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Sabato, 10 novembre 1973
Il Papa anzitutto invita i presenti a uno sforzo di riflessione, al
fine di cogliere il vero significato dell’Anno Santo. Dobbiamo
porci in uno stato di tensione, di attenzione, di raccoglimento e di
concentrazione delle nostre facoltà percettive nel punto focale che
siamo chiamati a meditare con totale donazione della nostra coscienza.
L’Anno Santo, che attraverso i secoli viene con i suoi annunci,
con le sue pratiche di religione, di penitenza e di pietà, a
iscriversi nel corso della storia spirituale di Roma e del mondo, ci
impone un primo sforzo di comprensione del solco in cui la nostra
esistenza si svolge: il tempo. Si parla di tempus acceptabile, come
avviene già altre volte nella pedagogia liturgica. Vi sono dei tempi
propizi, vi sono dei momenti felici, vi sono dei periodi più idonei
di altri per realizzare la nostra personalità e lo scopo stesso per cui
ci è data la vita. L’Anno Santo è uno di questi momenti felici,
un momento in cui si misura che cosa vale per noi la religione, che
cosa vale per noi la fede, che cosa vale per noi l’essere cristiani.
È un momento in cui riflettiamo sulla consapevolezza già acquisita di
essere cristiani, battezzati, di essere cattolici, domandandoci quale
profondità, quale incidenza questa nostra qualifica cristiana abbia
nella realtà della nostra vita sia nell’attimo che fugge, il momento
presente, sia nel corso di questo tempo che ci fa vivere, ci divora e
ci porta verso il nostro destino. L’Anno Santo è il momento in cui
siamo chiamati a decidere che cosa vogliamo essere, ad autodefinirci,
a dire a noi stessi ciò che siamo, non anagraficamente ma
esistenzialmente.
Vogliamo definirci religiosi, cristiani e cattolici cioè vogliamo
concepire questa nostra esistenza in un rapporto indeclinabile,
necessario col Dio trascendente e col Dio che è venuto incontro a noi
con i passi umili, semplici, fraterni del Vangelo. Ci siamo
incontrati con lui, abbiamo ascoltato la sua parola, abbiamo sentito
il fascino della sua evangelizzazione, abbiamo accolto i doni delle sue
parole misteriose, ci siamo sollevati fino ad essere uniti con lui e
poter dire con San Paolo «Non sono più io che vivo; è Cristo che
vive n me». Questa trasfusione della nostra vita in Cristo e di
Cristo in noi, questa divinizzazione della nostra esistenza prende in
questo momento tutta la nostra attenzione. Non si tratta di piccola
cosa, di cosa secondaria, di cosa che si può risolvere senza un
grande impegno, ma è cosa che investe tutta la nostra personalità,
tutta la nostra responsabilità: ecco perché dedichiamo un anno a
questa grande riflessione. E in quest’anno ci dobbiamo rinnovare,
rifare, ricomporre, dobbiamo mescolare la nostra psicologia, la
nostra educazione, la nostra anima per dirci individualmente: «Sì,
voglio essere quello che il Vangelo mi chiama ad essere, un uomo
nuovo», e per cercare socialmente di avere intorno a noi null’altro
che fratelli ed amici. Ci è stato perdonato tutto. «Dimitte nobis
debita nostra sicut et nos dimittimus debitoribus nostris»; vogliamo
perdonare tutti e avere le braccia aperte al soccorso, alla carità che
si effonde e genera l’ecclesia.
Tutto ciò è molto difficile, e perciò esige una preparazione, un
anticipo, un’introduzione: l’Anno Santo diocesano che si sta
inaugurando. Esso ci consente di avvicinarci a questo processo di
pensiero spirituale, filosofico, esistenziale, sociale, con un po’
di chiarezza nell’anima e con qualche proposito delineato e
determinante. Chi vi annuncia questo? Un pover’uomo, un fenomeno
di piccolezza. Io tremo, fratelli e figli, tremo nel parlare,
perché sento di dire qualcosa che immensamente mi supera, delle cose
che io non ho abbastanza testimoniato e servito, delle cose che
meriterebbero davvero una voce profetica che avesse a dare l’ampiezza
lirica e potente della loro realtà. E invece ve le dico così. Non
ho niente da leggere, come di solito voglio fare, per essere più
chiaro e più breve nei miei discorsi. Leggo adesso nel mio cuore,
sento la mia piccolezza e la sproporzione schiacciante tra il messaggio
che annuncio e la mia capacità di esporlo e anche di viverlo. Ma
nello stesso tempo non posso negare, non posso tacere che io sono
mandato. Non parlo ,di me, non vi annuncio un qualche mio ritrovato
di pensiero, di studio o una formula mutuata da qualche sapiente. Io
vi annuncio la parola di Cristo, io sono mandato da lui, io il
successore di San Pietro. Accoglietemi, non disprezzatemi,
accoglietemi per quello che sono. Sono il Vicario di Cristo. In
nome suo vi parlo e perciò vi prego di avere riguardo non tanto a me
quanto alla mia parola e al mio annuncio, e di capire che cos’è
questa chiesa gerarchica e costituita che ha la missione di annunciare
con autorità e con sicurezza la parola del Signore. È venuto il
momento in cui vi devo chiedere tutta la Vostra adesione e il vostro
ascolto.
Il Papa richiama a questo punto l’attenzione su una scena evangelica
particolarmente significativa. Gesù torna in Galilea dopo aver
compiuto atti singolari, come il Battesimo di Giovanni. Torna al
suo paese, a Nazareth, ed entra nella sinagoga, cioè nel luogo di
preghiera e di raccoglimento in cui la popolazione del luogo trovava la
sua espressione religiosa. Gesù, il figlio del fabbro, si alza per
leggere: apre il libro e si presenta come il profeta. «È venuta
l’ora - dice - che io annunci la buona novella ai poveri, la
liberazione ai prigionieri, il ricupero della vista ai ciechi, la
libertà agli oppressi, che io proclami l’anno di grazia del
Signore». È Gesù che parla e tutti si meravigliano. Come mai
quel giovane che lavorava nella bottega di Giuseppe è salito a questa
altezza, tanto da far sue le parole di Isaia? Chi era costui e come
fu accolto? Ahimé, lo cacciarono, e volevano gettarlo giù dal
monte su cui Nazareth è costruita e ucciderlo. L’annuncio di
Cristo va incontro anche a questa eventualità. Gesù invece passa
innocuo in mezzo alla folla e ricomincia, anzi incomincia il suo
ministero di annunciare il regno di Dio al popolo galileo.
È venuto il momento propizio e io sono qui stasera per dire a voi,
figli di Roma, figli della Chiesa, figli di questo tempo:
«Guardate che si approssima un periodo, un momento veramente
favorevole. È forse il momento che deciderà le nostre sorti personali
e le nostre sorti eterne, un momento di somma responsabilità, e di
somma fortuna se lo sappiamo cogliere, di somma sventura se per caso
passasse inosservato o se ci trovasse chiusi al suo ascolto.
Dobbiamo entrare in profondità nella nostra coscienza, avere il senso
di noi stessi. Dobbiamo orientarci nella molteplicità delle voci,
delle proposte, delle possibilità, dobbiamo trovare l’orientamento
nella dialettica del mondo moderno che si affaccia quotidianamente alla
nostra coscienza. Dobbiamo orizzontarci nella confusione, nella
polemica, nella contraddizione, trovare un dialogo, trovare la
maniera di capire tutti, di trarre da ogni parola umana che viene
pronunciata attorno a noi un nucleo di verità sufficiente a renderci
amici anche di chi ci insulta, ci offende, ci nega. Dobbiamo essere
convinti di poter e dover colloquiare con tutti. Dobbiamo costruire
una grande armonia attorno a noi, una grande riconciliazione, dobbiamo
saper essere così saggi da tutto comprendere, tutto discernere».
Sappiate conservare ciò che è buono.
Si tratta poi - prosegue il Santo Padre - di trovare uno stile di
vita. Siamo figli del nostro tempo, non vogliamo essere diversi dagli
altri cittadini del mondo. Ma un’intenzione dovrà dominare la nostra
esistenza, una sapienza la dovrà dirigere, un valore superiore la
dovrà fare risplendere di valori che adesso restano occulti, quasi
oppressi. Dovremo rigenerare la nostra maniera di pensare e di vivere
nel mondo in cui siamo. Dovremo ricostruirci una vera coscienza
cristiana. Dovremo essere veramente rigenerati nel cuore: questo il
programma dell’Anno Santo. «Sono venuto a dirvi di prepararvi -
ha aggiunto il Santo Padre -, di cogliere il momento che è buono,
per dire: Sappiate adattare questa problematica religiosa,
spirituale, morale alle vostre personali condizioni». Rivolgendosi
poi con particolare commozione ai confratelli nel sacerdozio, Paolo
VI dichiara: O sacerdoti, comprendiamo la nostra vocazione.
Abbiamo forse subito anche noi momenti di confusione, di debolezza,
di critica, di contestazione? Forse in momenti in cui più luminosa
ci è apparsa la nostra vocazione ci siamo rivoltati contro di essa,
siamo diventati i critici di noi stessi, gli autolesionisti della
nostra stessa missione. Ebbene, cerchiamo di rimetterci nella
pienezza della rispondenza con Cristo che ci ha amato e ci ha fatto la
grande grazia di investirci dei suoi poteri, di incarnarsi in noi, di
autorizzare le nostre labbra a pronunciare le sue parole e le nostre
mani a dare le sue benedizioni e la nostra vita a consacrarsi per il
bene dei nostri fratelli. Siamo diventati Ministri di Cristo;
siamolo, nella pienezza del nostro dono e nella consapevolezza della
fortuna strana, paradossale che ci è capitata. Viviamo il nostro
sacerdozio in grande pienezza, guardi,amo di essere veramente i
rappresentanti e i ministri di Cristo in mezzo al popolo in cui siamo.
E voi, specialmente, giovani, che già avete sentito qualche eco
della voce del Signore, l’avete forse incontrato in qualche vicenda
della vita, avete sentito la sua voce che dice «vieni, vieni dietro a
me», e siete accorsi. Se mai è avvenuto questo per voi, badate che
la vostra vita diventa un grande dramma, glorioso e doloroso nello
stesso tempo, ma incommensurabile. È la maniera più alta, più
degna, più grande, più iperbolica di vivere la propria esistenza.
Siate degni di questa vocazione; con tutta semplicità dite:
«Ecco, Signore, tu solo hai parole di vita eterna, io ti
seguirò».
E gli altri giovani? Come annunciare l’Anno Santo alla gioventù
del nostro tempo? L’annuncio del cristianesimo alle nuove generazioni
è preoccupazione assidua del Papa. Colme annunciare Cristo Signore
- egli si chiede - ai giovani, che sono i candidati migliori per
capirlo e per realizzarlo? Che sono stanchi e quasi nauseati delle
formule che la vita moderna, così carica, così ricca, così
opulenta ha riversato sopra di loro? Il giovane, che alcune volte ha
le divinazioni che gli adulti non hanno, sente un senso di nausea di
fronte a un certo modo di vivere. In questa visione contestataria
trova lo stimolo a vivere in povertà, trova la spinta verso la ricerca
della verità. I giovani d’oggi vogliono essere autentici, vogliono
essere quello che si è e si deve essere. Hanno un’anima
iperfilosofica.
Vorrei colloquiare con questi - afferma Sua Santità - e dire «io
ho la verità, io ho quello che ti manca e quello che aspetti, io ho
la formula per interpretare la tua vita, io ti do la bellezza, io ti
do la gioia, la forza, moltiplico le tue ricchezze, le tue facoltà,
io ti metto nella vita reale, ti metto nel centro della grande ipotesi
dell’esistenza umana. La vita è una grazia immensa, impagabile.
Quale dialogo lungo, quale dialogo amico, penetrante, interessante
si dovrebbe fare alla nostra gioventù, perché capisse che la sua
follia non è che un pianto, non è che un gemito per cercare qualcosa
di veramente reale, di veramente buono. È l’acclamazione incognita e
inconscia verso il Cristo che non trovano e che, se lo trovassero, li
inebrierebbe di pace, di gioia, di forza, di equilibrio: sarebbero
loro i padroni del mondo di oggi e del mondo di domani».
Infine, l’annuncio dell’Anno Santo è rivolto a tutti gli altri.
Nel nostro mondo, nella nostra società in fondo ci sono molte persone
che hanno già trovato qualcosa, che hanno conquistato il possesso di
tanti beni di scienza, di cultura, di benessere soprattutto di beni
economici, che sono diventati adesso i primi ad essere calcolati.
Tutti vogliono accrescere il loro benessere. Vorrei dire a questi
potenti della vita, che hanno avuto una loro pienezza, ciò che loro
manca: Siete dei poveri, e non avete capito l’elementare verità che
quanto più noi possediamo di questa terra tanto più spasimiamo per
avere altri beni che invece ci sfuggono. Quanto più il nostro cuore
è pieno di terra, tanto più è avido dei beni del cielo. È da
operarsi una metamorfosi nella mentalità della gente che ha ricevuto,
amministra, gode e conta di suoi risparmi, il suo potere economico.
Bisogna dir loro: più hai accumulato e meno possiedi, perché hai
riempito la tua anima di beni falsi, di beni fittizi, di beni
perituri. Quae autem cumulasti, cuius erunt? Che resterà? Tutti
quelli che mettono il confine della vita a questo livello fanno un
grande tradimento alla statura umana con una decapitazione che porta
l’uomo a non desiderare più ciò a cui è realmente destinato, la
vita del cielo, la vita futura, la vita dello spirito, la vita del
bene, la vita dell’amore, la vita della bellezza, dei grandi doni
dello spirito.
L’annuncio non è facile neanche per tutto il popolo, il popolo che
soffre, il popolo che aspira alla libertà. Ma gli oppressi hanno
bisogno di una liberazione diversa che non sia quella puramente
economica e sociale, di una libertà che non può che essere data dalla
nostra fede, dalla nostra relazione autentica con Dio e con Cristo.
Hanno bisogno di speranza, hanno bisogno di sapere che c’è qualcosa
di destinato anche a loro, che non sono i diseredati, che non sono gli
emarginati, che non sono i disprezzati, ma che sono i fratelli e sono
al primo posto perché sono i preferiti. Bisogna consolarli,
incantarli - spiega il Santo Padre -, non di parole, non di
suggestioni vane e mitiche, incantarli del messaggio del Vangelo di
Nostro Signore che dice: Beati voi, poveri, perché vostro è il
regno dei cieli. Fosse questo l’anno per poter dire a questa gente
queste parole di Cristo! Fosse questo il momento, fossi io il
profeta di queste parole, lo fossimo insieme, fosse tutta la Chiesa
di Roma capace di cantare le beatitudini che il Signore ci ha
insegnato! Questo vorrei dire a ciascuno. Ognuno ha il suo
messaggio, la sua parola, ha pronta la sua risposta che viene dal
cuore di Cristo. Vorrei che tutti imparassimo ad amare il Signore,
ad amare Cristo e a sentire che quest’amore si esprime in maniera
completa nella comunione, nell’essere insieme, nella ecclesia, e
cioè nella chiesa di Dio, dove troviamo questa felicità incipiente e
questa pedagogia verso i beni reali e i beni eterni. Vorrei che
l’Anno Santo riconfortasse la Chiesa di Roma ad essere ecclesia,
ad essere comunione, ad essere unità nello spirito, nei propositi,
nelle forme di vita, nei costumi. Che sia così: sappiate che questo
è l’annuncio. Il regno di Dio è vicino. Convertitevi,
perdonatevi, mettetevi in pace e cercate di capire che questa è l’ora
del passaggio del Signore.
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