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Domenica, 3 maggio 1970
Ecco un momento di gaudio pieno per la Chiesa pellegrina nelle
asperità della vita presente verso la pienezza del regno di Dio. Il
gaudio nasce dal fatto che un membro della Chiesa, un uomo di questo
mondo, un nostro fratello è riconosciuto Santo, e come tale
proclamato, onorato, invocato. E Santo, che cosa vuoi dire? vuol
dire perfetto, nel senso di quella perfezione tanto facile a
concepire, per chi è alunno della Chiesa maestra, ma altrettanto
difficile a definire nella sua realtà, perché la santità risulta
essere sintesi di coefficienti molteplici e meravigliosi, quali sono,
innanzitutto, un carisma divino straordinario, anzi una quantità di
carismi, cioè un’abbondanza di doni di Dio (Eph. 3, 19),
che invade una vita umana fino a diventare in lei, in certa misura,
esuberante e trasparente; e poi la santità richiede una statura morale
nell’uomo, che chiamiamo Santo, eccezionale, tanto che si vogliono
in lui riscontrare virtù in grado eroico e quindi la santità domanda
una risultante conformità, sempre originale, al primogenito della
famiglia umana (Cfr. Rom. 8, 29; Col. 1, 15),
all’archetipo dell’umanità, al «Figlio dell’uomo», a Cristo,
nostro maestro e nostro modello (Cfr. Io. 13, 15); e
finalmente la santità esige ed offre un’esemplarità, ovvero una
singolarità, tali da meritare l’imitazione, o almeno l’ammirazione
di chi entra nella sfera sociale della personalità del Santo.
FASCINO DELLA SANTITÀ
Ed è ordinariamente quest’ultimo aspetto della santità quello che
conquide più facilmente la nostra comune attenzione. Noi siamo così
avidi di incontrare l’uomo grande, l’uomo eccezionale, l’operatore
dei miracoli, l’eroe, il campione, il divo, il «leader», che non
possiamo sottrarci al fascino del Santo, che appunto personifica un
essere superiore, e tanto di più se a questo possiamo attribuire, noi
piccoli, l’esaltante titolo: è nostro! L’agiografia è uno studio
d’antropologia superlativa, dovuta al fattore religioso, che sebbene
procedente da un identico principio verso un identico fine, genera una
indefinita ricchezza di tipi umani, uno distinto dall’altro nella
meravigliosa varietà di volti umani trasfigurati, ciascuno da un
proprio differente carisma (Cfr. 1 Cor. 12, 27 ss.).
Il Santo: oggetto perciò di conoscenza, di interesse, di legittima
e commendevole curiosità. Chi era dunque Leonardo Murialdo, al
quale oggi attribuiamo questo altissimo titolo di Santo? Finora egli
era ben poco conosciuto. Noi stessi, quando nel novembre del
1963, avemmo la gioia di proclamare la beatificazione del
Murialdo, profferimmo la medesima domanda, che un venerato, esimio e
compianto amico, Monsignor Giuseppe De Luca, auspicava fosse
soddisfatta, scrivendo, nel 1950, in occasione del cinquantesimo
della morte del nostro Santo: «Il Murialdo è uno dei fuochi di
quell’incendio cristiano che forma la gloria del secolo passato,
gloria come d’uno stellato nella notte . . . . merita riconoscenza
e, prima ancora, conoscenza. Elogi, encomi, celebrazioni, tutto
sta bene, ma innanzi e soprattutto, io credo, conoscenza». Non è
questo il momento di dare del Santo la notizia biografica, di narrarne
la vita; e nemmeno di farne il panegirico. Abbiamo ora finalmente una
amplissima documentazione sulla vita del Murialdo, vita altrettanto
circonfusa di umiltà e di discrezione che ricca e prodiga
d’instancabile attività; tre poderosi volumi raccolgono ogni notizia
su di lui, così che chi volesse può sapere del nuovo Santo quanto è
possibile e desiderabile; vita, opere, scritti, commenti, tutto;
è l’opera meritoria di Armando Castellani, che dopo il primo
biografo storico del Murialdo, il Reffo, e i non pochi altri che
illustrarono la vita di lui, ha messo sopra un piedistallo di
documenti, di testimonianze, di informazioni la figura di Leonardo
Murialdo da farne risaltare quella autentica grandezza che l’odierna
canonizzazione circonda della aureola della santità.
IMITAZIONE E DEVOZIONE
Abbiamo dunque la storia del Santo, e subito ne guardiamo la figura,
ne ammiriamo la santità. Noi tutti diventiamo osservatori,
ammiratori e, a Dio piacendo, imitatori e devoti. Cioè la
conoscenza di lui non ci basta, vogliamo un giudizio, vogliamo vederne
il volto, coglierne quelle linee caratteristiche, che lo definiscono.
Anche questo spontaneo desiderio di sintesi, Noi ora non possiamo
soddisfare. Vogliamo solo indicare i capitoli, che, a Nostro
avviso, possono offrirci le chiavi per penetrare nella comprensione del
nuovo Santo, e per aiutarci a classificarlo e a distinguerlo in
qualche modo, nella «turba grande, - come la definisce il veggente
dell’Apocalisse, - che nessuno riesce a enumerare» (Apoc. 7, 9).
Il primo capitolo è quello del quadro storico nel quale la figura del
Santo ci appare; anzi, possiamo ben dire, dal quale egli risulta ed
emerge vivente. Quadro del tempo: l’Ottocento; quadro del 1uogo
: Torino. Qui Noi non possiamo esimerci dal rivolgere alla
fortunata Città natale e ambientale del Santo il Nostro vivissimo
plauso. Torino ci appare, specialmente nel secolo scorso, una
Città eletta e benedetta, una Città di Santi; pensiamo a Don
Bosco! tanto nomini . . . . pensiamo al Cottolengo, pensiamo al
Cafasso, pensiamo a Domenico Savio, pensiamo alla Mazzarello e ad
altre figure splendenti di virtù cristiane che dalla nobile terra
piemontese trassero radici di santità. Siamo in un solco di
tradizioni cattoliche, che ci fanno risalire fino a San Massimo e ci
ricordano la sacra Sindone; si direbbe che colà si respira una
atmosfera di spiritualità favorevole alla fioritura della santità;
colà si è formata una scuola di robuste virtù morali, da cui escono
alunni e maestri d’un cristianesimo rinnovato e moderno. Non vogliamo
trascurare il ricordo di altri coefficienti che caratterizzano,
specialmente nel secolo scorso, l’ambiente piemontese, come quello
politico, reso vivace e drammatico da grandi correnti di idee, da
grandi figure e da memorabili avvenimenti; e come quello industriale,
destinato a straordinari sviluppi con riflessi evidenti e diffusi ancor
oggi nel campo economico e sociale. L’ambiente esercita potenti
influssi su chi ne vive; non possiamo supporre che alla sua atmosfera
sia rimasto estraneo il nostro Santo; anzi la sua attività ci
dimostra che da essa egli trasse il suo respiro e la sua ispirazione e
in una certa misura la sua forza ed il suo successo.
INSIGNE FIGLIO D'ITALIA
Dobbiamo congratularci con Torino, qui degnamente presente con il
Rappresentante del Signor Sindaco (indisposto) di Torino, e
perciò con l’Italia, di codesta prerogativa, non certo decaduta,
di dare alla Chiesa e al mondo uomini buoni, provvidi e tipici, come
quello di cui esaltiamo la figura e rendiamo imperitura la memoria.
Con lei, Signor Cardinale Arcivescovo dell’avventurata Città,
dove il Murialdo nacque, operò e morì, si fonde in spirituale
comunione il Nostro gaudio; a lei per tutta l’Arcidiocesi e per
tutta la Chiesa piemontese si rivolge la Nostra religiosa e cordiale compiacenza.
E sapendo presente a questa solenne cerimonia l’onorevole Mariano
Rumor, Presidente del Consiglio dei Ministri d’Italia,
esprimiamo la Nostra commossa e riconoscente soddisfazione per averlo
ufficialmente partecipe, con altri Personaggi rappresentativi del
Governo e della Nazione, alla celebrazione della memoria, delle
virtù, delle opere e della gloria d’un così insigne Figlio
d’Italia, col voto che ciò valga a confortare le migliori tradizioni
religiose e morali del Popolo Italiano, a sostenere nel Paese ogni
sforzo generoso per il suo civile progresso, e a meritargli, per
virtù dei suoi cittadini, col favore di questo cittadino celeste, la
prosperità, la concordia e la pace.
E questo riferimento della figura del Murialdo alla Nazione che fu
sua, ci conduce ad accennare al secondo densissimo capitolo
dell’azione nella società, a cui egli consacrò le inesauribili
energie del suo genio operativo. Chi può riassumere in una formula
quale fu la sua opera? è ben difficile farne la pur semplice
descrizione, così che fra i molti titoli in cui essa si manifestò e
si affermò due soli indichiamo come degni di speciale memoria: primo,
la fondazione d’una Congregazione religiosa di San Giuseppe,
istituto sacerdotale e laicale avente «lo scopo d’educare con la
pietà e con l’istruzione culturale e tecnica i giovani poveri,
orfani, o abbandonati, o bisognosi di emendazione»; ed è questo il
secondo titolo che innalza e diffonde nel mondo il nome benedetto di
Leonardo Murialdo.
PICCOLO ESERCITO DI VOLONTARI
Questa Congregazione: un altro piccolo esercito (conta circa 850
membri, di cui più della metà Sacerdoti, con cento case sparse in
Italia e nel mondo), un piccolo esercito, fiancheggiato dal ramo
femminile delle Suore Murialdine, di volontari, dedicati totalmente
e per tutta la vita alle varie opere del ministero ecclesiastico, ma
specialmente all’assistenza e all’educazione dei Figli del Popolo,
con particolare preferenza per quelli più bisognosi e per quelli delle
categorie, lavoratrici, le operaie specialmente, ci attesta il sommo
interesse della Chiesa per il mondo della gioventù e per quello del lavoro.
Il Murialdo è fra i primi ad avvertire l’urgenza ed a creare la
possibilità di andare incontro alla gioventù destinata al lavoro. È
un pioniere della educazione specializzata dei giovani lavoratori. È
lui che tenta i primi esperimenti dell’organizzazione operaia. È un
promotore delle prime Unioni Operaie cattoliche. È lui che inizia a
Torino un Ufficio cattolico di collocamento al lavoro per operai
disoccupati, che istituisce un «Giardino festivo per operai», che
apre Colonie agricole, Scuole tecnico-pratiche di agricoltura,
Case-Famiglie per Giovani Operai, e suscita cento altre iniziative
del genere. Il Murialdo ha l’intuito preveggente delle forme
pedagogiche, professionali, associative, legislative, che dovranno
dare alla nuova popolazione industriale l’istruzione, l’avviamento,
la solidarietà, che poi la società moderna ha inserite nei propri
programmi, e che dovranno fare di masse disperse, diseredate,
indifese, inquiete e stimolate dalle voci classiste e rivoluzionarie
del tempo, un popolo nuovo, cosciente dei suoi diritti, capace dei
suoi doveri, fondato sul progressivo svolgimento della legittima
giustizia sociale, libero e responsabile, come lo esige l’ordinamento
democratico moderno.
Basti dire che fino dal dicembre del 1869 il Murialdo invia al
Governo Lanza-Sella una petizione per una legislazione normativa del
lavoro dei fanciulli e delle donne nelle fabbriche. Il Murialdo ha la
passione dei bisogni della gioventù e dell’umile gente, lui figlio di
famiglia benestante, prete colto, fine e sempre disposto ad affrontare
imprese benefiche, che lo rendono tribolato e spesso più povero dei
suoi poveri.
Questo aspetto della figura del Santo sembra a Noi che debba
interessare lo studio della vita cattolica in Italia e dello sviluppo
dei movimenti sociali più che ora non sia; siamo facili all’oblio di
questa tradizione del cattolicesimo militante nel campo sociale e
nell’incremento e nella maturazione della coscienza nazionale; forse
le vicende politiche del Risorgimento e le correnti anticlericali del
tempo hanno contribuito a contenere l’affermazione delle opere sociali
dei cattolici, le quali, ancor più che alle appassionate discussioni
nell’opinione pubblica e nella vicenda politica, miravano alla offerta
di contributi concreti, positivi, impegnativi d’un servizio
organico, che solo la dedizione di persone votate a specifiche
istituzioni, a ciò relative, poteva prestare. E ciò dimostrerebbe
come il carattere confessionale di tali istituzioni non solo non impedì
la loro nascita, ma la generò; e ricorderebbe anche a noi, oggi
abituati a distinguere, e fino a separare, il campo religioso da
quello temporale, che l’ispirazione religiosa realmente operante
nell’ambito delle attività sociali, lungi dal frenare la loro
espansione, conferisce loro la più intima, la più generosa, la più
feconda energia, quella incomparabile ed inesauribile della carità.
La storia delle opere, a cui il Murialdo pose mano e diede vita, lo
dimostra e tuttora lo insegna.
FU STRAORDINARIO NELL’ORDINARIO
E qui la conclusione ci porta al terzo capitolo, quello che tenta
l’introspezione di quest’uomo di Dio. Ma dobbiamo fermarci sulla
soglia. La vita spirituale e personale del Murialdo ci è, per ora,
meno nota che non la sua multiforme attività esteriore; la
pubblicazione dei suoi scritti e della sua corrispondenza renderà
l’esplorazione possibile; ma forse essa non offrirà alla nostra
indagine psicologica quegli aspetti singolari e, per così dire,
anormali, di cui noi moderni siamo più avidi, nel campo agiografico,
che non gli antichi, per i quali era invece sommo gusto la ricerca, e
per certuni fantasiosi perfino l’invenzione decorativa, degli episodi
meravigliosi e miracolosi. Ripeteremo intanto ciò che di lui è stato
detto: egli fu straordinario nell’ordinario. Cioè la sua
personalità sacerdotale ci si presenta nel profilo comune del buon
prete di quel tempo e di quell’ambiente; e questo giudizio torna a
grande lode della formazione ecclesiastica allora vigente (e tuttora
degna d’alto apprezzamento), se essa sapeva modellare,
nell’osservanza regolare e fervorosa della norma canonica, come tipo
ordinario un prete straordinario, un santo. Si rivendica così la
sapienza della pedagogia ecclesiale Post-tridentina, alla San
Carlo, alla «San Sulpizio» dell’Olier (il Murialdo fu ospite
di S. Sulpizio a Parigi per un certo tempo), nella quale pedagogia
l’equilibrio, anzi la complementarietà, della vita interiore e della
vita esteriore è preziosa caratteristica; né l’una, né l’altra
proclive a singolarità carismatiche, ascetiche, o pastorali, ma
l’una e l’altra forti, serie, perseveranti, e improntate non tanto
all’affermazione della propria personalità, quanto piuttosto alla
propria austera abnegazione nell’amore a Cristo e nell’umile
conformità alla disciplina canonica.
Ma questa ricerca di normalità non sarà mai priva dell’originalità
delle anime vive; basti ricordare quanto intensa fosse la sua
spiritualità, e come le sue devozioni, cioè le espressioni preferite
della sua religiosità, fossero rivolte con un fervore tutto personale
alle verità somme e centrali della fede: la Santissima Trinità,
l’Eucaristia, la Croce, lo Spirito Santo, la Chiesa, la
Madonna, e con lei S. Giuseppe (che dà il nome alla
Congregazione dei Figli del Murialdo)...
E per portare con noi un frammento di questa santità così semplice,
così vera, così silenziosa e così feconda, e per sentirlo il
Murialdo non solo vivo e glorioso in Cielo, ma nostro compagno e
nostro modello nel pellegrinaggio sulla terra e nel tempo, ci fermeremo
a queste sue parole, quasi a commiato, nell’ammirazione e nella
fiducia per la sua santità:
«Non rendere - egli ebbe a dire - la religione o solamente
soprannaturale, o solamente umana. Ma soprannaturale e umana. Alla
virtù aggiungi la bontà, la dolcezza, lo spirito di amicizia, la
naturalezza, la disinvoltura, la festevolezza . . .»
(CASTELLANI, II, 756).
Sembra a Noi di vederlo, di ascoltarlo; e di averlo ancora con noi,
San Leonardo Murialdo: vicino. Così sia.
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