolazione, e ai caratteristici gruppi di residenti.
Sono, in primo luogo, numerosi ferrovieri: a questi diletti
figliuoli il più sentito augurio del Padre, Esso si estende, pure,
alle altre categorie di lavoratori, a cominciare dai tranvieri, i
postelegrafonici, gli impiegati sia nei servizi municipalizzati della
Città sia in quelli dello Stato, con l’invocare dal Signore ogni
prosperità per le varie famiglie, delle quali i numerosi bimbi
esultanti nella piazza attestano le migliori speranze.
Insieme col saluto, uno speciale elogio del Padre per i diletti
abitanti di Casal Bertone. Risulta chiaro che essi non si soffermano
dinanzi alla città materiale, all’edificio ecclesiastico; ma
attendono, con slancio, a costruire la Chiesa spirituale, consci
della parte che a tutti noi spetta in questa immensa società visibile,
ma soprattutto invisibile e misteriosa, eppur tanto reale e presente
nel mondo. L’ambivalenza del termine, per l’edificio sacro e per la
comunità dei credenti, è da questi pienamente compresa. I cari
fedeli sanno di comporre la Chiesa, di formarne le pietre vive, di
partecipare al mistico Corpo di Cristo. Perciò il Santo Padre è
lieto di incontrarsi con loro, di salutarli con il più vivo affetto e
di esprimere compiacimento a colui che sta al centro di tanta
vitalità: il parroco. Egli prosegue i meriti dei predecessori,
entrambi promossi alla dignità vescovile: Mons. Carlo Maccari e
Mons. Giovanni Canestri, che tanto hanno lavorato per una evidente
e salda compagine spirituale.
Questa felice premessa è confermata dal numero e dalla consistenza
delle associazioni cattoliche, le cui molte bandiere attestano la
nobile gara di uomini, donne, giovani, fanciulli, delle ACLI e
di altri sodalizi. A tutti una speciale benedizione del Papa,
proprio perché dimostrano di capire la eccelsa entità religiosa e
sociale che è la Chiesa.
La Chiesa - tutti lo sappiamo - è un fatto religioso, di rapporto
cioè fra l’anima e Dio; e tale rapporto non può attuarsi
all’infuori di un vincolo sociale. Il Signore non ci salva da soli:
bensì in comunità, in società, attraverso il ministero di un
fratello, che si chiama il sacerdote.
IL SACERDOTE FRATELLO MAGGIORE E
MINISTRO DI GRAZIA
La religione nostra è religione articolata socialmente. Con vero
compiacimento il Santo Padre osserva che la comunità parrocchiale, a
cui ora rivolge la sua parola, è formata in maniera rispondente a
precisa organizzazione, con la fedeltà costituzionale al volere di
Cristo. È, infatti, guidata dal parroco; sono con lui diversi
sacerdoti che lo coadiuvano, ed altri ancora che qui vengono ad
esercitare il sacro ministero. Ebbene, questo gruppo di persone
responsabili, investite dei poteri, delle chiavi del Signore,
dispensatori della grazia di Dio, riceve ora dal Papa, per primo,
il ringraziamento e la lode; poiché questi sacerdoti Gli sono
fratelli e collaboratori.
Grande, perciò, è la gratitudine del Pastore Supremo, sincero il
suo affetto, totale la comprensione, con cui Egli saluta i sacerdoti
che qui compiono l’ufficio che sarebbe del Vescovo, dimostrandosi,
in ogni momento e per tutti, padri, maestri, ministri della grazia e
degli altri doni divini. Di conseguenza, il Santo Padre ripete la
esortazione già detta in precedenti incontri: ci tenete che la vostra
parrocchia sia viva, esemplare, feconda, santa? Vogliate bene ai
vostri sacerdoti; cercate di comprenderli, di alleviare le loro
fatiche: accogliete con entusiasmo i loro ordini e desideri; sia
perenne il colloquio tra il parroco e i fedeli. Proprio la fiducia,
la familiarità, la solidarietà che intercedono tra il pastore e il
gregge racchiudono il segreto di ben rispondere al pensiero e
all’azione di Cristo in mezzo a noi.
Gerarchica, adunque, la Chiesa. Ma ognuno rifletta: i sacerdoti
sono i padroni oppure i servi dei fedeli? Sono nelle parrocchie - è
triste riferirsi a una cattiva espressione, purtroppo assai spesso
ascoltata - per sfruttare o per servire? La risposta è di limpida
evidenza. Sono mandati da Dio proprio per servire, per il bene dei
singoli e della comunità. Hanno lasciato tutto, allo scopo di
dedicarsi alla grande vocazione. Nessuno poteva avanzare titolo o
merito per esigere che un prete rinunciasse a ogni cosa nella vita per
recarsi, ove l’obbedienza destina, a servire le anime. Ebbene,
questo miracolo si compie. Perché? Per estendere la Ecclesia, la
società dei santi; per raccogliere, custodire, accrescere gruppi e
gruppi di persone atte a ricevere la grazia di Dio. In quale forma?
Quella della più sentita fraternità. La Chiesa ha due dimensioni:
una gerarchica, che potrebbe dirsi verticale, di paternità; l’altra
di fraternità, di comunità voluta dal Signore. E tale la vera
parrocchia, dove tutti sono figli, fratelli: tutti si conoscono e si
vogliono bene; lavorano quasi in cooperativa di mutuo soccorso
spirituale, impegnati a edificare e costruire, nella santità e nella
fedeltà a Cristo Signore, la sua Chiesa viva. Si vogliono bene;
sanno che questo è il precetto fondamentale.
LA CARITÀ PRIMA E INSOSTITUIBILE LEGGE
Come si chiama questa forza coesiva, atta a tenere insieme il corpo
parrocchiale, il corpo ecclesiastico, l’umanità desiderosa d’essere
unita in Cristo? Lo sanno tutti: si chiama la carità. Portentoso
dono, ineffabile virtù! Promana da Dio; perché è l’amore suo
comunicato agli uomini, e si diffonde da individuo a individuo.
Scende dal Cielo, quale fiume regale e benefico, la bontà di Dio
che ama gli uomini e li invita, come per impulso interiore, a volersi
bene anche tra loro. È la grande legge costitutiva della Chiesa.
Se, teoricamente, la carità è facile ad enunciarsi, bella a
declamarsi, comune a professarsi, nella pratica, invece, è molto
esigente e difficile. Eppure non solo è possibile e sempre
attuabile, ma è proprio il grande distintivo, idoneo ad indicare il
grado della vita ecclesiastica. Sono uniti i fedeli nell’amore,
nella carità di Cristo? Di certo questa è una parrocchia vitale;
qui c’è la vera Chiesa; giacché è rigoglioso, allora, il
fenomeno divino-umano che perpetua la presenza di Cristo fra noi.
Sono i fedeli insieme, unicamente perché iscritti nel libro
dell’anagrafe o sul registro dei battesimi? sono aggregati solo
perché si trovano, la domenica, ad ascoltare la Messa, senza
conoscersi, facendo magari di gomito gli uni contro gli altri? Se
così è, la Chiesa non risulta, in quel caso, compaginata; il
cemento, che di tutti deve formare la reale, organica unità, non è
ancora operante.
LAVORARE PER UNA SOCIETÀ DI SANTI
Bisogna vivere la carità, agire nella carità. Questo il ricordo
che il Santo Padre vuole lasciare della sua visita. Vedendo già
bene iniziata e promettente la spirituale fioritura, Egli esorta:
vogliatevi bene, vogliatevi bene; cercate di amarvi. Oh come sarebbe
davvero stupendo se queste nostre parrocchie romane dimostrassero bene
quel che deve essere la società ecclesiastica! E cioè: gente,
dapprima sconosciuta, gruppi diversi per costume, educazione,
origine, età, professione ecc., che, trovandosi in chiesa, si
rivelano e si sentono altrettanti nuclei di fratelli. Diventano
amici, si dànno la mano l’uno con l’altro, si perdonano le offese,
non parlano male del prossimo, e cercano, invece, ove c’è un
ammalato, di assisterlo, ove un disoccupato, di soccorrerlo, dove un
bambino, di educarlo, ovunque, in una parola, c’è un’azione buona
da compiere a vantaggio del prossimo, aver subito cuore e impegno per
dire: ecco che Cristo ci chiama. I bisogni dei nostri fratelli sono
altrettanti appelli rivolti a noi per sperimentare se veramente ci
vogliamo bene, se veramente siamo cristiani.
Ricordate - conclude l’Augusto Pontefice - la parola solenne di
Cristo. Vi riconosceranno veramente per miei discepoli, autentici
seguaci e fedeli, se vi amerete gli uni gli altri; se ci sarà questo
calore di affetti, di sentimenti; se vibrerà la simpatia voluta più
che vissuta, creata da noi, più che spontanea, con quella larghezza
di cuore, e quella capacità di generare il Cristo in mezzo a noi,
derivanti, appunto, dal sentirci uniti in Lui e per Lui.
Vogliatevi bene, diletti figliuoli della parrocchia di Santa Maria
Consolatrice di Casal Bertone. Portate l’invito, l’augurio del
Padre alle vostre famiglie. Si propaghi nel quartiere un’onda di
amore cristiano, e perfezioni la vostra comunità, qui già bene
stabilita e vigorosa. Ogni circostanza, ogni evento concorrano a
questo insuperabile bene, e quindi a consolazione e gioia anche della
vita presente; pegno sicuro che non mancherà la vita futura per
ciascuno di voi.
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