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Domenica, 24 settembre 1972
Questa vostra religiosa e festosa presenza nella nostra Basilica
Vaticana, carissimi Ceciliani, è per noi motivo di grande conforto
e di rinnovata speranza. Avete voluto che il vostro Congresso
straordinario fosse coronato da questa celebrazione eucaristica,
accompagnata dal fervore della vostra pietà e delle vostre molteplici
voci, qui sulla tomba del Principe degli Apostoli, in comunione di
fede e di carità con l’umile Vicario di Cristo.
Ve ne siamo grati, figli carissimi. Il Nostro ringraziamento va
anzitutto al benemerito Presidente dell’Associazione Italiana S.
Cecilia, Monsignor Antonio Mistrorigo; vogliamo poi ringraziare
gli altri dirigenti dell’Associazione, particolarmente Monsignor
Ernesto Moneta Caglio, che delle scholae cantorum, indispensabile
mezzo di animazione del canto nelle cattedrali come nelle più piccole
comunità parrocchiali, è zelante promotore e accorto sostenitore.
Né dimentichiamo gli illustri Maestri qua convenuti da ogni parte
d’Italia, i dirigenti dei Segretariati, i partecipanti tutti a
questa festa della Musica sacra, tanto necessaria per la celebrazione
veramente degna della Liturgia.
LE MIRABILI COMPOSIZIONI DI UN GRANDE
GENIO
Vogliamo ora dirvi una parola di plauso e di riconoscenza per il fatto
che il vostro Congresso intende commemorare il centenario della nascita
del grande, indimenticabile Monsignor Lorenzo Perosi, Maestro
Direttore Perpetuo della nostra Cappella Sistina.
Questo centenario cade in un momento molto importante per la Chiesa.
Il Maestro Perosi è stato, con la sua meravigliosa vena musicale,
il fulcro del rinnovamento liturgico promosso dal nostro Predecessore
san Pio X. Fu Monsignor Perosi, che con le sue mirabili
composizioni e con l’influsso del suo genio riportò la musica sacra ad
essere espressione sincera e degna del culto divino, liberandola da un
certo decadentismo, che in alcuni casi l’aveva colpita nel periodo a
lui immediatamente precedente.
Perosi seppe attuare alla perfezione la linea direttiva che san Pio X
esprimeva nel Motu proprio «Tra le sollecitudini», con queste
parole: «La musica sacra deve . . . possedere nel grado migliore
le qualità che sono proprie della liturgia, e precisamente la
santità, la bontà delle forme e . . . l’universalità» (Tra le
sollecitudini, 2).
Nel rinnovamento liturgico, voluto dal Concilio, a noi pare che
Lorenzo Perosi abbia ancora qualcosa da dire ai cultori della musica
sacra. E anzitutto questo: il culto del Signore, le sante parole
che velano il «mistero», e pur rivelano, in qualche modo, le
tremende affascinanti realtà soprannaturali, devono essere rivestite
di forme musicali perfette, quanto è possibile ad una creatura. Il
genio è dono di Dio; e Dio distribuisce i suoi doni secondo la sua
volontà. Ma anche quando la mente umana non può assurgere a quel
supremo fastigio, non si può né si deve trascurare sforzo alcuno per
raggiungere quella perfezione di forme e di sacralità, che conviene
alla musica di chiesa. Inoltre, è necessario che il musicista,
nella ricerca di nuove espressioni, tenga conto del momento della
celebrazione, del luogo sacro, dell’assemblea, della maestà divina
a cui si rivolge e per cui scrive il suo brano musicale, e insieme
delle tradizioni della Chiesa, della quale Lorenzo Perosi fu un
servo buono e fedele, consacrando ad essa tutta la sua vena artistica e
tutta la sua vita.
Ecco perché Ci sembra doveroso che la Chiesa ricordi solennemente
questo suo sacerdote e proponga la sua arte, il movente della sua
ispirazione musicale, la sua dedizione, alla attenta riflessione di
quanti oggi mettono i propri talenti artistici al servizio del Culto
divino.
IL CANTO DEL POPOLO NELLA CELEBRAZIONE
DEI SACRI MISTERI
Fin dagli inizi del nostro servizio pontificale, e particolarmente da
quando abbiamo messo mano all’attuazione della riforma liturgica, non
solo nei documenti ufficiali, nelle Istruzioni, nelle norme dei nuovi
libri liturgici, ma anche nei nostri colloqui con le varie categorie
del popolo di Dio, non abbiamo lasciato passare occasione per
raccomandare l’impegno di promuovere con tutti i mezzi il canto del
popolo nella celebrazione dei sacri misteri: esortazione che abbiamo
rivolto in particolare ai nostri fratelli nell’Episcopato, alle
Commissioni liturgiche, alle associazioni di musica sacra, alla
vostra stessa Associazione, alle scholae cantorum e alle Cappelle
Musicali, ai pueri cantores.
Ma oggi non possiamo non rinnovare questo invito dinanzi ad una
assemblea così cospicua di cultori della musica sacra.
È un’esigenza dell’uomo portare nel culto del Signore il meglio di
sé e dire a Lui il proprio amore con tutte le facoltà personali.
Ora, la vita è piena dell’espressione gioiosa del canto. Lo
osservava già amabilmente S. Giovanni Crisostomo: «Cantano le
madri, prendendo in braccio i bambini per addormentarli dolcemente;
cantano i viaggiatori . . . sotto il sole cocente; canta
l’agricoltore quando coltiva la vite, vendemmia o pigia l’uva o a
qualunque altro lavoro si dedichi; cantano i naviganti affondando i
remi nell’acqua; . . . cantano da soli o in coro, proponendosi di
alleviare con il canto la fatica; e l’anima, grazie al canto,
sopporta le più dure sofferenze» (Cfr. S. IOAHN.
CRHYS. Expos. in Ps. 41, 1: PG 55,
156-157). Il canto, che risuona con tanta frequenza sulle
labbra umane nei momenti lieti e tristi della giornata, non dovrebbe
anche sostenere il cristiano nella celebrazione dell’opera in cui «si
compie la nostra salvezza»?
Il canto è un’esigenza dell’amore e lo manifesta. Sentite come ne
parla Sant’Agostino: «il canto viene dall’allegria, ma se
osserviamo più attentamente, dall’amore: canticum res est
hilaritatis, et si diligentius consideremus, res est amoris» (S.
AUG. Sermo 34, 1: PL 38, 210), e ancora: «cantare
et psallere negotium esse solet amantium: cantare e salmeggiare è
proprio di chi ama» (Sermo 33, 1: PL 38, 207).
LINGUAGGIO DI AMORE NEI FEDELI
Segno naturale dell’amore, il canto ha quindi un posto insostituibile
nel culto cristiano, che è servizio di carità: di quell’amore nel
quale, come abbiamo ricordato nell’orazione della S. Messa, «è
posto il fondamento di tutta la legge». Poiché de illo quem amas
cantare vis (S. AUG. Sermo 34, 6: PL 38, 211), il
nostro amore per Iddio si esprime anche nel canto. Amore e lode si
richiamano a vicenda come dice ancora Sant’Agostino: «amare e
lodare; lodare nell’amore; amare nella lode: amare et laudare;
laudare in amore: amare in laudibus» (Cfr. ID. Enarr. in Ps.
147, 3: PL 37, 1916).
Ma il canto manifesta e fomenta anche l’amore tra i fratelli. Nel
canto si forma la comunità, favorendo con la fusione delle voci,
quella dei cuori, eliminando le differenze di età, di origine, di
condizione sociale, riunendo tutti in un solo anelito nella lode a
Dio, creatore dell’universo e Padre di tutti. Per questo il
Concilio raccomanda che «si incrementi con ogni cura il canto
religioso popolare, in modo che le voci dei fedeli possano risuonare .
. . tanto nei pii esercizi, quanto nelle azioni liturgiche»
(Sacrosanctum Concilium, 118). Infatti, la Liturgia è
azione di tutta la Chiesa, sacramento di unità, ossia popolo santo
riunito e ordinato sotto l’autorità dei legittimi pastori (Cfr.
Ibid. 26). Essa appartiene a tutto il corpo ecclesiale, e
perciò l’obiettivo fondamentale della riforma liturgica è la
partecipazione attiva dei fedeli nel culto dovuto e reso al Signore.
Elemento tra i più indispensabili per raggiungere questa meta è
appunto il canto comunitario. Il canto del popolo deve, perciò,
ritrovare tutta la sua forza e stare al primo posto. Purtroppo, non
sempre è dato di vedere Io spettacolo meraviglioso di tutta
un’assemblea pienamente attiva nel canto: «Troppe bocche rimangono
mute, senza sciogliersi nel canto - dicevamo ai partecipanti alla IX
Rassegna delle Cappelle Musicali -. Troppe celebrazioni liturgiche
rimangono prive di quella mistica vibrazione, che la musica
autenticamente religiosa comunica alle anime aperte e sensibili dei
fedeli» (Discorso ai partecipanti alla IX Rassegna delle Cappelle
Musicali, 14 aprile 1969).
ESSERE LA LODE DI DIO
Grave compito incombe pertanto ai responsabili della pastorale e in
particolare a coloro che Dio ha dotato di talento, per aiutare e
sostenere la partecipazione dei fedeli alla liturgia con canti facili,
con la ricerca di forme nuove non indegne del passato, con la
valorizzazione del patrimonio musicale antico, procurando che tutto sia
intonato ai vari momenti della celebrazione e ai periodi dell’anno
liturgico, e sia capace di esprimere il sacro e di toccare la
sensibilità religiosa degli uomini del nostro tempo.
Anche a questo riguardo, che a nessuno il Signore debba rivolgere il
rimprovero del Vangelo di oggi: «perché ce ne state oziosi?».
Vogliate invece accogliere con cuore aperto l’invito a lavorare nella
sua vigna per un’opera che sta grandemente a cuore alla Chiesa. E
che il canto divenga così coefficiente di vita cristiana, come esorta
ancora Sant’Agostino: «Cantate con la voce, cantate con la
bocca, cantate con i cuori, cantate con un comportamento retto:
"Cantate al Signore un cantico nuovo" . . . "La sua lode
risuoni nella assemblea dei santi". Il cantore, egli stesso, è la
lode che si deve cantare. Volete dire le lodi a Dio? Voi siete la
lode che si deve dire. E siete la sua lode, se vivete in modo retto»
(S. AUG. Sermo 34, 6: CCL 41, 426).
Con questi pensieri, figli carissimi, auguriamo che dalla presente
celebrazione prenda nuovo slancio il bel canto del popolo fedele, per
la gloria di Dio, per la nobiltà del culto del Signore e per la
piena efficacia della sacra liturgia nel rinnovamento della vita
cristiana.
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