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Domenica, 6 maggio 1973
«Questo è un giorno stabilito dal Signore: esultiamo e
rallegriamoci per esso». Noi volentieri ripetiamo questa acclamazione
liturgica motivata dalla festività della Pasqua in questa presente
occasione, nella quale la presenza del Patriarca Shenouda III, -
onorato lui stesso del titolo di «Papa» della venerata e antichissima
Chiesa capta, avente il suo centro ad Alessandria d’Egitto, -
solleva nel nostro animo una commozione profonda. Ecco qui il Capo
d’una Chiesa, tuttora da noi ufficialmente separata e da secoli
assente dalla celebrazione d’una comunitaria preghiera con questa
Chiesa romana, ma Capo, diciamo, d’una Chiesa, la quale fa
ascendere la sua origine a quell’Evangelista Marco, che San Pietro
chiama suo figlio (Petr. 5, 13), e la quale ebbe in
Sant’Atanasio, di cui oggi noi celebriamo il XVI centenario della
beata morte, l’assertore invitto della nostra comune fede nicena,
fede cioè nella divinità di nostro Signore Gesù Cristo,
proclamata da Simone, figlio di Giona, per divino intuito, e
perciò tramutato da Cristo stesso nell’immobile Pietro, e da lui
posto a fondamento di tutta la Chiesa; egli è qui, è qui apposta e
spontaneamente venuto per riannodare il vincolo della carità (Cfr.
Col. 3, 14), felice presagio di quella perfetta unità dello
spirito (Cfr. Eph. 4, 3), che dopo il recente Concilio
ecumenico vaticano secondo, noi andiamo umilmente, ma sinceramente
cercando di ricomporre; è qui, con noi, con questa grande assemblea
di fedeli, sulla tomba dell’Apostolo Pietro . . . oh! come non
dovremmo noi esultare, e invitare voi tutti, figli di questa Chiesa
romana e cattolica, a benedire con noi il Signore in questo giorno
straordinario? Non avvertiamo noi che il volume della storia della
Chiesa, nel quale la mano misteriosa del Signore principalmente guida
le mani degli uomini a scrivervi «nova et vetera» (Cfr. Matth.
13, 52), apre davanti a noi pagine antiche di secoli, e altre
ancora candide ne distende davanti a noi, pronte a registrare
avvenimenti, Dio voglia!, migliori, i fasti cioè della
Provvidenza misericordiosa di Dio nelle vicende della Chiesa ancora
pellegrina nel tempo? Come non saluteremo noi questo venerabile e
grande Fratello lontano, oggi a noi tanto vicino, nostro visitatore,
nostro ospite, oggi qui, presso il nostro altare e unito alla nostra
pontificale preghiera? e con lui il copioso e rappresentativo suo
nobilissimo seguito?
La lettura del Santo Vangelo (Luc. 24, 35-48) che noi
abbiamo ora ascoltata, ci invita a riflettere sul tema fondamentale
della nostra fede, il tema della risurrezione del Signore nostro
Gesù. Non dice forse San Paolo: «Se tu confessi con la tua voce
il Signore Gesù, e nel tuo cuore hai fede che Dio lo ha risuscitato
da morte, sarai salvo»? (Rom. 10, 9) E la narrazione
evangelica della S. Messa, che stiamo celebrando, sembra proprio
che voglia attestarci la realtà del fatto della risurrezione di
Cristo, realtà oggettiva, storica, comprovata perfino
dall’esperienza diretta e tangibile dei sensi, anche se appartenente
ad un ordine soprannaturale, e voglia stimolarci a derivare subito
dall’osservazione di questa inaudita realtà la nostra irrefrenabile e
vivacissima fede, quale quella di Tommaso, l’uomo positivo della
critica, del dubbio, della verifica, con le sue parole ancora
sonanti: «Signore mio! e Dio mio!» (Io. 20, 28).
E com’è propizia questa odierna riflessione liturgica celebrando la
gloriosa memoria, come dicevamo, di S. Atanasio, fiero ed impavido
assertore della fede! S. Atanasio è padre e dottore della Chiesa
universale e merita perciò il nostro comune ricordo.
Il ricordo migliore di un Santo, che ha dato un contributo
straordinario alla vita della Chiesa in un momento decisivo della sua
storia, allorché gli eretici negavano la stessa consostanziale
divinità del Verbo e quindi di Cristo, ci sembra quello di
riflettere sull’eredità che ci ha lasciato: la testimonianza di fede
nella sua vita e nel suo pensiero.
Quando riflettiamo sulla sua vicenda umana, incontriamo un credente
solidamente fondato sulla fede evangelica, e convinto assertore e
difensore della verità, pronto a subire ogni calunnia, persecuzione,
violenza. Dei suoi quarantacinque anni di episcopato una ventina li
trascorse in ripetuti esilii; e questa stessa nostra città di Roma lo
ospitò, essendo Papa Giulio (337-352), per tre anni
durante il. suo secondo esilio, che lo colpì dall’aprile del 339
all’ottobre del 346.
Sempre dappertutto e di fronte a tutti, a potenti ed erranti,
professò la fede nella divinità di Gesù Cristo, vero Dio e vero
uomo, tanto che la tradizione liturgica orientale lo definisce
«colonna della vera fede» (Apolytikion, del 2 maggio), mentre la
Chiesa cattolica lo annovera tra i dottori della Chiesa.
Egli fu infatti un uomo di Chiesa; pastore vigile e attento, dedicò
l’intera vita al suo esclusivo servizio: non solo al servizio della
sua Chiesa di Alessandria, ma della Chiesa intera, portando
dovunque il calore della sua fede, l’esempio edificante della sua vita
intransigentemente coerente, il richiamo alla preghiera appresa tra i
monaci del deserto, presso cui si dovette più volte rifugiare.
La divinità di Cristo è il nucleo centrale della predicazione di
S. Atanasio di fronte agli uomini del suo tempo, tentati dalla crisi
ariana. La definizione del primo Concilio ecumenico di Nicea
(325), secondo cui Gesù Cristo è figlio di Dio, della stessa
sostanza del Padre, Dio vero da Dio vero, costituisce il punto di
riferimento costante della sua dottrina. Solo se si accetta questo
insegnamento si può parlare di redenzione, di salvezza, di
ristabilimento della comunione tra uomo e Dio. Solo il Verbo di Dio
redime perfettamente; senza l’incarnazione, l’uomo rimarrebbe nello
stato di natura corrotta, da cui la stessa penitenza non potrebbe
liberarlo (Cfr. De Incarnatione: PG 25, 144, 119).
Liberato da Cristo dalla corruzione, salvato dalla morte, l’uomo
rinasce a nuova vita e riacquista la primitiva immagine di Dio,
secondo cui era stato creato sin dall’inizio e che il peccato aveva
corrotto. «Il Verbo di Dio - afferma S. Atanasio - è venuto
lui stesso affinché, essendo lui immagine del Padre, possa
nuovamente creare l’uomo ad immagine di Dio» (De Incarnatione,
ibid.).
S. Atanasio evolve questa teologia, incentrandola sulla
partecipazione dell’uomo redento alla vita stessa di Dio, mediante il
battesimo e la vita sacramentale , giungendo ad affermare con ardita
espressione che il Verbo di Dio «si è fatto uomo perché noi fossimo
divinizzati» (Ibid.).
Questa «nuova creazione» comporta la restituzione di ciò che il .
peccato aveva compromesso. la conoscenza di Dio e un radicale
cambiamento di costumi.
Gesù Cristo ci rivela e ci rende conoscibile il Padre: «Il Verbo
di Dio si è reso visibile con un corpo perché noi potessimo farci una
idea del Padre invisibile» (Ibid.).
Da questa nuova conoscenza di Dio consegue l’esigenza di rinnovamento
morale, che S. Atanasio richiama fortemente: «Chi vuole
comprendere il discorso attorno a Dio, deve nel suo modo di vivere
purificarsi, rendersi simile ai Santi con la somiglianza delle proprie
azioni, affinché unito a loro con la condotta della propria vita,
possa comprendere ciò che loro è stato rivelato da Dio»
(Ibid.).
Siamo così portati al centro dell’avvenimento cristiano: la
redenzione per opera di Gesù Cristo, il radicale rinnovamento
dell’uomo con la sua restaurazione ad immagine e somiglianza di Dio,
la ristabilita comunione di vita tra l’uomo e Dio, che si esprime
anche in un profondo cambiamento etico.
È questo il sublime messaggio, che anche a noi indirizza oggi S.
Atanasio il Grande: essere forti nella fede e coerenti nella pratica
della vita cristiana, anche a costo di gravi sacrifici; sta a noi
accoglierlo questo messaggio, meditarlo, approfondirlo e realizzarlo
nella nostra vita.
Per le preghiere di S. Atanasio, Padre e Dottore della Chiesa,
ci conceda Iddio di poter degnamente confessare, anche noi nel nostro
tempo, che Gesù Cristo è il Signore e il Salvatore del mondo.
E alla fine ci sia concesso di rivolgere una parola ai fedeli che
vediamo qui presenti.
Fedeli della Parrocchia romana di S. Atanasio. Siamo lieti di
vedervi presenti a questa grande cerimonia. Vi salutiamo tutti e vi
incarichiamo di portare il nostro benedicente saluto all’intera
comunità parrocchiale. A voi è specialmente raccomandato di onorare
la memoria del grande titolare della vostra Parrocchia: S.
Atanasio. Come onorarlo? col ricordo della sua vita e con la
professione della sua fede. Con l’amore a Cristo, Verbo eterno di
Dio, Figlio di Dio, e Figlio dell’uomo, nostro Maestro e nostro
Salvatore. E con l’adesione franca e fedele alla Chiesa di
Cristo, e con la carità operosa verso il nostro prossimo. Siamo
intesi? abbiate tutti, col vostro Parroco, una nostra speciale
benedizione.
Poi: abbiamo qui tutta una bella e cara moltitudine di «Giovani
Amici del Rosario». Giovani e Ragazzi tutti! vi diciamo grazie
per questa vostra venuta. Non crediate che il carattere particolare di
questa cerimonia ci abbia fatto dimenticare la vostra presenza. Vi
diciamo bravi per la vostra manifestazione in onore della Madonna e per
la devozione che professate al suo santo Rosario. Sappiate arrivare a
Cristo guidati dalla sua e nostra Madre Maria. Ancora: bravi!
bravi! Siate perseveranti, e abbiate tutti, con i vostri Genitori,
Educatori e Amici la nostra paterna Benedizione.
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