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Domenica, 19 aprile 1964
Il Santo Padre benedice e saluta i fedeli con questa visita che vuol
rendere più solenne la celebrazione del primo cinquantenario della loro
Parrocchia e che vuol concludere le sacre Missioni che sono state
compiute. Siamo come dei viandanti che fanno un lungo cammino e
finalmente, a un dato momento, stanchi, si fermano sul ciglio della
strada e pensano al cammino percorso. La loro Parrocchia ha percorso
cinquanta anni ed ora si arresta un momento e medita sopra il periodo
trascorso; è bello raccogliere il passato, fissarlo in alcuni
avvenimenti e consegnarlo ai più giovani, a quelli che non sanno
quello che la parrocchia è costata, quale trasformazione del quartiere
essa abbia segnato, e quale vita si sia svolta in questa aula di
preghiera e di culto.
MEMORIA DI ANIME GENEROSE
Ricordare è dovere: il Papa richiamerà solo due nomi cari e
venerati: S. Pio X che volle questa parrocchia negli ultimi anni
della sua vita e che ha lasciato qui quasi un mandato di
evangelizzazione e la sua grata e impegnativa memoria; ed Aristide
Leonori. Il Sommo Pontefice, nei primi anni della sua vita
romana, conobbe questo architetto cui si deve la chiesa di Santa
Croce e il cui nome ha attorno a sé un’aureola di bontà, di
santità, che rende ancora più cara la costruzione da lui ideata con
grande premura, secondo i canoni di quel tempo.
Un pensiero il Papa desidera avere anche per tutti quelli che a Santa
Croce sono passati facendo del bene: per il Vicariato, promotore
della nuova Parrocchia, per il caro Parroco che lavora per loro con
zelo da trent’anni e al quale dà una benedizione, ringraziandolo,
dinanzi a tutti, per le anime consolate e dirette e del bene che ha
fatto e di quello - e il Santo Padre augura sia molto - che si
ripromette di compiere ancora. Un pensiero anche per i confratelli del
Padre Recchia, i religiosi Stimatini, dei quali è presente anche
il Padre Generale; a tutti quanti hanno lavorato per le anime va la
riconoscenza particolare e la benedizione del Papa.
Ma nella sosta il viandante intelligente pensa pure al cammino futuro e
alla direzione da prendere per giungere alla mèta e non perdersi in un
vagabondaggio inutile. La parrocchia sa dove va e questo serve per
definire che cosa essa è, i suoi rapporti con i fedeli, la sua
attività.
Ed ecco che in questa definizione ci soccorre il Vangelo del giorno,
della terza domenica dopo Pasqua: l’eredità che Gesù ci ha
lasciato è la vita cristiana, la maniera di vivere che Egli ha
instaurato. La parrocchia non fa che ripetere questa formula,
invitare i fedeli a realizzarla; il Parroco si comporta così come un
antico Profeta, ammonisce che bisogna essere fedeli alla legge di
Dio, nel ricordo continuo del dramma pasquale, della Passione e
della Risurrezione di Cristo, nella Croce che il Signore ci ha
lasciato in eredità, la Santa Croce alla quale questa parrocchia è
intitolata e dedicata. Questo ricordo, questo pensiero continuo,
particolare, si chiama la Fede, e diviene una sorgente interiore di
richiamo: ci ripete che la vera vita non è di questa terra come ci
dice S. Pietro nell’Epistola odierna: siamo dei viandanti, dei
pellegrini, dei forestieri, abbiamo altri destini; un’altra
esistenza, eterna, da conquistare.
NELLA CROCE LA VITA CRISTIANA
Nasce spontaneo il confronto tra il modo cristiano di concepire la vita
e quello di coloro che non hanno idee religiose, sono dissipati,
credono di aver la libertà di concedersi tutte le esperienze, tutti i
godimenti. Il Vangelo di S. Giovanni ce lo dice: mundus
gaudebit, il mondo godrà mentre quelli che credono in Cristo saranno
contristati, e la loro vita sarà contrassegnata dalla Croce del
Signore.
Le seduzioni esterne sono grandi perché il nostro tempo fa vedere
quanto è bella, ricca, potente la terra, ne mostra oggi più che mai
la stupenda fecondità di beni temporali; sembra possegga il segreto
della felicità. Ma non è così. Noi dobbiamo ricordare che la fede
cristiana ci promette un’altra vita e che l’altra vita è poggiata
sulla parola di Cristo, e la parola di Cristo acquista una potenza
straordinaria con un paragone di una umanità dolcissima, commovente:
nella figura della donna che sta per dare alla luce il bambino e piange
e soffre - ed è l’immagine della vita cristiana nella sua prima fase
- ma poi si rallegra ed è felice perché è nato un bambino.
La vita cristiana, che si presenta a noi come Croce, che ci obbliga
a tanta fedeltà a tante rinunzie, è felice e lo è in due tempi: qui
sulla terra, perché se vogliamo essere felici anche nel tempo non
abbiamo scelta migliore che di essere cristiani, chi più è cristiano
più è felice; chi ha dato tutto ha riconquistato tutto, chi si è
consacrato a Cristo è nella gioia; chi lo segue, il Signore, senza
generosità, senza slancio sente il peso della Croce, mentre coloro
che seguono Gesù con forza, con costanza sentono che la loro Croce
ha le ali, invece di pesare, trasporta.
CASA E SCUOLA DI SAPIENZA RELIGIOSA
Il Cristianesimo trasforma la vita e le esperienze di cui essa è
ricca in una felicità che non sarà misurata secondo i canoni del
gaudio mondano ed esteriore; ma in una pace, in una gioia del cuore
che non ha paragone e che è la vera felicità che si possa godere in
questo mondo: la felicità cristiana.
E poi c’è una promessa, una visione, una mèta: noi non andiamo
verso la morte, le tenebre, il vuoto, il nulla, ma andiamo verso la
vita, la luce, la pienezza, verso l’essere, l’oceano che è Dio.
Il Papa esorta i diletti figli a tenere dinanzi agli occhi il
significato della celebrazione del cinquantenario della parrocchia e del
loro incontro, ed il paragone - che è ‘stato fatto tante volte -
della vita cristiana con una nave. Chi è fedele, ed è imbarcato su
questa nave sa dove va; il timone e l’albero che guida e conduce la
nave è la Croce; il porto è la vita eterna, è l’incontro svelato
di Cristo; è la visione - nella pienezza della felicità e della
vita - di Dio che è l’Essere, l’eternità.
Il Santo Padre invita quindi i diletti parrocchiani di Santa Croce
ad aver cara la loro parrocchia, ad osservare come essa sia per loro
casa e scuola e come la vita religiosa che ivi si svolge si rifletta sui
loro destini. Abbiano cara la loro Parrocchia, cerchino di essere
fieri e riconoscenti di possederla e di appartenerle, e non siano dei
figli passivi e parassiti, ma vivi e gaudiosi e contribuiscano a
stabilire e sviluppare la loro parrocchia e la loro chiesa, la loro
comunità cristiana, nel tempo e nel mondo moderno e nel luogo e nelle
circostanze nelle quali si trovano.
Il Papa conclude augurando ai diletti fedeli che siano sempre felici
di essere cristiani.
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