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Solennità di Tutti i Santi
Domenica, 1° novembre 1964
Dopo aver salutato il Signor Cardinale Pro Vicario, l’on.
Sindaco di Roma, i Prelati e i Sacerdoti e quanti altri Lo
ascoltano, l’Augusto Pontefice dichiara che, dato un cordiale
pensiero ai vivi, la mente ed il cuore si dirigono ai cari defunti. E
subito un moto di riconoscenza va a tutti coloro che hanno cura della
nuova necropoli di Prima Porta, a cominciare dal Parroco della
Borgata, Mons. Massi, e, con lui, ai sacerdoti che lo coadiuvano
e a quanti fanno parte della sua famiglia spirituale, con il voto che
la fisionomia di questa parte dell’Urbe si conservi sempre più
cristiana e civile.
FIDUCIA PER UNA OPEROSA VITA CRISTIANA
Sempre a proposito della Borgata, il Sommo Pontefice accenna alle
necessità più urgenti, a cominciare dalla chiesa parrocchiale. Ecco
che Ci viene posta davanti - così il Santo Padre - una grande
scritta che invoca il nuovo tempio. Voi sapete quante siano le
difficoltà e come sia arduo costruire oggi una Parrocchia moderna; ma
siamo consapevoli dei vostri bisogni, del vostro diritto, e sappiamo
che convergono verso questo desiderio anche gli intenti delle autorità
che speriamo vorranno renderci facile il compito di questa grande
impresa. Dio voglia, figli carissimi, che non abbia a tardare molto
l’esaudimento di questo vostro voto. Del resto, già nella stessa
accoglienza alle nostre parole si rivela il vostro sentito impegno di
aiutare voi stessi l’iniziativa, non fosse altro che con le vostre
preghiere, con la vostra adesione, con la vostra pazienza; e,
inoltre, dal giorno medesimo in cui la nuova chiesa sorgerà, che essa
serva a raccogliere le anime buone di cristiani, e sempre fedeli
sostenitori, frequentatori della Casa del Signore. Se al Pastore
toccherà costruire la chiesa nel suo edificio materiale, ai
parrocchiani incombe l’obbligo, con lui, di costruire la chiesa nel
suo edificio spirituale: di essere, cioè, pietre vive di questa
nuova comunità cristiana, alla quale sin da ora auguriamo ogni bene
dal Cielo e diamo la nostra più ampia e cordiale benedizione.
Salutiamo, ora, i defunti di questo cimitero, nuovo per Roma, ma
non nuovo per la vicenda che è chiamato a registrare: la storia caduca
della umanità, e quindi di tutti gli agglomerati di popolazione,
urbani o rurali che siano.
Oggi noi pensiamo a tutti i nostri cari che ci attendono presso il
Signore. Chi è che non ha qualche defunto amato a cui rivolgere
piamente il ricordo? Chi non deve essere riconoscente a quelli che lo
hanno preceduto «cum signo fidei»? Tutti noi abbiamo ricevuto la
vita: abbiamo degli antenati, dei nonni, dei genitori, abbiamo le
generazioni che hanno percorso e ci hanno additato le vie della fede e
della pace. Dobbiamo il dono preziosissimo della vita a questi nostri
predecessori; e siamo perciò debitori a loro di grande, speciale
riconoscenza e di fedele pietà, convinti, come del resto siamo, di
non dimenticare mai quelli che hanno per noi lavorato, hanno sofferto e
ci hanno consegnato il tesoro sacro e divino dell’esistenza. Questo
dovere è altissimo e benché, secondo i dettami del nostro tempo, non
siamo abituati a volgere gli occhi indietro, preferendo dirigere lo
sguardo alle aspirazioni e agli interessi del presente e
dell’avvenire, tuttavia, appunto come uomini e come cristiani,
dobbiamo a coloro, che hanno vissuto prima di noi e che per noi hanno
costruito tutto ciò che abbiamo, questo tributo di gratitudine, di
preghiera, di onore.
TRIBUTO DI PERENNE RICONOSCENZA ED
AMORE
Al beneficio della vita individuale si aggiunge anche quello della vita
sociale e civile: non pochi sono morti per la difesa di questi tesori:
un perenne richiamo ci viene da quanti si sono offerti per la pace e la
libertà di tutti noi, per il bene comune, per la nostra Patria, per
il nostro Paese. Perciò, non solo a questo cimitero diamo suffragio
di preghiera, ma estendiamo il nostro pensiero e la nostra pietà a
tutti i cimiteri che raccolgono le ossa silenziose e disfatte di coloro
che hanno dato per noi la vita, ed invochiamo per tutte le care anime
la pace eterna.
Pace, dunque, a questi morti, onore a questi defunti, fiori a
queste tombe, fedeltà agli ideali per cui i nostri morti hanno dato la
loro vita! Naturalmente l’omaggio riverente si indirizza ai defunti
di ciascuna famiglia. Pregheremo - dice Sua Santità - per quelli
che vi sono cari, per coloro di cui ancora piangete la perdita, ed
insieme li penseremo, così come sentiamo un moto di speciale pietà
per i defunti che non hanno lasciato chi li ricordi; e per le vittime
ignote, travolte nelle disgrazie sul lavoro, sulle strade,
nell’esercizio della loro professione o della loro opera per il bene
comune. Spesso restano anonimi. Ebbene, noi oggi li ricordiamo, e
proprio in virtù del vincolo di solidarietà e riconoscenza verso
quanti sono legati a noi nella società civile vivente e che ci
ricordano la società defunta, dalla quale riceviamo un dono di
preziosa eredità.
IL RICHIAMO FRATERNO DEI CARI DEFUNTI
Né devesi dimenticare, oltreché le persone, l’insegnamento da esse
datoci. Parlano queste tombe; a ben riflettere, esse sono
altrettante cattedre di vita. Ci dicono veramente cos’è la nostra
esistenza, ci fanno meditare. È vero che, talvolta, dinanzi al
mistero della morte e della separazione, possono insorgere sentimenti
non tutti buoni e salutari. Possono affacciarsi idee di scoraggiamento
se non addirittura di disperazione, mentre, d’altra parte, può
insinuarsi il poco nobile e anticristiano proposito di godere l’attimo
fuggente della vita, di voler cogliere i frutti del benessere,
giacché poi arriva la morte. Ma non è questa la lezione vera che
viene dalle tombe sulle quali è il segno della Redenzione. Noi
sappiamo che questi morti sono spenti nel corpo: sciolti nella terra
donde hanno tratto la parte materiale di sé. Nondimeno sono vivi,
hanno la loro nuova esistenza. Come è grande, insondabile e pur
meraviglioso il mistero della immortalità delle anime, e come è
necessario tenerlo sempre dinanzi, perché davvero è una realtà che
viene a modificare tutta la nostra filosofia, la nostra concezione
della vita, i nostri calcoli, il nostro pratico comportamento! Se
noi pensiamo che, nati un giorno, vivremo sempre, che davanti a noi
c’è l’eternità, noteremo quanto istruttiva sia la lezione che ci
viene dai nostri defunti. Ognuno di noi può dire: io sono vivente.
Dove? come? Non sappiamo, perché è segreto di Dio. Ma, nel
contempo, la luce della fede viene ad essere per noi provvidenziale con
un fulgore davvero travolgente ed elevante: la vita che è data ad ogni
esistenza umana non finisce con la morte corporea. Prosegue
nell’eternità; e dura talmente collegata con la vita presente che
proprio questa determina lo stato di quella futura. Se essa, in
questi anni fuggevoli, in queste giornate così brevi e complicate come
sono le nostre, è stata condotta in una data maniera, il nostro
avvenire avrà beatitudine completa. Se così non dovesse essere,
ecco allora i nostri morti a dirci, persuaderci che l’unica cosa da
fare è l’essere giusti, è il compiere qualcosa di buono durante il
pellegrinaggio nel tempo che scorre; è il seminare il bene, qualche
merito permanente; in una parola, è il vivere non soltanto per il
mondo e per il giorno che passa, ma il ben prepararsi alla giornata
senza fine a cui siamo destinati. Dobbiamo - conclude il Santo
Padre - custodire ed alimentare nel cuore questi pensieri e dare oggi
alla nostra preghiera questa sapienza. Preghiamo per i morti,
affinché, oltre ad implorare per essi il premio eterno, i vivi siano
degni figli di Dio, obbedienti alle sue leggi, ottimi cristiani.
Con questa realtà dinanzi allo spirito, dopo aver benedette le tombe
dei cari defunti, daremo a voi tutti la Nostra Benedizione
Apostolica.
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