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Mercoledì, 19 marzo 1969
Fratelli e Figli carissimi!
La festa di oggi ci invita alla meditazione su S. Giuseppe, il
padre legale e putativo di Gesù, nostro Signore, e dichiarato, per
tale funzione ch’egli esercitò verso Cristo, durante l’infanzia e
la giovinezza, protettore della Chiesa, che di Cristo continua nel
tempo e riflette nella storia l’immagine e la missione.
È una meditazione che sembra, a tutta prima, mancare di materia :
che cosa di lui, San Giuseppe, sappiamo noi, oltre il nome ed
alcune poche vicende del periodo dell’infanzia del Signore? Nessuna
parola di lui è registrata nel Vangelo; il suo linguaggio è il
silenzio, è l’ascoltazione di voci angeliche che gli parlano nel
sonno, è l’obbedienza pronta e generosa a lui domandata, è il
lavoro manuale espresso nelle forme più modeste e più faticose,
quelle che valsero a Gesù Ia qualifica di «figlio del falegname»
(Matth. 13, 55); e null’altro: si direbbe la sua una vita
oscura, quella d’un semplice artigiano, priva di qualsiasi accenno di
personale grandezza.
Eppure questa umile figura, tanto vicina a Gesù ed a Maria, la
Vergine Madre di Cristo, figura così inserita nella loro vita,
così collegata con Ia genealogia messianica da rappresentare la
discendenza fatidica e terminale della progenie di David (Matth.
1, 20), se osservata con attenzione, si rileva così ricca di
aspetti e di significati, quali la Chiesa nel culto tributato a S.
Giuseppe, e quali la devozione dei fedeli a lui riconoscono, che una
serie di invocazioni varie saranno a lui rivolte in forma di litania.
Un celebre e moderno Santuario, eretto in suo onore, per iniziativa
d’un semplice religioso laico, Fratel André della Congregazione
della Santa Croce, quello appunto di Montréal, nel Canada,
porrà in evidenza con diverse cappelle, dietro l’altare maggiore,
dedicate tutte a S. Giuseppe, i molti titoli che Io rendono
protettore dell’infanzia, protettore degli sposi, protettore della
famiglia, protettore dei lavoratori, protettore delle vergini,
protettore dei profughi, protettore dei morenti . . .
Se osservate con attenzione questa vita tanto modesta, ci apparirà
più grande e più avventurata ed avventurosa di quanto il tenue profilo
della sua figura evangelica non offra alla nostra frettolosa visione.
S. Giuseppe, il Vangelo lo definisce giusto (Matth. 1,
19); e lode più densa di virtù e più alta di merito non potrebbe
essere attribuita ad un uomo di umile condizione sociale ed
evidentemente alieno dal compiere grandi gesti. Un uomo povero,
onesto, laborioso, timido forse, ma che ha una sua insondabile vita
interiore, dalla quale vengono a lui ordini e conforti singolarissimi,
e derivano a lui la logica e la forza, propria delle anime semplici e
limpide, delle grandi decisioni, come quella di mettere subito a
disposizione dei disegni divini la sua libertà, la sua legittima
vocazione umana, la sua felicità coniugale, accettando della famiglia
la condizione, la responsabilità ed il peso, e rinunciando per un
incomparabile virgineo amore al naturale amore coniugale che la
costituisce e la alimenta, per offrire così, con sacrificio totale,
l’intera esistenza alle imponderabili esigenze della sorprendente
venuta del Messia, a cui egli porrà il nome per sempre beatissimo di
Gesù (Matth. 1, 21), e che egli riconoscerà frutto dello
Spirito Santo, e solo agli effetti giuridici e domestici suo figlio.
Un uomo perciò, S. Giuseppe, «impegnato», come ora si dice,
per Maria, l’eletta fra tutte le donne della terra e della storia,
sempre sua vergine sposa, non già fisicamente sua moglie, e per
Gesù, in virtù di discendenza legale, non naturale, sua prole. A
lui i pesi, le responsabilità, i rischi, gli affanni della piccola e
singolare sacra famiglia. A lui il servizio, a lui il lavoro, a lui
il sacrificio, nella penombra del quadro evangelico, nel quale ci
piace contemplarlo, e certo, non a torto, ora che noi tutto
conosciamo, chiamarlo felice, beato.
È Vangelo questo. In esso i valori dell’umana esistenza assumono
diversa misura da quella con cui siamo soliti apprezzarli: qui ciò
ch’è piccolo diventa grande (ricordiamo l’effusione di Gesù, al
capo undecimo di San Matteo: «Io Ti rendo lode, o Padre,
Signore del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose -
le cose del regno messianico! - ai sapienti ed ai dotti, che hai
rivelate ai piccoli»); qui ciò ch’è misero diventa degno della
condizione sociale del Figlio di Dio fattosi Figlio dell’uomo; qui
ciò ch’è elementare risultato d’un faticoso e rudimentale lavoro
artigiano serve ad addestrare all’opera umana l’operatore del cosmo e
del mondo (cfr. Io. 1, 3 ; 5, 17), e a dare umile pane
alla mensa di Colui che definirà Se stesso «il Pane della vita»
(Io. 6, 48). Qui ciò ch’è perduto per amore di Cristo, è
ritrovato (cfr. Matth. 10, 39), e chi sacrifica per lui la
propria vita di questo mondo, la conserva per la vita eterna (cfr.
Io. 12, 25). San Giuseppe è il tipo del Vangelo, che
Gesù, lasciata la piccola officina di Nazareth, e iniziata la sua
missione di profeta e di maestro, annuncerà come programma per la
redenzione dell’umanità; S. Giuseppe è il modello degli umili che
il cristianesimo solleva a grandi destini; S. Giuseppe è la prova
che per essere buoni e autentici seguaci di Cristo non occorrono
«grandi cose», ma si richiedono solo virtù comuni, umane,
semplici, ma vere ed autentiche.
E qui la meditazione sposta lo sguardo, dall’umile Santo al quadro
delle nostre condizioni personali, come avviene di solito nella
disciplina dell’orazione mentale; e stabilisce un accostamento, un
confronto tra lui e noi; un confronto dal quale non abbiamo da
gloriarci, certamente; ma dal quale possiamo trarre qualche buono
incitamento; all’imitazione, come nelle nostre rispettive circostanze
è possibile; alla sequela, nello spirito e nella pratica concreta di
quelle virtù che nel Santo troviamo così rigorosamente delineate.
Di una specialmente, della quale oggi tanto si parla, della
povertà. E non ci lasceremo turbare per le difficoltà, che essa
oggi, in un mondo tutto rivolto alla conquista della ricchezza
economica, a noi presenta, quasi fosse contraddittoria alla linea di
progresso ch’è obbligo perseguire, e paradossale e irreale in una
società del benessere e del consumo. Noi ripenseremo, con S.
Giuseppe povero e laborioso, e lui stesso tutto impegnato a guadagnar
qualche cosa per vivere, come i beni economici siano pur degni del
nostro interesse cristiano, a condizione che non siano fini a se
stessi, ma mezzi per sostentare la vita rivolta ad altri beni
superiori; a condizione che i beni economici non siano oggetto di avaro
egoismo, bensì mezzo e fonte di provvida carità; a condizione,
ancora, che essi non siano usati per esonerarci dal peso d’un
personale lavoro e per autorizzarci a facile e molle godimento dei così
detti piaceri della vita, ma siano invece impiegati per l’onesto e
largo interesse del bene comune. La povertà laboriosa e dignitosa di
questo Santo evangelico ci può essere ancora oggi ottima guida per
rintracciare nel nostro mondo moderno il sentiero dei passi di Cristo,
ed insieme eloquente maestra di positivo e onesto benessere, per non
smarrire quel sentiero nel complicato e vertiginoso mondo economico,
senza deviare, da un lato, nella conquista ambiziosa e tentatrice
della ricchezza temporale, e nemmeno, dall’altro, nell’impiego
ideologico e strumentale della povertà come forza d’odio sociale e di
sistematica sovversione.
Esempio dunque per noi, San Giuseppe. Cercheremo d’imitarlo; e
quale protettore lo invocheremo, come la Chiesa, in questi ultimi
tempi, è solita a fare, per sé, innanzi tutto, con una spontanea
riflessione teologica sul connubio dell’azione divina con l’azione
umana nella grande economia della Redenzione, nel quale la prima,
quella divina, è tutta a sé sufficiente, ma la seconda, quella
umana, la nostra, sebbene di nulla capace (cfr. Io. 15, 5),
non è mai dispensata da un’umile, ma condizionale e nobilitante
collaborazione. Inoltre protettore la Chiesa lo invoca per un
profondo e attualsimo desiderio di rinverdire la sua secolare esistenza
di veraci virtù evangeliche, quali in S. Giuseppe rifulgono; ed
infine protettore lo vuole la Chiesa per l’incrollabile fiducia che
colui, al quale Cristo volle affidata la protezione della sua fragile
infanzia umana, vorrà continuare dal Cielo la sua missione tutelare a
guida e difesa del Corpo mistico di Cristo medesimo, sempre debole,
sempre insidiato, sempre drammaticamente pericolante.
E poi per il mondo invocheremo S. Giuseppe, sicuri che nel,
cuore, ora beato d’incommensurabile sapienza e potestà, dell’umile
operaio di Nazareth si alberghi ancora e sempre una singolare e
preziosa simpatia e benevolenza per l’intera umanità. Così sia.
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