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I Domenica di Quaresima, 7 marzo 1965
Che cosa stiamo facendo? Questo è il momento delle riflessioni, e
si inserisce nel sacro Rito per suscitare i pensieri che lo devono
accompagnare. Noi stiamo attuando una realtà, la quale, già di per
sé, si presenta solenne ed ha due aspetti: l’uno straordinario;
l’altro consueto e ordinario.
Straordinaria è l’odierna nuova maniera di pregare, di celebrare la
Santa Messa. Si inaugura, oggi, la nuova forma della Liturgia in
tutte le parrocchie e chiese del mondo, per tutte le Messe seguite dal
popolo. È un grande avvenimento, che si dovrà ricordare come
principio di rigogliosa vita spirituale, come un impegno nuovo nel
corrispondere al grande dialogo tra Dio e l’uomo.
«IL SIGNORE SIA CON VOI!»
Norma fondamentale è, d’ora in avanti, quella di pregare
comprendendo le singole frasi e parole, di completarle con i nostri
sentimenti personali, e di uniformare questi all’anima della
comunità, che fa coro con noi.
V’è, poi, un’altra circostanza che rende singolare l’odierna
solennità: la presenza del Papa, che, di per sé, autorizza a
porre in risalto tutto quanto può divenire utile alla nostra vita
cristiana.
Del resto, anche a voler considerare il secondo aspetto, cioè quello
che è consueto in queste adunanze, tutto - lo sappiamo - presenta un
carattere prezioso e degno della nostra riflessione.
E dapprima: che cosa è il Rito che stiamo celebrando? È un
incontro di chi offre il Divin Sacrificio con il popolo che vi
assiste. Tale incontro deve essere, perciò, pieno e cordiale. Non
è pertanto fuori luogo che il celebrante - in questo caso il Papa -
rivolga .molte volte agli astanti il saluto caratteristico: Il
Signore sia con voi!
Ecco: il Papa ripete il grande augurio non solo rivolgendosi con
affettuoso gesto ai presenti, ma esprimendo il proposito di raggiungere
l’intera popolazione cristiana di questa Città, della santa Diocesi
di Pietro e Paolo, la Diocesi di Roma. Perciò, con tutto il
cuore, con tutta la forza che Iddio pone nella sua voce, nel suo
ministero, il Santo Padre esclama verso il popolo romano: Che Dio
sia con te!
Nel contempo Egli spera che ognuno risponda di buon grado: E con lo
spirito tuo! In tal modo si inizia questo stupendo e fervido dialogo
tra chi ha responsabilità di ufficio quale Ministro di Dio e il
popolo cristiano; tra il Sacerdote e il singolo fedele, che riceve
queste grazie; le commenta, se ne arricchisce e le porge, a sua
volta, a tutta la comunità.
TUTTI CHIAMATI ALLA REDENZIONE E ALLA
SALVEZZA
Come è ovvio, però, i diretti partecipanti all’Azione Liturgica
ricevono il saluto in maniera speciale. Sia dunque il Signore -
spiega il Santo Padre - con la diletta comunità di sacerdoti,
chierici, studenti, che abitano nell’attigua casa di Don Orione;
con il Parroco che ha la responsabilità pastorale di questa parte del
gregge diocesano; con tutti i fedeli affidati alle sue sollecitudini.
Sia il Signore con le comunità religiose poco prima salutate; con i
carissimi infermi i quali, per indovinato pensiero, sono al primo
posto nella adunanza e tanto impetrano mercé le loro preghiere e
sofferenze offerte a vantaggio di tutti gli altri; con i fanciulli del
piccolo clero, che adornano l’altare e rappresentano tutti i loro
coetanei, speranze della famiglia, della Chiesa e della società;
sia con le varie Associazioni, maschili e femminili di Azione
Cattolica e di carattere religioso; e giunga infine l’augurio
benedicente in ogni casa, apportandovi la grazia e la pace del
Signore!
Né l’auspicio si limita alle persone: esso si estende pure alle
attività temporali: allo studio, al lavoro, alla fatica, alle
professioni, affinché anche l’insieme della vita materiale, il
procurarsi il pane quotidiano, ricevano un saldo elemento di pace,
d’armonia, di prosperità.
E quelli lontani? C’è qualcuno - chiede con paterna preoccupazione
il Santo Padre - che manca qui all’appello? Ebbene - Egli
soggiunge - io avrei il diritto di chiamare uno ad uno i cristiani di
questa parrocchia, e di chiedere loro se sono fedeli. Dovrei
ricordare, a ciascuno di essi, il carattere che portano impresso nella
loro anima per conoscere, amare e servire Cristo. E se qualcuno
fosse o dimentico o inerte, accolga oggi da me l’invito più cordiale
e paterno: Tu che non comprendi le cose della Chiesa, tu che non sai
più pregare, che ti credi lontano, che ti consideri forse escluso
dalla grande Famiglia e guardato male, sappi invece che la Chiesa ti
cerca, ti chiama, ti sollecita, ti aspetta. Perché? Ma perché
anche in te splende il diritto dei figli di Dio; hai quindi il dovere
di rispondere al grande appello della tua salvezza, Tutti infatti
abbiamo per vocazione suprema la sorte di condividere la grande storia
della nostra Redenzione.
CRISTO PRESENTE NELLA PREGHIERA E CON
LA PAROLA
Secondo pensiero. Oltre che per l’incontro, pur così indicativo e
promettente, noi siamo qui per celebrare il grande Rito sacrificale,
eucaristico: la Santa Messa; il che vuol dire la presenza di Cristo
in mezzo a noi. Ora il Papa, prima ancora di accennare a questa
presenza sacramentale e reale, desidera riproporre ai diletti
ascoltatori un’altra grande verità. Per il semplice fatto che noi ci
troviamo insieme, congregati nel nome di Cristo, uniti per pensare a
Lui e pregarlo, noi già possediamo la sua presenza. Gesù medesimo
l’ha assicurato: tutte le volte che sia pure due o tre individui
converranno nel mio nome - ecco il mistero della presenza mistica di
Cristo - Io sarò in mezzo a loro. Noi quindi possiamo renderci
conto di questa aleggiante e misteriosa presenza di Gesù tra noi,
oggi, appunto concentrandoci su tale realtà, e proprio perché il suo
Nome ci raccoglie, a 1965 anni dalla sua nascita; perché in Lui
crediamo; e tra poco celebreremo i suoi Misteri sacramentali.
Cristo è qui: la parrocchia attua la sua presenza in mezzo ai
fedeli, e in tal modo lo stesso popolo cristiano diventa, si può
dire, sacramento, segno sacro, cioè, della presenza del Signore.
E non è tutto. Stiamo godendo di un’altra presenza del Signore:
la sua parola; il suo Vangelo. C’è una coincidenza tra la vita di
Gesù e la sua parola, poiché Egli è il Verbo, è la Parola.
Quando noi ripetiamo le sue parole, rendiamo, in certo qual modo,
Gesù presente con noi. Fra un maestro e ciò che insegna esiste una
certa distanza; tra Gesù e la sua parola v’è coincidenza. Mentre
noi vogliamo che il Signore sia con noi, la sua parola già ce lo
porta. In. tal modo - pur esso misterioso, ma quasi più vicino
alla nostra capacità di apprendere - questa sua presenza vive nelle
nostre anime, la sua voce echeggia nei nostri cuori, il suo pensiero
si fa nostro, il suo insegnamento circola nel nostro essere.
Riassumendo: noi entriamo in comunione con Cristo se ascoltiamo bene
la parola di Dio.
Ci troviamo, così, ben preparati al grande e misterioso Rito della
Cena sacrificale: la Santa Messa.
Si è soliti, a questo punto, commentare la parola del Signore. È
evidente che desideriamo acquisirla, introdurla dalle orecchie al
cuore, ascoltarla interiormente, fissarla in noi, farne come una
provvista di energie per l’intelletto e il cuore, osservarla sempre
nella pratica, viverla.
Se, in questo momento, il Papa chiedesse ai fanciulli del piccolo
clero che cosa hanno poco fa ascoltato nella lettura del Santo
Vangelo, essi subito risponderebbero: abbiamo udito il racconto della
tentazione di Gesù. La risposta è precisa.
IL DUELLO FRA IL BENE E IL MALE
Si tratta di una pagina grande, arcana, del Vangelo. Dopo
trent’anni di vita nascosta ed operosa in Nazaret, Gesù si accinge
ad iniziare la sua predicazione; ma prima si reca nel sud della
Giudea, al Giordano, ove vuol ricevere il Battesimo di penitenza
dal Precursore, Giovanni Battista. Poi sale sui monti circostanti
che costituiscono un paesaggio privo di vegetazione, orrido, senza
vita (il Santo Padre lo ha a lungo considerato durante il viaggio in
Palestina) e, in una solitudine non certo riposante, bensì di
pauroso silenzio, Gesù digiuna per quaranta giorni e quaranta notti.
Ed ecco apparire un personaggio spirituale, ma tremendo e cattivo: è
il demonio; ed osa tentare il Salvatore. Non staremo a soffermarci
sulle singole tre proposte fatte dal maligno; basterà por mente al
semplice quadro che ci raffigura l’urto tra lo spirito del male e il
Figlio di Dio fatto Uomo. Il Vangelo ci presenta appunto questo
dramma, questo duello tra Gesù e Satana. Gesù è tentato. Anche
Egli, cioè, vuoi conoscere il combattimento tra l’anima che intende
restare fedele a Dio e l’invasore che la raggira per distoglierla e
indurla al male. Qui va ricordato che quanto si riferisce a Gesù
tocca pure noi. La vita di Gesù si configura alla nostra: quello
che avviene a Lui si riflette in noi.
È stato tentato Gesù? Tanto più possiamo e dobbiamo esserlo noi.
Appare logica, anzi, la domanda, giacché noi viviamo in un mondo
tutto insidiato e turbato da questa inimicizia nascosta di coloro che
San Paolo chiama «rectores tenebrarum harum». Siamo come
circondati da qualche cosa di funesto, cattivo, perverso, che eccita
le nostre passioni, approfitta delle nostre debolezze, si insinua
nelle nostre abitudini, viene dietro ai nostri passi e ci suggerisce il
male. La tentazione è, dunque, l’incontro fra la buona coscienza e
l’attrattiva del male; e nella forma più insidiosa di tutte. Il
male infatti non ci si presenta col suo reale volto che è nemico,
orribile e spaventoso. Accade proprio il contrario. La tentazione è
la simulazione del bene; è l’inganno per cui il male assume la
maschera del bene; è la confusione tra il bene e il male. Questo
equivoco, che può essere continuamente davanti a noi, tende a farci
ritenere il bene là dove, al contrario, è il male.
MANCHEVOLEZZE RINUNCE EGOISMI
DELL'UOMO MODERNO
E qui entriamo non più nella scena evangelica, ma nella nostra vita
ed esperienza, nel mondo in cui ci troviamo. È di tutti i momenti ed
ore; è di ogni specie questa confusione. È propria, si direbbe,
dell’uomo moderno, il quale ha perduto il giusto criterio del bene e
del male. Ha perduto il senso del peccato, come spiegano i maestri di
vita spirituale.
L’uomo moderno si adatta ad ogni cosa; è capace di farsi l’avvocato
delle cose cattive pur di sostenere la libertà del proprio piacimento,
e che tutto può e deve manifestarsi, senza alcuna preclusione nei
confronti del male; una libertà indiscriminata per ciò che è
illecito. Si finisce così per autorizzare tutte le espressioni della
vita inferiore; l’istinto prende il sopravvento sulla ragione,
l’interesse sul dovere, il vantaggio personale sul benessere comune.
L’egoismo diviene perciò sovrano nella vita dell’individuo e di
quella sociale. Perché? Perché si è dimenticato, e non si ha
più il senso di distinguere: questo è bene, questo è male. Non si
conosce più la norma assoluta per tale distinzione, vale a dire la
legge di Dio. Chi non tiene più conto della legge del Signore, dei
suoi Comandamenti e Precetti e non li sente più riflessi nella
propria coscienza, vive in una grande confusione e diventa nemico di se
stesso. È innegabile, infatti, che tanti e tanti malanni nostri sono
procurati dalle nostre stesse mani, dalla sciocca cattiveria, ostinata
nel ricercare non ciò che giova, ma quel ch’è nocivo alla
esistenza.
Bisogna dunque rinnovare, rinvigorire la nostra capacità di
giudicare, di discernere il bene dal male. In conseguenza, allorché
il male - tutto quanto, cioè, è proibito, è contrario alla legge
di Dio, al buon costume e al giudizio sano della ragione - si
presenta attraente, lusinghiero, seducente, utile, facile,
piacevole, noi dobbiamo dimostrare energia e sapienza, sì da dire
recisamente e con risolutezza: no. Questo il modo per respingere e
superare la tentazione. Del resto, il finale del tratto di Vangelo
di questa prima Domenica di Quaresima dà alla vita cristiana proprio
un concetto militante. Può un cristiano vero essere debole,
pauroso, vile, traditore del proprio nome, della propria coscienza,
del proprio dovere? No, affatto. L’autentico cristiano è forte,
coraggioso, leale, coerente, eroico, se occorre: il cristiano - lo
sappiamo dalla nostra Cresima - è militante, miles Christi:
soldato di Cristo.
La vita cristiana è combattimento: noi dobbiamo stare all’erta di
continuo; dobbiamo essere sempre in grado di sceverare, distinguere il
bene dal male, e decidere: io sto per il bene; per la virtù; per il
mio dovere; per le promesse fatte. Cercherò, pertanto, di essere
veramente pronto a superare ogni attrattiva che potrebbe ridurmi debole
e vile davanti alla presentazione del male camuffato da bene.
È chiaro, allora, che la grande lezione di vita cristiana con cui si
inizia la Quaresima esige da noi due espliciti e grandi ricordi.
Dobbiamo essere anzitutto saggi, disposti al buon giudizio, alacri,
cioè, nel riflettere e nel tenere la lampada della nostra coscienza e
del nostro pensiero sempre accesa dinanzi a noi. Non dobbiamo
camminare all’oscuro, bensì portando alto questo splendore che Iddio
ha deposto nelle nostre anime e che si chiama la nostra coscienza. Non
inganniamo noi stessi, non spegniamo la voce della coscienza, non
cerchiamo mai di deformare la sua rettitudine di giudizio. Siamo
semplici e lineari: « Est, est; non, non». Sì, sì; no,
no. Bisogna essere davvero consapevoli di questa necessaria limpidezza
di giudizio e di condotta.
SEMPRE NELLA LUCE E SULLA DIFESA IL
«MILES CHRISTI»
Il secondo insegnamento è quello di essere forti. E come piace -
spiega il Santo Padre -, e quanto è consolante, figliuoli miei,
che il santo ministero mi autorizzi, anzi mi comandi di dire a quelli
che considero figli e fratelli: dobbiamo essere forti! Se la mia
predicazione dovesse dire: è preferibile essere furbi, deboli,
possibilisti, accomodanti, inclini al compromesso; e mascherare la
nostra viltà con dei complimenti, con delle ipocrisie, come sarebbe
brutta la mia parola rivolta a voi, come tradirebbe la vostra dignità
umana, cercando di sminuire la bellezza della vostra statura
cristiana! Ma, al contrario, la mia voce - anche se la debolezza
non conforta, quanto dovrebbe, questa testimonianza al Vangelo del
Signore - vi dice: figli miei, se vogliamo essere cristiani, oggi
specialmente, dobbiamo essere forti. Giovani che mi ascoltate, voi
in modo particolare dovete raccogliere questa chiara voce, questo
messaggio del Vangelo: bisogna vivere il Cristianesimo con fortezza,
con coscienza militante; è necessario sostenere anche qualche
sacrificio, per custodire intatta la propria fede e per mantenere
l’impegno assunto con Cristo, con la comunità cristiana, con la
Chiesa.
E il Signore, mercé l’insegnamento di questo dramma delle sue
tentazioni, indica un luminoso epilogo: la tentazione, la malvagità
permanente che insidia i nostri passi e la nostra incolumità, si può
si può vincere. Con che cosa? Sempre con la parola di Dio, con la
sua grazia, la quale non manca mai a chi la desidera e la cerca.
Figliuoli, non abbiate timore ad essere forti. Avrete Cristo con
voi; e avrete il senso della dignità della vita cristiana; avrete
esatta la percezione dei suoi destini, che sono ottimi in questo
mondo; felici ed eterni nella vita del Cielo.
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