|
Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo
Martedì, 29 giugno 1976
Noi celebriamo oggi la festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Quale immenso tema di meditazione! quale giocondo motivo di spirituale
celebrazione! quale classica ragione di ecclesiale fiducia! Per noi
Romani la festa si arricchisce di altri due titoli: che essi furono
nostri concittadini, Romani anch’essi di adozione e di ministero; e
che a Roma coronarono la loro vita col martirio nel nome di Gesù
Cristo. Ed ecco, a questo supremo ricordo, scaturisce una polla di
annose e grandi questioni: quando fu consumato tale martirio? dove? e
come? e quale la vicenda e la sorte delle loro tombe e delle loro
reliquie? Questioni storiche, archeologiche, letterarie, religiose
di grande interesse, assai documentate, assai discusse, i cui vari e
a volte contestati aspetti non infirmano il culto tributato in Roma e
nella Chiesa intera a questi sommi eroi della fede, ma lo confermano e
lo ravvivano.
A questo nostro tempo inoltre è stata data la fortuna di raggiungere,
per ciò che riguarda San Pietro, la certezza, di cui si è fatto
araldo il nostro venerato predecessore, Papa Fio XII di venerata
memoria (Cfr. PIO XII, Discorsi e Radiomessaggi, XII,
380), circa la collocazione della tomba dell’Apostolo Pietro in
questo venerabile luogo, dove sorge questa solenne basilica a lui
dedicata, e dove noi ora ci troviamo in preghiera; prova questa
incontestabile della permanenza dell’Apostolo nell’Urbe, oggetto da
parte di alcuni studiosi di critica negativa, che sembra farsi sempre
più silenziosa. Inoltre a noi è toccata un’altra fortuna, quella
di essere rassicurati dei risultati che sembrano positivi delle assidue
ed erudite ricerche circa l’identificazione e l’autenticità delle
veneratissime residue reliquie del beato Pietro, Simone figlio di
Giovanni, l’umile pescatore di Galilea, il discepolo e quindi
l’apostolo, eletto da Gesù Cristo stesso per essere capo del gruppo
dei suoi primi qualificati seguaci, e posto a fondamento
dell’edificio, chiamato Chiesa, che Cristo si è proposto di
costruire e da lui garantito indenne nel misterioso conflitto con le
potestà delle tenebre.
Riconoscenti a quanti hanno merito in questa ardua esplorazione, noi
accogliamo con riverenza e con gioia l’esito di così significativo
avvenimento archeologico, che conforta con nuovi argomenti storici e
scientifici la secolare convinzione del culto qui professato al
Principe degli Apostoli, e vi ravvisa una conferma e un presagio
della sua drammatica, ma vittoriosa missione di propagare il nome di
Cristo nella storia e nel mondo.
Ed è proprio su questa missione, che oggi vogliamo fermare, anche
per un solo istante, la vostra attenzione, venerati Fratelli e Figli
carissimi, la vostra devozione. Noi possiamo collegare tale missione
ad una parola istituzionale e profetica di Cristo, che
principalmente, ma non esclusivamente, a Pietro si riferisce. E la
parola è quella di Gesù Cristo prima del suo congedo dalla umana
conversazione; è registrata da San Luca nel primo capitolo degli
Atti degli Apostoli, il primo libro della storia della Chiesa, là
dove il Signore risorto dice ai suoi: «voi sarete miei testimoni»
(Act. 1, 8). Questa è una parola che ritorna frequente
nell’economia della nostra religione, per quanto si riferisce ai suoi
titoli originari e trascendenti, quelli della rivelazione, e alla sua
fedele e perenne trasmissione. La tradizione cristiana, la diffusione
e l’insegnamento della fede, la sua interiore e umana certezza,
suffragata dal carisma dello Spirito Santo e dall’autorità
divinamente stabilita del magistero della Chiesa cattolica, si
riferiscono essenzialmente all’istituzione d’una testimonianza
qualificata, che serve da tramite, da veicolo, da garanzia alla
Verità, di cui solo alcuni, gli Apostoli, e i fedeli contemporanei
«preordinati da Dio» (Act. 10, 41) ebbero diretta e
sensibile esperienza. Da questa sperimentale realtà di fatto nasce il
messaggio, nasce il «Kerigma», cioè una predicazione, una parola
da trasmettere; la potestà ed insieme il dovere di comunicare ad altri
la parola di verità conosciuta; nasce l’apostolato, quale sorgente
genetica della fede.
Gesù darà a Pietro la celebre consegna, successiva alla pavida
negazione di lui: «Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi
fratelli» (Luc. 22, 32); e poi, dopo la risurrezione e la
triplice riparatrice professione d’amore, la triplice investitura
pastorale: «pasci il mio gregge» (Cfr. Io. 21, 17).
Pietro si sentirà ormai dominato da questa interiore imperiosa
coscienza; il timido discepolo sarà ormai l’inflessibile testimonio,
l’impavido apostolo: «noi non possiamo tacere - egli affermerà -
quello che abbiamo visto e ascoltato» (Act. 4, 20); «noi
siamo testimoni di tutte le cose da Lui, Gesù Cristo, compiute .
. .» (Ibid. 10. 39).
La documentazione potrebbe ancora essere assai ricca e potrebbe
confortarci con l’esortazione alla fermezza nelle tribolazioni stesse,
che possono provenire dalla professione della fede trasmessa
dall’Apostolo alla Chiesa nascente: «Chi potrà farvi del male -
egli scrive - se sarete ferventi nel bene? E se anche doveste
soffrire per la giustizia, beati voi . ..! Beati voi, se siete
insultati per il nome di Cristo . . . Se uno soffre come
cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome»
(1 Petr. 3, 13; 4, 14-16). Il discepolo è diventato
maestro e apostolo; e da apostolo animatore, e poi martire. E
martire significa appunto testimonio, ma, nel linguaggio cristiano,
da Stefano in poi s’intende testimonio nel sangue, come lo fu Pietro
stesso, conforme alla profezia a lui fatta da Gesù medesimo (Io.
21, 18-19). «Cum autem senueris . . . alius cinget te .
. .».
Due conclusioni ci sia concesso trarre da questo fugace accenno alla
qualifica di testimonio attribuita da Cristo ai suoi Apostoli, ed in
primo luogo a Pietro ed a Paolo, dei quali celebriamo la sempre
gloriosa festività. La prima conclusione riguarda l’equazione che
possiamo, in certa misura, stabilire fra l’apostolato e
l’evangelizzazione, per riscontrare la potestà di magistero nella
Chiesa apostolica e in quella che ne è legittimamente derivata, con
le facoltà d’insegnamento, di interpretazione e di intrinseco
sviluppo circa la rivelazione cristiana, nelle sue parole e nei suoi
fatti, e sempre nella sua suprema esigenza di autenticità. Questo,
lo sappiamo, è uno dei punti forti della cultura contemporanea e della
discussione ecumenica del nostro tempo; forte per la controversia che
vorrebbe ammorbidire la saldezza del magistero ecclesiastico, che si
rifà a quello apostolico; lo si vorrebbe più flessibile, più docile
alla storia, più relativo alla moda del pensiero, più pluralistico,
più libero; cioè guidato da criteri soggettivi e storicisti, e punto
vincolato a formulazioni d’un magistero tradizionale che si appella ad
una dottrina rivelata e divina; e forte per l’atteggiamento
storicamente e logicamente coerente, con cui la Chiesa di Pietro
tutela il «deposito» dottrinale che le è affidato (Cfr. 1 Tim.
6, 20; 2 Tim. 1, 14): non è ostinazione la sua, non
arretratezza, non incomprensione delle evoluzioni del pensiero umano;
è fermezza al Pensiero divino, è fedeltà, e perciò verità e
vita, anche per il tempo nostro.
L’altra conclusione riguarda l’ampiezza che il termine «apostolato»
deve assumere, inteso non nel senso di potestà d’insegnamento,
affidata a coloro che «lo Spirito Santo ha posti come vescovi a
pascere la Chiesa di Dio» (Act. 20, 28); ma nel senso di
dovere di diffondere l’annuncio evangelico; esaltante dovere che nasce
in ogni cristiano, battezzato e cresimato, chiamato come membro vivo
della Chiesa a contribuire, come insegna il Concilio, alla
edificazione della Chiesa stessa (Cfr. Lumen Gentium, 3 3 ;
Apostolicam Actuositatem, 1, 9, 10, etc.; Ad Gentes,
21; etc. Cfr. etiam Eph. 4, 7; 1 Cor. 9, 16;
etc.). Ogni cristiano, secondo le sue personali e sociali
condizioni, dev’essere testimonio di Cristo; dovere questo che
l’essere fanciullo, giovane, uomo, donna, impegnato in uffici
secolari, o impedito da particolari doveri, o infermità, non
dispensa dal suo compimento. Non indolenza, non timidezza, non
scetticismo, non animosità critica e contestatrice, o altro
sentimento negativo deve paralizzare, oggi specialmente, l’esercizio
dell’apostolato, cioè la testimonianza personale, familiare,
collettiva del buon esempio, dell’osservanza dei doveri religiosi,
della professione, tacita almeno ma trasparente, della propria fede
cristiana, dallo stile di vita, retto, buono, cortese, premuroso
della carità (Cfr. J. ESQUERDA BIFFET, Noi siamo
testimoni, Marietti, 1976). Cosciente di questa comune
vocazione, nessuno si esima da questo fondamentale dovere della
testimonianza personale e cattolica al nome di Cristo nella semplice,
ferma, solidale comunione con gli Apostoli, di cui noi celebriamo,
con la memoria liturgica, la successione storica ed ecclesiale; e
nessuno di voi, venerati Fratelli e Figli carissimi, tralasci di
offrire a Cristo, mediante l’invocata intercessione degli Apostoli
Pietro e Paolo, per questo umile loro successore, che vi parla, una
preghiera, affinché egli sia fedele nell’ufficio gravissimo che gli
è stato affidato, per il bene della Chiesa e del mondo. Egli oggi
ricambia la vostra carità, sempre nel nome degli Apostoli, con la
sua speciale, specialissima Benedizione (Cfr. 1 Cor. 4, 2;
9, 27; Eph. 4, 3).
Paolo VI così prosegue, salutando i pellegrini di lingua francese,
inglese, tedesca e spagnola.
Rendons grâce au Seigneur ! Pour des chrétiens, c’est toujours
une faveur marquante de célébrer le culte tout près de l’endroit
même où, selon la tradition, l’Apôtre Pierre donna au Christ le
suprême témoignage de sa fidélité!
Mais de cette joyeuse célébration, qu’allez-vous emporter qui
puisse baliser et stimuler votre vie de chrétiens? Nous vous le
disons d’un mot, facile à retenir mais lourd d’exigences: soyez des
témoins!
Oui, comme les Apôtres Pierre et Paul, soyez partout et toujours
des témoins fervents de la Lumière et de l’Amour du Christ!
Laissez- Nous ajouter que ce témoignage évangélique exige une
fidélité sans défaillance au Magistère de l'Eglise, interprète
voulu par le Seigneur Jésus de la foi et de la morale catholiques.
C’est cette grâce de fidélité à votre mission de témoins du
Christ que Nous demandons à l’Esprit Saint de renouveler en vous
tous!
In celebrating the Solemnity of Saints Peter and Paul, the Church
exults in great confidence and with immense joy. On this day, divine
grace triumphs over human frailty, and divine faith over human wisdom.
But the courage of Peter and Paul is still alive in the world, and
with their faith we proclaim today and for ever that Jesus Christ is
the Son of the living God. And in this glorious faith, the Church
of Rome finds the source of her invincible strength and the motive for
her perennial joy. Beloved sons and daughters, with the Church of
Rome rejoice and be confident in the triumph of Peter and Paul.
Drei tatsachen sind es, die am heutigen Fest der heiligen Apostel
Petrus und Paulus unser Herz mit Freude erfüllen und zum
Nachdenken einladen:
Wir dürfen die heilige Liturgie in der Kirche feiern, die über dem
Grab des heiligen Petrus erbaut ist;
Ihr feiert diese Liturgie mit dem Nachfolger des heiligen Petrus,
dem Fels, auf dem die Kirche steht, dem obersten Zeugen unseres
Glaubens;
Ihr dürft und sollt selbst Zeugen sein für Jesus Christus in
dieser Welt.
La iglesia entera se llena de gozo al celebrar la gloriosa festividad
de San Pedro y San Pablo, testigos excepcionales de la fe. Hoy es
un día especialmente grande para la Iglesia de Roma, que tuvo el
privilegio de compartir la vida y las enseñanzas de estos dos
Apóstoles, admirando también su martirio por el nombre de Cristo.
Que su ejemplo os anime a ser hijos fieles de la Iglesia y a dar
testimonio de vuestra fe cristiana, con el estilo de vida recto,
bueno, generoso de la caridad.
|
|