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Domenica, 18 agosto 1963
Anzitutto il Santo Padre dà il cordiale saluto all’Archimandrita e
alla secolare Abbazia da lui presieduta; ai singoli Religiosi; alle
Autorità; ai fedeli e cittadini di Grottaferrata, che hanno voluto
tributare un filiale omaggio al Papa, in occasione della sua visita.
Abbiano tutti la Benedizione del Padre delle anime e l’espressione
sentita della sua gratitudine.
La visita odierna, - prosegue Sua Santità - che doveva essere
quasi ignorata e silenziosa, giacché mossa soltanto da un atto di
devozione, ha invece assunto una certa pubblicità per l’affetto
dimostrato dalle popolazioni al passaggio del Papa, e nelle
accoglienze festose a Lui tributate. Di qui il moto spontaneo di
riconoscenza, da parte sua, ed anche di profonda letizia nel trovarsi
a contatto con tanti cuori aperti, non già verso l’umile sua
persona, bensì verso il suo altissimo ufficio: quello di Vicario di
Gesù Cristo, Capo visibile della Chiesa, Vescovo di Roma e, in
questi giorni, di residente temporaneo in un castello vicino.
UN MILLENNIO GLORIOSO
Di fronte a così amabili disposizioni, è agevole per il Santo
Padre chiedere a quanti Lo ascoltano di volersi unire al suo animo,
alla sua preghiera, per rendere onore, prima d’ogni altra cosa, alla
Madonna Santissima. Il convegno avviene nel santuario insigne della
Badia di Santa Maria di Grottaferrata: questa la mèta del
pellegrinaggio pontificio.
Altre volte, in passato, Egli si è qui soffermato: ma l’odierna
presenza richiede anzitutto il pio atto di venerazione alla Vergine
Santissima, da mille anni onorata in questo insigne, storico suo
tempio.
Ed ecco, intorno a Maria, un insolito, singolare, ma stupendo
fenomeno. In atto di perenne ossequio alla Madre di Dio, esiste una
comunità monastica di Rito Greco-Bizantino, con una bella schiera
di Religiosi Basiliani. Si tratta di una incantevole isola di
spiritualità, di perfezione religiosa, le cui note distintive sono il
rito professato e l’amplissima tradizione di eventi, di opere e di
meriti. È qui il centro, il focolare della intera Congregazione
Basiliana d’Italia; e di gran cuore Sua Santità rinnova ai
Monaci l’augurale saluto, intendendo pure di estenderlo a tutte le
anime pastoralmente assistite nella giurisdizione del Monastero.
Sorge, naturale, una prima considerazione. Il soffermarsi al famoso
passato di tanto degna sede; alle persone che, ai giorni nostri, qui
hanno coordinamento e impulso per esemplare vita cristiana, induce
subito la mente a uno di quei richiami di memorie, che non consistono
affatto in squallide o stanche rievocazioni, ma riguardano magnifiche e
sempre viridescenti glorie, vitali ed eloquenti episodi. Ne è
conferma il millennio che questa comunità spirituale possiede al suo
attivo, con i grandi Santi che l’hanno impreziosito, a cominciare
dal Fondatore della Badia, S. Nilo.
ININTERROTTA PREDILEZIONE DELLA SANTA
SEDE
Per chi conosce, anche sommariamente, le correnti storiche del nostro
Mediterraneo, appare mirabile il trasferirsi di preclari araldi della
vita monastica dalla Grecia in Italia, dall’Italia meridionale alle
porte di Roma; e ciò che poteva sembrare uno scampo da non favorevoli
circostanze dell’Oriente, si rivelò, al contrario, evento
stabile, coerente, fecondo, ricco di esempi di santità - gli annali
di Grottaferrata ne presentano una collana fulgente: dal ricordato
S. Nilo a S. Proclo, S. Bartolomeo e tanti altri - e ben
presto intrecciato alle attività stesse dei Romani Pontefici, a
pagine bellissime della operosità della Chiesa. Le luci furono così
provvide nelle epoche anche le più oscure della regione laziale, poi
nel medioevo e nei secoli successivi, che l’esempio dei Papi trovò
imitatori pure in taluni nobili casati, quali i Colonna, i Farnese,
i Barberini, ben felici di associarsi alle imprese di pietà,
erudizione, cultura, sempre in auge nel Monastero.
Legittimo è quindi il ripercorrere, sia pure fuggevolmente, un
itinerario di alto interesse. Dagli inizi edificanti, di cui s’è
fatto cenno, si arriva ai Sommi Pontefici a noi più vicini,
segnatamente Leone XIII, Pio XI, Giovanni XXIII, tutti
desiderosi di onorare, proteggere, dimostrare stima e favore per
quest’isola del rito bizantino-greco, affinché, riaccendendo i suoi
più eletti splendori, potesse sempre confermare che la voce di questo
cenobio non è forestiera od estranea nella Chiesa, ma tenuta in
grande considerazione accanto a quella del rito latino.
Dopo questa premessa, ci si trova di fronte ad altra meraviglia che è
dei nostri tempi e, a Dio piacendo, lo sarà ancora più nel futuro:
la realtà di questa sopravvivenza, nelle immediate vicinanze di
Roma, di una fiorente comunità orientale.
Perché tutto ciò? Perché davvero - e lo accennava poco fa il
Rev.mo Archimandrita dando il benvenuto al Santo Padre - i monaci
Basiliani sono a Grottaferrata per attestare, in modo continuo, la
comunione di spirito della Chiesa Latina con l’intera Chiesa
Orientale; così che Roma possa guardare ognor più all’Oriente con
occhio fraterno e materno e con la ineffabile letizia di sentire tale
comunione dello spirito in perfetta consonanza.
Anche le particolarità differenziali di rito, la lingua, la maniera
di esercitare il culto di Dio, che, a prima vista, parrebbero
indicare soltanto una rarità esotica, dànno invece una nota
squillante al maestoso coro, all’armonico concerto dell’unità
cattolica, la quale vuole esprimersi non mediante una sola voce, ma
con quante voci possono liberamente elevarsi alla gloria del Signore,
alla confessione di Cristo, alla presenza dello Spirito Santo nella
Santa Chiesa che il Salvatore ha fondata unica e cattolica, aperta
cioè a innumerevoli e possibili espressioni, purché qualificate e
legittime.
Pertanto, il vedere a Grottaferrata già in realtà, - anche se in
nuce, in forma tuttora piuttosto tipica che non in proporzioni
estensive - questa perfetta unità, per cui si prega sì in lingua
diversa, con rito differente, ma si professa la stessa Fede,
l’identica adesione alla Chiesa, il medesimo riconoscimento della
Gerarchia, la stessa devozione al Papa, costituisce, per tutti,
argomento di immensa gioia e di inesprimibili speranze.
SALUTO AFFETTUOSO ALLE CHIESE
D'ORIENTE
Per parte sua, il Santo Padre è così commosso da tale rilievo
che, nel Divin Sacrificio in corso di celebrazione, avrà posto
preminente la sua lode all’Altissimo, la cui benignità suscita prove
così avvincenti di unione. Né si tratta d’un episodio, quasi
superstite e stanco, di realtà che fu già nel tempo, bensì,
invece, di semi di alte virtù, per cui è possibile antivedere un
promettente avvenire. Come sorge quindi spontaneo il voto augurale;
sentano tutti i fedeli, e in grado intenso, il vincolo spirituale che
ci unisce alle Chiese dell’oriente!
L’Augusto Pontefice pensa, innanzitutto, alle Chiese cattoliche
dell’Oriente. Abbiamo una sfavillante collana di riti orientali
che, da sempre, sono in comunione perfetta con Roma. Ebbene,
fervidissimo parte dal cuore del Papa un saluto per tutte queste
Chiese sorelle e figlie; e, con il saluto, la voce sua a proclamare
a quelle comunità: gloria, onore a voi; consolazione, conforto e
grazia a voi! Iddio vi benedica per avere sostenuto millenni di aspre
fatiche e saldissima fedeltà, di persecuzioni sofferte, di adesione
precisa e ferma alle più pure tradizioni, nella strenua difesa del
patrimonio dottrinale tramandato dai padri! Iddio vi benedica proprio
per tale infrangibile costanza!
Sanno i cattolici tutti come, oggi più che mai, la Chiesa di Roma
apre le sue braccia alle dilette comunità cattoliche dei riti
orientali. È noto che uno degli ultimi atti del veneratissimo Sommo
Pontefice Giovanni XXIII - il quale tanto amava i cattolici
dell’Oriente, con cui trascorse molti anni, tra i più attivi e
laboriosi della sua esistenza - fu quello di associare i Patriarchi
delle Chiese di origine apostolica dell’Oriente all’organismo di
governo che la Chiesa ha precisamente per l’assistenza e la guida
delle Chiese Orientali; di chiamarli, cioè, a far parte della
Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale.
Si tratterà, forse, di semplice inizio verso ancor più estesa
collaborazione, convivenza, articolazione, che il Diritto Canonico
preciserà, ma che, sin da ora, l’alacre attività spirituale dei
cattolici deve attuare come una conquista e una promessa di voler essere
tutti molto uniti, pur con le diversità delle tradizioni, dei riti,
dei costumi e delle manifestazioni esteriori, nella nostra fede comune
e nella nostra carità fraterna.
Si arresta forse qui lo sguardo? -, aggiunge Sua Santità. O
forse, proprio dalla esistenza di diversi riti e di altre lingue entro
la Chiesa, non si è portati a considerare altre Chiese, che
derivano dall’unico ceppo, dall’unica origine, Cristo Signore, e
pur non sono in comunione perfetta con la Chiesa di Roma? Non ha
forse il Papa il mandato di guardare anche a tutte queste altre Chiese
di Oriente, che hanno, con noi, lo stesso battesimo, la medesima
fede fondamentale, posseggono una gerarchia valida, e Sacramenti
efficaci di grazia? Certamente il Successore di Pietro si volge a
quei nostri fratelli, poiché, al giorno d’oggi, chiunque può
rilevare come quelle Chiese Orientali siano per origine e
sostanzialmente a noi vicine, pur se fatti storici e dottrinali ben
noti le tengono ancora distinte da noi.
«FACCIAMO CADERE LE BARRIERE CHE CI
SEPARANO»
E che cosa dirà il Papa? È già in atto, nella Chiesa, tutto
quanto si può esporre su questo punto. Dapprima un grande saluto di
onore a queste vetuste e grandi Chiese Orientali. Il senso di
considerazione intende essere davvero espresso con la grande sincerità
e la fraterna e semplice larghezza di spirito con cui recentemente, nel
mese scorso, un Presule della Chiesa Cattolica, Mons.
Charrière, Vescovo di Eosanna, Ginevra e Friburgo, veniva dal
Segretariato per l’Unione dei Cristiani inviato a Mosca per
beneaugurare al Patriarca Alessio in occasione di fausto giubileo del
suo episcopato. Quel gesto rivela appunto gli intenti, nella
Gerarchia Cattolica, di rendere omaggio a memorie antichissime; di
confermare come non esista alcun preconcetto di emulazione o di
prestigio e tanto meno d’orgoglio o d’ambizione; nessun desiderio di
perpetuare dissonanze e dissidenze, che, se in taluni momenti del
passato sembrarono accentuarsi, oggi appaiono del tutto
anacronistiche.
Questi propositi lo stesso Santo Padre è lieto di esprimere dinanzi
a un’assemblea tanto fervorosa; e con essa tramuta i suoi auspici in
fervida orazione al Signore perché prepari felici realtà e
moltiplichi le sue benedizioni.
Inoltre il Sommo Pontefice vuole anche far suo il voto che, con
improvvisa e spontanea generosità, sgorgò dal cuore dei suoi
Predecessori, specialmente di Giovanni XXIII; e cioè
l’intensissimo anelito, per cui la sua voce amerebbe essere possente
come la tromba d’un Angelo che dice: venite, e facciamo cadere le
barriere che ci separano; spieghiamo i punti di dottrina che non sono
comuni, e che sono ancora oggetto di controversie; procuriamo di
rendere univoco e solidale il nostro Credo, articolata e compaginata
la nostra unione gerarchica. Noi non vogliamo né assorbire, né
mortificare tutta questa grande fioritura di Chiese Orientali, ma
sì, desideriamo che essa sia reinnestata sull’albero unico
dell’unica Chiesa di Cristo.
Tale l’invocazione: e ancora una volta il grido diventa preghiera.
Chiediamo instanter al Signore a voler concedere che se non la nostra
età - sarebbe troppo bello e felice - almeno le età prossimamente
successive vedano ricomposta l’unità di quanti sono autenticamente
cristiani e soprattutto l’unità con queste venerabilissime Chiese
Orientali.
OVUNQUE LA VOCE DEL CRISTO
La prece è animata da accesa, incrollabile speranza. Sull’altare
di Dio è deposta la supplice richiesta di vedere al più presto
attuata questa fraternità benedetta, la completa unità cattolica,
sì che possa fiorire, sotto i nostri occhi, nel nostro
travagliatissimo panorama storico, l’evidenza del miracolo di essere
tutti, finalmente, un solo ovile con un solo Pastore.
Che cosa manca per il raggiungimento della splendente mèta? Forse
non esiste ovunque, tra i cattolici, una notizia sufficiente, una
conoscenza piena della grande tradizione e del patrimonio religioso
degli Orientali. E manca forse a questi la cognizione dei nostri
sentimenti e della legittimità, con cui si svolse la nostra
tradizione, e delle verità che devono essere professate da tutti
coloro che credono in Cristo. Comunque possiamo desumere risposta
all’interrogativo dal tratto del Vangelo che viene letto oggi,
undicesima domenica dopo la Pentecoste, nella liturgia latina e
romana. V’è riportata una parola singolare, una di quelle
pochissime che il sacro testo ci ha tramandate nel suono originario con
cui il Divino Maestro le pronunciò. La parola è questa:
Ephphetha, e cioè: apriti! Il Signore volle dare possibilità di
intendere e di parlare ad un infelice che era sordo e muto,
rappresentante - secondo alti interpreti delle sacre Scritture -
dell’intera umanità. Siamo tutti un po’ sordi e muti. Che il
Signore apra il nostro intendere e sciolga il nostro eloquio! Ci
renda capaci di ascoltare le voci della storia, degli spiriti eletti;
ci faccia sempre accogliere in pienezza la voce sua; l’echeggiante
Vangelo, che sempre deve essere la nostra legge, la nostra forza,
poiché è parola di Dio. E voglia Egli concederci la solida virtù
e l’insigne grazia di ben sentire questa parola per quindi poterla
ripetere e diffondere sì da acclamare «una voce dicentes»: Santo,
Santo, Santo! Onore e gloria all’Eterno Padre, al Divin
Figlio, allo Spirito Santo! Proprio questa grazia anticiperà in
terra il nostro Paradiso, segnando nella storia umana, soprattutto
nella storia della Chiesa, una sorprendente primavera di vita nuova,
e di speranza di salvezza e di pace nel mondo.
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