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Domenica, 9 marzo 1969
All'inizio dell'Omelia, il Santo Padre vuole dapprima salutare i
presenti e formulare speciale augurio per l’avvenire della loro
comunità parrocchiale. Finora Egli non ha avuto modo di entrare
nella chiesa di San Pio V, costruita nel 1952; è quindi ben
lieto di poterla conoscere in questa circostanza.
Oggi il Papa vi giunge per compiere un dovere, quello di essere
presente come Vescovo, come Pastore. Egli, perciò, deve stare in
mezzo al suo gregge. Colui che, davanti a Dio, è responsabile
della vostra salute, si interessa di voi, viene, per conoscervi,
desidera colmare le distanze.
Sua Santità, dopo aver ricordato che Egli svolge il ministero sacro
nella Città di Roma, mediante la derivazione legale e perfetta del
Cardinale Dell’Acqua, già suo collaboratore nel servizio della
Santa Sede, afferma che l’odierna visita intende onorare la
parrocchia, per dare ad essa un momento di pienezza e di gioia,
nonché la coscienza di ciò che è: famiglia e comunità. Il Papa,
il Vescovo, il Parroco sono principio e centro dell’unità del
popolo cristiano: sono coloro che lo raccolgono, che lo fanno
parrocchia, che lo fanno Chiesa. Dire Chiesa è dire riunione,
assemblea, che si raduna dove c’è una persona incaricata di parlare
della nostra salvezza, dei nostri rapporti con Dio, dei destini
eterni delle nostre anime.
«COR UNUM ET ANIMA UNA»
Quando i primi cristiani cominciarono a vivere insieme avevano un
titolo di onore insigne: l’essere un cuore solo e un’anima sola.
Oggi e sempre deve persistere tale meraviglia: ognuno abbia il senso
di questa comunicazione spirituale, che fa di noi appunto un cuore solo
e un’anima sola. È una comunione stabilita sulla fede e sulla
carità. Qui ci vogliamo bene, qui si dimenticano le differenze, si
perdonano le offese, non c’è più distanza fra una categoria e
l’altra: siamo tutti fratelli. Specialmente i giovani sentano questa
realtà umana e cristiana.
Dopo il saluto - che si estende a tutte le istituzioni di vita
religiosa e cattolica e nell’ambito della parrocchia di S. Pio V,
a cominciare dal monastero di S. Girolamo, il cui Abbate,
Monsignor Pietro Salmon, è presente, - il Papa rivolge a tutti
una raccomandazione. Vogliate bene al vostro parroco, cercate di
rendere facile il suo ministero. Fate coro intorno a lui e ai
sacerdoti che lo aiutano. Riferendosi alla topografia parrocchiale di
San Pio V, l’Augusto Pontefice volge il pensiero alle tante
comunità religiose che la costellano, alle case dell’Azione
Cattolica, alle cappelle, alle cliniche, agli ospedali, alle
scuole. A tutti questi centri di fervente operosità Egli dà un
augurio benedicente, con l’intento che esso giunga ad ogni famiglia,
e soprattutto ai fanciulli, ai sofferenti e malati, ai poveri.
IL TESORO DELLA PAROLA DI DIO
Ed ora una parola, quella che s’eleva dall’altare e che si innesta
nella celebrazione della Santa Messa.
Avete sentito - così il Santo Padre - leggere il brano del
Vangelo, in apparenza piuttosto difficile perché ivi sono toccati
tanti particolari che meriterebbero spiegazioni accurate e profonde.
Sua Santità vuol porne in rilievo unicamente la parte conclusiva,
che affida all’attenzione ed al ricordo dei presenti, affinché la
conservino come un’epigrafe destinata a non cancellarsi mai più dalla
mente: come un precetto, da cui deriverà perenne guida.
Il tratto di San Luca descrive un incontro del Divino Maestro con
il popolo come non mai fitto e plaudente intorno a Lui. Senza dubbio
la vivacità dell’insegnamento di Gesù aveva suscitato le più
entusiastiche impressioni, sicché un’umile donna, profondamente
commossa, ebbe ad esclamare beata la tua mamma; beata colei che ti ha
portato e ti ha nutrito! E Gesù a rispondere: Oh beati piuttosto
coloro che ascoltano la parola di Dio e la compiono! «Beati qui
audiunt verbum Dei et custodiunt illud».
La parola! Ecco: sulla Parola di Dio il Santo Padre vorrebbe per
un istante richiamare l’attenzione del suo uditorio e quasi scolpire
nei loro intelletti, spiegandone tutta l’importanza e sublimità, la
divina espressione.
Noi siamo convinti d’avere bisogno grandissimo di insegnamento, di
scienza, di verità. Necessitiamo di una spiegazione. La vita può
paragonarsi ad un mare dove tutti siamo e nuotiamo, spesso senza sapere
a che cosa diretti e perché: senza nemmeno valutare chi siamo noi.
Sulle cose che ci stanno d’intorno siamo magari consapevoli e acuti
scienziati; invece su ciò che riguarda noi stessi, la nostra vita,
il nostro destino, siamo come dei ciechi che procedono a tentoni.
Qualche cosa si intravede e si conosce; c’è, in fondo a tutti gli
animi nobili, in quanti si sentono uomini, un intenso desiderio di
acquisire la ragione del vivere; ma è doveroso conseguire una pienezza
di nozioni e di guida.
COME ASCOLTARE IL DIVINO MAESTRO
Perciò proclamiamo : è la religione che ci spiega il perché della
vita e pertanto deve permearla e sostenerla. Ma come si fa a vivere in
questo modo? Qui anche coloro i quali sentono l’alto dovere hanno
l’obbligo di farsi un’idea più precisa di tale nota fondamentale.
Alcuni ritengono che essa consista in qualche atto di culto, in talune
buone abitudini, in salutari pensieri e riferimenti. Possiamo
chiederci: è forse qui la sostanza, la radice, l’essenza di tanto
bene? No, la natura dei nostri rapporti con Dio può riassumersi in
un solo termine: la rivelazione. Ciò è così vero che, data la
nostra naturale ignoranza, proprio quanti maggiormente studiano e ‘si
applicano a divulgare i più alti concetti, le tendenze
dell’umanità, le notizie, in una parola, la vita, divengono
sovente preda del dubbio: in realtà finiscono col saperne meno degli
altri; finiscono con l’avere gli occhi sbarrati senza vedere la strada
da seguire, che cosa occorre fare e quale il segreto autentico della
nostra esistenza.
È stato quindi necessario che una scintilla di luce scendesse dal
Cielo per illuminare questa nostra oscurità. C’è voluto che
dall’alto venisse una parola a spiegarci qualche cosa sul modo del
nostro vivere e ci mostrasse le realtà supreme che ci circondano e i
destini autentici verso cui siamo incamminati.
Nel Vecchio Testamento noi osserviamo come il Signore abbia parlato
agli uomini non soltanto con indicazioni verbali, ma con i fatti, con
la storia, finché è venuto (anche qui dovremmo sostare per
comprendere bene il senso di ogni espressione) il Verbo. La Parola
di Dio si è fatta Uomo. Come si chiama il Verbum caro factum est?
Gesù Cristo. Per parlarci il Signore si è fatto nostro fratello,
come uno di noi: Dio parlante si è concretato, ha preso immagine
reale, ha preso voce come uno di noi. Questa presenza - ecco il più
sublime atto nella storia dell’umanità -, la realtà di Dio
parlante nel mondo è Gesù Cristo. Infatti come volle egli
chiamarsi, allorché era in mezzo a noi? Con l’appellativo di
Maestro, cioè colui che parla, colui che insegna, colui che svela
il perché della vita.
Gesù ci ha donato una doppia scienza. Anzitutto la scienza di Dio,
spiegandoci qualche cosa su Dio e la sua essenza. È come se avesse
acceso il sole sopra di noi, poiché tutto l’orizzonte umano ne resta
illuminato. Gesù poi ci ha detto chi siamo noi. Così Dio e
l’uomo sono gli oggetti precipui, centrali, della divina
rivelazione.
Possiamo noi far a meno di tale dono? Se vogliamo essere degni dei
nostri eterni destini, se cioè intendiamo essere, onesti, liberi,
virtuosi, dobbiamo sentire la necessità di accogliere in noi la
Parola di Dio. Per tutti è obbligatorio il tener presente che il
conoscere la Parola di Dio è il fondamento primo e più solido.
Saremmo ciechi se non avessimo il sole; del pari rimarremmo nelle
tenebre se la Parola di Dio non ci illuminasse per essere nostra
luce. Conoscere la Parola del Signore è elemento essenziale.
Dinanzi ad esso non hanno alcun valore gli accenni polemici o negativi
che si odono qua e là. Ad esempio: si può vivere bene anche senza
religione; la religione è cosa troppo misteriosa ed ardua; è un peso
andare a scuola di religione. Si tratta di obiezioni puerili, non
valide. Bisogna, invece, assumere un atteggiamento positivo; aprire
intelligenza e volontà; bene comprendere quel che il Signore vuol
dire con la sua sentenza: Beati, beati coloro che ascoltano la
Parola di Dio e la intendono.
La nostra beatitudine, cioè la perfezione della nostra vita, il
raggiungimento dei nostri fini, la pienezza di quanto possiamo
desiderare, la soluzione delle nostre difficoltà, il sollievo) nei
nostri dolori, la gioia di poter dire: sono veramente vivo e destinato
alla vita eterna, tutto questo insieme di tesori viene largito
dall’incontro con la Parola di Dio.
Ed ora: qual è il primo effetto prodotto dalla Parola di Dio? Se
il Signore fosse qui e ci parlasse, ogni anima lo ascolterebbe e lo
seguirebbe con slancio, con la più alacre volontà di rispondere e
aderire. Come si chiama, nel linguaggio religioso, questo
atteggiamento affermativo di ricezione e di consenso, che muove ogni
nostro intento a compiere quel che il Signore prescrive? Cade a
proposito un paragone che può desumersi dall’esperienza
tecnico-scientifica d’ogni giorno. Perché una lampada si accenda
occorre l’inserimento nella energia chiamata elettricità. Ebbene noi
siamo delle lampade spente se non possediamo l’arcana corrente che è,
nientemeno, il pensiero di Dio. Questo pensiero diventa nostro; la
voce del Signore trova eco nei nostri cuori; la sua verità diventa
programma e meta per noi. L’anima di ognuno si apre, si dilata, si
accende, illuminandosi poiché la verità di Dio la ricolma e diventa
pensiero nostro. L’immedesimazione del nostro essere con il pensiero
di Dio si chiama la Fede.
ACCOGLIERE E VIVERE L'IMMENSO DONO
Adunque il principio della vita religiosa, e perciò della nostra
salvezza, è l’accettazione, l’ascolto totale di Dio. È il sì
che noi diciamo al Signore, per cui diventiamo cristiani operosi,
fedeli, cioè animati dalla fede. Qui è la base di tutta la
religione. Dopo la fede verranno le altre virtù, soprattutto la
carità, i doni dello Spirito Santo, i Sacramenti, la vita
cristiana condotta in modo attivo c convinto. Possiamo, quindi, in
una sola frase sintetizzare: la fede è l’inizio della nostra
salvezza; essa nasce dall’ascolto della Parola del Signore.
Il Santo Padre desidera concludere la sua Omelia con tre
raccomandazioni.
La prima: ascoltare ciò che il Signore ha detto ed insegnato e che
la Chiesa ripete da oltre diciannove secoli, riecheggiando, con il
suo magistero, i precetti, i desideri del Salvatore, cioè
distribuendo a tutti la rivelazione.
Bisogna attingere a questa sorgente. Di qui l’invito ai cari
ascoltatori e a tutti i fedeli di non essere cristiani ignoranti, di
non subire rimprovero da parte di chi ci guarda e potrebbe giudicarci
severamente dicendoci: tu non conosci quello che credi, non hai idee
chiare, non hai studiato il catechismo, sei come un intruppato
anonimo, inerte, nei ranghi della comunità parrocchiale. Invece il
vero cristiano vuol pensare, apprendere, conoscere sempre più e
meglio, secondo il monito di Santo Agostino: «Intellectum ama,
valde ama».
Pertanto nessuno si tenga pago di notazioni elementari, generiche:
procuri di istruirsi sempre più; di leggere qualche cosa di buono e
degno; di essere sempre avido della Parola del Signore. Vi sono
delle obiezioni, delle difficoltà? Certo: ma appunto perché la
Parola di Dio non sempre è agevole ad essere attuata o non appare
subito intuitiva ed accessibile, occorre uno sforzo da parte nostra per
studiare, riflettere, capire.
La seconda raccomandazione si desume da quel che compie la Chiesa,
come nostra Maestra, dispensatrice della Parola di Dio. Ogni
settimana, ogni giorno festivo. Essa aduna i fedeli intorno
all’altare. Dapprima li fa partecipi della Liturgia della Parola;
quindi della Liturgia sacramentale della Presenza di Gesù. È bello
qui ricordare quanto è meravigliosamente scritto nella Imitazione di
Cristo: «Io di due cose ho bisogno: di luce e di pane». Ecco la
Santa Messa. La luce ci è data dalla Liturgia della Parola.
Quale ricchezza per ogni cristiano il poter acquisire almeno qualche
brano, alcune idee di quel che il sacerdote enuncia nella spiegazione
del Vangelo! Il pane è la Santissima Eucaristia.
Per ultimo il terzo invito. Non basta ascoltare, non basta
ricevere; è indispensabile vivere la Parola del Signore. L’uomo
buono, l’uomo giusto - dice San Paolo - «ex fide vivit»: e la
espressione è quanto mai incisiva. Non basta vivere con la fede, ma
occorre derivare tutta la nostra vita dalla fede e di essa informare
ogni nostro proposito, ogni nostro atto. Alcuni esempi: seguendo il
Signore che ci prescrive la carità, dobbiamo ogni giorno esercitare
il nostro amore verso Dio e verso il prossimo. Del pari è
indispensabile una piena risposta ai precetti di perdonare le offese,
di dire sempre la verità, d’essere puri, mortificati, seri,
scrupolosi nell’attuare la legge di Dio. Insomma ogni insegnamento
del Divino Maestro sia norma costante della nostra vita, la quale
sempre deve rispecchiare ed esprimere la Grazia, cioè l’amicizia con
Dio.
Chiara è la sintesi: amare la Parola di Dio, esserne avidi,
affamati e di essa nutrirsi, studiando, ascoltando soprattutto il
commento al Vangelo durante la Santa Messa e quindi facendo
fruttificare in noi stessi le verità ascoltate.
In tal modo la promessa del Signore si adempirà già durante il
nostro soggiorno terreno e ci aprirà la vita celeste, eterna, perché
avremo fatto nostra la Parola di Dio, l’avremo custodita e
praticata. Così, nel giorno supremo, risuonerà per noi, dandoci
la pienezza del gaudio senza fine, il saluto del Redentore del mondo:
Beati, beati . . .!
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