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Giovedì, 25 gennaio 1973
Figli carissimi e venerati Fratelli,
Con gioia spirituale intima e profonda abbiamo voluto unirci alla
preghiera per l’unità dei cristiani organizzata nella nostra diletta
diocesi e trovarci qui tra voi, clero e fedeli, a pregare insieme il
Signore, a ripetere la sua stessa preghiera al Padre Celeste: «ut
unum sint, ut mundus credat» (Io. 17, 21).
La celebrazione annuale della Settimana universale di preghiera per
l’unità dei cristiani ci ricorda il dovere di essere perseveranti e
vigilanti nella preghiera, il dovere di rinnovare al Signore la nostra
domanda, la nostra fiducia, la nostra speranza; essa ci fa rinnovare
il nostro impegno a pregare sempre meglio e sempre più.
«Signore, insegnaci a pregare» (Luc. 11, 1), chiedevano con
semplicità i primi discepoli di Gesù. Ed Egli insegnò loro il
Padre Nostro, il modello della preghiera cristiana. La preghiera è
dunque dono di Dio. Se il cristiano, strappato al suo peccato ed
elevato alla dignità di figlio di Dio (Io. 1, 12) vive
intensamente questo dono, allora è lo Spirito stesso, operante in
lui, che si rivolge al Padre, «perché noi non sappiamo quello che
ci conviene chiedere, ma lo Spirito stesso intercede a nostro favore,
con gemiti inesprimibili» (Rom. 8, 26).
Il nostro discorso è molto breve e molto semplice, e si può
riassumere in questo schema lineare: primo, la ricomposizione
dell’unità integrale dei Cristiani è cosa di somma importanza:
perché voluta da sempre da nostro Signore; ce lo dicono le Parole
riassuntive dei suoi desideri divini sulla missione di Salvatore e di
Mediatore fra Dio Padre e l’umanità credente: questa deve essere
una, e deve riflettere nella sua compagine, che la definisce Chiesa,
il mistero stesso d’unità che intercede, anzi che identifica in una
medesima divina natura il Figlio al Padre (Cfr. Io. 17, 11,
12). E poi perché tutto il nuovo Testamento è pervaso da questa
esigenza di unità fra quanti sono non solo veri seguaci di Cristo, ma
di Cristo viventi, nello Spirito Santo. Ed anche perché le
disavventure storiche che hanno frazionato la Cristianità durante i
secoli si rivelano oggi alla riflessione e all’esperienza
intollerabili, sproporzionate, alla luce della fede, alle cause che
vi diedero origine, esiziali per la causa della religione nel mondo
moderno, insostenibili al confronto del disegno divino, tutto rivolto
a fare dello sparso e multiforme gregge di Cristo «un solo ovile e un
solo Pastore» (Io. 10, 16). Potremmo discorrere senza fine
su questo punto; il Concilio ce ne presterebbe inesauribili ragioni;
ripeteremo le sue stesse parole: «Il ristabilimento dell’unità, da
promuoversi fra tutti i Cristiani, è uno dei principali intenti del
sacro Concilio ecumenico» (Unitatis Redintegratio, 1).
Ricordiamo: la ricomposizione dell’unità dei Cristiani è cosa di
somma importanza.
Secondo punto: è cosa difficilissima. Anche a questo riguardo gli
argomenti non sono che troppi; e, più o meno, tutti lo riconoscono;
essi sono di prima evidenza gravi e complessi, anche se oggi finalmente
fra le tenebre di difficoltà, che sembrano rendere insolubile il
problema della riunificazione dei Cristiani fra loro separati
nell’unica Chiesa cattolica, universale cioè e organica, e perciò
variamente composta, ma solidale in una sola univoca fede, in una sola
espressione, visibile e sociale di carità, pari a membra diverse, ma
componenti un solo corpo (Eph. 4, 3-7), il corpo comunitario,
gerarchico e mistico insieme di Cristo, anche se, diciamo, qualche
consolantissimo bagliore venga ad accendere e a ravvivare le nostre
speranze. Cosa difficilissima, ripetiamo: si tratta, potremmo
dire, di cambiare la geografia religiosa del mondo cristiano; ma,
ancor più che la geografia, la psicologia; si tratta di superare la
formidabile e atavica obiezione antiromana, a nostro avviso
ingiustificata, ma sempre resistente specialmente sul fronte teologico
e canonico. Come stabilire la ricomposizione dell’unità dei
Cristiani riconoscendo le intrinseche esigenze d’una vera unità
ecclesiastica senza superare ostacoli, che il genio della divisione ha
lavorato per secoli a rendere insormontabili? Occorre certamente una
mentalità nuova, un rinnovamento spirituale, una riforma di studi e
di comportamenti, che la buona volontà puramente umana non riuscirebbe
a raggiungere senza un intervento soprannaturale, senza un aiuto
divino. L’unità, che andiamo cercando, non può essere conclusa
che con una grazia del Signore.
Ecco allora un terzo punto. Come possiamo ottenere questa grazia,
che nella questione ecumenica non può non assumere le dimensioni d’un
avvenimento straordinario anche misteriosamente maturato? Pregando!
Pregando, fratelli e figli carissimi! Pregando, amici tutti! La
preghiera aprirà al prodigio la via del suo compimento. L’unità dei
Cristiani deve discendere dalla carità di Dio, lungo i sentieri che
la nostra preghiera è impegnata ad aprire.
Qui si porrebbe il discorso sull’efficacia della preghiera,
ricordando la lezione di S. Alfonso Maria de’ Liguori sul
«Grande mezzo della preghiera» (1759), e applicandola al caso
nostro mediante l’analisi delle due classiche definizioni che i maestri
danno all’orazione. L’orazione, la preghiera, innanzitutto, è
un’elevazione della nostra mente in Dio, per Cristo Signore, nello
Spirito Santo. Ora se questa elevazione a Dio, da cristiani fra
loro separati, in Lui converge, in Lui si fonde, genera un’unità
di spiriti al vertice ultraterreno della divinità; in Dio essi
s’incontrano, essi si amano, essi ritornano fratelli; essi,
incontrandosi poi sul livello delle realtà umane e terrene, è mai
possibile che dimentichino quel momento di estasi nella verità e nella
carità, che appunto è la preghiera, e che non tendano con cuori
nuovi a tradurre nella scena dell’esperienza storica e vissuta
l’unità goduta nell’incontro verticale delle sommità spirituali?
E l’altra definizione della preghiera, la supplica cioè di quei beni
i quali non ci possono venire che dalla mano misericordiosa di Dio, e
dei quali abbiamo primario bisogno, non c’insegna quanto essa, la
preghiera, può essere atta a consumare nell’unita il nostro grande
sforzo ecumenico? «Se uno di voi, insegna Gesù, domanda un pane
al proprio padre, forse che questi gli darà una pietra?» (Luc.
11, 10-13). Ricordiamo quante volte nell’economia del
Vangelo il Signore stesso ci raccomanda di aver fiducia
nell’efficacia della preghiera (Cfr. Matth. 7, 7; 19,
26; 21, 22; Io. 15, 5; 16, 23; etc.). La
causalità divina s’innesta nel corso delle vicende umane, non
mediante (ché la grazia rimane sempre incondizionata e gratuita), ma
attraverso le disposizioni prodotte in noi, sia individui, che
collettività, dalla preghiera.
A volte oggi si può avere l’impressione che in qualche parte la
preghiera vada perdendo questo suo ruolo centrale nella vita del
cristiano e che essa divenga per alcuni cosa secondaria o superata.
Non vorremmo che una simile impressione trovasse rispondenza nella
realtà. Mentre con soddisfazione rileviamo che nella vita della
Chiesa è in atto anche un fecondo risveglio spirituale e un vero
rinnovamento della preghiera sulla base del Vangelo e delle grandi
tradizioni liturgiche; in molti ambienti si riscopre anche il valore
della contemplazione. Ciò è motivo di conforto per noi.
Se la preghiera esprime il nostro rapporto con Dio, la relazione
intima con il Padre, essa è essenziale per il Cristiano e per
l’uomo di ogni tempo e in ogni circostanza. «Senza di me non potete
fare nulla» (Io. 15, 5), ci ammonisce con chiarezza il
Signore.
Quale sarebbe la nostra vita senza la preghiera? La preghiera è
necessaria per la nostra esistenza, è necessaria per farci vivere
nella grazia, per accrescere in noi, ogni giorno di più, la nostra
fede, la preghiera è condizione per il nostro operare e il nostro
agire, per poter predicare il Vangelo.
La preghiera è dunque indispensabile per il ristabilimento
dell’unità di tutti i cristiani. Il Concilio Vaticano II ha
posto le preghiere, private e pubbliche, in quel nucleo centrale che,
con la conversione del cuore e la santità di vita, «si deve ritenere
come l’anima di tutto il movimento ecumenico» (Unitatis
Redintegratio, 8).
Questo movimento ha dato già importanti frutti. Un’amicizia vera e
profonda si è ristabilita fra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e
Comunità ecclesiali; il dialogo è aperto con impegno di fede e
fiduciosa speranza. Se in questo cammino si notano anche delle
lentezze, ciò è dovuto alla delicatezza e all’ampiezza della materia
trattata, in cui si è impegnati con la propria fede e la propria
coscienza e quindi con grande senso di responsabilità.
Con le venerabili Chiese d’Oriente, in particolare, abbiamo
riscoperto una comunione quasi piena che ci spinge a fare tutto il
possibile per completarla.
Con pastorale soddisfazione notiamo che all’interno della Chiesa
cattolica la preoccupazione per l’unità di tutti i Cristiani trova
efficaci strumenti di azione nelle commissioni per l’ecumenismo delle
Conferenze Episcopali e, sul piano locale delle diocesi, nei
segretariati diocesani. Siamo stati vivamente lieti nel costatare come
la commissione per l’ecumenismo della nostra diocesi ha programmato
questa settimana di preghiera per l’unità, sollecitandone la pratica
a tutte le parrocchie, alle comunità religiose, agli istituti e alle
scuole. Esprimiamo la nostra gratitudine.
È questo un chiaro segno che è stata accolta la volontà del Concilio
Ecumenico Vaticano II, secondo cui: «La cura di ristabilire
l’unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e
ognuno secondo le proprie capacità (Unitatis Redintegratio, 5).
Inoltre, ciascun Cristiano anche se non vive in mezzo a Cristiani di
altre confessioni «sempre e dovunque partecipa a questo movimento
ecumenico confrontando tutta la vita cristiana allo spirito del
Vangelo» (Directorium de re oecumenica, pars I, 21).
Prima di concludere vogliamo mandare un cordiale e spirituale saluto a
tutti i Cristiani del mondo; ai Cattolici, che con noi godono del
dono inestimabile dell’unità della Chiesa, e che con noi devono
pregare e operare per l’unità nella Chiesa; a tutti i fratelli
cristiani tuttora da noi separati affinché si sappiano ricordati,
amati ed attesi; ed anche vogliamo esprimere un pensiero rispettoso ed
affettuoso in Cristo ai Cristiani di altre confessioni dimoranti in
questa città e assicurarli della nostra stima e del nostro ricordo al
Signore.
Con questi sentimenti, in obbedienza alla volontà del Signore,
continuiamo la nostra preghiera per ringraziare Iddio dei progressi .
. . compiuti in campo ecumenico e per invocare il dono dell’unità
piena che dobbiamo rendere possibile e affrettare rimuovendo da noi ogni
ostacolo e migliorando la qualità della nostra vita cristiana.
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