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Domenica delle Palme, 11 aprile 1976
Fratelli e Figli carissimi!
Che cosa vi ricorda il ramo d’olivo, o la palma che portate in mano?
Tutti lo sappiamo: ricorda un fatto singolare del Vangelo, quello
dell’entrata di Gesù a Gerusalemme, cinque giorni prima ch’Egli
fosse condannato a morte e crocifisso. Un’entrata insolita, perché
distinta da un segno, abbastanza modesto, ma intenzionalmente
celebrativo, reso solenne dall’enorme folla, presente e festante,
che ne circondò lo svolgimento. Siamo a Bethania, a pochi
chilometri da Gerusalemme, un villaggio sul versante orientale del
monte degli ulivi, dov’era la dimora ospitale delle sorelle Marta e
Maria, e del loro fratello Lazzaro, da poco risuscitato da Gesù,
e dove la gente curiosa si addensava stupita ed eccitata: vi erano gli
amici, i discepoli con quelli che ammiravano Lazzaro redivivo per la
popolarità che Gesù andava acquistando, e decisi a sopprimere tanto
Gesù, quanto Lazzaro, per mettere fine al successo crescente del
Maestro (Io. 12, 10). In quest’atmosfera, carica di
entusiasmo esplosivo da una parte e di odio radicale e segreto
dall’altra, partendo da Bethania si formò un corteo, e con grande
gioia dei seguaci di Gesù si accolse dai discepoli il suo ordine
insolito, quello di procurargli una cavalcatura per proseguire
festosamente verso Gerusalemme. A Bethfage infatti, su l’ordine di
Gesù, fu preso a prestito un asinello, non mai prima d’allora
cavalcato da alcuno, e vi fu fatto sedere il Maestro stesso; e
immediatamente la scena si trasformò in una manifestazione popolare,
resa solenne nella sua povera semplicità da due circostanze: la ressa
di popolo accampata intorno a Gerusalemme per la Pasqua ebraica, e
proveniente dalla città rigurgitante di popolo e di forestieri, e
accorsa tutta verso la comitiva in arrivo; e, seconda circostanza, le
acclamazioni spontanee e gaudiose di tutta quella gente che applaudiva
con grida assai significative, e per i nemici di Gesù assai
fastidiose: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del
Signore».
Che cosa significava questa accoglienza, così gioiosa e così
clamorosa?
Questo è importante notare. Il momento si fa drammatico, e acquista
il suo significato, decisivo per la storia e per la comprensione del
Vangelo; il significato consiste nel riconoscimento e nella
proclamazione del carattere messianico di Gesù. Egli è Colui che
doveva venire. Egli è qui, dopo l’attesa di secoli, passata nella
coscienza delle generazioni; Egli è il figlio di David! Egli è il
Cristo! Gesù è il Cristo, il mandato da Dio, il Salvatore, il
Messia, è il centro della storia, è il Re dei Giudei (ricordate
la tavoletta della sentenza di morte, scritta da Pilato e affissa
sopra la Croce di Gesù? «Gesù Nazareno Re dei Giudei»).
«Questo è il punto ove s’incontrarono . . . il messianismo delle
plebi e quello di Gesù» (G. RICCIOTTI, Vita di Gesù
Cristo, 505). Non era quello soltanto un momento eccezionale;
era un destino, che riassumeva la vita privilegiata e travagliata del
Popolo eletto, che concentrava in sé il compimento delle profezie e
che apriva gli orizzonti del tempo futuro, che celebrava un avvenimento
d’inesauribile salvezza, la Redenzione, e che impegnava tutta
l’umanità ad una scelta suprema, quella nuova alleanza tra il mondo e
Dio, quella del cristianesimo sì, o no. Si comprese dopo il
compimento degli eventi, a cui quel fatto dava principio, quale sorte
fosse giocata intorno a quel nome, Gesù; intorno a quel Maestro,
Gesù; intorno a quel Messia, Gesù; intorno a quell’Agnello di
Dio, a quella vittima per la salvezza del genere umano, Gesù.
Egli proprio in quell’occasione, nel suo linguaggio rivelatore e
misterioso, ebbe a preannunciare: «Io, quando sarò elevato da
terra (in croce, cioè), attirerò tutti a me» (Io. 12,
32). Lo spettacolo allora, allo sguardo dello spirito, si fa
grande come il mondo. Il dramma si fa straripante fino a distendersi
su tutta l’umanità. E il racconto, a ben pensarci, si fa
estremamente interessante, tanto da non lasciare alcuno indifferente;
esso ci riguarda personalmente; ciascuno di noi vi è partecipe.
Fratelli, Giovani specialmente, pensate bene a quanto vi diciamo:
questa celebrazione, che riguarda la proclamazione di Gesù Messia,
di Gesù il Cristo, di Gesù, nostro Salvatore, riguarda altresì
il nostro destino, la nostra scelta primaria. Ripensate all’episodio
decisivo, che stiamo celebrando: Gesù riconosciuto dal Popolo, e
nello stesso tempo, Gesù osteggiato e poi fatto uccidere dai capi del
Popolo stesso, che non vollero accoglierlo e prestargli fede, neppure
dopo la risurrezione di Lazzaro, neppure dopo il suo ingresso
trionfale ed umile quale Messia in Gerusalemme. Vi ricordate le
parole profetiche pronunciate dal pio e vecchio Simeone, quando Gesù
bambino, fu presentato al tempio: Egli sarà «segno di
contraddizione»? (Luc. 2, 34) Sì, segno di contraddizione:
intorno a lui vi sarà una lotta; gli uomini saranno divisi ed opposti
fra loro. Questa lotta si perpetuerà nei secoli. Oh! Questo è
uno dei misteri più difficili e più dolorosi della storia umana:
l’unità d’intorno al Cristo, centro, polo, salvatore
dell’umanità, non sarà né spontanea, né facile; egli sarà un
bersaglio di fiera e dura opposizione da una parte; Egli sarà
tuttavia punto di fedelissima convergenza dall’altra.
Ora osservate: chi in quel giorno fatidico ebbe l’intuizione che
Gesù di Nazareth, il Maestro estremamente saggio, miracoloso e
misericordioso, pellegrinante e predicante nella Palestina, era Lui
il Messia, era Lui il figlio di David, era Lui il Salvatore
atteso e promesso? Fu il Popolo, e fra il Popolo più entusiasti ed
attivi furono i Giovani. Essi furono gli araldi del Messia. Essi indovinarono.
Essi si esposero, con segni di audacia, di felicità e di letizia.
Essi capirono che quella era l’ora di Dio, l’ora sospirata e
benedetta dell’arrivo del Messia; e fu allora, che agitando rami
degli alberi, rami d’olivo e di palme, noi crediamo, decretarono a
Gesù, il Maestro, il Messia, il Cristo, il Principe della pace
(Cfr. Is. 9, 6), il suo primo trionfo, popolare ed
incontenibile (Cfr. Luc. 19, 39-40). Gesù fu visto
piangere in quel momento, che presagiva a Lui la passione e la croce,
e alla città renitente alla sua suprema chiamata messianica una futura
rovina. Ma una tonante voce del cielo annunciò un epilogo di gloria
(Io. 12, 28), e le grida dei fanciulli acclamanti prevalsero
sul frastuono della folla e sull’ira dei gerarchi, e accompagnarono
Gesù fino al tempio, sempre osannando il nuovo figlio di David
(Matth. 21, 15).
Ora osservate bene: la scena si ripete, la scena nella liturgia della
Chiesa si perpetua e si rinnova. Attraverso i secoli, ogni anno,
quando viene la Pasqua, questa cerimonia, che noi stiamo celebrando,
proclama Gesù come Cristo, come Messia, come l’arbitro dei
destini dell’umanità, il vero Salvatore del mondo. Quali sono le
voci più qualificate per l’annuncio di questo beato messaggio al
mondo? sono quelle del Popolo di Dio, sono le vostre, Giovani
convenuti a questo rito meraviglioso e misterioso. Tocca a voi oggi,
figli di questa generazione storica, fare eco alle acclamazioni di
Gesù, riconosciuto come Cristo, come Salvatore e Signore. Per
una fortunata e segreta maturazione dei tempi sono oggi i Giovani,
gruppi privilegiati di Giovani, a intuire, a comprendere che quel
Gesù del Vangelo è Lui che inaugura e apre a buon diritto il Regno
della salvezza. È Lui, il Cristo, che ponendosi sulla via
torrenziale della civiltà la divarica in due diverse e spesso opposte
correnti: da una parte, la sua, quella di Gesù Cristo, la
corrente della pace e della fratellanza universale fra gli uomini suoi
seguaci; dall’altra la corrente della violenza, della divisione e
della lotta, e alla fine della guerra; da una parte la corrente dei
«poveri nello spirito», dei cercatori del regno di Dio, dei
credenti nella vita eterna, dall’altra la corrente degli egoisti e dei
cercatori del regno della terra, degli uomini che solo nel tempo hanno
la loro fiducia; da una parte la corrente che fa dell’amore a Dio e
al prossimo la legge suprema della vita individuale e sociale;
dall’altra la corrente che fa della forza e della rivoluzione
aggressiva e sopraffattrice la ragione cieca dei destini dei popoli; da
una parte la corrente della fede e della verità e perciò della
libertà (Cfr. Io. 8, 32); dall’altra la corrente delle
mille e sfrenate opinioni, che violando i diritti delle coscienze
esteriormente s’impone . . . Due concezioni del mondo, della
verità, della vita: quale scegliete?
Oh, beati voi, Figli carissimi, che avete già scelto, e scelto
secondo sapienza e secondo fortuna, fin dal giorno del vostro
battesimo, impegnando la vostra vita a questa professione globale e
felice: noi saremo cristiani! saremo di Cristo, saremo con Cristo,
in questa vita e in quella futura ! Ed oggi, agitando le vostre
palme, con rinnovata coscienza, con più forte energia, confermate la
vostra scelta, la vostra promessa: sì, noi saremo cristiani!
Due sentimenti riempiano allora i vostri cuori: il coraggio e la
gioia!
Con la nostra Apostolica Benedizione
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