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Mercoledì delle Ceneri, 23 febbraio 1966
Il Santo Padre ricorda, dapprima, un pensiero che deve imporsi alla
attenzione comune nel concludere questa cerimonia, di preghiera e di
penitenza; il periodo quaresimale che oggi si è inaugurato è un
periodo di mortificazione, di dominio di sé, di rinunzia.
Tale disciplina della Chiesa ci dice una cosa molto semplice, molto
grave e importante: la vita cristiana non è facile. Sappiamo tutti
che la nostra esistenza passa attraverso una valle di lacrime; perciò
la nostra vita è intessuta di molte prove, sofferenze, dolori da
tramutarsi in un’aspirazione continua verso la felicità e, si
potrebbe aggiungere, in una delusione continua perché questa felicità
non si raggiunge, e quando si crede di ottenerla è così breve, così
incompleta che sembra quasi un preludio, un anticipo di ben altro
gaudio, sostanzialmente diverso. Questa è la condizione umana e di
tutti, cristiani o no.
CARATTERISTICHE DELLA VITA CRISTIANA
L’uomo vive su questa terra percorrendo una strada piena di amarezze,
di triboli, di sofferenze, che si concludono con il maggior dolore:
la morte.
La vita cristiana poi, al programma normale di sofferenza preparata,
in misura diversa, per tutti, aggiunge due note importanti: la
rassegnazione, l’accettazione di questa nostra sorte. Non che ci si
inibisca di fare il possibile per alleggerire le sofferenze suscettibili
di essere attenuate e per combattere le malattie, la miseria, la
fame, le sventure, L’essere cristiani, infatti, non ci priva dei
conforti che la Provvidenza mette a nostra disposizione; anzi, il
Cristianesimo ci insegna che l’intera carità è volta ad alleviare il
dolore; ma è pur vero che un buon cristiano vede sempre nelle vicende
della propria esistenza la mano di Dio, la Provvidenza, e dice,
rivolto al Signore, «sia fatta la tua volontà».
Questo atteggiamento dà uno stile alla vita cristiana. Essa non è
quella del ribelle querulo, irato, il quale chiede al Signore il
perché.
La Sacra Scrittura ci presenta un esempio eloquente nel libro di
Giobbe: esso si conclude proprio insegnando a rimettere a Dio la
rassegnazione, la consegna della nostra volontà; e finisce con porre
in risalto la letizia per tale adesione al volere di Dio.
Il cristiano è un combattente che non fugge e non cerca la vita
comoda, facile; non è il vile che rifiuta le angustie del tempo; le
accetta perché il Signore le manda e le affronta con animo forte,
sicuro di non sbagliare.
E c’è di più. Alla necessaria rassegnazione la vita cristiana
aggiunge di suo la mortificazione, la penitenza: altro elemento di
difficoltà e di prova.
SEGUIRE IL DIVINO MAESTRO CON LA
PROPRIA CROCE
Chi volesse seguire Nostro Signore in una vita molle, priva di
dolore, tutta cosparsa di poesia irenica e gioiosa, non sarebbe un
buon discepolo.
Come non ricordare le parole del Signore nel grande discorso delle
Beatitudini? Egli esorta ad entrare per la porta stretta, per la via
aspra; e quanto esiguo è il numero di coloro che la sanno accettare!
Il rilievo ci lascia perplessi e quasi tristi. Il Signore dice che
sono pochi i veri discepoli che accolgono questo suo programma;
mentre, al contrario, molti sono gli altri, i quali imboccano la via
larga, comoda, della rovina e della perdizione!
Una verità da non dimenticare mai: il Vangelo, il Signore traccia
i programmi della nostra vita e ci esorta a scegliere il cammino arduo,
difficile, perché è quello giusto e buono. «Chi vuol venire dietro
di me, prenda la sua croce e mi segua».
Per noi questa parola è chiara giacché siamo nella luce piena della
Redenzione: ma quanti vivevano allora che cosa potevano capire di
questa allusione al supplizio più ignobile, più doloroso da Gesù
proposto, in certo qual modo, ad ognuno come retaggio necessario?
Più tardi dirà, quasi congedandosi dai suoi discepoli nell’ultima
Cena: Voi piangerete, voi sarete tristi, e il mondo godrà.
Esistono ancora altre documentazioni del concetto che il Signore ha
della nostra vita: difficile, sofferente, combattente, protesa verso
un continuo sforzo di superare ogni ostacolo. L’essenza spirituale
per noi non è possibile senza il dispendio di una energia che può
rendere fastidioso il nostro vivere quotidiano.
Mettendo a confronto l’insegnamento del Signore con l’indole della
nostra educazione moderna, vediamo una grande diversità. L’edonismo
che domina la vita presente sembra essere quasi un piano superiore
offerto dal mondo all’umanità sottoposta al lavoro con il miraggio del
divertimento, del piacere.
Questa trama, questo paradigma della vita presentato dal mondo ai suoi
seguaci non è quello del Signore. Noi siamo qui per dircelo, per
persuaderci: se vogliamo essere veramente discepoli, seguaci fedeli
del nostro Maestro, dobbiamo rimetterci alla sua scuola di
mortificazione, di penitenza, di rinuncia, accettando, sempre, le
avversità della nostra vita.
Siamo qui per rinnovare, dinanzi alla Chiesa, alle nostre
comunità, al secolo in cui viviamo, il proposito di restare fedeli
all’insegnamento e all’invito di Cristo. Non intendiamo costruirci
un programma diverso da quello del Vangelo; ma essere seguaci
autentici, discepoli aderenti al pensiero e alle norme del Salvatore.
VALORE E NECESSITÀ DELLA ABNEGAZIONE
Beati voi, ci ripete il Divino Maestro, se ascoltate e se agite.
Non chi dirà «Signore, Signore» entrerà nel regno dei cieli.
Gesù vuole, esige compiutezza e realismo nella esecuzione dei suoi
comandamenti. Tra essi è questo della penitenza.
Il Santo Padre ricorda quello che ha ricordato nei giorni scorsi,
dando alla Chiesa un documento che vorrebbe rimettere allo studio
l’alto argomento: «bisogna fare penitenza» pur sapendo tutti come la
Chiesa sia moderna, e non chieda grandi penitenze fisiche.
La penitenza però deve essere nella persuasione, nella mentalità,
nel modo di pensare, nella considerazione dei valori della nostra
vita, nel programma stabilito, scegliendo con la grazia del Signore
la vita severa, dura e militante.
E allora un po’ di penitenza interiore, di mortificazione, non sarà
difficile, ma anzi logica e quasi soccorrevole per dimostrare che si è
coerenti, che si sa esercitare il dominio dello spirito sulle
passioni, su quanto piace. Allora anche la mortificazione esteriore
diventa opportuna.
Il Santo Padre conclude esortando i religiosi e religiose e quindi i
fedeli a dare una espressione sincera a questo spirito di vita cristiana
vigilante; ad accettare le difficoltà che la vita cristiana pone
dinanzi a noi, a dare forza al cuore, a non essere timidi, o
insinceri verso noi stessi, ma ad operare con impegno per compiere
ognuno la propria parte nel sacrificio bene accettato e sostenuto.
IL SACRIFICIO ALIMENTA E DIFFONDE LA
CARITÀ
E, per prima cosa, adesione a quella che è la regola, ai precetti e
comandamenti sia speciali di una data comunità, sia ordinari, dalla
Chiesa proposti all’intera famiglia dei fedeli, accettandoli
generosamente e cercando di renderli attuali.
Troveremo saggi , graditi, elevanti, utili tali precetti, e
conosceremo i doni del modo cristiano di vivere.
Le virtù morali danno ali alla contemplazione, all’esercizio
superiore dell’intelligenza; ci rendono idonei a svolgere qualcosa di
grande e di bello nella vita; danno alla nostra esistenza un sapore,
una fisionomia che si distacca dal diffuso conformismo mirante alla
ricerca delle grandi e piccole comodità.
E finalmente si potrebbe tessere l’elogio della penitenza in rapporto
alla regina delle virtù: la carità. Per amare bisogna avere la
capacità di soffrire; chi non ha spirito di sacrificio non può amare
veramente. Se, invece, vogliamo amare il Signore e il nostro
prossimo, se apprezziamo le opere di aiuto e di soccorso, dobbiamo
infondere nell’anima lo spirito di sacrificio, che diventa spirito di
carità.
Allora il velo pesante e triste della penitenza si aprirà attorno a
noi come un grande nimbo luminoso e ci innalzerà dalla terra al
Cielo.
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