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7 marzo 1975
Fedeltà alla propria vocazione cristiana e coerente testimonianza
dell'appartenenza alla Chiesa: questi i punti che il Santo Padre ha
indicato come frutti spirituali fondamentali del Giubileo, parlando
nel pomeriggio di ieri, dopo il Vangelo, ai dipendenti del
Vaticano, convenuti insieme con i familiari nella Basilica di San
Pietro per celebrare solennemente, in forma comunitaria, l'Anno
Santo. Paolo VI manifesta anzitutto la sua gioia per lo speciale
incontro, che ha dato la dimostrazione anche fisica dell'unione delle
menti e dei cuori di quanti operano quotidianamente a contatto così
stretto con la Sede Apostolica.
«Se la celebrazione del Giubileo non ci avesse procurato che la
singolarità di questo incontro, noi dovremmo dircene felici e
benedirne la memoria. Ecco: siamo insieme, come non mai. Noi
lavoriamo insieme; noi apparteniamo a questo organismo, che nel
linguaggio comune chiamiamo Vaticano; e quasi non ci conosciamo;
ognuno compie l'opera che gli è affidata, senza che vi sia fra noi
altro rapporto che quello professionale; abbiamo la vaga idea d'essere
parte d'un tutto, ma questo, per lo più ci resta estraneo, ci resta
ignoto; siamo come singoli artisti di un'orchestra; ciascuno esegue
la propria parte, ma il senso del concerto sembra spesso che non ci
riguardi; siamo singoli esecutori d'una nostra piccola nota, ma il
risultato dell'armonia totale, a cui diamo il nostro concorso, spesso
ci sfugge, spesso non ci interessa. In questo momento no; noi ci
vediamo insieme, e, quasi sconosciuti gli uni agli altri, noi ci
sentiamo insieme; una profonda unità ci unisce, un solo spirito ci
dà il senso dell'animazione originale propria del nostro complesso
sociale: noi preghiamo insieme! noi non siamo un semplice corpo di
gente legata da rapporti esteriori; noi siamo, in questo momento,
"un cuore solo e un'anima sola"(Cfr. Act. 4. 32)».
Sulla tomba di San Pietro e vicini al Papa - prosegue Paolo VI
- sentiamo di essere fratelli, di avere uno spirito comune,
sentimenti uguali e tutti concorrenti verso uno scopo, quello di
celebrare bene il Santo Giubileo che la Chiesa ha annunciato per
quest'anno al mondo. Il Santo Padre si sofferma poi ad illustrare
il significato dell'Anno Santo, di una celebrazione così
impegnativa. Ci chiama tutti e tutti ci vuole presenti non solo con un
atto di ossequio esteriore, ma con un atto di adesione interiore. Ci
vuole col cuore, ci vuole con lo spirito, ci vuole con l'anima.
Perché il Giubileo? La risposta non avrebbe fine, perché tocca
tanti lati di questa manifestazione che ci farebbero rincorrere le
memorie del passato, ci farebbero studiare il momento presente della
nostra vita religiosa, ci farebbero segnare il confronto fra noi e
quelli che da noi sono distinti: non soltanto separati perché non
appartengono a questa comunità, ma separati col cuore, con l'anima.
Non siamo in una società che ci favorisce, che ci aiuta, che
facilita l'adesione alla nostra professione religiosa. Siamo
piuttosto invitati ad essere ciascuno un'anima, ciascuno un cuore,
ciascuno un professionista della propria convinzione spirituale e
religiosa, ciascuno un aderente convinto, volontario, disposto anche
a combattere spiritualmente per la difesa di questa sua appartenenza.
Questo elemento non favorevole della società presente, che ci isola
quasi, che ci distingue e ci rimprovera di essere collegati con una
tradizione che l'opinione pubblica a volte dice superstite e in via di
spegnersi, ci induce invece a una maggiore energia, a una maggiore
convinzione, a un maggiore proposito. Il Giubileo deve essere per
noi una revisione generale, religiosa della nostra adesione alla fede
di Cristo e alla sua Chiesa. Se noi confrontiamo la nostra adesione
con quella che dovrebbe essere, troviamo delle differenze. Abbiamo
assorbito anche noi l'atmosfera del nostro tempo, e anche nel suo
aspetto positivo, della ricchezza immensa delle sue manifestazioni:
non c'è lato della vita, non c'è aspetto dell'attività dell'uomo
che non abbia avuto nel mondo moderno un'espansione enorme,
interessantissima. Il fascino di questa ricchezza della nostra
civilizzazione ci incanta, ci attrae, ci suggerisce di fermarci senza
cercare ancora, di limitarci alla vocazione che chiamiamo temporale,
esteriore.
Siamo tentati di ritenere, osserva Paolo VI, che non ci sia
bisogno di andare oltre questa realtà. Così, quello che è il lato
più bello della vita moderna, costituisce nello stesso tempo il
pericolo, la tentazione. Sembra che non ci sia il bisogno di cercare
altre cose, specialmente quelle che superano la scena che abbiamo
davanti, che non ci sia il bisogno di religione, cioè di cercare al
di là nella trascendenza, che è poi misteriosa e inafferrabile.
Nessuno, dice la stessa Scrittura, ha mai visto Iddio. Siamo
tutti attratti dalla tentazione di una fermata nella peregrinazione del
nostro cammino. Vorremmo che la vita presente fosse ferma e perenne;
nessuno vorrebbe morire. La chiamata cristiana, la nostra vocazione
religiosa resta quasi vanificata, da alcuni trascurata, da altri
addirittura impugnata con una sottigliezza di ragionamenti che sembrano
speciosamente validi e che ci tradiscono.
Fermiamoci: è questa la parola incantatrice, la parola che può
essere traditrice - esclama il Papa -. Ma noi non cediamo a questa
seduzione, a questa attrattiva immobilizzante e mortificante.
Guarderemo di gustare la scena del mondo e di ammirarne le espansioni,
le nuove espressioni, di usare bene delle sue conquiste e delle sue
invenzioni, ma avremo un'anima così grande, così esigente, così
prepotente che dirà: non basta. Sopra la manifestazione temporale
c'è un'esigenza che vuole andare al di là. Siamo fatti non
soltanto per tutto quello che è misurato, che è materiale, che si
svolge sotto i nostri occhi, ma per qualcosa che trascende. Citando
la frase di Sant'Agostino Fecisti nos Domine ad te inquietum est
cor nostrum donec requiescat in te, il Papa aggiunge: non avremo mai
pace nel nostro spirito finché non avremo fatto almeno lo sforzo, il
tentativo ansioso, come un volo che va verso il cielo, di conquistare
l'infinito. Dio è il mistero che riposa sopra i nostri destini. Il
Signore ci ha così compaginati, ci ha dato l'intelligenza, il
cuore, ci ha dato bisogni, dolori e speranze per stimolarci a
camminare verso di lui. Tutto può essere scala che sale se noi non ci
fermiamo; altrimenti siamo dei mancanti, dei disertori della nostra
vera finalità.
Il Giubileo ci ricorda che dobbiamo orientare decisamente la nostra
vita verso quello che abbiamo accettato e che non ci dobbiamo limitare a
soddisfare con un'osservanza consuetudinaria. Se il navigante getta
via la bussola, sembra che possa continuare a navigare ugualmente,
anzi può sembrare che la nave vada anche più veloce, abbandonandosi
ai venti che tirano. Sembra di essere liberi mentre si è obbligati
proprio dalle tempeste che infuriano attorno. Così, nella nostra
vita, è indispensabile la parola che orienta, il principio superiore
che governa il nostro operare e dà un senso, una ragione, uno scopo,
un valore, una trascendenza al nostro esistere. Dobbiamo avere una
bussola che ci orienta verso quel porto che si chiama Dio. Nel
Giubileo dobbiamo vedere una chiamata a un controllo, ad un'inchiesta
su noi stessi, sulla nostra fedeltà, sulla nostra coerenza, sulla
rispondenza della nostra vita alla nostra fede. Ciascuno di noi è
manchevole. Ciascuno di noi deve confrontarsi con quello che proclama
il Vangelo: Amerai Dio con tutte le tue forze, con tutto il tuo
cuore, con tutto il tuo slancio, sarai in una tensione che deve
superare le attrazioni anche buone, anche belle, anche legittime della
vita presente. Siamo consapevoli delle nostre manchevolezze. Chi ha
la coscienza più sensibile, e sono i santi, piange di più, si
accusa di più, sente quasi un bisogno incontenibile di rimediare, di
far penitenza, di riparare.
Sua Santità pone l'accento sull'importanza della contrizione,
della revisione di vita, di una rettifica del proprio modo di pensare,
di vivere. Dite io sono cristiano, provate a lasciar echeggiare nella
vostra anima - Egli esorta - questa parola e sentirete grandeggiare
il vostro spirito. Cristiano vuol dire che sono stato elevato al
livello di figlio di Dio, sono diventato l'erede di un patrimonio
infinito. Dio mi ha amato, per il fatto che mi ha dato la vita, il
Battesimo, che mi ha messo nella Chiesa, mi ha circondato da tante
circostanze che mi obbligavano a rispondere al suo amore. Siamo
disposti a rispondere così? Questo è il Giubileo. Dobbiamo
rettificare i nostri pensieri, la concezione della nostra vita. E
ciò non per disprezzare o per svalutare quella che viviamo nel tempo e
nelle nostre professioni profane. Anzi vogliamo infondere in esse un
senso che le nobilita e le rende oneste. Vogliamo che siano illuminate
e dirette dalla luce superiore che si chiama la fede. «Iustus ex fide
vivit»: l'uomo perfetto, l'uomo buono vive di fede. Non soltanto
«cum fide», ma «ex fide»: trae dalla fede vita, e non perché
pratica qualcosa cui la sua appartenenza alla Chiesa lo obbliga, ma
perché sente fluire dalla fede non soltanto un giogo che pesa,
comandamenti difficili, i «no» dei dieci comandamenti, ma quello che
è sostanziale nella vita religiosa, il torrente della bontà di Dio,
l'amore che viene e l'energia di corrispondere ad esso, sente
un'anticipata felicità di essere cristiano.
Siate fedeli, e non soltanto a parole, ma perché amate il Signore,
perché volete vivere questa fede che anticipa nel tempo le promesse e i
godimenti della vita eterna. Siate fedeli soprattutto nel vostro
cuore, nella vostra convinzione. Rifate il focolare interiore dei
vostri sentimenti religiosi. Abbiate il senso di Dio che accompagna
le vostre azioni. Sentite che le esigenze della fede sono doni, sono
inviti a un'espansione, a una pienezza di bontà che ci rende per
quanto possibile in questa vita felici interiormente. Ed esteriormente
date testimonianza. Non vergognatevi mai di essere figli della Chiesa
al suo servizio, di dirvi cristiani. In famiglia portate amore,
portate pazienza, portate gioia, fate vivere nella gioia, dite ai
vostri figli che è bello essere cristiani, essere in pace con Dio,
fare del bene agli altri. Abbiate preferenza per le opere buone. Che
non passi giorno senza che abbiate fatto un'opera buona. Date
l'esempio. L'esempio sia la vostra testimonianza che siete
cristiani. Documentate con onestà, con rettitudine la vostra vita,
con la semplicità dei vostri costumi, con la gentilezza dei vostri
rapporti che cosa vuol dire avere un'educazione realmente cristiana.
E traete questa ispirazione che diventa poesia, gioia, bellezza,
pace, nella vita vissuta in questa terra così piena di travagli e di
dolori. Siate cristiani anche nella vita esteriore e date
testimonianza con la vostra esistenza che siete a Cristo, alla Chiesa
fedeli.
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