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Domenica, 26 aprile 1964
Il Santo Padre si riserva di salutare, i Gruppi di fedeli e di
pellegrini al termine della Messa, per poter, se non in dialogo
almeno in diretta conversazione, dare loro il saluto che desidera.
Ora, durante la celebrazione dei misteri divini, soltanto il pensiero
del Signore, e di ciò che è sacro deve occuparci: il Vangelo della
IV domenica dopo la Pasqua ci dà motivo di riflessione e di
meditazione, e il Papa sceglierà una sola parola di Gesù dal
Vangelo del giorno tanto denso e tanto profondo: un termine che
diverrà poi comune al nostro catechismo: Paraclito. Ed è un nome,
questo, che il Signore sembra dire come facendo una confidenza, quasi
svelando un segreto; viene sulle labbra del Signore durante i discorsi
del commiato, dell’ultima Cena, in cui Gesù con parola soave,
profonda, cerca di preparare gli Apostoli ai grandissimi avvenimenti
che incombono sulla storia evangelica e del mondo.
Tra poco comincerà la Passione e Gesù sente, si direbbe, il
dovere di congedarsi dai suoi e nel congedo viene svelato il rapporto
che intercederà poi tra Lui e i suoi, annunzia che si sottrarrà alla
loro visione sensibile e si preoccupa di loro, di quelli che hanno
ascoltato e creduto alla sua parola, di come resisterà in essi, Egli
assente, la grande certezza del regno di Dio che Egli aveva iniziato
e fondato.
Ed il Signore, annunzia un nuovo rapporto tra Lui e l’uomo,
rapporto che diverrà interiore colloquio di Dio con le anime.
Vedendo i discepoli tristi, smarriti, annunzia che Egli manderà
loro lo Spirito Santo: il Paraclito, parola che ha molti
significati: avvocato, assistente, aiuto, difensore, consolatore,
che sta vicino e che viene per dare un sussidio, infondere una
energia, apportare qualche cosa di nuovo: ciò appunto che il
Catechismo chiama la grazia, presenza di Dio, operante dentro di noi
per rendere santa e buona l’anima nostra. Per quelli che sanno
ascoltare e seguire, e che ricercano l’ineffabile, stupendo colloquio
interiore, diventa voce attiva di Dio nel profondo delle anime. La
vita spirituale del cristiano non è soltanto una esplicazione delle sue
energie naturali, ma si sviluppa, si potrebbe dire, in una simbiosi,
una vita associata, una inabitazione dello Spirito Santo dentro di
noi.
Questo sarà il rapporto che il Signore vuole stabilire fra quelli che
lo seguono e vivono di Lui, rapporto non sensibile, ma reale,
nuovo, sopra le nostre facoltà naturali: a questa comunione con Dio
siamo invitati dalla Messa del giorno e dalla rivelazione del Vangelo
che è offerto alla nostra meditazione.
Se riflettiamo come questa meditazione si innesta nel processo
liturgico dell’anno, che stiamo celebrando, viene anche a noi il
pensiero che sopraggiungerà la Festa dell’Ascensione e Cristo
scomparirà dalla scena e dalla presenza, almeno storica, della nostra
devozione. E allora la Chiesa ci dice: coltivate la devozione allo
Spirito Santo e sarete in comunione con Cristo e capirete che il
Signore diventa da Maestro esteriore, come dice Sant’Agostino, il
Maestro interiore, l’ispiratore, attraverso il linguaggio del
Paraclito, dei buoni pensieri, delle nostre buone volontà, Colui
che ci rende capaci di virtù che da noi stessi non sapremmo
esercitare; la sorgente - e quanti hanno ricevuto la Cresima lo
ricorderanno - dei sette doni, di queste energie di sapienza, di
intelligenza, di consiglio, di fortezza, di scienza, di pietà, di
timor di Dio, che rendono l’anima fiammante di vita spirituale,
riflesso della vita divina sopra di lei, per essere fatta specchio a
questi raggi che scendono dal cielo e che Cristo riverbera sopra le
anime che sono recettive di questa luce.
Il Papa ricorda ai fedeli un episodio narrato negli Atti degli
Apostoli; S. Paolo, in Efeso, a un gruppo di quei primi
cristiani chiede se hanno ricevuto lo Spirito e poiché quei fedeli
ancora non ne avevano inteso parlare, egli conferisce loro il battesimo
istituito da Gesù ed impone loro le mani, e così sono anch’essi
ripieni di Spirito Santo. Ed essi cominciano a profetare, ad
esaltare il Signore, ad avere questa pienezza interiore della grazia
che li riempie della presenza di Dio.
A tanti cristiani, forse a noi stessi è rivolto questo interrogativo
che sa di rimprovero, perché la nostra vita spirituale non è un
soliloquio, una chiusura dell’anima su se stessa, ma un dialogo, una
ineffabile conversazione, una presenza di Dio da non ricercare più
nel cielo né fuori, né solo nelle chiese, ma in se stessa: quanta
gioia, quanta energia, quanta speranza dà l’abbandonarsi a questo
abbraccio interiore che Dio dà alle anime devote e veramente fedeli!
Ed il Santo Padre esorta tutti a fare almeno questo, a ricordarsi
dello Spirito Santo; e dovrebbe essere la prima, la suprema nostra
devozione, ad invocarlo, specialmente in questo periodo che ci prepara
alla Festa della Pentecoste, e a cercare di essere anche noi capaci
di captare questa voce interiore e silenziosa, questa presenza di
Dio, e a pregustare in questo colloquio che si chiama la vita
spirituale cristiana, qualche cosa del colloquio eterno a cui siamo
invitati per il Paradiso.
E così sia.
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