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Santo Natale, 25 dicembre 1971
«Celebrate il Natale. Avete fatto qualche opera buona? Avete
perdonato a qualcuno? Avete pregato per qualcuno che ne ha bisogno?
Avete detto una buona parola per consolare qualcuno? Avete dato un
po’ di gioia a qualche bambino? Avete fatto un atto d’amore per
questa vostra comunità spirituale, per la vostra parrocchia?».
Così Paolo VI la mattina di Natale ai parrocchiani di Torre
Spaccata, nell’omelia pronunciata durante la Santa Messa
dell’Aurora. Il Papa, illustrando il Vangelo, richiama infatti
l’attenzione dei fedeli sul comandamento dell’amore. «Amare Dio e
il prossimo», dice. Se abbiamo capito questa chiave, questa sintesi
del cristianesimo, possiamo andare vicino al presepio, chiudere gli
occhi e pensare a questo bambino che è venuto per essere il nostro
Salvatore.
All’inizio un saluto augurale ai presenti, co8minciando dal
Cardinale Vicario, dai vicegerenti e vescovi ausiliari, dal
parroco, dalle autorità cittadine. Paolo VI elogia i parrocchiani
di Santa Maria «Regina Mundi», per la vitalità della loro
comunità ed esprime la sua gioia per il consolante incontro natalizio.
Toccano profondamente il cuore del Papa i dolori del mondo, le
necessità, le guerre, le controversie tra gli uomini, e soprattutto
il vedere che tanti sono lontani dal Signore, che tanti lo
combattono, lo negano, lo offendono. Ebbene, trovare una comunità
familiare come la vostra, Egli osserva, di gente fedele, di gente
buona, di gente che spera e prega il Signore, è per Noi di
grandissima gioia e consolazione.
Sono venuto tra voi per celebrare il Natale - aggiunge il Santo
Padre - e ha invitato i fedeli ad approfondire il significato di
questa festa cristiana. Il Natale è la commemorazione della nascita
di Gesù, e ciascuno deve compiere uno sforzo per capire quel Gesù
che vediamo nel presepio, quel bambino che vagisce nella culla e che è
il figlio di Dio. Da dove viene? Viene dal cielo, è disceso dal
cielo. Ha la prerogativa unica, misteriosa, immensa di racchiudere
in sé due figliolanze: è figlio di Maria, e quindi è uomo, è
nostro fratello; ed è figlio di Dio, viene dal cielo. In lui vive
la divinità. Colui che ha creato il cielo e la terra, Colui che è
sempre stato e sempre sarà, Colui che è la ragione, il principio
dell’essere di tutte le cose, della nostra vita e della nostra
esistenza, Colui che conosce tutto e che vede nei nostri pensieri.
La meraviglia è una caratteristica della festa del Natale. Siamo
sorpresi, siamo incantati. Dio si è fatto uomo ed è in mezzo a
noi. Il Natale è la visita, la venuta di Cristo fra noi, e
Cristo è il figlio di Dio fatto uomo. È la discesa di Dio in mezzo
a noi. Come è lontano Dio! come è misterioso, inaccessibile,
incomprensibile! Tanti non credono in Lui, perché non lo vedono con
gli occhi, non lo sentono, non lo comprendono. Dio è un mistero
senza confini.
Avete mai guardato il cielo? Avete mai pensato ai secoli che sono
passati? Tutti gli esperimenti recenti degli astronauti ci hanno
almeno abituati a guardare un po’ di più la volta stellata che sta
sopra di noi, a pensare a queste distanze immense, a questi secoli
senza numero che segnano l’età dell’universo. Ebbene, il Dio di
questo universo, il Dio di queste immense profondità del tempo e
dello spazio, il Dio infinito, il .Dio che sta nei cieli, questo
Dio che è inafferrabile ai nostri occhi e così poco pensabile anche
per le nostre menti, questo Dio vivo, vero, proprio Lui è venuto
in mezzo a noi.
È venuto per farsi conoscere, si è fatto nostro fratello, si è
fatto uno di noi. Si è rivestito di carne umana, si è fatto uomo
per essere nostro amico, per darci confidenza. Avrebbe potuto venire
come Dio vestito di gloria, di splendore, di luce, di potenza e
farci sbarrare gli occhi dalla meraviglia. Invece è venuto come il
più piccolo, il più fragile, il più debole degli esseri, perché
nessuno avesse vergogna nell’avvicinarlo, perché nessuno avesse
timore, perché tutti potessero averlo vicino e annullare tutte le
distanze. C’è stato in Lui uno sforzo di inabissarsi, di
sprofondarsi dentro di noi, affinché ciascuno di noi potesse sentirsi
da Dio pensato, da Dio amato.
È la grande parola nella quale si racchiude tutto il cristianesimo.
Questa nostra religione è l’amore di Dio per noi. Chi può dire di
non essere amato da Dio? Non certo gli ammalati, se è venuto per
quelli che soffrono; non i bambini, se si è fatto Egli stesso
bambino; non la madre di famiglia, se Egli è voluto venire a far
parte della famiglia umana; non l’operaio, se Egli ha voluto essere
un povero falegname. Dio si è fatto uomo affinché l’uomo
comprendesse il suo linguaggio, ha voluto assumere le nostre labbra per
farsi capire. Le sue parole sono state semplici, adatte alla nostra
povera intelligenza, ma sono pur sempre parole divine, immense. Ha
recato il messaggio che è come un programma: Beati voi poveri,
perché vostro è il mio Regno; beati voi che piangete perché sono
venuto a consolarvi; beati voi che amate e soffrite per la giustizia
perché Io vi sfamerò, vi darò questa giustizia; e beati voi, puri
di cuore, perché voi vedrete Dio, avrete l’intuizione delle cose
divine.
Ma Cristo è venuto anche per dare la sua vita per noi. Non capiremo
mai abbastanza Nostro Signor Gesù Cristo, ha detto il Papa, se
non comprenderemo questa sua intenzione, questo destino che segna
davvero il perimetro della sua vita. Gesù è venuto a morire per
noi, è venuto per salvarci.
A questo proposito, Paolo VI richiama l’attenzione dei presenti
sull’esempio dato da Massimiliano Kolbe, il francescano polacco che
morì ad Auschwitz per salvare un padre di famiglia, e che
recentemente è stato beatificato. Fu un gesto eroico, gratuito,
spontaneo, senza gloria e senza alcuna ricompensa.
Gesù è morto per salvare ciascuno di noi, ha dato se stesso per
noi. Il Signore ci ama, ci ha amato mediante il sacrificio di
Cristo. Gesù ha dato il suo sangue, è la vittima che ha pagato con
la sua vita. Non ci saremmo salvati se non ci fosse stato Gesù.
Dopo il peccato di Adamo, eravamo tutti perduti; Dio aveva
interrotto le comunicazioni con noi. Chi le ha ristabilite, con il
sacrificio di sé, con amore per ciascuno di noi, è stato Gesù. E
se siamo stati amati da Cristo, da Dio in Cristo che ci ha salvati,
cosa dobbiamo fare? Dobbiamo amarlo anche noi. Se davvero siamo
stati tutti amati da Dio in Cristo, ecco che ci troviamo insieme,
ecco che si produce una unità, una comunità, una società che si
chiama la Chiesa. Il peccato più grave della nostra povera umanità
è quello dell’ingratitudine nei confronti di Dio che ci ha amato.
E se si ama Dio, bisogna amare anche il prossimo, come Lui ha
amato. Sapete - conclude il Papa - che cos’è l’amore? Ebbene,
riversate un po’ di questo sentimento nella vita della vostra
comunità, a imitazione del Signore. La religione cristiana è una
grande fonte di gioia, perché è essenzialmente amore.
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