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Sabato, 16 settembre 1972
Venerati Fratelli e Figli carissimi!
Noi vi dobbiamo innanzi tutto il nostro saluto. Esso fa parte del
mistero, che ora insieme vogliamo celebrare, mistero di carità e di
unità (Cfr. S. AUG. In Ioannem, tract. 26, 13; PL
35, 1613).
Alla Chiesa di Cristo, presente e vivente a Udine, promotrice e
ospite del XVIII Congresso Eucaristico Italiano, il nostro
primo saluto acclamante e giulivo: alle Chiese della Regione
Triveneta qua convenute con i loro Pastori e con così cospicue
schiere del loro Clero e dei loro Fedeli; alla Chiesa Italiana,
che qui tutta si trova rappresentata in modo tanto qualificato ed in
così largo numero di fratelli; ed a quanti da regioni vicine e lontane
sono qua accorsi pellegrini, chiamati dalla medesima fede e da emula
devozione, il voto di grazia, di gaudio e di pace, da parte nostra,
quale Vescovo della Chiesa Romana, Pastore dell’intera Chiesa
Cattolica sparsa su tutta la terra, nel nome del Dio vivente, Padre
del Signore Gesù Cristo e nostro, nello Spirito Santo vivificante
ed unificante.
Il nostro riverente e beneaugurante saluto si rivolge parimente alle
Autorità della società civile qui presenti, ed a quanti con il
consiglio e con l’opera hanno favorito il buon esito di questo
Congresso; e nessuno inoltre di coloro che soffrono, lavorano,
pregano, o perché piccoli, o tribolati, o bisognosi di
misericordia, di assistenza e di conforto si creda da noi dimenticato
ed escluso dalla nostra affettuosa benedizione. Un saluto particolare
giunga a voi, Emigranti del Veneto e del Friuli specialmente, qua
convenuti per questa felice circostanza; e a voi, Sloveni, che tanti
vincoli storici ed etnici uniscono a questa regione, e che avete voluto
con codesta presenza saldare specialmente i vincoli spirituali che
affratellano la vostra a questa popolazione. A tutti l’assicurazione
del nostro ricordo in questa celebrazione eucaristica della presenza
reale e sacrificale di Cristo, nostro Maestro e nostro Salvatore.
Ora noi vi dobbiamo dire perché siamo venuti; e sarà questo tutto il
nostro breve discorso.
Siamo venuti per adorare insieme con voi questo mistero eucaristico,
che qui ora s’intende celebrare con quella intensità di riflessione
interiore e di culto esteriore, che deve scuotere la nostra fede e
farci meglio comprendere e in qualche misura gustare «l’abisso di
ricchezza, di sapienza e di scienza di Dio» (Cfr. Rom. 11,
33), palese nel segno, nascosto nella realtà, che si contiene
nell’Eucaristia, non mai abbastanza esplorata, onorata,
partecipata. Cotesto sforzo, che qui impegna i cattolici d’una
Nazione intera, nella quale noi pure siamo localmente, storicamente e
spiritualmente inseriti, a celebrare con unanime adesione e con
cordiale solennità il mistero eucaristico, non poteva lasciarci
materialmente e personalmente estranei, sebbene il venerato
Cardinale, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, da
noi espressamente inviato a presiedere questo Congresso, già vi
dimostri la nostra piena adesione. Dovevamo venire. Dovevamo venire
nonostante gli ostacoli, che chi conosce un po’ la nostra vita
quotidiana può immaginare, non foss’altro quello di non far torto ad
altri analoghi ed attraenti inviti, ai quali con nostro rammarico non
possiamo sempre materialmente corrispondere. Ma al vostro invito,
carissimi figli Udinesi, non potevamo non aderire, perché al merito
della vostra Chiesa e all’affezione, che noi le portiamo,
s’aggiungeva la scelta del tema prefisso, fra i tanti possibili, alla
meditazione e alla celebrazione di questo Congresso; un tema teologico
e ecclesiologico, che riguarda non soltanto l’attualità degli studi e
delle discussioni Post-conciliari, ma tocca un aspetto del nostro
ministero apostolico, e cioè il rapporto della Chiesa locale con
l’Eucaristia, perché essa a sua volta tocca l’unità della
Chiesa; e dove è in gioco l’unità nella Chiesa e della Chiesa è
chiamato in causa l’ufficio apostolico affidato a Pietro, e perciò
anche all’ultimo nel merito dei suoi successori (Cfr. Lumen
Gentium, 23).
Voi conoscete già tutto a questo riguardo. Egregi e piissimi
Maestri vi hanno già illustrato questo immenso e essenziale capitolo
della dottrina eucaristica. Noi vi esortiamo a fissare l’attenzione,
e poi, in seguito, la memoria, sulla grazia specifica
dell’Eucaristia, sulla «res», dicono i teologi, di questo
sacramento, cioè su l’intenzione centrale che Cristo ha avuto, al
vertice del suo amore per noi, nell’istituirla, la grazia specifica,
che esso ci apporta; ed è, voi lo sapete, l’unità del suo corpo
mistico (Cfr. S. TH. III, 73, 3). La parola di San
Paolo, scelta come punto focale della meditazione e della celebrazione
di questo Congresso, lo dice con semplicità scultorea e con
profondità insondabile: ad un unico, medesimo Pane, cioè Cristo
fattosi cibo per noi, deve corrispondere un unico medesimo Corpo, il
suo corpo mistico, la Chiesa. Alla Eucaristia, sì, corrisponde
la Chiesa; al Corpo personale e reale di Cristo, contenuto nei
segni del pane e del vino, per raffigurare e perpetuare il suo
sacrificio salvifico nell’amoroso disegno di trasfondersi, per via di
cibo, di alimento sacrificale, nei credenti in Lui, corrisponde il
suo Corpo sociale e mistico, che sono i cattolici, cioè l’umanità
riunita nell’organismo unitario, che chiamiamo Chiesa. Il Capo,
Cristo, effonde la vita nelle membra del suo corpo mistico.
L’Eucaristia è segno e causa di questa nuova struttura umana,
storica, universale, vivente dello Spirito di Cristo, perché da
Cristo chiamata, a Lui unita e intimamente associata, santificata
perciò in ogni espressione della sua esistenza: «chi mangia di me,
vivrà per me» (Rom. 5, 5); e sostenuta dalla speranza che non
delude (Io. 6, 57) della risurrezione finale (Io. 6,
51-58).
Notate a ricordo di questo Congresso, con premurosa attenzione, il
genio unitario, suprema rivelazione del cuore del Signore (Cfr.
Io. 17, 21-22) e caratteristica espressione della fede
cattolica: tutti dobbiamo essere una cosa sola, tutti dobbiamo
costituire una società unanime, non solo compaginata in virtù d’un
identico pensiero, la fede, e da un’affezione comunitaria, la
carità, una società vivente e soprannaturale, in virtù d’un
identico principio esistenziale, la grazia unificante che emana da
Cristo eucaristico; così che noi tutti dobbiamo formare il «corpo»
del «Cristo totale», Lui Cristo del Vangelo il Capo, noi,
disseminati nel mondo e nella storia, le membra (Cfr. S. AUG.
En. in Ps. 17, 51; PL 36, 154).
Non dimenticheremo, no, come l’Eucaristia sia perfettiva del
singolo fedele che si nutre di questo pane divino, e come esso abbia
per ciascuno di noi il dono adeguato d’una pienezza gaudiosa da
conferire: omne delectamentum in se habentem, ma questo dono non è il
termine completo e finale del nutrimento eucaristico; perché esso non
è soltanto dono personale, individuale; è dono che straripa dal
singolo fedele e si riversa sui fratelli fedeli, destinato a fare di
loro un organismo spirituale unificato; ripetiamo: il corpo mistico di
Cristo, la Chiesa.
E ciò che diciamo del singolo fedele diremo analogamente di quella
porzione dell’unica Chiesa che chiamiamo Chiesa locale, quella sulla
quale si è concentrata l’attenzione di questo Congresso, e nella
quale la celebrazione sacramentale e liturgica dell’Eucaristia offre
la visione unitaria della Chiesa, e acquista un duplice aspetto,
l’uno e l’altro estremamente interessante. E nella Chiesa locale -
e qui il pensiero dal perimetro diocesano, che per eccellenza definisce
il carattere proprio d’una Chiesa locale, costituzionalmente
riconosciuta come tale, si allarga e si ramifica nelle espressioni
parrocchiali e nelle altre particolari e legittime - noi possiamo
riconoscere il punto di effettivo contatto dove l’uomo incontra Cristo
e dove gli è aperto l’accesso al piano concreto della salvezza: qui
il ministero, qui la fede, qui la comunità, qui la parola, qui la
grazia, qui Cristo stesso che si offre al fedele inserito nella
Chiesa universale. La Chiesa locale è perciò nell’economia
religiosa cattolica il momento iniziale e terminale; e come il frutto
rispetto alle radici, all’albero, ai rami; la fase cioè della
pienezza spirituale a tutti disponibile. Gesù stesso sembra
descriverne la bellezza e la fecondità: «Io sono la vite, Egli
dice, voi i tralci» (Io. 15, 5). Qui termina la struttura
del suo disegno, e qui comincia la maturazione promessa del regno di
Dio. Ascoltate il Concilio: «La diocesi, cioè la Chiesa
locale, è una porzione del Popolo di Dio affidata alle cure
pastorali del Vescovo, coadiuvato dal suo presbiterio, in modo che,
aderendo al suo Pastore, e per mezzo del Vangelo e
dell’Eucaristia, (quella porzione) da lui riunita nello Spirito
Santo, costituisca una Chiesa particolare, nella quale è veramente
presente ed opera la Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica ed
Apostolica» (Christus Dominus, 11; Lumen Gentium, 26).
La Chiesa locale come madre deve essere amata. Il proprio campanile
dev’essere preferito come il più bello di tutti. Ciascuno deve
sentirsi felice di appartenere alla propria Diocesi, alla propria
Parrocchia. Nella propria Chiesa locale ciascuno può dire: qui
Cristo mi ha atteso e mi ha amato; qui l’ho incontrato, e qui io
appartengo al suo Corpo mistico. Qui io sono nella sua unità.
Quanti qui siamo dobbiamo essere inseriti in Cristo ed essere con Lui
e fra noi una cosa sola. Ed è l’Eucaristia che ci dà, che ci deve
dare questo senso di comunione. È l’Eucaristia la mensa del
Signore: noi ci raccogliamo intorno al medesimo altare, come
commensali di Cristo e commensali degli altri fedeli, che dobbiamo
considerare come Fratelli.
Perché ci indugiamo a fare l’elogio della Chiesa locale?
Perché una rinnovata ed accresciuta stima della rispettiva Diocesi,
della nostra propria Parrocchia, o della nostra legittima comunità,
e di conseguenza di qualsiasi forma di onesto umano rapporto,
dev’essere il frutto di questo Congresso. Cristo,
nell’Eucaristia, Sacerdote, vittima e cibo della sua mensa
sacrificale, ci è altresì maestro di carità e di unità. È dalla
sua mensa ch’Egli ci ha lasciato in testamento l’esempio di perfino
sconcertante umiltà di Lui, come Egli stesso allora si definì,
Signore e Maestro, che si curva a lavare i piedi dei suoi discepoli
(Io. 13); ci ha lasciato il comandamento nuovo di volerci bene
gli uni gli altri; dove la novità, pare a noi, sta nel «come».
Egli ci ha voluto bene, un «come» senza fondo: «Io vi do un
comandamento nuovo, Egli disse, che vi amiate a vicenda, come io vi
ho amati». Un comandamento, che dev’essere caratteristico e
distintivo: «Tutti sapranno che siete miei discepoli se vi amerete
vicendevolmente» (Io. 13, 35). Segno, pegno, impulso,
fonte e forza di questa impensabile comunione fra noi seguaci ed
alunni, fra noi cristiani, la comunione con Lui, l’Eucaristia.
Una rinnovata coscienza della nostra socialità ecclesiale
dev’essere, sì, la conseguenza d’un Congresso Eucaristico,
intitolato alla comunità locale; una conseguenza che non ci concede
più di vivere la vita cristiana nel guscio chiuso e comodo del proprio
individualismo, sia spirituale che pratico, e nel disinteresse dei
bisogni, dei problemi, delle fatiche, delle gioie della propria
comunità; una conseguenza, che ci vieta di fomentare i difetti degli
ambienti ristretti; le antipatie, le gelosie, le maldicenze, i
dispetti, le contestazioni, le avversioni, le liti, che vegetano
spesso anche nelle nostre comunità; una conseguenza invece che mette
l’amor del prossimo come programma reale e generale delle nostre
convivenze ecclesiali, e che lo applica con generosità ed umiltà in
ogni vicenda della vita quotidiana; e che fa sentire a tutti e a
ciascuno come propri i bisogni della comunità, quelli dei poveri, dei
disoccupati, dei sofferenti, dell’infanzia e della gioventù, non
che quelli della vita religiosa e della vita civile. Noi siamo lieti
d’avere oggi con noi, quasi a conferma dell’amicizia di cui è capace
una Chiesa locale, storicamente ed etnicamente caratterizzata come
quella di Udine, d’accogliere come ospiti e fratelli, folle di
lavoratori, che personificano le passioni e le speranze sociali di
tanta parte del popolo italiano, e di esprimere loro la nostra
cristiana solidarietà.
Unità nella Chiesa locale. Poi unità della Chiesa, cominciando
anche su questo punto da una riaffermata coscienza della comunione con
la Chiesa universale, e con la Chiesa che le sta alla base ed al
centro, per volere di Cristo, la Chiesa di Pietro, la Chiesa
Romana. Non parliamo per nostro orgoglio o per nostro egoistico
vantaggio. Servo dei servi di Dio, investito della funzione
pastorale di tutto il gregge di Cristo, noi parliamo per il nostro
dovere e il vostro onore, citando una nota parola di San Giovanni
Crisostomo: «Chi sta a Roma, sa che gli Indi sono sue membra»
(In Io. Hom. 65, 1; PG 59, 361); parliamo per il
vantaggio delle Chiese locali, per le quali sarebbe tristissima sorte
perdere il senso della cattolicità dell’unico Popolo di Dio e di
cedere alla tentazione del separatismo, dell’autosufficienza, del
pluralismo arbitrario, dello scisma, dimenticando che per godere
dell’autentica pienezza dello Spirito di Cristo è necessario essere
inseriti organicamente nel Corpo di Cristo (Cfr. 1 Cor. 12 1
ss.; Cor. 1, 9; Gal. 3, 28; Rom. 6, 5; 11, 17
ss.; etc.; S. Agostino). Dall’Eucaristia l’unità
comunitaria e gerarchica, che dalla convergenza verso il suo punto
focale, visibile, il ministero apostolico, invisibile, il mistero
dello Spirito di Cristo, si allarga a ventaglio senza confine nella
cattolicità della Chiesa, estesa per tutta la terra, in uno slancio
di amore missionario ed ecumenico: questo è l’orizzonte che si
spalanca sopra di noi, se davvero nell’intimo cenacolo della nostra
Chiesa locale avremo celebrato il sacrificio eucaristico di Gesù
offerto «pro mundi vita», per la vita del mondo (Io. 6, 51).
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