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Domenica di Pasqua, 11 aprile 1971
All'omelia il Santo Padre illustra e commenta il Vangelo,
soffermandosi sul significato della Risurrezione di Cristo per l’uomo
d’oggi, sul senso del «nuovo» che pervade le celebrazioni pasquali.
Dopo aver salutato il Cardinale Vicario, il parroco della chiesa dei
Santi Urbano e Lorenzo, i sacerdoti, i religiosi, le religiose,
il Sindaco di Roma e tutti i presenti, il Papa si chiede quale sia
per i fedeli l’impressione saliente di quel momento, di quell’ora
pasquale. È impressione di novità, di qualche cosa di singolare, di
nuovo. Le due letture della Messa e il brano evangelico inducono a
ricordare e celebrare tali novità. La prima riguarda Gesù. Egli
è risorto. La sua vita terrena non ha avuto l’epilogo comune a noi
mortali. Sì, anch’Egli in modo più doloroso, più evidente, è
morto, come tutti. Ma poi, il terzo giorno, ha ripreso la vita.
Sua Santità osserva come si tratti di una novità grande,
sfolgorante, per noi impegnativa, ed invita i presenti a pensare allo
stato nuovo che Gesù ha assunto con la sua Risurrezione. Essa non
è stata come quella di Lazzaro - un cadavere che ritorna ciò che era
prima - né come quella del figlio della vedova di Naim, che
risuscitò ed era quello di prima. Gesù risuscitato, invece, è
quello di prima nella sua umanità, ma la sua forma di vita è
superiore e diversa dalla nostra attuale. Risorgeremo, dice San
Paolo, con un corpo spirituale. Il nostro essere, composito di
anima e di corpo, subisce adesso le leggi della materia, della nostra
ader’enza alla terra; il nostro corpo condiziona, domina l’anima la
quale a sua volta domina il corpo, lo muove, lo vivifica, lo fa
esistere. Gesù, nel suo nuovo stato, invece, con l’anima e con la
sua divinità prevale sul suo corpo e impone al corpo le leggi dello
spirito.
IL FULGORE DEL RISORTO
A questo proposito il Santo Padre ricorda l’apparizione di Gesù
agli Apostoli la sera stessa del primo giorno della settimana. Gli
Apostoli rimasero sbalorditi, esterrefatti; non sapevano più che
pensare. Le donne li avevano messi in subbuglio gridando che Gesù
era risorto. Essi, presi da paura e da sgomento, quasi dal desiderio
di far tacere quelle voci, così insolite e così sconcertanti, se ne
stavano rinchiusi nel Cenacolo. Gesù apparve, come se fosse uno
spirito. Ma venne col suo corpo, tanto che chiese qualche cosa da
mangiare per far vedere che sussistevano tuttora le leggi del corpo,
anche se le aveva sublimate con quelle dell’anima; e per mostrare che
la sua vita, anche corporea, era reale. Ma questa vita era nuova,
era governata, influenzata, pervasa dalle leggi dello spirito, per
cui egli entrò senza abbattere l’ostacolo delle porte chiuse e delle
mura impenetrabili. Passava come se fosse uno spirito, e come spirito
scomparve.
Dobbiamo abituarci a pensare a Gesù risorto. Qual è la realtà di
Gesù, adesso che sta in Paradiso? Noi lo adoriamo, lo veneriamo e
lo ricordiamo bambino, tanto caro, tanto commovente, tanto
simpatico; giovinetto, che abbiamo visto nel racconto evangelico
smarrito nel Tempio e poi ritrovato; maestro, il quale amava parlare
con le moltitudini e polemizzava con coloro che non lo volevano
accettare; sofferente: preso, catturato, insultato, offeso,
flagellato, sottoposto ad ogni tribolazione, inchiodato sulla Croce,
dove, dopo tre ore, chinò il capo, ed era morto. Ora è uomo, ma
non è più così. Gesù oggi, come è detto nel Credo, siede alla
destra del Padre, cioè il suo corpo glorioso è associato alla gloria
e alla potenza di Dio. In cielo, e proprio per questo nuovo stato
gli è possibile di comunicare con noi in una maniera miracolosa, che
sperimentiamo con l’Eucaristia. Come una parola può ripetersi ed
essere udita da mille orecchi ed essere sempre quella, come
un’immagine può essere riprodotta da cento specchi e rimanere sempre
la medesima, così Gesù può essere presente in una sola realtà di
uomo e di Dio in ogni Ostia consacrata perché si trova in questo
stato divinizzato. È assunto in cielo e di là governa e domina.
RAPPORTO ESSENZIALE DELLA NOSTRA VITA
CON CRISTO
Paolo VI richiama, poi, le pagine dell’Apocalisse nelle quali
Gesù viene definito alfa e omega, vale a dire il principio e la
fine. Gesù è la sintesi: tutto comincia da lui e tutto finisce in
lui. Come noi siamo illuminati dallo stesso sole e la nostra persona
ha col sole un rapporto di luce, così la nostra vita è in un rapporto
essenziale con Cristo in cielo: un rapporto che può essere accettato
e riconosciuto, ed eccoci cristiani; oppure può essere rifiutato e
dimenticato, di conseguenza estranei alla sua salvezza.
Imparando a onorare Gesù celeste, non perderemo nulla dell’amore,
della simpatia, della familiarità che noi abbiamo per Gesù
terrestre, nostro collega, nostro compagno, che ha sofferto la fame,
il freddo e le fatiche come noi. Ma dovremo riconoscere che in lui la
divinità ha preso il sopravvento, lo penetra tanto da potersi
effondere come sole sopra di noi. È la novità pasquale di Cristo.
Inoltre, per noi la Pasqua comporta tante altre novità. Noi
moderni, gente del nostro tempo, abbiamo una passione spiccatissima
per la novità. Tutto deve essere rinnovato. I nostri vecchi erano
«conservatori» e «tradizionalisti», e misuravano la bontà delle
cose secondo il tempo che esse duravano. Noi invece ci diciamo
attualisti, cioè vogliamo che tutte le cose siano continuamente
nuove, con un dinamismo che le esprime in maniera sempre improvvisa e
sempre insolita. Questo tempio, che non segue certo gli schemi
convenzionali delle altre chiese (si tratta infatti di una chiesa
costruita in stile modernissimo) dimostra che la vita cristiana non
soltanto tollera, ma esprime questo bisogno dell’uomo di rinnovarsi.
Voi siete già nuovi - aggiunge il Papa - perché siete cristiani,
perché già vivete la novità che Cristo ha instaurato nel mondo.
Egli ci ha infuso un principio, una energia di grazia che appartiene
al regno divino, superiore, ed è principio di vita eterna. La nuova
chiesa parrocchiale invita a vivere la novità cristiana. In essa la
vita religiosa della comunità si consolida, si istituzionalizza,
prende le sue forme, diventa concreta.
In che modo? Il Santo Padre esorta innanzitutto i presenti ad
essere fedeli alla novità settimanale che la Chiesa celebra, cioè la
Messa. Come la nostra vita corporale, anche quella spirituale ha
bisogno di un alimento continuo per mantenersi nelle sue leggi e nella
sua coscienza, nei suoi doveri, nelle sue capacità di colloquio e di
comunicazione con la vita divina. La Messa festiva è questo
alimento; è il culto religioso normale, che la Chiesa rende
obbligatorio, tanto è importante.
Paolo VI invita a questo punto i fedeli a far sì che la presenza
alla Messa li ponga effettivamente in comunicazione col Signore. Qui
- esclama - le coscienze si devono aprire come i fiori al sole. La
preghiera della Messa festiva deve essere davvero il nutrimento, il
segno della capacità vivente della fede a mantenersi ed esprimersi
nell’esperienza della vita umana. Ascoltando bene la Messa festiva
si è cristiani, si ha la dose di preghiera e di grazia necessarie per
vivere. Portando poi con sé un po’ di amore di Dio, dopo aver
espresso la fede come un atto pieno della coscienza, si torna a casa,
al lavoro; e si sente il desiderio di una preghiera, sino al punto di
trasformare le case, in dati momenti, come se fossero chiese.
DALLA COMUNIONE COL SIGNORE
LA FRATELLANZA DEGLI UOMINI
Dobbiamo avere comunione con il Signore: lo dobbiamo amare, dobbiamo
essere felici di essere cristiani; abbiamo tanti bisogni, tanti
dolori, tanti peccati; abbiamo tanta necessità che il Signore ci
assista. Ed ecco, accanto a quella parrocchiale, la preghiera
familiare. E un’altra preghiera ancora: quella che non si esprime,
ma si vive con la coscienza, cioè il senso religioso della vita.
Troppo spesso oggi prevale il senso profano della vita, e non si vuole
più sentire la nozione del sacro. Ma se siamo cristiani dobbiamo
essere persuasi che tutta la nostra vita è pervasa da questa
atmosfera. La presenza di Dio è ovunque; il nostro dovere di essere
buoni ci segue sempre.
E ancora. La novità della nostra comunicazione con Dio non si
esprime soltanto in senso verticale, ma anche in senso orizzontale,
comunitario. Vi conoscete fra di voi? Può darsi - chiede il Papa
-. Ma qui diventate fratelli. Qui siete tutti una cosa sola, qui
siete tutti una famiglia, qui siete una vera comunità. Qui c’è
qualche cosa che corre dalla mia anima alla vostra. C’è una corrente
che ci prende tutti e ci fa una cosa sola. Così la prima comunità di
Gerusalemme, come si legge negli Atti degli Apostoli, era un cuore
solo e un’anima sola. Il Papa invita, perciò, i fedeli a
celebrare nella nuova chiesa non solo la comune figliolanza con Dio,
ma anche la fratellanza tra gli uomini. È la carità, il volersi
bene, l’amarsi, il sentirsi solidali. Non offendersi, non
combattersi, non ingiuriarsi, non disprezzarsi, non dire «ciascuno
pensi a sé». Dobbiamo pensare tutti a tutti, dobbiamo sentire
questa comunione che si chiama Chiesa. Chiesa non è soltanto il
tempio. non sono soltanto le mura che ci accolgono. Chiesa è la
folla che si sente Assemblea, si sente famiglia di Dio, si sente
popolo di Dio.
Questa dovete considerare - conclude il Santo Padre - come la
novità continuamente rivissuta e reviviscente nella vostra vita se
volete che la Pasqua che abbiamo celebrato insieme resti feconda di
buoni risultati. Figliuoli miei, è l’augurio che vi faccio dando a
ciascuno di voi, con la benedizione, il saluto di Cristo e la buona
Pasqua.
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