|
III Domenica di Quaresima, 21 marzo 1965
Il brano evangelico proposto per la terza Domenica di Quaresima è di
San Luca: motivo speciale per rendere nuovo omaggio al Santo, nella
chiesa a lui intitolata.
Non è una pagina facile: ed è bene rilevarne l’ambientazione.
Questa è duplice.
Quando avviene l’episodio della guarigione dell’indemoniato muto e
della sua improvvisa loquela? Al termine di un lungo periodo della
predicazione di Gesù nella Galilea. Colà Egli aveva ottenuto
vasti consensi e suscitato grandi entusiasmi nelle moltitudini. Ciò
fu il motivo per cui i capi del popolo e i dottori della legge residenti
nella Giudea vollero inquisire sull’opera di un Maestro, che
predicava il Regno di Dio senza il loro consenso, senza essere stato
alla loro scuola.
In tal modo ebbe principio la opposizione a Gesù. Per ben
comprendere come mai il Figlio di Dio venne condannato alla morte di
croce, bisogna risalire a questa fase del suo ministero, all’urto che
Egli dovette subire con i rappresentanti della dottrina e della vita
del popolo ebraico. La polemica si fece sempre più aspra: e a
Gerusalemme seguirono il processo, la condanna, il patibolo, appunto
perché quei capi non vollero accettare l’insegnamento di Gesù.
Altra previa considerazione. Lo stesso tratto del Santo Vangelo è
bene ambientato durante la Quaresima. Fin dagli inizi del
Cristianesimo, in questo periodo si preparavano i catecumeni al
Battesimo; e si istruivano anche sulle avversità causate dal
demonio; sugli esorcismi; su quanto la Chiesa compie per liberarci da
ogni male e tentazione; sugli effetti rigeneratori che il primo dei
Sacramenti produce, conferendo la vita della Grazia.
Ciò premesso, noi potremmo chiederci in qual modo riferir e a noi,
oggi, questa pagina del Vangelo. Vari ne sono gli aspetti, ma uno
precipuamente richiamerà la nostra attenzione: la resistenza fatta a
Gesù.
Il Signore, nella vita terrena, ha avuto - per usare un termine
umano corrente - fortuna? La risposta è negativa. Egli ha visto,
sì, momenti di grande plauso, e, alla fine, trionferà; ma la sua
storia umana è finita male. È apparso come uno sconfitto; la sua
condanna alla morte di croce non poteva essere, al riguardo, più
eloquente. Ora questa sua non riuscita è incominciata dal momento in
cui ebbe inizio la resistenza, dapprima sorda, indi palese, fatta a
Lui. La sua parola, che pur aveva affascinato le folle - basti
ricordare le Beatitudini - venne, alla fine, male accolta e male
interpretata; come pure lo furono molti suoi atti.
E arriviamo al racconto evangelico. Narra San Luca che Gesù
guarisce un poveretto, il quale era posseduto dal demonio; e la gente
si divide nel giudizio. Qualcuno c’è ancora ad affermare il
manifestarsi di evento portentoso; altri, al contrario, commenta
sinistramente, e si affretta a interpretare male il prodigio. C’è,
dunque, resistenza e ostilità.
Ora siffatto atteggiamento può essere riferito a noi, e proprio
adesso, durante questa Quaresima.
La Pasqua è un giorno di scelta, di decisione. Siamo per Cristo,
oppure no? Rimaniamo cristiani, o avviene in noi il contrario? La
risposta a tale interrogativo è data ogni anno dal popolo cristiano,
in occasione della Pasqua; e perciò ora la Chiesa chiede a tutti
noi: siete pronti a confermare la vostra adesione e fedeltà?
Si pensi ora al valore di questa domanda fatta personalmente dal Papa
a quanti lo ascoltano, non già per un’importanza esterna e
spettacolare, bensì per l’autorità che Egli possiede. Egli ne è
tanto compenetrato che vorrebbe rivolgersi singolarmente a ciascuno e
parlare con voce sommessa al cuore, per dire: tu, accetti il
Signore? credi in Lui? gli vuoi bene? pensi alle sue parole? sono
esse vere per te; o passano, invece, come farfalle senza mèta; sono
effettivamente il colloquio tuo con Dio; riguardano la tua esistenza;
incalzano sopra di te, e riescono ad ottenere che tu abbia a modellare
la vita ai disegni di Dio; e perciò Lo ascolti secondo le norme del
Vangelo ?
Il punto è, quindi, nel vedere qual è la nostra risposta al
Signore.
E dapprima gli ostacoli da eliminare. Il Vangelo ci mostra, in
questa pagina, due maniere di comportarsi; e sono, l’una più
dell’altra, riprovevoli, negative. Ecco: Gesù compie un miracolo
e subito c’è chi lo accusa di andare contro la legge, arrivando
persino ad interpretare male. Cercano di dare una spiegazione
cattiva, di snervare, per così dire, la forza dell’evento
soprannaturale. Sentenziano con perfidia: se così ha fatto, vuol
dire che ha operato nel nome del diavolo! Interpretano, pertanto, a
loro piacimento, e in un senso contrario alla verità limpida,
semplice e logica. Cercano di ritorcere contro Gesù ciò che,
invece, dovrebbe risultare a suo onore, gloria ed apologia.
L’opposizione si ripete nei secoli.
È la prima forma di negazione: è il sistematico e preconcetto rifiuto
a credere. Non si esita a parlare di mito, di fiabe, di cose
irreali. Ora questa opposizione - il Papa vuol parlarne perché ne
è satura l’aria, piena la stampa e la si sente circolare nel nostro
mondo contemporaneo e forma la mentalità di non pochi - parte da un
mendace presupposto. V’è chi ritiene atto di intelligenza opporsi
all’insegnamento del Signore, alla dottrina della Chiesa. Per
essere spregiudicati, più forti degli altri, bisogna saper dire di
no: io non credo. La religione è fatta per gli spiriti deboli, non
per il pensiero moderno, non per i critici, gli istruiti, i
refrattari alle suggestioni. Essi insistono nel loro ripudio. E si
servono del lume divino, che è la ragione, non per cercare la
verità, non per accogliere con simpatia, con gioia e con incanto
estatico il fulgore di Dio che entra nelle nostre anime con le parole
del Vangelo; ma chiudono le finestre, e usano, al contrario,
proprio la ragione per negare la verità del Credo, e quindi resistere
al Signore, interpretando male quanto Egli ha fatto e detto.
Questa attitudine negativa, questa cattiveria dello spirito, è quel
che l’odierno brano evangelico pone in evidenza, ammonendo i buoni:
guardatevi da un atteggiamento tanto pernicioso e letale. Il Signore
potrà prendere in parola, un giorno, il ribelle, ritorcendo contro
di lui la negazione: Non hai voluto conoscermi; nemmeno io ti
conosco. Questa sentenza può essere la condanna eterna.
Esiste poi un altro atteggiamento, del pari indicato nel testo di San
Luca. Riguarda coloro che non negano del tutto, ma dicono: Signore
fammi vedere un miracolo: allora crederò. Voglio vedere un segno, e
proprio come intendo io; toccare con mano, scorgere con i miei occhi.
Ebbene il Signore questo prodigio, questo servizio su misura a
capricci e curiosità, non lo compie. L’intero Vangelo, che è
pieno di meraviglie, prove, luci, conferme, non aderisce al
desiderio di quelli che aspettano i segni. Il Signore non indulge
alla indiscrezione delle nostre domande.
Dimostrazioni di Sé e della sua verità, Egli ne ha date
innumerevoli: la storia bimillenaria della nostra fede ne è piena; la
dottrina è incomparabile; tanti miracoli Egli ha compiuto.
Tuttavia,, ricordiamolo, il Signore non forza le anime; le lascia
libere; vuole che noi rispondiamo col nostro cuore, spontaneamente.
Iddio ci largisce molti doni, indica il cammino; ma stabilisce che
noi abbiamo a cooperare. Giacché se fosse lampante ogni suo
precetto, e cioè se noi avessimo la prova razionale, diretta,
evidente, delle verità di fede, non avremmo più alcun merito. Dio
ci conduce sino alla porta perché, noi volendo, possiamo liberamente
varcare la soglia benedetta.
Un grande pensatore ha tratteggiato molto bene questa sublime realtà
dicendo: Nel Vangelo, nell’economia del Regno divino ci sono tante
tenebre perché chi non vuol guardare non veda; e c’è immensa luce
perché chi vuole possa vedere. Cioè, il Signore lascia a noi la
scelta, il decidere, il merito di dire: io credo, e intendo essere
fedele.
Ecco, dunque il senso del Vangelo odierno. Bisogna cercare di
mettere le nostre anime in fase, nell’atteggiamento migliore per
accogliere il sole della nostra salvezza.
Vogliamo noi acquisire la parola di Dio siccome viva e vera,
facendola nostra, e quale annuncio della nostra beatitudine? Occorre
porre l’anima nostra a fuoco - si pensi alla ripresa perfetta di una
fotografia -, ossia, in quella esatta posizione, che la renda atta,
idonea, capace di ricevere i raggi del Signore.
Adunque, la nostra salvezza incomincia da Dio, ma Egli vuole che
noi cooperiamo e facciamo qualche cosa. Come? Con l’essere uomini,
pensando bene, rimanendo vigili e solerti, coerenti alle norme e alle
ispirazioni celesti; non per criticarle o spegnerle, ma lasciandoci
dal superno influsso guidare e sorreggere.
Infine: il Vangelo di oggi termina con un epilogo di ineffabile
bellezza. Al termine della controversia impegnata, ormai, fra i
nemici del Signore e lo stesso Divino Maestro, che dimostra la
illogicità del loro contegno, una semplice ed umile donna esclama:
Benedetta, benedetta la tua Mamma! Perché dice così? Essa ha
compreso che Cristo è un essere unico; essa ha intuito l’intera
ricchezza esistente nella persona di questo Maestro e Profeta. E fa
risalire alla Madre del Salvatore, a Maria, la gloria di aver avuto
un Figlio che si chiama Gesù.
È la voce del cuore puro, dell’anima candida, della pietà sagace:
è la voce del popolo cristiano, la nostra, che deve dire: Oh,
benedetta la Madonna, che ci ha dato Gesù, il nostro Redentore!
Guardate, se potete, figliuoli miei, di capire e ricordare qualche
cosa della presente lezione. Essa è importante, continua, premente
sulle vostre anime; e deciderà del vostro futuro se accoglierete la
parola del Signore con il fervore e la rispondenza quotidiana.
In tal modo tutti saremo salvi. Se invece si chiuderanno gli occhi,
le orecchie e il cuore al divino messaggio che ci rende liberi dal
male, saremo arbitri e artefici di rovina.
Non deve essere così. Gesù sia veramente - sempre noi invocando
l’aiuto della Madre sua - il nostro Amico, la nostra Guida, il
nostro Maestro, la nostra Salvezza!
|
|