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Domenica, 22 giugno 1969
Signori Cardinali, venerati Fratelli,
carissimi Figli,
e voi, dilette Figlie in Cristo
oggi con Noi esultanti!
Che cosa abbiamo Noi ora compiuto? Noi abbiamo emesso una sentenza
definitiva e solenne con la quale abbiamo inserito la Beata Giulia
Billiart, Fondatrice della Congregazione delle Suore di Nostra
Signora di Namur, nel catalogo dei Santi, dichiarandola degna cioè
di culto che la Chiesa tributa ad uno dei suoi membri il quale abbia
raggiunto la salvezza e sia fatto partecipe della gloria di Cristo.
Tre aspetti bisogna considerare a riguardo di questo atto, che impegna
l’autorità docente della Chiesa. Il primo aspetto è l’avvertenza
del riflesso di Cristo nell’anima che dichiariamo santa; noi
scorgiamo in essa quella conformità all’immagine del Figlio di Dio,
Gesù Cristo, la quale ci svela a riguardo di tale anima una
prescienza e una predestinazione da parte di Dio, come c’insegna San
Paolo: una vocazione dapprima, una giustificazione poi, cioè
un’opera di santificazione, che alla fine ha portato quest’anima
eletta alla glorificazione (cfr. Rom. 8, 29-30). Una
storia meravigliosa e misteriosa, che ha la sua origine
nell’ineffabile e misericordioso pensiero di Dio, e la sua
manifestazione nella vicenda biografica della Santa nel corso della sua
vita temporale, che si conclude, oltre la morte terrena, nella
pienezza della vita eterna. Noi non creiamo, non conferiamo la
santità; la riconosciamo, la proclamiamo. La Nostra prima
intenzione è dunque rivolta a Dio, autore d’ogni grazia e d’ogni
gloria; a Cristo, il solo Santo, il solo Signore. Così che è
ben concepita la formola della canonizzazione ora proclamata: «Ad
honorem Sanctae et Individuae Trinitatis». È l’onore di Dio,
che professiamo esaltando la santità di una creatura umana; è
l’irradiazione di Cristo, che identifichiamo in essa; è l’unica
luce del nostro mondo religioso, che noi celebriamo, presentando alla
venerazione della Chiesa una vita in cui quella luce si ripercuote e
risplende. Così è nell’ordine fisico: la luce rimane invisibile,
finché non incontra un oggetto, e su di esso si ferma e così lo
illumina, lo rende visibile, e fa visibile se stessa, la luce.
Soccorrono alla memoria i versi famosi: «Come la luce rapida, piove
di cosa in cosa, e i color vari suscita dovunque si riposa...»
(MANZONI, La Pentecoste). Perciò nessuno pensi che
onorando i Santi la Chiesa cattolica detragga qualche cosa all’onore
dovuto a Dio solo e a Cristo, «che è l’immagine dell’invisibile
Iddio» (Col. 1, 15; 2 Cor. 4, 4); nessuno dica
superstizione il culto dei Santi, quando in essi la Chiesa ricerca e
celebra la fonte della santità.
E questo è il secondo aspetto dell’atto testé compiuto, e cioè
l’autenticità della qualifica attribuita a Giulia Billiart: è
santa, diciamo. E questo conferimento del titolo più alto, che
possa essere attribuito ad una creatura umana, che cosa significa?
Che cosa è la santità? Oh! quale lunga, splendida e interessante
riflessione si .potrebbe svolgere a questo riguardo! Quale teologia e
quale psicologia! Perché il concetto di santità è uno di quelli
più diffusi e più comuni sia nel linguaggio religioso che profano, da
non potersi facilmente definire. Dovremo ricorrere ai suoi sinonimi
per darne qualche definizione. Santità significa perfezione; e nel
suo grado sommo ed assoluto, questa non si trova che in Dio. Dio è
la perfezione, Dio è la santità. Nei suoi gradi relativi ad esseri
limitati, quali noi siamo, dovremo dire che la santità è la
perfezione dell’uomo in ordine a Dio; la religione, vitalmente
professata con piena fedeltà, è la santità (cfr. S. Th.
II-IIæ, 81, 8). E sappiamo che questa perfezione religiosa
è innanzi tutto la carità: carità che da Dio discende, e ci è
comunicata; è la grazia, la prima, la vera, l’indispensabile
perfezione; la santità è a noi conferita in via ordinaria mediante
un’azione sacramentale, o mediante l’effusione di divini carismi, la
carità cioè emanante dallo Spirito Santo diffuso nei nostri cuori
(Rom. 5, 5). Ed è poi carità che sale a Dio, è la risposta
dell’amore umano all’Amore di Dio, è la santità morale, quella
che ammiriamo nella pratica delle virtù cristiane, animate dalla
carità, dall’amore, in cui si assomma tutta la legge morale (cfr.
Matth. 22, 40), ed esercitate in un grado di singolare purezza
e fermezza, in grado eroico, diciamo nel linguaggio canonico. La
santità è perciò un dramma di amore, fra Dio e l’anima umana; un
dramma in cui il vero protagonista è Dio stesso, operante e
cooperante (cfr. S. Th. I-II, 111, 2); nessuna storia
è più interessante, più ricca, più profonda, più sorprendente di
questo dramma; dovremmo esserne curiosi e ammiratori, come lo erano i
cristiani d’una volta, sapientemente attratti dall’incanto del
singolare fenomeno, che lascia intravedere qualche cosa della
prodigiosa azione di Dio in una vita umana privilegiata, e fa ammirare
questa stessa vita nella esplicazione delle più segrete e più belle
virtualità della nostra natura animata da forze soprannaturali.
Questa è l’agiografia: lo studio della santità. Il quale studio
degnissimo ha spesso rivolto il suo sguardo appassionato agli aspetti
miracolosi della santità; e se ne è tanto invaghito da fermare
all’osservazione dei miracoli la sua attenzione, quasi facendo
un’equazione fra santità e miracolo, a tal punto da concedere
talvolta in altri tempi alla devozione verso la santità la licenza
d’ornarla di miracoli immaginari e di leggende stupefacenti, non forse
con l’intenzione di recare offesa alla verità storica, ma in omaggio
gratuito e convenzionale, floreale e poetico, potremmo dire, alla
santità stessa, e in edificante divertimento alle anime pie e al
popolo religioso (cfr. H. DELEHAYE, Cinq Leçns sur la
méthode agiographique, ch. II). Ora non più così. Il
miracolo resta la prova, un segno della santità; ma non ne
costituisce l’essenza. Ora lo studio della santità è piuttosto
rivolto alla verifica storica dei fatti e dei documenti che la
attestano, e all’esplorazione della psicologia della santità e sia
l’uno che l’altro sentiero conducono a campi sconfinati di
interessantissime osservazioni; questo secondo specialmente, quello
propriamente agiografico, merita tutto il nostro interesse, di noi
moderni in modo particolare, abituati come siamo dalla psicanalisi
moderna a scoprire e ad agitare il torbido fondo dello spirito umano,
mentre potremmo e dovremmo nello studio delle anime sante scorgere con
maggiore acutezza e con maggiore godimento «quale splendida cosa sia
l’umanità» («how heauteous mankind is»: cfr. BREMOND,
Histoire, I, p. 10 e 360).
Perché non riprendiamo a scrivere e a leggere, come oggi si deve, le
«vite dei Santi»? Analoghe osservazioni si potrebbero far circa un
altro aspetto, oggi studiato di preferenza nelle manifestazioni della
santità: quello comunitario, quello sociale, quello cioè
riguardante l’influsso benefico che un Santo diffonde intorno a sé e
che subito anticipa nell’opinione di chi l’abbia conosciuto una specie
di canonizzazione, la «fama sanctitatis». Anche questo aspetto è
evidente nella Santa nostra, alla quale la Chiesa oggi riconosce il
buon diritto d’essere chiamata tale.
E fatta questa scoperta, che la canonizzazione annuncia, non
descrive, un terzo aspetto Ci resta da indicare di questo atto
solenne, la relazione cioè che la nuova Santa assume nella vita
ecclesiale nella «comunione dei Santi», ch’è appunto la Chiesa
stessa (cfr. PIOLANTI, Il mistero della Comunione dei
Santi); e la relazione è anch’essa triplice: il culto,
l’intercessione e l’imitazione. Non ne di. remo alcuna cosa in
questo troppo breve momento; ma invitiamo chiunque partecipi al gaudio
di questa celebrazione di sperimentare da sé questi tre modi, in cui
si concreta il rapporto nostro con l’anima eletta, che è presentata
alla Chiesa come santa: il culto non solo è reso lecito e
universale, ma è raccomandato: dobbiamo riconoscere e onorare Dio
nelle sue opere; quale opera più bella e più grande d’un’anima
santa? L’intercessione è ammissibile: non sono i Santi i nostri
fratelli, i nostri amici, i nostri protettori? Non rimane forse un
vincolo, più che mai operante, fra la Chiesa gloriosa in cielo e la
Chiesa pellegrina sulla terra? Non esiste fra quella e questa una
circolazione della carità che fa salire ai Santi, interpreti nostri
presso la divina Bontà, la nostra invocazione e fa discendere da
quella i suoi favori? La imitazione infine: che varrebbe celebrare i
Santi se non cercassimo di seguirne gli esempi? Non sono essi che ci
confortano ad osare grandi case, mostrando in se stessi la possibilità
della pratica effettiva delle virtù cristiane? «Si isti et istae,
cur non ego?», se questi e queste hanno potuto, perché anch’io non
potro? (cfr. S. AGOSTINO, Conf. IX, c. 27).
Nous devrions maintenant commencer le panégyrique de la nouvelle
Sainte, c’est-à-dire l’histoire de sa vie, étudiée dans sa
signification profonde, aussi bien dans son cadre historique, - celui
de la révolution française et de l’époque napoléonienne -, que
dans son cadre biographique, avec ses composantes physiques,
spirituelles et ascétiques, et dans son cadre social et ecclésial.
Celui-ci nous montre les origines de la Congrégation des Sœurs de
Notre Dame de Namur, et aussi des Sœurs de Notre Dame
d’Amersfoort et de celles de Coesfeld, qui en émanent: très
dignes familles religieuses, désormais répandues dans le monde
entier, pour l’honneur et le réconfort de l’Eglise de Dieu et du
monde.
Nul doute que l’élévation de leur Fondatrice aux honneurs des
autels offrira à toutes les filles de cette sainte Mère, comme à
tant de dévots de Julie Billiart et à toute l’Eglise, l’occasion
de reprendre l’histoire humble et grande de sa vie. Tous voudront
méditer les différents aspects de sa biographie, dont chacun laisse
transparaître une splendeur de grâce et un exemple de vertu
chrétienne: l’humilité, la pureté, la patience, la douceur,
l’intériorité dans l’agir, et toujours, d’une manière quasi
connaturelle, l’aspiration à l’apostolat, l’amour de l’Eglise au
milieu de tant d’épreuves et d’amertumes, l’assiduité dans la
prière, la dévotion à la Vierge, l’art de se faire aimer et
obéir, le talent d’organisatrice, etc. Vous qui êtes ses filles
dans le Christ, vous connaissez l’histoire simple et admirable de
votre Sainte, et sous la pénombre de ses événements bien communs,
vous savez découvrir cette lumière évangélique qui la rend si proche
de notre sympathie, et nous fait écouter avec tant de joie son affable
conversation aussi, modeste que sage, avec, pour conclusion, cette
exclamation qui la caractérise toute entière: «Comme est bon le bon
Dieu!».
Si, au milieu de tant de rayons de sainteté qui font couronne à la
nouvelle Sainte, nous devions en choisir un comme digne de se projeter
sur vos familles religieuses pour en qualifier pour toujours l’esprit
et le programme, nous arrêterions notre regard sur celui qui définit
le but de sa fondation, et qui semble lui avoir été congénital dès
les premières années de sa vie: l’instruction religieuse et
l’éducation chrétienne des jeunes filles, spécialement des
pauvres. Cette activité qui, chez la Sainte, s’exprime sous des
formes d’abord très humbles, et par la suite toujours mieux
préparées et développées, se greffe sur la grande et essentielle
vocation de l’Eglise, celle même du Christ: «Evangéliser les
pauvres» (Luc. 4, 18). Cette vocation conserve encore au
milieu des transformations sociales et du progrès culturel de notre
temps son actualité intacte, peut-être accrue, mais non pas
diminuée par la diffusion de l’instruction publique. Car l’homme
grandit peu à peu dans la civilisation moderne, et sa capacité
réceptive s’accroît, mais souvent aussi son indigence de Dieu, du
Christ, et de l’Eglise, dont la doctrine pourtant peut apporter ce
complément de sagesse supérieure, qui seule illumine la vie et la
sauve.
Et si aujourd’hui tant d’errements idéologiques troublent la
société des hommes, si tant de doctrines erronées ou incomplètes
apportent la confusion dans notre culture, et si même au milieu du
peuple chrétien les notions religieuses sont souvent si rares,
désordonnées et arbitraires, et manquent souvent de certitude claire
et ferme, vous, du moins, continuez votre sage mission d’enseigner
la foi authentique du Christ, celle que l’Eglise catholique enseigne
et défend; faites goûter aux jeunes les richesses de la vérité
religieuse; montrez-leur comment la foi, dans son mystère même,
contient la lumière, et comment son intégrité objective possède,
comme innée, la vertu de s’appliquer aussi à la vie moderne et de la
couronner. Grande mission en vérité! Que sainte Julie vous aide
à la remplir fidèlement et vaillamment; avec notre Bénédiction
apostolique.
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