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Domenica, 27 febbraio 1966
L'Omelia del Santo Padre si inizia con un affabile saluto al
Signor Cardinale Vicario, nei cui sentieri di apostolato, gli
stessi del Papa, avviene l’incontro. Altri saluti cordiali il Papa
dà a Monsignor Vicegerente ed agli ecclesiastici che
l’accompagnano; al Parroco della basilica, per il quale fa voti
speciali di successi nella santa attività, con la piena adesione dei
fedeli; ai sacerdoti che risiedono in questa zona di Roma e che, o
nella parrocchia o in altre chiese, sicuramente svolgono efficace
ministero a vantaggio di tante anime; all’Ordine Carmelitano; a
tutte le altre comunità religiose sia maschili che femminili, che in
multiforme apostolato svolgono encomiabile rispondenza alla loro
vocazione santa; e infine alle associazioni di Azione Cattolica;
agli altri sodalizi ed a tutti i fedeli, con l’incarico, a questi,
di recare il ricordo e la benedizione del Padre ad ogni singola
famiglia e casa.
I MOTIVI DELLA VISITA DEL PAPA
Ed ora il Santo Padre desidera che i cari ascoltatori pongano mente
al perché della sua venuta. Egli non è a San Pancrazio per una
festa o speciale celebrazione: lo scopo della sua iniziativa sono gli
stessi fedeli; è la parrocchia, la comunità spirituale e religiosa
qui raccolta - ed alla quale la Chiesa riconosce una ben determinata
figura giuridica - che il Papa viene a salutare e a benedire.
Egli infatti ritiene suo dovere, come Vescovo, incaricato perciò
del bene spirituale e responsabile della salvezza del mistico gregge,
di dimostrare in quale modo tutti sono presenti alla sua mente e nelle
sue preghiere, nelle ansie per il bene generale e quello singolo di
ognuno. Devono sentirsi amati. Sanno benissimo che il Signore li
ama: chi non ripete e non sente la sublime verità: «dilexit me»?
Inoltre il Signore si è degnato di dimostrare questa sua carità, di
renderla palese e tangibile in linguaggio umano, attraverso il
ministero della Chiesa, la Gerarchia, la Parrocchia. Adunque il
Papa è venuto per dare ancor più l’evidenza e quasi la sensazione
dell’infinita carità di Dio, che null’altro chiede se non di
salvare; per rinvigorire in quanti lo ascoltano la consapevolezza di
essere Chiesa; e affinché ognuno rinsaldi la propria responsabilità
mediante un cristianesimo vivente e attivo.
Non è un mistero per alcuno il notare che tale coscienza, attraverso
le abitudini e trasformazioni dell’età contemporanea, in tanta parte
si è come diluita, addormentata, giungendo a compromessi con altre
idee, sì che sovente si incontrano coloro che non fanno differenza tra
l’essere cristiani e il non esserlo; tra l’appartenere a questo mondo
e il considerarsi figli di Dio; tra l’essere cittadini della società
civile - alla quale va tutto il nostro rispetto e il nostro aiuto
morale e pratico - e sentirsi altresì cittadini di un’alta società
religiosa, denominata la Chiesa, la quale è appunto il veicolo della
nostra salvezza presente e futura.
Pertanto la presenza del Papa non sta a ricordare un elemento
complementare, decorativo nella vita di ciascuno, ma sì invece il
supremo destino d’ogni uomo: il doversi congiungere, un giorno, con
Dio e salvarsi. La Chiesa, la parrocchia, è la nave che trasporta
alla riva della salute eterna. Di qui, dunque, la necessità di più
forte e sentito impegno per la vocazione cristiana.
SUPERNI DONI DEL CONCILIO
Dopo un amabile invito a tutti i sacerdoti e religiosi di voler
confortare, con solerzia e con l’esempio, questo senso della
comunità, la rinascita della parrocchia, la gioia di sentirsi
fratelli e figli di Dio, favorendo, almeno una volta alla settimana,
la meravigliosa armonia che sale da una folla eterogenea e fervidamente
unita nella lode all’Altissimo «una voce dicentes: sanctus,
sanctus, sanctus», l’Augusto Pontefice estende l’esortazione a
tutti gli altri e cioè ai fedeli invitandoli a lavorare concordi nella
fede e nella carità.
A tale mèta sublime ci esorta il Concilio. Ora che così grande
avvenimento s’è concluso, bisogna trarne il succo, il valore, il
senso. Perché è stato indetto e celebrato? per quale motivo
concerne ciascuno di noi? Proprio perché la coscienza di essere
cristiani e la generosa adesione alla nostra fede sia più coerente,
sentita, operante, esemplare; più ricca di opere e di meriti.
All’idea del Concilio va congiunta quella del Giubileo, che i
partecipanti al sacro Rito tra poco acquisteranno, bene assistendo
alla Santa Messa. Nel Giubileo sono le braccia maternamente aperte
della Chiesa, con la indulgenza verso le colpe, le insufficienze, le
manchevolezze e l’invito a tornare ad essere «un cuor solo ed
un’anima sola» come l’antica comunità dei cristiani. Venite -
Ella dice - ché letizia è questo momento della vostra vita, nella
riconciliazione piena con Dio.
Si avverte, quindi, nitido e forte l’eco del Vangelo. A tale
proposito va ricordato che la Messa che oggi qui si celebra è quella
appositamente composta per il Giubileo. Essa ci ripresenta il brano
del Vangelo che può definirsi principe nel Grande Libro: quello
delle Beatitudini. L’abbiamo riudito, or ora, dalla voce del
diacono che ha ripetuto la voce stessa del Signore. Come non rilevare
anche questo prodigio storico: le parole di Cristo, da Lui
pronunciate, passano di età in età, di labbro in labbro e vengono a
risonare tra noi? Siamo abituati alle meravigliose comunicazioni che
la tecnica ci offre: basta un filo, un’onda, per parlarsi a enormi
distanze. Non trascuriamo l’altro prodigio. Il Signore ha
inventato questa trafila di comunicazioni - appunto la Gerarchia, la
tradizione cristiana - che da secolo a secolo, da ministro a
ministro, porta, vivida e intatta, la parola stessa di Gesù.
Eccola nel suo Discorso-programma: dove è la sintesi del suo
messaggio al mondo, ove si attinge una bellezza e potenza lirica che
nessuno ha mai eguagliato. Nessuno ha detto verità così elette e
piene, così potenti come quelle riascoltate poco fa.
IL SIGNORE MI HA DETTO . . .
Beati i poveri, gli umili, i miti; beati coloro che piangono e
soffrono, coloro che hanno fame e sete di perfezione e di giustizia.
Saranno consolati, esauditi; avranno il Regno dei Cieli!
Ed ora: questo medesimo Discorso, riletto nella circostanza della
visita del Papa, ognuno voglia avere la pazienza, anzi la sapienza di
rileggere e di meditare. Avvertirà, senza dubbio, che la grande
parola attinge, in pieno, la coscienza dell’umanità. È il
messaggio alla vita, all’uomo, all’intera famiglia umana quale è.
Esso non si misura col tempo: è sopra la storia e gli avvenimenti.
Non è circoscritto da alcun limite geografico e terreno. È la Voce
di Dio fatto Uomo; si propaga nel mondo e arriva alle anime, ad ogni
singola anima.
Ognuno, perciò, rileggendo, riascoltando, potrà esclamare: il
Signore ha detto; anzi mi ha detto.
E qui andrebbe spiegato qualche cosa che aiuti l’ascolto, la
ricettività del divino insegnamento.
Il Vangelo, come ha elevatissima forma di presentarsi, con la
semplicità, e una limpidezza incomparabile, presenta pure ardui
problemi per l’uomo. A volte il povero mortale ritiene di capirlo
bene, ritiene molto facile l’attuarlo. Non è così. Il Signore
usa parole semplici per farci acquisire verità immense. Basta essere
un po’ più attenti e si scorgerà che espressioni in apparenza dimesse
posseggono incalcolabile vigore espressivo, ricchezza di contenuto,
larghezza di applicazioni, profondità teologica ed umana, una
Verità che realmente si manifesta in tutta la sua essenza: divina.
LA VERA E GENUINA BEATITUDINE
Allora, se noi stiamo attenti, se desideriamo davvero compenetrarci
di tanta grandezza e unirci a così sublime verità, sentiamo in modo
naturale ricorrere la parola: Beati. E tali ci sentiremo nel
riascoltare e rivivere ogni parola di Cristo, secondo quanto Egli
stesso ha dichiarato: Beati qui audiunt verbum Dei et custodiunt
illud.
Per tornare al Messaggio della Beatitudine, la prima nota che si
avverte è un grido quasi polemico, contraddittorio: non indica
affatto quel concetto piuttosto comune di ritenere il Vangelo come un
balsamo lenitivo di ogni afflizione. Infatti il Vangelo non va
considerato come un miele disteso sulla vita. È ben altro. Ha sì
tutta la dolcezza e la capacità di confortarci: ma il Vangelo è
fuoco, il Vangelo è ardimento, è la forza di Dio. E allora: se
viene a contatto con noi attraverso le sillabe che ascoltiamo e
rileggiamo, è naturale che questo ci sconvolga e quasi colpisca i modi
consuetudinari e irriflessi della nostra abituale mentalità. Il
Vangelo ci dice cose che sembrano irreali: Beati i poveri, beati i
piangenti, i perseguitati; coloro che rinunciano alla vendetta,
all’uso della forza . . . Ecco come il Vangelo sgombra dai nostri
cuori la congerie degli pseudo fondamenti delle nostre speranze
terrene.
Conseguenza logica: per essere cristiani, occorre togliere dalla
nostra anima quel senso di facilità che tante volte dà l’illusione di
essere bene avviati. La vita cristiana incomincia con un gesto di
forza, con una vittoria sulle difficoltà. L’odierna cerimonia s’è
iniziata con il rinnovamento delle Promesse Battesimali, cioè con un
atto di energia, con una scelta: io lascio, io rinuncio, io voglio.
E scelgo per la mia esistenza i veri beni, quelli che danno pienezza
alla mia persona. Il cristianesimo esige dunque adamantina volontà
risolutiva; non è fatto per le anime vili, per quelle che si
illudono; non per le superficiali o ipocrite; non è indicato per
coloro i quali vogliono combinare le due cose: stare bene in questo
mondo e meglio nell’altro. Per rimediare a tutte le disfunzioni e
miserie causate dal peccato originale occorre usare risolutezza e agire
con il cuore, essere convinti, operare con fermezza e slancio.
LA NATURA E I MODI DELLA FELICITÀ
Tutto ciò - si noti bene - non significa che il Vangelo renda
tristi o tolga le speranze di una perfezione nella vita. Tutt’altro:
esso non solo non spegne la felicità, ma la proclama. Tutte le
ripresentate voci di Cristo incominciano con la grande parola
«Beati», cioè essere felici; avere gioia e pienezza dell’essere.
Il Vangelo garantisce la felicità. Ma con due clausole.
La prima è che esso cambia la natura della felicità. Questa
consiste non nei beni effimeri, ma nel Regno di Dio: nella
comunicazione vitale con Lui. Quindi: Quaerite primum Regnum Dei
. . . et haec omnia adjicientur vobis.
La seconda novità introdotta da Gesù è quella che cambia i modi per
raggiungere la felicità. Niente bramosia di ricchezze, niente
egoismo, odio, cupidigie. Bisogna invece contraddire queste tendenze
o passioni, istinti, tentazioni. Si deve andare contro corrente,
incominciando a rendere degno, paziente e sacro il dolore.
E allora? Nel rileggere e meditare il Discorso delle Beatitudini si
comprenderà appieno come esso sia il codice della vita cristiana; il
principio per dimostrarsi autentici, veramente fedeli, effettivi
seguaci di Cristo. Abbiate tutti voi, figli carissimi, - conclude
il Santo Padre - la ispirazione, la forza per dire: Sì, o
Signore, ancora oggi, 1966, non si è consumato il
cristianesimo, non si è spenta la tua voce; né il mondo ha potuto
estinguere la tua carità. Ancor oggi noi vogliamo Te, o Signore;
essere tuoi, e fedeli discepoli. Noi crediamo in Te, speriamo in
Te, amiamo Te. Questo il Papa è venuto a dire; ed aggiunge la
esortazione per ognuno di far tesoro di così prezioso e supremo bene.
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