|
Domenica, 16 maggio 1971
Il momento di religiosa riflessione, che la celebrazione del rito
sacro a Noi concede, è innanzi tutto rivolto a definire lo scopo di
questa solenne e semplice cerimonia.
Lo scopo, voi lo sapete, è commemorativo. Noi vogliamo cioè
insieme ricordare un avvenimento, che ebbe a suo tempo ed in quello
successivo grande importanza; vogliamo dire la pubblicazione da parte
del Nostro sempre venerato e grande predecessore, Papa Leone
XIII, di un documento ufficiale e di carattere universale, cioè
di una Lettera Enciclica, riguardante le condizioni sociali di quel
tempo, di ottanta anni fa, e più precisamente la «questione
operaia», cioè il genere di vita economica, morale, sociale,
riservato allora ai lavoratori, dopo il primo periodo
dell’applicazione della macchina industriale nel campo del lavoro. Si
moltiplicò la produzione e la ricchezza da un lato, si creò una
moltitudine di lavoratori, poveri e soggetti, dall’altro; si
delinearono in forma nuova le classi della società, divise ed opposte
da enormi sperequazioni economiche; si polarizzò intorno a due
termini, capitale e lavoro, questa paradossale situazione,
l’associazione necessaria, cospirante ad un’opera comune, la
produzione, e la dissociazione degli animi e degli interessi fino alla
lotta sistematica fra coloro ch’erano impegnati nel fatto produttivo,
creando così una società stretta allo stesso tempo ad una inevitabile
collaborazione ed a un inevitabile conflitto. Il Papa vide allora due
fenomeni salienti: vide che questo spontaneo statuto fondamentale della
nuova società in via di formazione, uno statuto di lotta permanente e
quindi di avversione congenita tra i membri d’uno stesso popolo, era
sbagliato rispetto all’armonia, alla concordia, all’equilibrio,
alla pace, che devono fare la sua vitalità e la sua felicità; e vide
che questo stato di cose comportava per ciò stesso qualche radicale
ingiustizia, e soprattutto non solo tollerava, ma spesso imponeva
all’immensa classe dei lavoratori condizioni inumane di vita,
incalcolabili disagi e sofferenze, disuguaglianze inique rispetto ai
comuni diritti, una specie di condanna a un genere di vita umiliante e
privo di libertà e di speranza.
PAROLA LIBERATRICE E PROFETICA
E perciò parlò. La Chiesa e il Papa stesso avevano già altre
volte denunciato gli errori sociali, di idee specialmente, che
venivano generando nei tempi nuovi, quelli appunto del lavoro
industriale, gravi inconvenienti; ma quella volta la parola fu più
forte, più chiara, più diretta; oggi possiamo dire fu liberatrice e
profetica.
Ed ecco allora un secondo scopo di questa cerimonia; essa vuol essere
non soltanto commemorativa, ma anche giustificativa. Perché il Papa
parlò? Ne aveva il diritto? Ne aveva la competenza? sì,
rispondiamo, perché ne aveva il dovere. Qui si tratterebbe di
giustificare questo intervento della Chiesa e del Papa nelle questioni
sociali, che sono di natura loro questioni temporali, questioni di
questa terra, dalle quali sembra esulare la competenza di chi trae la
sua ragion d’essere da Cristo, che dichiarò il suo regno non essere
di questo mondo. Ma, a ben guardare, non si trattava per il Papa
del regno di questo mondo, diciamo semplicemente della politica; si
trattava degli uomini che compongono questo regno, si trattava dei
criteri di sapienza e di giustizia che devono ispirarlo; e sotto questo
aspetto la voce del Papa, che si faceva avvocato dei poveri,
costretti a rimanere poveri nel processo generatore della nuova
ricchezza, degli umili e degli sfruttati, non era altro che l’eco
della voce di Cristo, il quale si è fatto centro di tutti coloro che
sono tribolati ed oppressi per consolarli e per redimerli; della voce
di Cristo che proclamò beati i poveri e gli affamati di giustizia, e
che volle personificarsi in ogni essere umano, piccolo, debole,
sofferente, disgraziato, assumendo sopra di sé il debito di una
ricompensa smisurata per chiunque avesse avuto cuore e rimedio per ogni
sorta di umana miseria.
DIRITTO-DOVERE FORTE ED URGENTE
Il che vuol dire un diritto-dovere del Papa, che rappresenta
Cristo, della Chiesa tutta, ch’è pure il Corpo mistico di
Cristo, anzi d’ogni autentico cristiano, dichiarato fratello d’ogni
altro uomo, di occuparsi, di prodigarsi per il bene del prossimo;
diritto-dovere tanto più forte ed urgente quanto più grave e pietosa
è la condizione del prossimo nel bisogno.
E vuol dire ancora che la Chiesa, nei suoi ministri e nei suoi
membri, è l’alleata per vocazione nativa dell’umanità indigente e
paziente; perché la salvezza di tutti è la sua missione, e perché
tutti hanno bisogno d’essere salvati; ma la sua preferenza è per chi
ha bisogno, anche nel campo temporale, di essere aiutato e difeso.
Il bisogno umano è il titolo primario del suo amore. Povera
normalmente essa stessa, la Chiesa, amando e soffrendo insieme con
gli affamati di pane e di giustizia, trova in qualche modo in se stessa
la prodigiosa virtù di Gesù che moltiplicò i pani per la folla e
svelò la dignità d’ogni vivente per misero e piccolo che questi
fosse. E trova le parole gravi e talvolta minacciose, anche se sempre
materne, per i ricchi e per i potenti, quando la indifferenza,
l’egoismo, la prepotenza fanno loro dimenticare la fondamentale
eguaglianza e l’universale fratellanza degli uomini, e consentono loro
di confiscare a proprio esclusivo profitto i beni della terra,
specialmente se questi sono frutto dell’altrui sudore e dell’altrui
sacrificio.
Vi sarebbero molte cose da dire e da spiegare a questo riguardo circa
la fedeltà o l’inadempienza degli uomini di Chiesa a questo
riguardo; ma ora basta a noi raccogliere la testimonianza del grande
documento, che da ottanta anni grida nella storia moderna questo
messaggio di giustizia sociale e di umano dovere, e lo grida con
perseveranza, con operosità, con amore, e lo fa echeggiare nelle
pagine dell’ultimo Concilio, nel quale l’unica gloria terrena che la
Chiesa rivendica a sé è quella di servire gli uomini, che essa
sola, a bene osservare, con titolo inoppugnabile proclama fratelli.
LA CHIESA SEMPRE MADRE E MAESTRA DEI
LAVORATORI
Notiamo così un altro scopo di questa commemorazione, ed è quello di
continuare. Di continuare, diciamo, nell’affermazione della scuola
sociale cattolica. La inesauribile fecondità dei principi.
teologici, filosofici, antropologici, dai quali trae la sua sorgente
e la validità del suo insegnamento, l’imperativo evangelico e storico
della sua tradizione, la formidabile tempesta di teorie, di
ideologie, di fatti sociali e politici dalla quale siamo avvolti e
investiti, la persistenza, anzi la recrudescenza e l’insorgenza di
gravi problemi sociali, e, non fosse altro, la ammissione del
pluralismo delle opinioni e dei sistemi in vista della sempre dinamica
formazione d’un progressivo ordine sociale, autorizzano la Chiesa e
obbligano i suoi figli cattolici a interloquire con una loro propria
dottrina sociale moderna, che alla luce di eterne e sempre vive verità
sappia interpretare le esperienze dei tempi nuovi nel senso della difesa
e della promozione dell’uomo incamminandolo verso i suoi veri destini
temporali ed eterni.
Continuare. È ciò che Noi abbiamo, con ben più modesta parola,
cercato di fare riascoltando quella che, or sono ottanta armi, Leone
XIII annunciava alla Chiesa ed al mondo, mediante la Nostra
Lettera Apostolica, ieri pubblicata e indirizzata al Card. Roy,
Presidente del Consiglio dei Laici e della Commissione Pontificia
per la Giustizia e la Pace, vale a dire a questi nuovi organi della
Chiesa per la diffusione universale e apostolica della dottrina
cattolica in materia sociale. Sono semplici pagine aperte alla vostra
riflessione specialmente, cari Lavoratori cristiani, affinché
abbiate qualche buona e meditata indicazione per il vostro cammino
onesto e legittimo verso le nuove conquiste alle quali aspirate;
affinché abbiate fiducia nella Chiesa non solo come guida che talvolta
interviene nella disputa dei vostri problemi per preservarvi da facili e
seducenti illusioni, o da pause di amarezza e di scoraggiamento, ma
davvero, come Madre e Maestra, per sostenervi, per incitarvi, per
difendervi, per rendervi capaci di conseguire conquiste di carattere
economico, ma di carattere veramente umano, spirituale e religioso: e
finalmente affinché non abbiate a credere né superato, né
inefficiente, né bisognoso d’equivoche integrazioni il nome
cristiano, che vi qualifica e vi onora. Fedeltà, fiducia, unione,
sia questa la nostra celebrazione della «Rerum novarum», nel
progresso dell’opera e nella letizia della speranza.
|
|