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Festa di San Giuseppe, 19 marzo 1967
Fratelli e Figli carissimi! e voi Giovani amici, che avete
accettato il Nostro invito a partecipare a questo rito,
straordinariamente significativo!
Sapete che cosa stiamo facendo?
Noi vogliamo rinnovare la memoria, e, sotto certi aspetti, la
scena, anzi, più che la scena, l’avvenimento popolare e modesto,
ma clamoroso ed estremamente importante e decisivo, dell’ingresso
messianico di Gesù in Gerusalemme, la città santa, affollatissima
in quei giorni per l’affluenza di popolo da ogni parte della
Palestina, a causa dell’annuale celebrazione della Pasqua giudaica.
Questa era la festa storica degli Ebrei: ricordava il passato: la
liberazione del popolo eletto dalla schiavitù egiziana; rinnovava la
coscienza del suo destino teocratico, e confermava la speranza
profetica di futuri rivolgimenti gloriosi, quelli inerenti alla
promessa divina che quel popolo custodiva con l’antica fede di
Abramo.
L’AVVENTO E LA VITTORIA DEL MESSIA
Una tensione spirituale nasceva sempre da quella celebrazione; ma
quell’anno questa tensione pasquale parve raggiungere un grado
altissimo d’intensità: la predicazione di Gesù, succeduta a quella
di Giovanni il Precursore, aveva messo gli animi in fermento; le
polemiche sempre più aspre fra Gesù e i Giudei, e sempre più
rivolte a dare una risposta decisiva sulla Persona di Gesù e sulla
sua missione, il miracolo strepitoso della risurrezione di Lazzaro,
compiuto in quei giorni a poca distanza da Gerusalemme, tutto
concorreva a produrre una singolare eccitazione, sia nel gruppo che si
raccoglieva d’intorno a Gesù, sia fra la gente, che aveva saputo
della sua vicinanza alla santa città. Fu allora che il grande fatto
si verificò: Gesù, che s’era mostrato fino allora riluttante a
permettere d’intorno a sé manifestazioni solenni di popolo, fu Lui
stesso che quel giorno (la domenica antecedente la tragedia del
Calvario) la volle e la predispose; voi ricordate come si svolse
l’umile e gloriosa cavalcata di Gesù da Bethania, da Bethphage a
Gerusalemme. L’apparizione di Gesù sul crinale del monte degli
ulivi, sopra l’asinello, fu come una scintilla che provocò un
incendio d’entusiasmo, di gioia, di acclamazioni, di evviva, di
osanna; e subito l’improvvisato trionfo popolare acquistò un
significato sacro, religioso, straordinario; il significato
dell’avvento del Messia: quello era il Messia, atteso da secoli;
quello era il Messia, era il Cristo, l’inviato e il consacrato da
Dio, Colui nel quale si riassumeva tutta la storia passata del popolo
ebraico protesa nell’aspettazione del Cristo, Colui nel quale si
scioglievano le attese e si adempivano le promesse, Colui che
inaugurava finalmente il nuovo regno di Davide, anzi il meraviglioso
regno di Dio. Gesù, in quell’ora decisiva, fu riconosciuto, fu
proclamato, Lui assenziente, il Cristo.
Cristo: comprendiamo noi lo sconfinato valore di questo titolo?
Tanto spesso lo usiamo, e forse non misuriamo l’importanza ch’esso
riveste, per il suo straripante significato: Cristo vuoi dire il Re
consacrato, pieno di Spirito Santo, luogotenente di Dio nel mondo;
un significato universale e centrale per tutta l’umanità, un
significato che non è limitato ai confini della storia ebraica, ma che
trabocca e si estende al mondo, a tutti i tempi e a tutti gli uomini;
arriva a noi. Noi oggi siamo invitati a riconoscere in Cristo il
centro dei nostri destini, il nostro Maestro, il nostro Salvatore,
il Dio fatto uomo, Colui che è principio e termine della nostra
storia temporale e spirituale, Colui che è Presente, e che per
nostra fortuna e per nostra gioia possiamo riconoscere, quale Egli si
disse: la via, la verità, la vita.
CRISTO CENTRO DEI NOSTRI DESTINI
Più che approfondire, in questo breve momento, l’immenso
significato della esaltante parola «Cristo», Noi vogliamo
soffermarci sul fatto che oggi, come allora, noi siamo invitati a
riconoscere in Gesù di Nazareth, il Cristo; siamo invitati ad una
professione di fede, che si irradia in due direzioni: verso di Lui
Gesù, a cui tributiamo, sull’esempio di Pietro, l’esultante
omaggio della nostra scoperta, della nostra adesione, della nostra
letizia: «Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente!»; e verso
di noi, della nostra vita, che a buon diritto potrà e dovrà
sinceramente dirsi cristiana. È una grande scelta quella che
facciamo: vogliamo, ancor oggi, dire a noi stessi, dire alla
società che ci circonda, dire al mondo vicino e lontano, che noi
crediamo in Gesù Cristo, e che lo vogliamo seguire, e che seguendo
Lui non camminiamo alla cieca, nelle tenebre, ma nella luce della sua
parola, dei suoi esempi, della sua grazia (cfr. Io. 8, 12).
Questo dev’essere per noi il sentimento e il proponimento di questa
giornata: si rinnova in essa per noi la proclamazione messianica di
Gesù.
Tre circostanze Noi noteremo a ciò relative; e le noteremo
specialmente per voi, giovani che Ci ascoltate.
GESÙ LA VERA GIOIA DELLA NOSTRA VITA
La prima circostanza è data dalla gioia, che, allora ed ora,
accompagna la proclamazione di Gesù come Cristo, come rivelatore e
realizzatore della nostra umana e sovrumana fortuna. Ricordatelo,
giovani: Cristo è la gioia del mondo; è la nostra gioia. Vedrete
tra pochi giorni Cristo in Croce, vedrete la vita cristiana
contrassegnata dalla austerità e dalla penitenza? vedrete il dolore
umano, proprio e altrui, entrare nell’essenza della fedeltà e della
umanità cristiana. Non saremo noi a nascondere questa drammatica
realtà della nostra fede e della nostra sequela a Gesù. Ma
ricordate egualmente che Gesù è la gioia, la vera gioia della nostra
vita. Non ve ne spieghiamo ora le ragioni, ma ve ne annunciamo la
realtà. Ricordate che la vita cristiana non è triste, non è
infelice. È contenta, è lieta, è serena. Essa è la sola che
sappia veramente godere dei beni onesti e delle ore buone di questa
vita, e che sappia, in ogni condizione dell’umana esistenza, trovare
motivi e forme di segreta e inesauribile felicità. Se sarete fedeli
nel seguire Gesù, ne farete la prova. Noi ve l’auguriamo, sì,
nel gaudio pasquale.
IL RE DELLA PACE
Seconda circostanza. Gesù è stato proclamato Messia, ma non come
l’attendeva la fantasia politica ed il «trionfalismo» di grande parte
del popolo di quel tempo; Re, sì, ma senz’armi, senza ricchezze,
senza potenza economica e temporale; Re, ma il cui Regno non è di
questo mondo, non in concorrenza, o in antagonismo con le Potestà
civili, Re dei cuori umani, Re nell’ordine della Redenzione, Re
mansueto, Re della pace. Anche questo aspetto del regno instaurato
da Gesù Cristo esigerebbe spiegazioni e commenti senza fine. Ma
tutto dice il simbolo, che avete in mano, la palma, l’olivo.
Contentiamoci ora di questo linguaggio simbolico: Gesù è la nostra
pace (Eph. 2, 14). Se la pace è l’ordine, stabilito nella
giustizia e nella sapienza, se la pace è il risultato comunitario,
non della sopraffazione, della vendetta, del terrore, della
violenza, ma di sentimenti collettivi cospiranti ad un bene comune; se
la pace è il frutto della libertà, del perdono, della fratellanza,
dell’amore; se la pace è lo sforzo generoso e continuo per generare
un bene ragionevole e forte, a tutti accessibile; se la pace fra gli
uomini è il riflesso della pace delle coscienze con Dio, anche
questo, giovani, ricordate: solo da Cristo, dai suoi insegnamenti e
da quel flusso misterioso di vera energia spirituale, che emana da Lui
e che chiamiamo la grazia, potremo avere la pace; una pace, che sia
vera ed in continua fase .di comporsi e di ricomporsi, e capace di
alimentare, di sorreggere e di sublimare gli sforzi, che gli uomini
vanno facendo per darsi pace, una loro pace, spesso effimera e
fragile, quando non sia ipocrita ed oppressiva. Una pace vera,
diciamo, che educhi gli uomini a rispettarsi gli uni gli altri; a
collaborare fraternamente, a non fondare le loro speranze
sull’egemonia e sulla gara degli armamenti; una pace, che creda
all’amore e che faccia scaturire dai cuori chiusi e ribelli degli
uomini insospettate sorgenti di bontà. Cristo, ricordate, è la
nostra pace, e Lui può compiere questo prodigio. Agitate i vostri
rami di palme e di olivi, e ditelo al mondo.
AI GIOVANI IL PROCLAMARE LA PRESENZA E
LA MISSIONE DI CRISTO AI NOSTRI GIORNI!
Ditelo al mondo! E chi meglio d’altri lo può dire, se non voi,
giovani? È questa la terza circostanza, a cui, terminando,
accenniamo. È detto nella liturgia e lasciato capire dalla narrazione
evangelica (Matth. 21, 15) che fra la turba acclamante il
riconosciuto Messia i più fervorosi furono i giovani, furono i
ragazzi. È questo un particolare molto bello e naturale; nessuno li
eguaglia i giovani, i ragazzi nell’entusiasmo e nella vivacità;
nessuno li frena e li fa tacere quando sono insieme e sono presi da una
fantasia che li possiede e li esalta. Ma in questo caso l’episodio
della gioventù osannante a Cristo assurge ad un particolare
significato, che rivela una capacità, una vocazione propria degli
adolescenti, quella di farsi i promotori coraggiosi e rumorosi d’un
ideale, ch’è balenato come grande e vivo davanti ai loro spiriti; la
storia contemporanea ce ne offre esempi impressionanti e non sempre
edificanti. Ma se questo ideale fosse Cristo? Cristo con la sua
parola di verità, di amore e di pace? Non potrebbe ripetersi la
scena evangelica del trionfo messianico di Cristo per opera d’una
gioventù intelligente ed ardita, che ha compreso Chi Egli sia?
Giovani amici! Sì, quella scena può ripetersi; può diventare
storia del nostro tempo! Tocca alla gioventù, a voi, proclamare la
presenza e la missione di Cristo ai nostri giorni! Tocca a voi, al
vostro istintivo fascino per la libertà e per il coraggio francare
questo incerto e stanco periodo storico dallo scetticismo delle
generazioni passate, e assumere la posizione di figli della luce e di
testimoni della verità cristiana; tocca a voi osare la ricostruzione
del mondo moderno sulle basi della fede; tocca a voi dimostrare, se
non lo sapete fare con difficili discorsi, con l’argomento
meraviglioso e più eloquente della vostra vita cosciente e diritta;
che alle seducenti ed equivoche espressioni del decadentismo
intellettuale e morale di tanti ambienti moderni si può opporre e
sostituire uno stile giovanile, pieno di forza, di bellezza, di gioia
e, se occorre, d’eroismo e di sacrificio; uno stile cristiano.
E tocca finalmente a voi, carissimi giovani, annunciare la pace di
Cristo nel mondo: senza la gioventù e senza Cristo non si può
stabilire una pace efficiente nella società civile e nei rapporti
internazionali. Nessun esercito agguerrito e nessuna abile diplomazia
può fondare una pace sincera e duratura senza l’apporto della
gioventù e senza i principii cristiani. Il che vuol dire che voi
potete essere i più convinti e più dinamici araldi della pace. Per
questo vi abbiamo invitati a questa celebrazione; ed affinché siate
degni e siate fieri d’essere i portatori dell’olivo di Cristo, tutti
di cuore vi benediciamo.
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