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Mercoledì della Ceneri, 3 marzo 1965
A premessa della sua Esortazione, il Santo Padre dichiara che
alcune circostanze Egli avrebbe in animo di porre in risalto: il
saluto agli alti Dignitari e Religiosi che Lo hanno accolto; la
cospicua moltitudine di fedeli, solleciti di ben iniziare la pia
pratica delle Stazioni Quaresimali; la imponenza della basilica di
S. Sabina; l’amenità dei luoghi che Egli ben conosce, anche per
aver soggiornato non molto lontano da questo sacro tempio; le memorie
storiche quivi raccolte e degne del più attento interesse.
Nondimeno Egli si limiterà solo ad alcuni pensieri inerenti proprio
alla pia manifestazione testé compiuta, come inizio delle Visite
stazionali della Quaresima nelle chiese di Roma.
LA NECESSARIA «CONVERSIONE» DI OGNUNO
Ascoltiamo una sola voce, quella che, stamane, nella Santa Messa,
la Chiesa ha fatto risonare, come uno squillo di tromba, alle nostre
anime, e che Ella stessa trae dalla Sacra Scrittura, dal grande e
commosso messaggio di Gioele Profeta. È una voce che sentiremo
ripetere ed echeggiare lungo i prossimi giorni di preghiera e di
penitenza. La ripetiamo e consegniamo alle nostre anime, come se
fosse a ognuno di noi rivolta. Eccola: «Convertimini ad me in toto
corde vestro»: convertitevi a me con tutto il vostro cuore.
Parlare di conversione, specialmente ad un’assemblea come quella che
ora è davanti al Papa, di persone consacrate al Signore, di anime
buone e pie, di spiriti già rivolti a Dio, sembra parola inadeguata
e impropria. Grazie al Cielo, siamo già convertiti al Signore.
Invece la Chiesa indirizza anche a noi il salutifero invito: ed esso
è tanto più efficace appunto perché già lo abbiamo ascoltato e
abbiamo cercato di assecondarlo.
Dobbiamo dunque convertirci al Signore. Qui sarebbe necessaria
un’analisi previa. Che cosa vuol dire questa parola «conversione»,
alla quale la nostra mentalità moderna è così poco disposta, fino
quasi a cancellarla dal dizionario stesso della vita spirituale? Qual
è il vero significato di tale richiamo?
A cominciare da quello etimologico, molto semplice, convertirsi vuol
dire cambiare strada, scegliere una direzione, un indirizzo.
Ebbene, la Quaresima chiama tutti a rivolgersi a Dio; a tracciare
fra noi e il Signore una linea retta, quella completa attenzione che
molte volte è distratta dalle cose profane, con le faccende
quotidiane, negli affanni della vita. Occorre, invece, che
risplenda su tutta questa esperienza così complessa, talvolta confusa
e tal altra non del tutto limpida, lo splendore del raggio di
immediatezza che ci indica Iddio. E non si tratta solo di muoverci
verso di Lui materialmente, fisicamente: sarebbe già gran cosa,
perché ciò implica la pratica degli esercizi che a Dio si portano.
C’è assai di più. Sappiamo tutti che la parola «conversione»
indica un senso di mutamento, di rivolgimento, di metanoia: cioè il
rinnovarsi. Ora - ed è ciò che più conta - tale rivolgimento non
tocca tanto le cose esteriori, le abitudini, le vicende a cui è
legata la nostra esistenza, bensì, invece, la cosa tanto nostra, e
tanto poco nostra: il cuore.
C’è non poco da cambiare dentro di noi: è necessario rimodellare la
nostra mentalità; avere il coraggio di entrare fin nel segreto della
nostra coscienza, dei nostri pensieri, e là operare un cambiamento.
Questo, inoltre, deve essere così vivo e sincero da produrre - e
siamo ancora al contenuto della parola «conversione» - una novità.
Qui sta l’esigenza prima del grande esercizio ascetico e penitenziale
della Quaresima. E allora ci chiediamo: che cosa fare per ottenere
un tale risultato e come comportarci? La risposta è ovvia: entrare
in se stessi, riflettere sulla propria persona, acquisire una nozione
chiara di quel che siamo, vogliamo e facciamo; e, a un certo
momento, - qui la fase drammatica, ma risolutiva - conterere,
rompere qualche cosa di noi, spezzare questo o quell’elemento che
magari ci è molto caro ed a cui siamo abituati, sì da non rinunziarvi
facilmente. Il termine «conversione» entra in queste profondità e
dimostra queste esigenze.
FAR FIORIRE NUOVA PRIMAVERA DI GRAZIA
E non è tutto. Stabilito il rinnovamento, è d’uopo incominciare
di nuovo, far sorgere in noi un po’ di primavera, di rifioritura;
una manifestazione anche esteriore del fenomeno verificatosi
all’interno del nostro essere. S
i diceva poc’anzi che ricordare queste nozioni a chi già conosce le
vie del Signore, ha ormai vissuto le ore decisive ed ha orientato
nella maniera giusta la sua vita, sembrerebbe cosa superflua,
convenzionale quasi retorica.
Così non è: perché tutti abbiamo sempre bisogno di convertirci.
C’è un bel paragone, addotto da esperto maestro di spirito. Esso
si riferisce al navigante il quale deve, di continuo, rettificare la
guida del timone, e perciò guardare che la direzione sia sempre quella
esatta indicata dalla bussola. Per sua natura, la nostra vita è
incline a deviare. Siamo volubili, fragili; i nostri stati d’animo
sono contraddittorii, successivi, complicati, e soggetti agli stimoli
esteriori, al punto che la nostra rettitudine interiore ne risulta
compromessa. È perciò logico, indispensabile ad ogni stagione ed
anno, ad ogni Quaresima, riportarci al buon cammino primitivo se già
fu determinato; trovare la direzione giusta se non fosse ancora
allineata perpendicolarmente verso il Signore. A così alta finalità
mirano i doni e i carismi che la santa Quaresima ci offre.
Come si fa a convertirsi? Il primo passo - tutti lo sappiamo -
consiste nell’ascoltare, sentire il richiamo e orientare la nostra
mente là donde parte la voce. Questa voce è la parola di Dio, che
deve squillare sempre nuova, e quale eco personale che il Signore
suscita nelle nostre anime. Oh, come piacerebbe sostare in
conversazione con ciascuna delle persone qui presenti e chiedere se
hanno questa capacità di udito, se ascoltano la parola divina, a
cominciare da quella che arriva dal di fuori con la sacra predicazione,
che ora, nella Quaresima e nella riforma liturgica, diviene tanto
organizzata, premurosa, sollecita, urgente. Abbiamo tutti questa
indispensabile ricettività? O non forse imitiamo anche noi tanti
superficiali, allorché mormorano: sono cose già note, già
sentite, non sono per me . . . e così via?
Ciascuno invece deve ripetere a se stesso ed agli altri: ascoltiamo la
voce che ci giunge dal Cielo.
Il Signore ha sempre qualche cosa di nuovo, di profondo, di
esigente, e di tremendo da dire alle nostre anime. Guai se restassimo
sordi od insensibili!
LA VOCE E I COLLOQUI DI DIO
Ed ecco che la voce esteriore diventa interiore. È necessario essere
così spirituali da saper cogliere le ispirazioni, cioè quei movimenti
dello Spirito che non mancano in alcun’anima, specie se battezzata,
e formata alla Grazia, alla vita e alla scuola cristiana. Le voci
interiori vibrano nel nostro cuore. Dio parla con «gemiti
inenarrabili» dichiara San Paolo. Ha una sua arte di colloquiare
con le anime che sovente noi, così rumorosi, dissipati, poco
interiori, non riusciamo a cogliere, poiché se sapessimo captare tale
discorso interiore, forse diventeremmo come incantati, e astratti
dalle cose esterne, per sentire la dolcezza e la poesia del cuore che,
senza alcuna nostra arte, e anzi con nostra sorpresa, di tanto in
tanto ci parla di Dio dimorante in noi.
La seconda considerazione è d’ordine anche più pratico. Il
Signore chiede sempre un sacrificio, esige qualche cosa di positivo;
non si contenta di velleità, di parole convenzionali ed abituali.
Vuole proprio qualche cosa di mio. Ad ogni stagione domanda una
risposta nuova. In questo colloquio di infinito amore Egli ha un dono
da fare, una novità da creare, una rigenerazione a cui concedersi.
Allora deve vibrare il nostro slancio in prontezza e devozione: Che
cosa vuoi che io faccia, o Signore, per essere davvero fedele? Quid
me vis facere? La «conversione» dei Santi a tale proposito è
caratteristica, a cominciare da quella di San Paolo: Dimmi, o
Dio, quello che devo fare. E può sorprendere, a questo punto,
particolarmente in chi ha celebrato tante volte la Quaresima eppure si
trova ancora mediocre nelle vie della perfezione, quasi un atto di
avvilimento: con me non c’è nulla da fare; sono così; non vado
più avanti; non ci riesco. Torna, invece, la Quaresima con le sue
energie spirituali, con la sua capacità di scuotere le anime, donando
fiducia. La grazia di Dio può modificare tutto, in noi, pur se
fossimo la materia meno adatta per essere modellata dalle sue mani e
dalla sua bontà. Questa è potente quanto la sua misericordia, e
quindi vittoriosa, sino a compiere prodigi in anime povere ed umili.
E questo progresso quanto tempo dura? Per tutta la vita. In ogni
momento, quasi ad ogni respiro si deve lavorare per convertire,
dirigere, rinnovare se stessi.
DIVENTEREMO TEMPLI DELLA VITA DIVINA
Un illustre antico scrittore della Chiesa Greca, Clemente
Alessandrino, è stato forse uno dei primi a notare questa
progressività nella vita spirituale. Egli dichiara: Bisogna passare
dalla incredulità alla fede: e quanti sono battezzati, aderendo alla
vita cristiana, hanno già operato questa prima conversione. Ma poi
occorre convertirsi alla gnosi cristiana, cioè alla profondità
operante della fede, sia nel pensiero sia nella pratica; bisogna
passare da uno stadio di mediocrità a quello di perfezione,
dall’inerzia all’attività, da un grado ad un altro superiore. E
del resto S. Paolo già ci aveva esortato: «Crescamus in illo per
omnia»: dobbiamo continuamente crescere; . . . «donec formetur
Christus in nobis»: sino a quando Cristo sarà formato dentro di
noi.
Se tutta la vita nostra non sarà che l’ascendere, passo a passo, in
questo sforzo di perfezione, e di ricongiungimento con Dio, la nostra
giornata terrena sarà buona, avremo risposto alla nostra vocazione,
saremo stati capaci di ricevere le grazie di Dio attuando in noi la
verità di Gesù Cristo: Chi ascolta la mia parola e la pratica,
quegli mi ama; e chi mi ama avrà la nostra visita: del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo.
Diventeremo, adunque, templi della vita divina dentro di noi. È
l’augurio che la Benedizione Apostolica in questo momento intende di
avvalorare.
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