|
Domenica terza di Quaresima, 26 febbraio 1967
Il Santo Padre, prima di offrire ai diletti figli che Lo circondano
un commento al brano del Vangelo, dalla Chiesa proposto nella terza
domenica di Quaresima, vuole considerare le molte ragioni per le quali
avviene la sua visita alla chiesa di S. Eusebio.
È, questa, una delle circoscrizioni ecclesiastiche più antiche e
venerande dell’Urbe, risalendo le prime notizie della sua esistenza
ed attività agli stessi albori della riconosciuta libertà al
Cristianesimo in Roma. È agevole, pertanto, riandare con la mente
a tutto un tesoro di buone tradizioni, di opere egregie, pur se non
sono mancate, lungo le varie epoche, prove e sofferenze.
Sappiamo, poi, che la parrocchia di S. Eusebio venne ricostituita
alla fine del secolo scorso. Dei parroci il Santo Padre vuol
ricordare Don Chimenti, Monsignor Antonelli e quindi il venerato
Monsignor Domenico Dottarelli, che da 36 anni regge la
parrocchia, unendo alla vegeta anzianità l’esempio di grande zelo e
di specchiate virtù pastorali. Di ciò il Papa, Vescovo di Roma,
vuole rendere esplicita testimonianza alla intera comunità
parrocchiale, con il ringraziamento più sentito, e detto nel nome del
Signore, il quale, solo, potrà munificamente compensare i tanti
meriti di saggezza e dedizione accumulati dal generoso Pastore.
MERITI PASTORALI E FERVORE DI OPERE
Con lui il Santo Padre intende salutare chi sta per raccogliere così
impegnativa eredità, Don Marcello Bordoni.
Uno speciale pensiero Sua Santità rivolge, poi, agli altri
sacerdoti che svolgono attività nella parrocchia, e a due comunità di
Religiose per vari titoli encomiabili: le Suore del Buon
Salvatore, alle quali fanno capo tante opere di assistenza ed
istruzione; e le Suore Missionarie Francescane di Maria, la
maggiore Famiglia missionaria femminile. tanto nota per gli esempi di
generoso e vigile apostolato, sacrificio e santità dati alla Chiesa
di Dio.
Il saluto si estende, poi, a tutti e singoli i numerosi sodalizi
religiosi della parrocchia; mai vari gruppi dell’Azione Cattolica,
tanto più lodevoli, in quanto qui per essi non esiste sufficienza di
locali; a tutte le categorie di fedeli. Un ringraziamento cordiale il
Papa vuol dare a coloro che poco prima Gli hanno offerto magnifici
fiori. Sua Santità intende benedire quanti, nel territorio di S.
Eusebio, attendono al vasto commercio a vantaggio della città: e con
le singole persone tutte le rispettive famiglie.
L’ACCLAMAZIONE DI UN’ANIMA SEMPLICE
Ed ora, dolcissimo dovere di ufficio e del sacro ministero - prosegue
il Santo Padre - una illustrazione del brano evangelico testé letto
e da tutti ascoltato.
È una pagina complessa, drammatica, con numerosi elementi e
problemi: Sua Santità desidera limitarsi a richiamare l’attenzione
dei presenti sull’ultima frase del brano stesso, nel quale è
l’annuncio di una beatitudine, proclamata da Nostro Signore:
«Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono».
Più di una volta, sia nel Vangelo di San Luca, sia in altri
Libri del Nuovo Testamento, è ricordata questa verità. È segno
che qui c’è un pensiero caro e dominante nella predicazione del
Divino Maestro.
La prima cosa da fare - e non senza un certo studio e superamento di
talune difficoltà esegetiche - è chiederci che cosa intende Gesù,
quando dice la parola. A quale parola Egli si riferisce?
Soffermiamoci subito a considerare la parentela esistente fra il Divin
Salvatore - la sua Persona - e la parola. Non è detto nel
Vangelo che Gesù è il Verbo, cioè la Parola fatta Uomo? Ma
qui più che di parentela si dovrebbe parlare di identità. Non è
forse Gesù stesso la Parola? È proprio così.
Su questa base di superna verità potremmo intanto esaminare in quali
modi il Signore è presente in mezzo a noi. Il Concilio si è
soffermato su tale argomento; ne tratta la Nostra Enciclica
«Mysterium Fidei» del 3 settembre 1965; e in altre circostanze
Noi ne abbiamo parlato.
GESÙ PRESENTE CON LA SUA PAROLA
In che modo Gesù è presente?
Naturalmente ci riferiamo subito alla sua presenza visibile e storica
nel Vangelo: e il Divino Maestro proprio da ciò inizia
l’insegnamento. Egli, nella scena a cui oggi ci riferiamo, da una
umile donna del popolo - spinta da improvviso entusiasmo per la gioia
di sentirlo parlare con tanta sapienza e con tanta forza - era stato
acclamato: Benedetta la Madre che ti portò nel seno; benedetta
Colei che ti nutrì bambino! Orbene, Gesù pone a confronto la sua
presenza, questa sua associazione alla umanità con un’altra forma che
Egli definisce superiore e preferibile. Alla maternità fisica della
Madonna, il Signore contrappone una maternità spirituale, che
certamente la stessa Vergine Santissima ha avuto in sommo grado
insieme con quella fisica. È stata la Madre di Gesù nella carne ed
è stata la Madre di Gesù per la sua fede in Lui: Beata quae
credidisti, si legge in altra pagina del Vangelo.
Ma qui il Signore vuol porre in risalto che noi possiamo godere della
sua presenza, anche prescindendo da ciò che ci manca, ossia il
contatto sensibile, la visione immediata, materiale, nella
conversazione umana. Il Signore ci dà e ci lascia la sua parola.
La sua parola è un modo di presenza fra noi. Tale presenza ha due
caratteristiche: essa dura, permane; e mentre la presenza fisica
svanisce ed è soggetta alle vicende del tempo, la parola rimane. La
mia parola resterà in eterno, leggiamo nella Sacra Scrittura.
In secondo luogo: l’altra presenza, quella di cui saremmo tanto
avidi, invece d’essere esteriore, è interiore.
Come si fa presente Gesù nelle anime? Attraverso il veicolo, la
comunicazione della parola - così normale, nei rapporti umani, ma
che qui diventa sublime e misteriosa - passa il pensiero divino, passa
il Verbo, il Figlio di Dio fatto Uomo. Si potrebbe asserire che
il Signore si incarna dentro di noi, quando noi accettiamo che la sua
parola venga a circolare nella nostra mente, nel nostro spirito; venga
ad animare il nostro pensiero, a vivere dentro di noi.
Ci sono - è ben risaputo - altri modi con cui il Figlio di Dio ha
voluto accentuare la sua presenza, a cominciare da quello sostanziale,
sublime, della Santissima Eucaristia: Ia. presenza sacramentale di
Gesù tra noi.
«SAPER ASCOLTARE»
E ancora: Gesù vuol essere presente con la sua autorità negli
Apostoli e nei loro successori: «Chi ascolta voi, ascolta me»;
vuoi essere presente altresì in una maniera che potrebbe dirsi a
specchio, quale riflesso di Se stesso nei poveri: «Qualsiasi cosa
avrete fatto a favore di questi, l’avrete fatto a me», ed in altre
maniere ancora.
Ma la presenza della parola è la prima ed è indispensabile, giacché
se non c’è l’aspettazione della prima venuta di Cristo nelle nostre
anime, tutto il resto sarebbe inutile.
Da qui la raccomandazione del Papa: Figliuoli, bisogna saper
ascoltare. Nessuno si meravigli di questo insistente invito.
L’educazione moderna rende refrattari ad accettare la via di
comunicazione silenziosa e spirituale. La comune psicologia non è ben
disposta. Essa induce gli uomini a sentirsi autonomi in ogni campo, e
a rivendicare persino una indipendenza nei confronti di Dio. Si è,
quindi, dei pessimi ascoltatori. Si ammette più la cosiddetta
civiltà dell’immagine che la comunicazione del pensiero e della
parola. Tutto, insomma, sembra distogliere dalla concentrazione
sulla verità.
LA FEDE: PRIMO ATTO DELLA NOSTRA VITA
IN DIO
Se, invece, si riesce a divenire recettivi di una parola del
Signore; se una sua frase, un solo suo accento venisse accolto dal
cuore, quale eccelsa ventura!
Occorre adunque preferire questa presenza, che si potrebbe chiamare
passiva, cioè di accettazione, di ascolto.
Cercate - insiste Sua Santità - di ascoltare bene; cercate,
quando il Sacerdote parla non in nome suo, ma in nome di Cristo, di
carpire qualche verità, almeno un qualche concetto.
Così, udendo le spiegazioni del Vangelo, assidua industria d’ogni
cristiano sia quella di appropriarsi almeno di una preziosa nozione; e
tornando a casa, di coltivarne il ricordo, dimodoché durante
l’intera settimana successiva ci si alimenti di così sostanzioso cibo
spirituale: la parola del Signore.
Questa accettazione produce il fatto più importante della nostra vita
soprannaturale, per cui si decide anche il nostro futuro: e cioè la
Fede.
Chi accetta, crede; chi accoglie, dice sì: io aderisco: obbedisco
alla Parola di Dio e ad essa mi abbandono. È il segreto della
salvezza: io consento ad essere in comunicazione vitale, appunto per
mezzo della Fede, che mi comunica il pensiero di Dio. Se questo
pensiero entra nel nostro intelletto, è la luce divina che si effonde
nei meandri tanto complessi, profondi, insondabili della nostra
psiche. Si parla tanto, oggi, di psicanalisi, e cioè d’una
complicazione enorme del nostro essere. Ebbene; quando noi riceviamo
la parola del Signore e ad essa aderiamo con umiltà, schiettezza e
sincerità, in questo nostro complesso interiore, tanto difficilmente
analizzabile, entra e si adagia e si effonde come una germinazione
spirituale la Fede, misteriosa e luminosa insieme: il primo atto
della nostra vita in Dio.
MEDITARE ED ATTUARE GLI INSEGNAMENTI
DEL SIGNORE
Dunque, anzitutto ascoltare. Poi, è il Signore a proclamarlo,
bisogna custodire.
Noi - anche qui basta dare uno sguardo alla vita quotidiana - siamo
dei capitalisti della parola. Abbiamo giornali, libri, scuole,
cinematografi, televisione; abbiamo la testa che rintrona sempre per
il più svariato e multiforme ascolto. Sovente si tratta -pure di
esortazioni religiose; di prediche, ritiri, istruzioni, ecc.
Che cosa resta? Il Signore dice: Beati coloro che ascoltano e
custodiscono.
E cioè: occorre non soltanto un atto passivo di accettazione; è
necessaria una reazione attiva, un atto riflesso. Bisogna, per usare
una parola corrente, meditare.
Sappiamo noi meditare, riflettere, ossia ripiegarci sopra quanto
abbiamo ricevuto, sopra la verità che ha varcato le soglie della
nostra anima? Sappiamo davvero introdurla nel nostro pensiero,
approfondirla, o per lo meno farle onore? Se non siamo capaci di
discorrere nello svolgimento dialettico della meditazione, dovremmo
almeno saper dire e ripetutamente: sì, vieni, o Signore! E quanto
è bella la tua parola! La ricorderò; essa costituirà la mia
divisa; sarà, in me, memoria e proposito.
Da ciò consegue che occorre favorire questa simpatia, la quale
mantiene il contatto fra Dio e noi, mediante la forma prima e vitale
della sua presenza: la sua parola a noi largita. Ecco quanto
indispensabile e benefico è il meditare.
E v’è un terzo momento. La parola deve tramutarsi in azione, e
guidare la vita. Essa va applicata al nostro stile, al nostro modo di
vivere, di giudicare e di parlare. Allora solo possiamo dirci veri
cristiani, quando la parola di Dio modella e informa il nostro modo
concreto di vivere. È d’uopo quindi applicarci a dare il più
possibile ai nostri atti la logica e la coerenza cristiana. Divenga la
parola di Dio la sorgente d’ogni nostra virtù.
LA VERA BEATITUDINE
In tal modo, la vita cristiana si rivela oltremodo attraente. Lo ha
detto il Signore: non solo essa sarà misteriosa e divinizzata; ma
diverrà beata. «Beati coloro che custodiranno la mia parola!».
Il fedele ascoltatore e custode avrà il gusto, la letizia di
osservare: ho tradotto, in qualche mia azione, l’obbedienza che devo
a Gesù Cristo. La mia adesione a Lui non è stata retorica,
vana, puramente formale ed esteriore o, peggio, farisaica; bensì
reale, umile e concreta.
Con queste disposizioni è agevole avvertire la voce del Signore
allorché bussa alla porta della nostra coscienza e ammonisce: Perché
non fai così: non perdoni quella certa offesa; perché non rinunci a
quella cosa pericolosa; perché non adempi bene un dovere che ti è
gravoso; perché non togli dall’anima la tristezza e il malumore e non
li sostituisci con la luce che vi deve rimanere sempre accesa, poiché
sei cristiano, custode della gioia di Cristo?
Di qui - conclude Paolo VI - il ricordo finale di queste umili,
semplici, affettuose parole del Padre: Abbiate, figliuoli, il
culto e l’amore per l’ascolto, la meditazione e la pratica della
parola di Dio. Certamente, allora, il Signore ripeterà per voi le
sue promesse indefettibili e splendenti: «Beati coloro che ascoltano
la mia parola e la custodiscono!» .
|
|