|
Domenica, 28 settembre 1969
Signor Cardinale Giuseppe Slipyj,
Arcivescovo Maggiore,
Metropolita di Lviv degli Ucraini!
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
nel Sacerdozio, nella Fede cattolica!
Voi specialmente Ucraini dimoranti fuori del territorio della vostra
Nazione, e qua convenuti da varie parti dell’Europa, dell’America
e del mondo.
Signori tutti che onorate con la vostra presenza questa solenne
cerimonia.
E voi, Romani, che una volta ancora, com’è vostro tradizionale
costume, accogliete questi Figli della Nazione Ucraina non già come
stranieri, ma come esuli dalla loro patria e concittadini della comune
patria romana, tutti lodate, con noi il Signore, che ci fa godere di
questa giornata, nella quale si riflettono grandi disegni divini e
storici, come le parole, testé pronunciate dal Card. Slipyj, ci
lasciano intendere.
Ecco davanti a noi, rievocata da queste reliquie, la figura di un
Santo Pontefice, per quanto ci è dato conoscere (cfr. S.
IRENEO, Adv. haer. III, 3, 3; P.G. 7, 849),
terzo successore di San Pietro, il martire Clemente, Papa
nell’ultimo decennio del secolo primo (negli anni dal 92 al
100), molto probabilmente il discepolo di S. Paolo, che
l’Apostolo ricorda nella lettera ai Filippesi (4, 3), autore
lui stesso d’una celebre lettera ai Corinti, nella quale è
sviluppata quell’ecclesiologia, che già S. Paolo aveva delineato,
con la dottrina sul corpo mistico di Cristo, e che dimostra come «il
diritto divino della gerarchia è costitutivo del cattolicesimo»
(BATIFFOL, L’Eglise naissante et le cath., p. 156);
San Clemente, diciamo, Papa e Martire, il quale, secondo una
tradizione piuttosto tardiva, sarebbe stato relegato al tempo di
Traiano nel Chersoneso, e là gettato in mare e morto per la fede.
Secondo una successiva tradizione, «S. Cirillo, l’apostolo degli
Slavi, nel secolo IX, portò a Roma le reliquie di San Clemente
e le depose nella basilica, costruita sul Celio in onore del Santo
Pontefice all’epoca di Costantino, quella ricordata da S.
Gerolamo» (BOSIO, I Padri Apostolici, 1, 72), quella
stessa che raccolse la salma di S. Cirillo nell’869, di cui
quest’anno abbiamo celebrato l’undecimo centenario.
Tanto a noi basta per ravvisare nella memoria, oggi qui offerta al
nostro culto, di questi due Santi, Clemente e Cirillo, quali
vincoli tradizionali e spirituali intercedano fra la Chiesa romana e le
Chiese Orientali, e quale significato ecumenico assuma questo sacro
edificio, dedicato alla divina Sapienza, a Santa Sofia, a
quell’ineffabile titolo, a cui rende nella storia, nell’arte, nel
culto incomparabile onore la celeberrima chiesa di Santa Sofia della
«nuova Roma», l’antica Bisanzio, la Costantinopoli dei secoli
scorsi, la Istanbul della storia contemporanea; il medesimo titolo,
come è stato testé ricordato, della cattedrale di Santa Sofia a
Kiev, costruita dal principe S. Vladimiro, considerato fondatore
del cristianesimo in quelle immense regioni orientali (cfr.
AMMANN, Storia della Chiesa Russa, 12).
Questi orizzonti storici, aperti davanti al nostro sguardo e alla
nostra venerazione, proiettano la loro luce sopra questa nuova chiesa
romana, dedicata a S. Sofia, e ci fanno ammirare un fatto, che
pare semplicissimo ed è straordinario, la perenne vitalità,
pacifica, ma invitta, della Chiesa cattolica ucraina. Come già in
tante Nazioni del mondo, dove i suoi figli fedeli ed operosi attestano
questo continuo vigore, espresso in belle, numerose, ordinate
comunità e in monumenti sacri e in pie e provvide istituzioni, così
oggi a Roma la Chiesa cattolica ucraina innalza i suoi padiglioni, ai
quali sembra affidata l’eredità dei secoli passati e promessa quella
dei secoli futuri.
Noi siamo lieti di questo avvenimento. Vediamo in esso un favore
della divina Provvidenza. Vediamo un segno della comunione
ecclesiale. Vediamo un pegno del costante programma di questa
Apostolica Sede, tante volte affermato dai nostri Predecessori
Leone XIII, Pio XI e Pio XII (cfr. Encl. Orientales,
A.A.S., 1946, p. 34), quello cioè di rispettare, anzi
di promuovere nella loro genuina integrità quelle Chiese Orientali,
che vogliono con questa Chiesa Romana costituire l’unico ovile di
Cristo, e che, come la Chiesa Ucraina, le dimostrano fraterna
solidarietà, filiale fiducia, amorosa collaborazione per
l’affermazione e per la diffusione del nome cristiano nel mondo.
Noi vogliamo esprimere la nostra riconoscenza al Signore nostro Gesù
Cristo, Capo sommo e Pastore sovrano della sua Chiesa. E non
possiamo tacere, insieme con la nostra Sacra Congregazione per le
Chiese Orientali, la nostra compiacenza alla venerata persona del
Cardinale Slipyj, che siamo lieti di riconoscere protagonista di
questa impresa, la quale attesta su questo suolo romano la duplice
tradizione della Chiesa ucraina cattolica, quella religiosa, con
l’erezione di questo nuovo tempio, e quella culturale, con la
fondazione, incipiente, ma promettente e fin d’ora significativa,
d’una nuova Università cattolica, caratterizzata special mente dagli
studi della storia e del pensiero dell’Ucraina. Noi abbiamo più
d’una volta testimoniato la nostra stima e la nostra devozione a questo
illustre rappresentante della Chiesa Ucraina, vedendo in lui un degno
successore di quell’insigne Pastore della Chiesa metropolitana d i
Leopoli, che fu l’Arcivescovo Andrea Szeptyckyj
(1900-1944), e che noi avemmo la fortuna, nel lontano
1923, in circostanze quanto mai singolari, di avvicinare. E
siamo stati anche noi rallegrati quando la intercessione del nostro
venerato Predecessore Papa Giovanni XXIII valse ad ottenere la
sua liberazione dopo molti anni di deportazione, e abbiamo sempre
auspicato che la sua dimora vaticana sia per lui serena e feconda di
buona operosità, e sia per Roma esempio di intrepida e pastorale
fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa.
A lui, a quanti lo hanno aiutato nella difficile impresa che oggi noi
abbiamo la fortuna di inaugurare, la nostra riconoscenza e la nostra
Benedizione.
|
|