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OMELIA DI PAOLO VI
Domenica, 7 maggio 1978
Venerati Fratelli e carissimi Figli!
La Chiesa tutta è oggi in festa perché può presentare alla vene-
razione ed alla imitazione dei suoi figli e delle sue figlie una nuova
Beata: Maria Enrica Dominici delle Suore di Sant’Anna e della
Provvidenza!
Ad una prima impressione, la vicenda terrena della Beata Maria
Enrica - la cui biografia abbiamo or ora ascoltato - sembra quella
ordinaria di una Religiosa vissuta nella seconda metà
dell’ottocento, e pertanto legata e condizionata da una mentalità,
che oggi potrebbe apparire sorpassata.
Ma appena noi ci addentriamo nell’approfondimento e nella
contemplazione di quest’anima, vi scorgiamo una ricchezza, una
fecondità, una modernità che ci affascinano e ci trascinano. Siamo
aiutati in questo spirituale scandaglio sia dalle testimonianze di
coloro che l’hanno conosciuta ed hanno vissuto per anni accanto a lei,
come pure dall’«Autobiografia» e dal «Diario», scritti per
ordine del Direttore spirituale, e dalle numerose Lettere, che di
lei ci rimangono.
Maria Enrica Dominici è stata, anzitutto, una donna, una
religiosa, che ha avuto e sperimentato, in maniera forte e viva, il
sentimento della fragilità essenziale dell’essere umano e il senso
della assoluta grandezza e trascendenza di Dio. È il messaggio
fondamentale che, già nell’Antico Testamento, aveva trovato nel
libro del profeta Isaia una delle sue più alte espressioni teologiche
e poeti. Il che: «Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua gloria
è come un fiore del campo... Secca l’erba, appassisce il fiore,
ma la parola del nostro Dio dura sempre... Dio eterno è il
Signore, creatore di tutta la terra» (Is. 40, 6. 8. 28;
cfr. 1 Petr. 1, 24). La grandezza di Dio manifesta, per
contrasto, la povertà essenziale dell’uomo; e questi, pertanto,
diventa qualcosa soltanto nella misura in cui riconosce la propria
dipendenza da Dio, e vale nella misura in cui coscientemente agisce
alla luce della volontà dell’Altissimo.
Un messaggio chiaro, che coinvolge in particolare l’uomo
contemporaneo, il quale sente riecheggiare, a tutti i livelli, le
contestazioni nate dal fenomeno della secolarizzazione.
Maria Enrica Dominici giovanissima comprende che val la pena
consacrare tutta la propria vita a Dio, e - come ella stessa ci
confessa - si deliziava «nel desiderio sempre crescente di farsi buona
e di servire di vero cuore il Signore»; e, riecheggiando le celebri
parole di S. Agostino (S. AUGUSTINI Confessiones, 1,
1), essa riconosce: «solo il mio Dio poteva riempire e saziare il
mio povero cuore; di tutto il resto non mi curavo».
Ma Iddio, che essa fin da bimba ha cercato e trovato e al quale vuole
servire per tutta la vita, le si presenta come il Padre di infinito
amore. Alla scuola di Cristo, essa, nei suoi scritti, nelle sue
lettere, nelle sue conversazioni, chiamerà Dio col nome familiare e
dolcissimo di «Babbo mio», e con una semplicità e sicurezza, che
solo le anime piene di fede possono avere, scriverà: «Mi pareva di
stare tutta riposata in seno a Dio come una bambina in seno alla
mamma, che dorme tranquillamente: amavo Dio, e direi quasi, se non
temessi di esagerare, che gustavo la di lui bontà».
La donazione a Dio nella vita religiosa comporta un abbandono assoluto
alla sua volontà (Cfr. Matth. 7, 21). Maria Enrica ha
deciso di compiere sempre, a qualunque costo, la volontà di Dio:
«Sono tutta del mio Dio ed Egli è tutto mio. Di che cosa potrò
temere? - scrive - E che cosa non potrò io fare e patire per amore
di Lui, essendo tutta sua?... Mio Dio, voglio fare la volontà
vostra e nient’altro».
Questo, pare a noi, è il primo aspetto saliente della figura
spirituale della nuova Beata; aspetto essenzialmente religioso, che
comporta un duplice simultaneo riconoscimento, quello della infinita
trascendenza dell’ineffabile Iddio, e quello non meno ineffabile
dell’intimità, che Dio stesso, per il tramite misterioso di
Cristo, concede a chi non la rifiuta autorizzando a rivolgersi a Lui
col nome sommo e confidenziale di Padre, che immette in noi lo spirito
ed il linguaggio di figli privilegiati dell’adozione (Cfr. Rom.
8, 15; 9, 4 ; Gal 4, 5; Eph. 1, 5).
A questo primo aspetto, che potremmo dire teologico, della Beata
Maria Enrica Dominici, un altro suo aspetto caratteristico (anche
se condiviso da non poche altre figure religiose del suo tempo), ci
sembra doveroso mettere in rilievo, ed è quello ascetico anch’esso
proprio della vita religiosa. La consacrazione religiosa implica
inoltre spogliazione, rinnegamento di sé, rinuncia, sofferenza,
perché la religiosa deve essere la sposa fedele che segue il Cristo
nel suo cammino verso la Croce (Cfr. Matth. 16, 24; Luc.
9 , 23). Già nei propositi per la professione religiosa Maria
Enrica, convinta del valore incomparabile della «sapienza della
Croce», scriveva: «Farò sovente la mia dimora nell’orto degli
Ulivi e sul monte Calvario, ove si ricevono lezioni importantissime e
utilissime».
Giovanissima aveva sognato il chiostro. Dio invece aveva altri
disegni. A 21 anni essa entrava nell’Istituto delle Suore di
Sant’Anna e della Provvidenza, opera che era sorta nel 1834 a
Torino per iniziativa dei pii coniugi piemontesi i Marchesi Falletti
di Barolo, Carlo Tancredi e Giulia Colbert, con la scopo di
offrire un’adeguata educazione alle ragazze di famiglie meno abbienti.
A questa Congregazione, dalle finalità spirituali in sintonia con le
esigenze dei tempi, Madre Enrica nei suoi 33 anni di Generalato
darà uno slancio e un ardore straordinari, con una eccezionale
apertura e lucida visione dei problemi che urgevano nell’Italia e
nella Chiesa in quel periodo complesso e intricato che va dal 1861
- anno della prima elezione della Beata a Superiora Generale - fino
al 1894, anno della sua pia dipartita.
Nella sua vita religiosa, prima come novizia, poi come professa,
quindi come Superiora Generale, la Beata ha vissuto, con gioiosa
generosità, la pienezza del messaggio evangelico: la povertà, la
castità, l’obbedienza, ed ha dimostrato che la vita consacrata lungi
dal chiudere l’anima in una specie di roccaforte individualistica, le
spalanca orizzonti insospettati ed inesplorati, le dona misteriose
capacità di interiore fecondità; e, terzo aspetto, quello sociale,
che a noi sembra ben degno di rilievo nella nuova Beata, ella ha,
inoltre, ancora una volta, confermato la grande verità evangelica che
l’autentico amore verso Dio è anche vero amore verso gli altri,
specialmente i poveri nel corpo e nello spirito (Matth. 25, 34
ss.; Io. 15, 12 ss.; 1 Io. 2, 10 ss.; 3, 16.
23). Il suo grande modello è sempre Cristo : «Vivere per
Gesù, patire per Gesù, sacrificarsi per Gesù».
La Beata Maria Enrica ha amato immensamente e teneramente la sua
Congregazione, che - sotto la sua guida - ha visto crescere e
dilatarsi mirabilmente fino alle Missioni in India; ha amato i
bambini, le ragazze mediante le svariate e geniali iniziative
dell’Istituto; ha amato la Chiesa, e il Papa; ha amato e pregato
per la sua Patria, in un periodo in cui i rapporti fra il Piemonte e
la Sede Apostolica si facevano sempre più difficili e complessi.
Le sue ultime parole rivolte alle sue Suore, prima di lasciare questa
terra, furono: «Raccomando l’umiltà... e l’umiltà».
Pensiamo che in questa sua parola, semplice e suprema, sia
sintetizzato il grande messaggio che la nuova Beata rivolge ai
contemporanei.
Umiltà, che diventi, nei confronti di Dio, adorazione. L’uomo
impari di nuovo il gesto fondamentale della fede religiosa, che non lo
umilia, anzi lo esalta perché gli fa riconoscere la sua dimensione
essenziale di creatura. «La fede è oscura - scriveva la Beata -
ma ci lascia sempre un lume sufficiente per andare a Dio».
Umiltà, che diventi, nei confronti degli altri, carità,
servizio, solidarietà, armoniosa convivenza, pace, con il
conseguente rinnegamento, a livello personale e sociale, del sopruso e
della violenza.
Umiltà, che diventi, nei confronti della Chiesa, amore e
docilità, nella convinzione che essa è «in Cristo come un
sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e
dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen Gentium, 1).
Umiltà, che diventi, nei confronti di noi stessi, serena
consapevolezza che la nostra esistenza umana può acquistare il suo
globale ed autentico significato solo inserendoci nel disegno amoroso
della volontà di Dio: «voler quello che Dio vuole, come Dio lo
vuole e finché Egli lo vuole». Sono parole della Beata Maria
Enrica, che affidiamo alla vostra riflessione.
E così sia!
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