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Domenica, 23 giugno 1968
Il Santo Padre inizia la sua Omelia rilevando che le due parabole
narrate dall’Evangelista - nel brano proposto per la terza Domenica
dopo la Pentecoste - dànno una duplice visione di profondo gaudio e
di mirabile dottrina.
È una pagina pittoresca, tanto è vero che la prima immagine per
rappresentare Gesù, nelle catacombe, è proprio quella del Buon
Pastore, che tiene sulle spalle una sua pecorella. Episodio
incantevole, delizioso, per le cose che descrive ed espone,
quantunque il racconto muova da un inizio polemico.
PITTORESCHE INCANTEVOLI PARABOLE
Gesù, infatti, vuole rispondere alle mormorazioni dei farisei,
cioè i puritani, i professionisti della osservanza legale e sociale di
quel tempo, coloro che diverranno gli irriducibili avversari del
Salvatore. Essi stavano movendo rimprovero all’incomprensibile
Maestro, per il fatto che, infrangendo le regole comuni, avvicinava
i pubblicani - gli agenti del fisco particolarmente detestati -, e
persino i peccatori, avendo dimestichezza con loro.
Ed ecco il Signore a proporre la duplice similitudine. L’una del
pastore, che, notando l’assenza di una sua pecorella, lascia le
altre nell’ovile, va alla ricerca della prima, e non desiste fino a
quando non la ritrova e la riporta, festante, a ricongiungersi al
gregge. L’altra figura è quella dell’umile donna, alla quale
sfugge una moneta delle dieci che possedeva. Eccola a rovistare in
ogni angolo, a ripulire l’intera casa, sino a vedere coronata la sua
fatica, con una letizia, di cui subito vuole fare partecipi amiche e
vicine.
Che cosa desumere dall’avvincente narrazione?
Il Signore si serve di figure semplici, schiette, familiari, per
esporre una delle cose più meravigliose del suo Vangelo, per farci
capire una delle rivelazioni più originali, e più - come dire? -
sconvolgenti del suo Messaggio. Eccolo a dichiararci che la pecorella
smarrita e la moneta perduta sono immagini, con esplicito riferimento
agli uomini che hanno trascurato od offeso la legge, e si sono
allontanati dalla linea giusta, classificati, in tal modo, quali
peccatori: coloro, cioè, che sfidano la comune stima e fiducia, per
cui l’ostracismo è la loro prima sanzione.
DIO È SEMPRE IL NOSTRO SIGNORE
Orbene, Gesù fa osservare - ecco dove incomincia la rivelazione -
che come la pecorella perduta continua ad essere del pastore, e la
moneta smarrita appartiene a chi la possedeva, così Dio resta sempre
proprietario degli uomini, anche di quelli usciti dalla retta via.
Sono suoi, in ogni momento.
Il Signore dimostra, così, un nesso che sopravvive, ben si può
dire, al peccato. Il peccato interrompe i rapporti di grazia - e
sono vitali, indispensabili, convenienti fondamentalmente alla nostra
esistenza - con il Signore; ma non scinde il vincolo essenziale che
congiunge una creatura al suo Creatore; un uomo destinato a fini
soprannaturali, anche quando, per sua colpa, li perde.
Succede, allora, che Iddio, proprietario defraudato di questa sua
ricchezza, e della fiducia riposta nella creatura che si è allontanata
ed ha tradito il patto di amore con Lui, avrebbe tutto il diritto e
avrà - il Signore ci aiuti ! - il dovere, un giorno, di
rimproverare e punire.
Ma adesso, nell’economia presente, quella del tempo,
dell’esperimento che noi stiamo svolgendo, qual è l’atteggiamento di
Dio? È forse quello del castigo, della condanna, dell’anatema;
quello di riversare sopra chi ha sbagliato la sua indignazione e la
pena?
No: completamente opposto a tutto ciò è il comportamento del
Signore. Noi anzi vediamo crescere - ecco la meraviglia - l’amore
di Dio per chi è andato lontano: e non perché è lontano, ma
perché appartiene sempre a Dio; perché era suo ed Egli lo reclama.
Inoltre - il Vangelo lo afferma esplicitamente - il Signore stesso
prende l’iniziativa della ricerca. Dio si mette in moto; va
indagando i sentieri che un’anima percorre sulle false direzioni
intraprese: si pone alla rincorsa di chi si è allontanato da Lui.
Pertanto, ognuno di noi può sentirsi in qualche maniera rinfrancato
dalle due parabole; e - accertando di essere andato fuori strada -
dovrebbe sentire dietro di sé i passi di Dio. Un Dio che cerca,
chiama, e - se vogliamo fare ‘un po’ di antropomorfismo, cioè
attribuire a Lui i nostri sentimenti e le nostre maniere di reazione
psicologica - un Dio che soffre, si addolora perché la sua
creatura, diventata la prediletta, appunto perché perduta, gli è
sfuggita di mano.
PER IL COLPEVOLE AUMENTA LA DIVINA
CARITÀ
Perciò il Signore moltiplica le sue premure, e lascia, in un certo
senso, le novantanove pecorelle tranquille, al sicuro, per ricuperare
la pecorella errante. In tal modo ci viene rivelata la misericordia di
Dio: questa economia di bontà che ci dovrebbe stupire, incantare e
anche un po’ sconvolgere, se noi riflettessimo a quanto può l’amore
su di noi. Non è forse l’amore a guidare la nostra vita? Non è
forse l’amore di un padre, di una madre, quello che ancora racchiude
e conserva sentimenti di bontà in chi pur conduce una vita scorretta o
lontana dal retto cammino? Infatti, quando risorge nell’anima il
pensiero della famiglia, anche nei cuori inariditi riaffiora un
sentimento congenito, superstite, redivivo di bontà e di profonda
nostalgia. È quell’amore che rende savi e fa tornare nel concerto
della società, per essere fedeli alla legge sia umana che divina.
Possiamo quindi pensare che ogni nostro peccato o fuga da Dio accende
in Lui una fiamma di più intenso amore, un desiderio di riaverci e
reinserirci nel suo piano di salvezza.
Questa rivelazione della misericordia è originale nel Vangelo.
Nessuno, con la fantasia umana e nella fenomenologia comune, arriva a
tanto.
Dio, in Cristo, si rivela infinitamente buono. Questo vocabolo,
tanto comune, usato, e, in certo senso, sminuito dall’uso che se ne
fa, acquista la sua ampiezza, profondità e meravigliosa potenza,
quando viene attribuito a Dio.
Dio è buono. E non lo è soltanto in Se stesso; Dio è -
diciamolo piangendo - buono per noi. Egli ci ama, cerca, pensa,
conosce, ispira ed aspetta: Egli sarà - se così può dirsi -
felice il giorno in cui noi ci volgiamo indietro e diciamo: Signore,
nella tua bontà, perdonami. Ecco, dunque, il nostro pentimento
diventare la gioia di Dio. Si fa grande festa in Cielo,
nell’esultanza degli Angeli e dei Santi, quando c’è un’anima che
riprende contatto con Lui e si lascia vincere dalla sua bontà.
Questo potrebbe essere il quadro della nostra vita, che va completato
da una successiva rivelazione, contenuta nelle due parabole
evangeliche. Se la prima parte si riferisce a Dio buono, Ia seconda
concerne gli uomini cattivi. Il Vangelo ci dice - ed è cosa, pur
questa, impossibile ad essere enunciata e sostenuta dal mondo - che
gli uomini sono recuperabili; sono guaribili; che il cuore dell’uomo
può, deve convertirsi: cioè è in obbligo di ritornare sui suoi
passi, ricomporre la psicologia, pentirsi. Deve volgersi nuovamente
al Signore e lasciarsi vincere dalla sua bontà.
DIALOGO NON PER UNA STASI MA PER LA
CONVERSIONE
Noi moderni siamo facili ad ammettere la prima parte di questo
insegnamento evangelico; e cioè arriviamo a non avere più alcuna
esigenza da chi manca. Rimaniamo indifferenti e proclivi a non
accusare alcuno, lasciando che tutti vivano alla propria maniera.
Anzi, ora, è di moda quasi avvicinarsi a quanti sono fuori strada,
piuttosto che a coloro che sono in linea coi fratelli fedeli. Questo
avvicinamento è chiamato dialogo. È, sì, un’applicazione
evangelica, ma è solo una prima parte, non la definitiva. Se noi
restassimo all’iniziale dialogo, cioè al rispetto reciproco che
vogliamo stabilire con chi non condivide la nostra formula di vita e le
nostre idee, avremmo incominciato bene, ma avremmo arrestato il
cammino della salvezza già ai primi passi. Il Vangelo ci ammaestra
che non basta avvicinare gli altri, ammetterli alla nostra
conversazione, confermare ad essi la nostra fiducia, cercare il loro
bene. Bisogna, inoltre, adoperarsi affinché si convertano; occorre
prodigarsi perché ritornino; è necessario recuperarli all’ordine
divino, che è uno solo: quello della grazia, della fede, della
Chiesa, della vita cristiana.
Tale possibilità ci è insegnata e predicata dal brano del Vangelo di
questa terza Domenica dopo la Pentecoste. Non dobbiamo disperare di
nessuno, anche dei nostri fratelli fuggiti così lontani da sembrare
quasi perduti dalla logica della vita umana. Il Signore ci dice che
Egli è alla ricerca di queste anime; e che se noi vogliamo imitarlo,
dobbiamo rincorrere, seguendo i suoi passi, i fratelli vaganti e
dispersi. Dobbiamo accrescere il nostro amore, imitando l’amore di
Dio, per recuperare e ricondurre all’unità della fede, della
carità, della Chiesa, della giusta vita, coloro che, pur
fuorviati, non per questo devono arrestare il nostro apostolato,
affinché si compiano i disegni di Dio, che tutti ci vuole buoni,
fedeli, santi.
ASSECONDARE SEMPRE LA MISERICORDIA
INFINITA
Perciò - conclude il Santo Padre - raccogliamo il duplice
insegnamento che il brano odierno del Vangelo offre. Anzitutto: Dio
è buono, d’una bontà espansiva, che ci insegue, sempre pronta a
concedersi; d’una bontà che ci nobilita, se noi ci arrendiamo a
tanta infinita larghezza di cuore.
Il secondo insegnamento è: anche gli uomini sono virtualmente buoni,
sono migliori di quanto possano sembrare. Tocca a noi risvegliare in
essi quel residuo, quel fondo di bontà che tuttora alberga nel loro
essere, e, perciò, chiamarli a noi, prima con il dialogo e con la
cura di ristabilire i rapporti umani; quindi ravvivandoli nella unità
di pensiero e di vita cristiana, che intendiamo professare noi stessi
ed effondere a beneficio altrui. Di0.è buono, e gli uomini possono
e devono diventare buoni, se noi pure li aiutiamo ad essere tali.
Questo il senso della sublime lezione evangelica con i due quadri di
parabole presentateci, e che devono colmare l’animo di meraviglia e di
speranza. Suscitano fiducia, giustificata dal trionfo del bene sul
male. Gesù è con noi, appunto per attuare il suo piano di bontà
illimitata, di misericordia infinita.
L’imponente delegazione della Campania
Il nostro particolare saluto va oggi con meritato titolo di precedenza
al grandioso pellegrinaggio della Campania, qui rappresentata da oltre
sedicimila pellegrini venuti da quella diletta regione a concludere
solennemente l’«Anno della Fede» sulle Tombe gloriose degli
Apostoli Pietro e Paolo.
Salutiamo il degnissimo Cardinale Arcivescovo, e la corona degli
zelanti Pastori delle varie diocesi campane, che hanno guidato i
gruppi numerosi delle loro dilettissime sedi. Salutiamo i sacerdoti
presenti, e tutti i fedeli qui convenuti, che hanno preso parte alla
Santa Messa con tanta devozione.
Venerabili Fratelli e diletti Figli.
Vorremmo fermarci più a lungo tra di voi per dirvi tutto l’affetto,
la stima, la fiducia che Noi riponiamo in voi. Il Nostro pensiero
va alla vostra terra, singolarmente benedetta dai doni di una natura
splendida, come uscita dalle mani del Creatore con la variopinta
ricchezza delle sue prerogative primigenie: bellezza del paesaggio,
fertilità della terra, genio intelligente e cordiale degli abitanti.
Ma più ancora che al serto scintillante di codesti privilegi, che
tutti vi invidiamo, onore sia reso alla recettività generosa e
operante che le vostre regioni hanno avuto nei confronti del
Cristianesimo, aprendosi generosamente tra le prime al Messaggio
cristiano, colà trovato e portato da Paolo in catene su la via di
Roma, e dai volenterosi missionari dell’Evangelo, che suscitarono
una mirabile fioritura di santità, come le antichissime catacombe, i
santuari celebrati, le testimonianze della pietà e dell’arte ancor
ricordano allo spirito nostro.
La fede cristiana ha lasciato un’orma profonda in mezzo a voi, che
tutt’oggi vi parla con linguaggio efficace: quale migliore e più
incisivo invito potrebbe oggi venire a voi, che celebrate qui in
Roma, nel centro stesso della cristianità, la conclusione dell’
«Anno della Fede»? La fede è stata ed è tuttora il patrimonio
indiscusso, incrollabile, eloquente delle vostre terre: sappiate
dunque viverlo in pienezza per voi stessi e tramandarlo intatto ai
vostri figli come il bene più prezioso che essi possano ricevere.
Purtroppo alcune voci, oggi, vorrebbero soffocare queste consolanti
certezze, sostituendo alle realtà inconcusse della fede il fallace e
violento richiamo delle cose effimere di questo mondo; piacere,
denaro, successo, e quanto può offuscare lo splendore vero di ciò
che non tramonta. Sono voci suadenti, che cercano di scuotere
l’animo, specialmente della gioventù: diletti Figli, sappiate
sentire, al di sopra dell’incrociarsi rumoroso di tutte queste voci
ingannevoli la Voce, l’unica vera Voce, che può placare la nostra
sete di eternità e di bellezza, di amore e di pace; sappiate tenere
l’orecchio attento a Colui che, ancor oggi, vi ricorda la dignità,
la ricchezza, l’onore della vostra esistenza cristiana, di uomini
amati e redenti da Cristo: «Che vale all’uomo guadagnare tutto il
mondo, se poi danneggia l’anima?» (Matth. 16, 26).
Ascoltate l’esortazione del suo fedele Apostolo, quel Paolo che
già ebbe la consolazione di trovare dei fratelli presso di voi, a
Pozzuoli (cfr. Act. 28, 13-14), e anche a voi oggi dice:
«Perciò indossate l’armatura di Dio, affinché possiate resistere
nel giorno cattivo e, superato ogni attacco, restare saldi. Su,
dunque! Con la verità per cintura, la giustizia per corazza,
calzati i piedi per annunziare l’evangelo della pace, e prendendo lo
scudo della fede, con cui smorzare tutte le frecce del maligno . . .
Con ogni sorta di preghiera e di supplica pregate costantemente nello
Spirito» (Eph. 6, 13-16, 18).
Noi siamo certi che, rinvigoriti nella fede, unitamente con tutti i
vostri condiocesani, che pur lontani sono qui uniti con voi nella
preghiera, riprenderete con rinnovato vigore i vostri propositi di vita
cristiana, facendo sempre onore a Cristo e alla Chiesa, collaborando
con i vostri Pastori per la diffusione del Regno di Dio.
A tanto vi conforta la Nostra Apostolica Benedizione, che amiamo
impartire a tutte le vostre dilette diocesi, ai lavoratori, agli
ammalati, ai poveri, a quanti soffrono, affinché la gioia e la pace
del Signore siano sempre nei vostri cuori.
Il Terz’Ordine Secolare di San Francesco
Partecipano a questa Udienza le rappresentanze, numerose e
fervorose, del Terz’Ordine Secolare di San Francesco d’Assisi,
e anche ad esse, con particolare menzione di affetto, va il Nostro
saluto, il Nostro augurio, il Nostro incoraggiamento.
La vostra presenza Ci reca vivo conforto, diletti Figli, e sebbene
il tempo a disposizione sia troppo scarso, desideriamo dirvi tutto il
compiacimento che il pensiero delle vostre schiere numerose, ordinate,
pacifiche, sparse in tutto il mondo, procura al Nostro spirito.
I terziari sono stati, si può dire, i primi gruppi di Azione
Cattolica, sorti sulla scia di santità genuina, di profondo amore di
Dio e degli uomini, di appassionato zelo per le anime, attinto alla
contemplazione della Passione di Cristo, che il Santo Poverello
seppe lasciare sul suo passaggio terreno. Scossi dalle sue virtù,
più che dalle sue parole i laici si mossero a prendere coscienza del
loro dovere di rendere testimonianza al Vangelo, in un mondo che
inaridiva nell’egoismo e nell’edonismo, nelle crudeltà belliche e
nelle ingiustizie sociali. E la fioritura di santità e di bontà,
che accompagnò nei secoli il cammino del Terz’Ordine Francescano,
ebbe un influsso decisivo, nella vita interna della Chiesa come
nell’animazione cristiana della società civile.
Quel programma rimane. Anche oggi, in questo nostro mondo che per
tanti versi è simile a quello in cui nacquero le vostre associazioni,
c’è bisogno di una testimonianza così, franca, aperta, gioiosa,
umile e buona, fattiva e semplice, pronta a pagare di persona e
dispensatrice di serenità e di letizia. C’è bisogno della vostra
testimonianza, sulle orme del Serafico Patriarca: ed è bello che
questo rinnovato impegno, che voi sentite, sia riaffermato in questo
scorcio dell’Anno della Fede, pieno di sante promesse per il domani
cristiano della società.
Noi vi incoraggiamo a prendere il vostro posto, con santo ardore, con
spirito di fede e di sacrificio: Noi preghiamo per voi, affinché
questi propositi non vengano mai meno: e vi attestiamo la Nostra
benevolenza con una particolare Benedizione Apostolica, che
estendiamo a tutti i Terziari Francescani d’Italia e del mondo,
alle loro famiglie, alla loro attività di spirituale rinnovamento.
L’omaggio di Siena nel nome della Patrona d’Italia
Più tardi, nel Cortile di San Damaso, il Santo Padre saluta un
numerosisnmo pellegrinaggio di Siena, guidato dall’Arcivescovo,
Monsignor Ismaele Mario Castellano, e venuto a Roma per
ringraziare l’Augusto Pontefice per aver Egli annunziato di voler
proclamare Santa Caterina da Siena dottore della Chiesa. Ai fedeli
senesi si è aggiunto il Maestro generale dell’Ordine dei Frati
Predicatori, P. Aniceto Fernandez, con il postulatore generale
P. Piccari e gli assiStenti, intendendo così unire al coro
generale di gaudio, la profonda, filiale riconoscenza dell’Ordine
Domenicano verso il Vicario di Cristo in terra. Presenti,
inoltre, il commissario straordinario del comune di Siena, dott.
Guido Padalino; il comm. Ezio Cantagalli, rettore dell’Opera
metropolitana di Siena, nonché altre personalità ecclesiastiche e
laiche. Non manca la contrada del rione di Santa Caterina, con gli
alfieri e i tamburini nei loro caratteristici costumi, guidati dal
priore avv. Gattini.
Diletti Figli e Figlie!
Vi accogliamo con sentimenti di particolare benevolenza, e vi diciamo
la commozione e la gratitudine del Nostro animo per questo incontro con
voi, che tanto numerosi siete venuti - con il venerato Arcivescovo,
le benemerite Autorità civili, i Rappresentanti di tutte le
Contrade - a testimoniare così splendidamente non solo le antiche e
intramontabili glorie di Siena, ma anche la sua inesausta operosità
ed il fervore della sua odierna vita cristiana.
Sono molteplici i motivi che hanno dato impulso e felice esecuzione
alla vostra lodevole iniziativa di raccogliervi ora attorno a Noi,
nella casa del Padre Comune.
Come non pensare, anzitutto, alla Santa, il cui nome è
indissolubilmente legato a quello della vostra Città? E come non
riconoscerle la parte ispiratrice che le spetta in questa vostra
meritoria decisione?
A voi piace ricordare - ben lo sappiamo - che in non lontana
memorabile circostanza Noi abbiamo voluto additare Santa Caterina da
Siena all’attenzione del laicato cattolico e di tutta la Chiesa. E
Noi Ci rallegriamo per la squisita sensibilità, civile e religiosa
ad un tempo - una sensibilità radicata nella storia ed aperta alle
istanze del momento presente - con cui voi avete accolta quella Nostra
indicazione, comprendendone senza dubbio il significato profondo in
ordine di rinnovamento della vostra vita cristiana e del vostro impegno
apostolico.
Quanto Ci piacerebbe poter discorrere a lungo con voi - i
concittadini - della Nostra carissima Santa: riandarne le
movimentate vicende esteriori; contemplarne soprattutto le sorprendenti
ricchezze spirituali, esperienza religiosa e mistica, che di tutto il
suo vasto ed intrepido operare sono state la luce orientatrice e la
forza motrice! Basti ricordarvi che voi dovete essere i primi - ne
avete il privilegio! - a raccogliere e perpetuare la preziosissima
eredità cateriniana, per il bene delle anime vostre, a beneficio
della Chiesa e della società civile.
Questa vostra presenza vuole, poi, essere la sentita partecipazione,
solenne e pubblica, di tutta la diletta Arcidiocesi senese
all’«Anno della Fede» nel centro stesso della Cristianità. Sia
benvenuta la testimonianza di adesione che in tal modo voi rendete a
Cristo, ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, ai loro Successori,
alla Santa Chiesa di Dio!
Non vi nascondiamo che l’«Anno della Fede», ormai prossimo a
concludersi, Ci ha procurato non poche consolazioni. Siano rese
grazie al Signore; ed anche a voi, diletti Figli e Figlie, che,
associandovi ai tanti altri numerosi pellegrinaggi, avete voluto
riservare al Nostro invito una generosa accoglienza.
Ma il vostro pellegrinaggio si ispira pure ad un motivo di filiale
devozione verso la Nostra umile persona, chiamata dagli
imperscrutabili disegni di Dio alla successione di Pietro. Siete
venuti per farci gli auguri, alla vigilia della Nostra festa
onomastica; per presentarci le vostre felicitazioni con motivo delle
altre Nostre ricorrenze di questo stesso mese. Siamo profondamente
sensibili a tanta affettuosa e devota attenzione, e vi assicuriamo
della Nostra viva paterna gratitudine, in testimonianza della quale di
cuore impartiamo a tutti voi, alle vostre famiglie, a tutti i vostri
concittadini, la Nostra Benedizione Apostolica.
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