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Domenica, 17 marzo 1974
Uno stile di vita profondamente rispondente al Vangelo e uno sforzo
generoso per costruire una vera comunità ecclesiale: questo Paolo
VI ha raccomandato a quanti hanno preso parte alla Stazione
Quaresimale di ieri, domenica 17 marzo, nella parrocchia di S.
Maria Ausiliatrice al Tuscolano. Parlando ai fedeli dopo il
Vangelo, il Santo Padre anzitutto rivolge il suo saluto al
Cardinale Vicario Poletti, al Vescovo Ausiliare Mons.
Terrinoni, a tutto il clero e in modo particolare al parroco Don
Giovanni Sansoé, nonché ai superiori salesiani, al piccolo clero,
alle comunità religiose della parrocchia («le brave, le buone suore
che danno la loro vita e il loro esempio alla comunità, e assistono
tanta gioventù»), a tutti i presenti.
S. Maria Ausiliatrice al Tuscolano è una parrocchia
«importante», anche per il grande numero dei fedeli che la
compongono.
Il Papa vi si è recato come Vescovo di Roma per portare a tutti la
testimonianza del suo affetto e la sua benedizione. «Sono vostro
Vescovo, sono Vescovo di Roma, e cioè ciascuno di voi ha diritto
di chiedere a me tutto quello che io posso dare del mio ministero,
della mia vita stessa, poiché io appartengo alla vostra comunità e a
ciascuna delle vostre anime. E voi siete miei, io vi posso chiamare
tutti fratelli e figli. E per questa parentela saluto tutti e vorrei
che nessuno si sentisse dimenticato, perché siete tutti nel mio
cuore».
Commentando gli episodi evangelici letti poco prima, Paolo VI
sottolinea un concetto: quello della penitenza. «Preme alla Chiesa
e preme a Cristo - egli spiega - che facciamo penitenza. È una
parola difficile, che può risultare antipatica, che spaventa e
provoca quasi soggezione e diffidenza. Che cosa voleva dire il
Signore quando, andando per le strade della Galilea e di
Gerusalemme, raccomandava e predicava ai suoi uditori la penitenza?
Due cose, principalmente. Anzitutto, l’orientamento della nostra
vita. Dobbiamo scegliere la nostra strada. La maggior parte degli
uomini non si pone nemmeno questo problema. A che serve la mia
esistenza? Dove sono incamminato? Dove devo dirigermi? Se un uomo
vuol compiere qualcosa nella vita, deve fare la sua scelta. Invece
andiamo avanti ad occhi chiusi, a caso, e non ci poniamo questo
problema fondamentale. E il Signore ci dice: mettetevi sulla strada
buona. Il Vangelo ci dice: convertitevi, cioè prendete la
direzione giusta, guardate di scegliere la strada che conduce alla
meta. Non vivete a caso, abbiate il senso della vita, abbiate la
sapienza che deve dirigere i vostri passi. Come uno che cammina nella
notte non può andare se non ha una lampada, se non ha un lume che gli
rischiari il sentiero, così dobbiamo essere noi. E Gesù ci dice
questa cosa semplicissima, ma fondamentale e tante volte dimenticata:
scegliete la strada. E in altra pagina del Vangelo dirà: Sono io
la via, sono io la strada, dovete scegliere me, perché io sono la
strada che conduce alla vera esistenza: io posseggo il senso della
vostra vita, io vi posso dire perché e come si deve vivere. È un
problema centrale, che la Chiesa ritorna anno per anno a proporci e ci
dice: convertitevi, cioè rettificate il vostro cammino».
In secondo luogo, penitenza significa una disciplina, una regola, un
ordine, uno stile di vita che deve dirigere i passi. Non si può
camminare disordinatamente. Bisogna essere padroni del proprio cammino
e del proprio modo di comportarsi sulla strada che si è scelta.
«Questo vuol dire fare penitenza. So che specialmente questo secondo
precetto adesso non è ascoltato volentieri, non è colto bene
dall’opinione pubblica e dal modo di pensare moderno. Non si vogliono
maestri, non si vogliono superiori, non si vogliono guide. Si vuole
sostituire ad essi il proprio istinto, il proprio capriccio, la
propria passione. Questo è sbagliato. Bisogna dare alla propria
vita lo stile che il Signore vuole. L’uomo è un essere complesso,
con i suoi capricci, con i suoi sensi, con la sua impressionabilità;
si sente attratto di qua e di là e disperde il suo tempo, passano gli
anni e consuma le sue forze per niente, e tante volte contro di sé,
perché ha voluto scegliere ciò che più gli piaceva. Ma è la
verità, dice il Vangelo, che vi farà liberi. Dobbiamo scegliere
la verità, cioè quello che il Signore ci ha insegnato, per dare
alla nostra vita la sua guida».
«Sappiamo di essere - prosegue Sua Santità - degli esseri
infermi, che hanno subito, senza volerlo, ereditandolo, il malanno
del peccato originale. Siamo degli esseri indisciplinati. Dobbiamo
imprimere alla nostra vita una disciplina, un ordine. Dobbiamo far
presiedere alla nostra esistenza un pensiero, una sapienza. Dobbiamo
essere padroni di noi. E per conseguire questa padronanza occorre la
penitenza. Dobbiamo privarci di ciò che ci porta al male e al
peccato, moderare certe passioni che ci portano a perdere di vista i
fini maggiori e minori. Dobbiamo dare alla nostra vita quello stile
superiore che al grado sublime si chiama santità. Una volta i
cristiani si qualificavano proprio con questo nome: i santi, coloro
che vivevano in grazia di Dio e secondo la parola di Dio. Questa è
la nostra strada, la nostra legge. Cerchiamo di essere autentici
cristiani, di farci dirigere, dalla parola e dalla sapienza di Dio,
ad accettare le imposizioni, le mortificazioni, la croce se è
necessario, per essere fedeli alla scelta che deve presiedere alla
nostra vita».
Infine Paolo VI, nel sottolineare la bellezza e la vastità della
chiesa parrocchiale, così maestosa, solenne e solida, suggerisce ai
presenti un ultimo spunto di meditazione. «Avete costruito il tempio
materiale; costruite la Chiesa viva. La Chiesa siete voi; questo
tempio è soltanto l’ambiente che la raccoglie. Dovete costruire la
vostra comunità come una unità che ha al suo centro il parroco e
coloro che presiedono al vostro bene spirituale. Dovete lasciarvi
penetrare da questo senso di unità, di comunione, che in linguaggio
evangelico si chiama essere fratelli, che vuol dire volersi bene,
aiutarsi, avere il senso della giustizia e dell’armonia fra quanti
compongono una data società. Non siete una società anonima e
dispersa, siete una famiglia, un corpus, un’unità».
«Avete sentito il mese scorso - aggiunge Paolo VI – che Roma è
stata tutta interessata dalla Settimana promossa dal Cardinale
Vicario per la giustizia e per il bene comune della comunità
ecclesiale. Voi siete una porzione di questa comunità e dovete
sentire questo senso di solidarietà, di amicizia, di fraternità, di
volersi bene, di perdonarsi, di aiutarsi, di essere felici, di
essere in tanti, di essere insieme, di celebrare insieme, di cantare
insieme, di vivere cristianamente insieme. Questo senso della
“ecclesia”, della Chiesa, che vuol dire Assemblea, deve essere
profondamente trasfuso nei vostri spiriti, specialmente nella
gioventù, nei ragazzi, nella generazione che cresce. Che senta la
fortuna di avere questa casa spirituale come ha una casa per la propria
famiglia naturale. Qui sono le anime che si fondono insieme, sono i
cuori che cantano insieme, sono le labbra che pregano insieme. È
l’unità di Cristo che viene a trasfondersi e a fare di noi una cosa
sola, un corpo solo. Noi diventiamo il Corpo Mistico di Cristo se
costruiamo nella fede e nella carità questo senso di unità e di
collaborazione di amore che deve distinguere la Chiesa cattolica
proprio come una religione di Dio e dell’uomo».
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