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Giovedì, 1° gennaio 1976
Venerabili Fratelli,
Figli carissimi!
Tre sono i temi, tre i pensieri che alimentano la nostra odierna
meditazione di capodanno.
Il primo pensiero è quello del calendario civile, che si apre
segnando un giorno, non dissimile dagli altri che si susseguono e che
registrano il corso della nostra vita presente, la vita nel tempo. Il
fatto che la numerazione dei giorni ricomincia da un numero uno, che
inaugura un anno nuovo e che questo periodo del ciclo solare, a cui
diamo il nome di anno, riprende nello spazio solare il suo giro
puntuale e inesorabile, ci fa pensare ad una grande e indefinibile
realtà cosmica e filosofica, la quale investe la nostra presente
esistenza: è il tempo! E il tempo che cosa è? È il movimento
d’un essere creato, è la vita transeunte e precaria delle cose che
non hanno in se stesse il principio del proprio essere e non posseggono
perciò l’immobilità, l’eternità. È un venir meno continuo per
riaversi in uno stato successivo. Cotidie morior (1 Cor. 15,
31), ogni giorno io affronto la morte, ha detto S. Paolo. È la
precarietà della nostra esistenza, che sfugge nel moto alla propria
radicale deficienza. Una meditazione difficile questa, che ha
affaticato le menti dei più grandi ingegni (Cfr. S.
AUGUSTINI Confessionum, XI, 24: PL 32, 821);
ma che si traduce facilmente nella mentalità religiosa, la nostra, al
ricordo delle parole del Signore: Non sono forse dodici le ore del
giorno? se uno cammina di giorno non inciampa . . . (Io. 11,
9) Parole dove è tutto l’insegnamento che a noi deve premere
ricordare: il tempo è prezioso, il tempo passa, il tempo è una fase
di esperimento circa la nostra sorte decisiva e definitiva. Dalla
prova che noi diamo della fedeltà ai nostri doveri dipende la nostra
sorte futura ed eterna. Il tempo è un dono di Dio; è
un’interrogazione dell’amore di Dio alla nostra libera e, si può
dire, fatale risposta. Dobbiamo essere avari di tempo, per
impiegarlo bene, nell’intensità dell’operare, dell’amare e del
soffrire. Non mai per un cristiano l’ozio, non mai la noia! Il
riposo, sì, se necessario (Cfr. Marc. 6, 31), ma sempre in
vista d’una vigilanza che solo all’ultimo giorno s’aprirà ad una
luce senza tramonto (Sull’impiego del tempo: cfr. Sir. 3, 2
ss.; Dan. 8, 19).
Secondo pensiero: quello della festività, a cui è dedicato questo
primo giorno dell’anno liturgico, la maternità di Maria, Madre di
Dio. È come una conclusione, un coronamento del mistero del
Natale. Bellissimo, ricchissimo, dolcissimo tema. Quante cose da
ricordare, quante da celebrare, quante da godere a questa primizia
liturgica, con cui si apre il nostro cammino nel tempo, che ancora ci
è concesso di vivere in questa vigilia dell’eternità, ch’è la vita
presente. La persona di Maria, quale nel Vangelo, e quale nel
culto cattolico ci è presentata, nel suo profilo immacolato e
virgineo, nella sua umiltà e nella sua povertà, nel suo candore
così dolce e così umano, così innocente quale in nessun’altra
creatura potremo incontrare, ci è messa davanti dalla liturgia nel suo
incomparabile, ineffabile e per noi indispensabile mistero, quello di
madre di Gesù Cristo, Figlio di Dio e nostro Salvatore. Qui
occorre una promessa, un impegno: porteremo con noi, nel nostro
pensiero, nella nostra devozione, nella nostra fiducia il pensiero,
il culto, l’affezione a Maria Santissima, in ogni giorno
dell’anno, come quello d’uno «specchio», d’un esemplare d’ogni
umana e cristiana virtù, come quello della donna purissima e
dolcissima, che si accompagna al nostro faticoso pellegrinaggio, come
quello d’una Madre dal cuore così grande d’accogliere in sé la
pienezza dell’amore di Cristo, suo Figlio, di Dio Padre, Verbo
e Spirito Santo, e poi dell’amore all’umanità, alla Chiesa
intera, a ciascuno di noi. Mater pulchae dilectionis, la chiama la
devozione intelligente della Chiesa; non dimentichiamolo più. (E
abbiamo cura di rileggere ciò che il capitolo VIII della grande
costituzione sulla Chiesa, la «Lumen Gentium» del Concilio
ecumenico Vaticano II ci riassume sulla teologia e sulla devozione a
Maria; e se non vi dispiace, rileggete anche la nostra esortazione
sul Culto alla Madonna, scritta nel febbraio del 1974). Maria
merita questo nostro filiale interesse; e noi non ne abbiamo che a
trarre profitto e speranza.
E il terzo pensiero non può esser altro, voi lo indovinate, che
quello che qui tutti ci ha tratti, come ogni anno in varie chiese della
nostra Roma, cioè quello della Pace.
È oggi la giornata della Pace; è l’esaltazione della Pace; il
monito della Pace; la riflessione su la fragilità e la preziosità
unica della Pace. Non abbiamo bisogno di sottolineare questi
concetti: voi sapete quanto ci stanno a cuore, perché li abbiamo
ripetutamente esposti alla vostra attenzione; e ancora recentemente li
abbiamo affidati al Messaggio inviato, per l’odierna celebrazione
della Giornata di quest’anno che sorge, a tutti i Governanti, a
tutti i Reggitori di Popoli, ai responsabili nei vari livelli della
vita sociale e internazionale, ai seguaci delle Religioni, ai
credenti, ai figli fedeli della Chiesa. Là abbiamo parlato delle
vere armi della Pace, quelle che assicurano alla convivenza civile la
sua serena stabilità col far entrare a fondo, sempre più a fondo
nella coscienza degli uomini, il senso della fratellanza universale;
là abbiamo indicato ancora una volta i pericoli, le trepidazioni, le
scintille portatrici di rovine fatali in un mondo purtroppo ancora
fondato su equilibri precari, quando non su ostilità latenti o
aperte; là abbiamo descritto come in una visione profetica il corteo
della Pace che avanza «armata soltanto con un ramo d’ulivo»,
garanzia unica e insostituibile del progresso della civiltà. E
scrutando con ansia i sintomi non sempre incoraggianti del tempo in cui
viviamo, abbiamo esortato accoratamente alla pace, «armata solo di
bontà e di amore».
Oggi, all’alba dell’anno, noi nutriamo la ferma speranza che questo
cammino proceda con più sicura fermezza, con più spedito passo, con
più nutrito séguito di adepti fervorosi e volonterosi: la Pace è
possibile, la Pace è doverosa, la Pace è necessaria. Entra nella
coscienza dei popoli la convinzione ferma e decisa che non si può
costruire nulla di efficace e di duraturo per il bene dell’uomo se non
nella mutua concordia, nel rispetto dei reciproci diritti, nel
paziente esperimento di colloqui costruttivi e di trattative eque e
leali: e guardando a ciò che avviene in questo giorno in cui - come
ce ne giungono ogni anno gli echi festosi e sempre più vasti - nelle
Capitali dei vari Stati del mondo, nelle Sedi delle Organizzazioni
internazionali, nelle comunità ecclesiali, i responsabili civili e
religiosi si soffermano in una pausa di meditata riflessione, anzi di
comune preghiera, allora una gioia intensa ci pervade l’animo: ecco
le vere armi della Pace che si fa strada, sia pur difficilmente e
lentamente, e progredisce nei cuori degli uomini illuminati dalla luce
di Dio.
Da questa Cattedra di verità e di pace, interprete autentica del
Messaggio del Figlio di Dio, noi ripetiamo il nostro appello, il
nostro invito: a quanti hanno in mano le sorti dei Popoli, anzi la
vita o la morte di milioni di fratelli, noi ripetiamo la nostra
esortazione appassionata: gli occhi innocenti e imploranti dei
piccoli, dei poveri, dei sofferenti nel corpo o nello spirito per le
ferite della guerra, li supplicano, il giudizio della storia li
attende al varco, ma più severo e infallibile li aspetta quello di
Dio. Nulla sia lasciato di intentato per comporre i dissidi, per
superare le difficoltà, per promuovere il progresso umano e sociale,
specie là dove più grande è il bisogno, più pressanti le
difficoltà.
Ma anche ci rivolgiamo ai singoli: a voi che ci ascoltate in questa
assemblea devota e luminosa, a quanti sono collegati nell’ascolto,
alle persone che formano il tessuto connettivo della società, all’
«uomo della strada». Tutti siamo responsabili della Pace, tutti
siamo chiamati a collaborare alla Pace, portando nell’ambiente,
nella professione, nei rapporti quotidiani il nostro contributo
personale all’edificazione di una società, fondata sull’amore.
Tutti siamo chiamati a combattere con le armi potenti dell’amore e
della fraternità per lo stabilimento, la tutela, la diffusione della
Pace intorno a noi. Ciascuno incominci da sé; il numero crescerà a
dismisura; è un’opera a cui nessuno deve rimanere estraneo.
Questi voti ardenti noi affidiamo alla Sapienza e alla Bontà di
Colui che è il Principe della Pace: avvalori Egli con la sua
grazia le buone disposizioni; e affidiamo altresì le nostre speranze a
Colei che, mostrandolo al mondo come autore della Pace, può da Lui
implorare sull’umanità il dono, indispensabile e grande, della vera
Pace. Così ci risponda pietosa la Santa Genitrice di Dio, in
questo primo giorno dell’anno a Lei dedicato; così ci accompagni per
i giorni che attendiamo. Amen, amen.
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