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Domenica, 16 marzo 1969
Il Santo Padre saluta l’assemblea e manifesta ciò che ha provato,
entrando in S. Giovanni Crisostomo: viva letizia e un’impressione
di novità. Come certi olivi secolari, contorti e provati, da
sembrare ormai finiti, morti, pure a primavera emettono nuovi germogli
e foglioline d’argento, così il vetusto tronco della Chiesa romana
continua ad arricchirsi di nuovi rami, di nuove comunità, senza dar
verun segno di esaurimento.
La città si dilata per chilometri: e subito si organizzano le nuove
parrocchie. Questa novità, questa 241ª parrocchia della diocesi
di Roma, il Papa è venuto a vedere, accompagnato dal suo Vicario,
Cardinale Dell’Acqua, che, suo primo collaboratore nell’esercizio
del ministero pastorale diocesano, il mese scorso ha benedetto il nuovo
tempio. Confermando quella benedizione con la sua, il Santo Padre
raccomanda il Cardinal Vicario alla gratitudine e rispondenza dei
fedeli. Quindi il saluto paterno si dirige al parroco, ai suoi
collaboratori, alle. suore, ai preposti alla Sacra Elemosineria
Apostolica, o Servizio Assistenziale, come ora è denominata (con
i Monsignori Venini e Travia), a cui si deve la erezione della
scuola annessa alla parrocchia, ai progettisti del nuovo edificio
sacro, al costruttore, ai parrocchiani che si sono assunti speciali
oneri per rendere possibile la realizzazione del rilevante complesso.
A tutti egli esprime il suo grazie, per le generose ed esemplari
prestazioni.
L’UNITÀ DELLE ANIME NELLA CASA DI DIO
Nuova la parrocchia come istituzione e come edifici, ma anche sotto il
profilo comunitario. Il Santo Padre ricorda che, nelle città
moderne, all’efficienza dei servizi non corrisponde la concordia,
l’affiatamento delle persone. Quartieri ordinati, ma come anonimi,
isolano gli uomini invece di unirli. Al contrario la parrocchia rende
comunità viva la società che vi fa capo. Presenti su un piano di
libertà, tutti uguali davanti al Signore, piccoli e grandi qui
diventano cittadini allo stesso grado e livello, membri di una
comunità di amici, solidali nella preghiera. È una meraviglia
sociale, di bellezza e di valore umano grandissimi. La parrocchia è
come una casa dove qualcuno si occupa di tutti, perché l’amore arda
ed operi in una fraternità semplice, naturale, attiva. Alla
fioritura numerica corrisponde l’unità: 9-10 mila anime avvinte
nella gioia e nel dolore, nella partecipazione reciproca alle vicende
di tutti, mentre i giovani, bene prezioso ed essenziale, che
garantisce alla mirabile famiglia il suo sviluppo e rinnovamento,
crescono e apprendono.
Il Papa a questo punto mette in luce la forza principale che unisce la
comunità: è la fede, il patrimonio ideale comune, il bene più
prezioso dei cristiani, il convincimento che Dio si salva, la
possibilità di espressione nella preghiera corale, «una voce
dicentes», tanto gradita a Dio.
IL PRODIGIO DELLA MOLTIPLICAZIONE DEI
PANI
Fede, preghiera e carità: sono passaggi collegati. Volersi bene;
considerare la parrocchia casa di pace, dove ognuno riconosce ed
assiste il prossimo; simpatizzare reciprocamente, e stare concordi,
senza subire i difetti del campanilismo; vivere questo precetto
riassuntivo della legge cristiana è inestimabile ventura.
Riconciliarsi, perdonarsi, essere fratelli, per aver titolo a
invocare lo stesso Padre: qui è il fondamento dell’unità, sempre
proposta e raccomandata quale altissimo ideale. L’unità cristiana
attua un mistero grande: «Dove sono due o tre adunati nel mio nome,
io s’ono in mezzo a loro». È Gesù stesso a scaturire, con una
presenza misteriosa, dalla confluenza delle persone che si riuniscono
oranti nel suo nome: Gesù è reso presente dell’amore della
comunità. Perciò la prima esortazione del Padre delle anime è
quella di amare sempre, intensamente, la Parrocchia.
Ed ora un commento al brano del Vangelo testé letto: quello sul
miracolo della moltiplicazione dei pani. Quante spiegazioni sarebbero
utili per renderlo non solo comprensibile, ma dilettevole! Il Santo
Padre si limiterà a qualche breve accenno.
Il Signore si trovava nella parte settentrionale del lago di
Tiberiade, là ove, ai giorni nostri, si succedono purtroppo
ostilità e scontri tra israeliani ed arabi. Da una parte del lago
c’era Cafarnao, che potrebbe dirsi la base di tanta parte del
ministero di Gesù. All’altra riva, la prima città ad incontrarsi
era Betsaida - la patria di ,ben quattro Apostoli: Simone detto
Pietro, il suo fratello Andrea, Giovanni e Giacomo -, che il
delegato romano della regione aveva denominato Julia in omaggio alla
figlia di Augusto imperatore.
Il Divino Maestro, attraversato il lago, voleva isolarsi per
raccogliersi, con il gruppo degli Apostoli, in preghiera.
Senonché, al loro sbarco trovarono una moltitudine entusiastica per
l’eco e l’incanto della parola di Gesù. A migliaia le persone
avevano guadato il Giordano più a monte e attendevano che il grande
Profeta parlasse ancora, mostrasse la sua potenza. C’era un vasto
prato, ed il Signore invitò tutti a disporvisi a piccoli gruppi.
Qui il Vangelo entra nei particolari dell’imminente prodigio. La
domanda di Gesù all’Apostolo Filippo sul da farsi; la risposta
pessimistica dell’interpellato; la notizia recata da Andrea sul
ragazzo che aveva portato cinque pani d’orzo e due pesci; la
meravigliosa calma di Colui che avrebbe provveduto a tutti in modo
sorprendente.
Con eccezionale, inesauribile larghezza i pani crescevano di numero
nelle mani del Figlio di Dio: tutti ne ebbero e poterono saziarsi a
volontà. San Marco nota che i beneficati furono più di cinquemila,
senza contare le donne e i fanciulli.
Questo strepitoso miracolo del Signore non potrà essere compreso
appieno se non si pensa al discorso che Gesù tenne il giorno seguente
a Cafarnao. La gente era sempre in cospicuo numero; si accalcava
intorno a Lui per implorare: dacci ancora di quel pane. Ed ecco la
risposta del Redentore del mondo: non cercate il pane che passa, che
muore; cercate il pane della vita, quello che non perisce, giacché
viene dal Cielo. Alla premessa segue amplissima spiegazione. Ne
riferisce diffusamente San Giovanni al capo sesto del suo Vangelo,
la cui lettura e meditazione il Papa raccomanda a quanti sono in grado
di istruirsi nelle meraviglie della fede.
«IO SONO IL PANE DELLA VITA»
Gesù dichiara: «Io sono il Pane della vita». Aveva fatto
precedere l’annunzio di questa verità con il grande miracolo per far
comprendere il senso delle affermazioni che avrebbe ancora fatte. «Io
sono il Pane della vita». Voi ben sapete - spiega il Santo Padre
- che con questa frase il Signore Gesù alludeva al grande Mistero
dell’Eucaristia. Perciò la Chiesa, per farci riflettere a questo
mistero, in modo speciale prima della Pasqua, fa rileggere a tutti il
brano evangelico sulla moltiplicazione dei pani.
Che cosa vuol dire fare la Pasqua? Di sicuro, uno dei fanciulli tra
gli ascoltatori potrebbe immediatamente rispondere: vuol dire
accostarsi ai Sacramenti e, specialmente, ricevere degnamente il
Pane di vita: l’Eucaristia.
E qui si presentano il grande ostacolo e la grande attrattiva. Il
Signore si dà a noi sotto determinate forme, sotto le specie del pane
e del vino. Certo, noi avremmo preferito di vederlo in persona.
Invece egli ha voluto perpetuare il suo dono non in modo manifesto,
bensì velato. Del resto, molto spesso - e l’evangelista Giovanni
ne presenta una cospicua serie - il Signore, parlando di sé, usa
delle avvincenti similitudini: Io sono la porta per entrare nel Regno
dei Cieli . . . : Io sono il Buon Pastore, in analogia a chi
guida e governa un gregge . . . : Io sono la vite e voi i tralci,
per indicare efficacemente la trasfusione della linfa dal ceppo ai rami
. . . ; Chi ha sete venga da me e beva, io sono la fonte . . .
; ed altre.
Oggi ci ricorda: «Io sono il Pane della vita» (San Giovanni
registra per ben quattro volte la definizione). Così
rappresentandosi, il Signore spiega appieno gli effetti della sua
Presenza nel Divin Sacramento e della Santa Comunione in ciascuno
di noi.
L’Eucaristia diventa perciò, almeno per coloro che hanno la fede e
tengono aperti gli occhi dello spirito, un’irradiazione trasparente,
se si è ben attenti al significato del simbolo prescelto dal Signore
nel presentarsi a noi. Che cosa vuol dire la moltiplicazione dei
pani? Che Gesù si sarebbe donato a tutti. È la sua universalità,
la sua carità a manifestarsi in questo simbolo. Perciò ognuno di noi
potrà dire con sicurezza: ci sarà per me un pane? Certo, poiché
il Signore mi ama.
«DILEXIT ME ET TRADIDIT SEMETIPSUM PRO
ME»
E qui rifulge, come d’incanto, il detto di potenza straordinaria
dell’Apostolo Paolo, il quale, adoperando, in maniera inusitata,
il singolare, esclama: «Dilexit me et tradidit semetipsum pro me».
Mi ha tanto amato da dare se stesso a me e per me. Dunque, per
ognuno di noi, per ciascun uomo e persona, il Signore ha avuto
preciso il suo pensiero, scegliendo appunto nel pane un simbolo
adeguato alla nostra mentalità, quasi a dirci: o cristiano, io sono
pronto per te, disponibile per te; mi moltiplico per riflettermi in
ogni cuore, ove sarò accolto come un raggio di luce, che ovunque può
riflettersi e moltiplicarsi senza mai sminuirsi. In una parola, il
Signore ha voluto, con il miracolo della moltiplicazione dei pani,
dimostrare la sua disponibilità per tutti.
Qui l’essenza della Pasqua cristiana; qui un principio di
incalcolabili risultati per la nostra vita spirituale. Quando ci
sentiamo amati noi non possiamo non rispondere, in qualche maniera.
Talvolta siamo chiusi, diffidenti, incapaci di comunicare con gli
altri poiché non sappiamo se siamo oggetto di attenzioni e di cure.
Ed ecco la realtà più prodigiosa d’ogni miracolo: sopra di noi,
cioè sull’umanità, sovrasta l’immenso, infinito amore di Cristo,
che si moltiplica con ineffabile dono per tutti, sì che ognuno può
ripetere, con l’Apostolo: Cristo si è dato a me personalmente;
sono io, proprio io, l’oggetto del suo amore; son io la bocca che ha
fame di questo Pane e lo riceve e possiede.
Ma perché pane? Non poteva il Signore scegliere un altro simbolo,
ad esempio la luce, la parola, che si moltiplicano per quanti vedono e
ascoltano? Il pane è la forma più espressiva, e si presta a rendere
quasi materiale e comprensibile il pensiero, il gesto di Dio. Il
pane è infatti cibo, alimento, principio di vita; ed opera
interiormente dopo che noi lo abbiamo immenso in noi perché sprigioni
le sue virtù e qualità nutritive. Perciò Gesù ha voluto che
coloro i quali credono in Lui lo ricevano, lo introducano nella
propria anima quale unico, insostituibile alimento, principio
interiore di nuova vitalità, così possente, così vera, da durare
oltre i limiti del tempo. «Chi mangia di questo Pane, dice il
Signore, vivrà in eterno». Il seme è adunque posto nel nostro
spirito: garantisce a noi l’immortalità beata, il premio della
rivelazione finale, cioè il Paradiso.
UNA SOCIETÀ CHE VIVE DI CRISTO
Dopo queste considerazioni, un invito ai diletti figli che ascoltano
il Papa. Vedete - Egli dice - come parlando della comunità
parrocchiale e commentandola alla luce del racconto evangelico testé
rievocato, la vita cristiana ci appare piena sì di mistero, ma
altrettanto ricca di luce, forza, conforto; densa di risposte.
Guardiamo la vita moderna a cui partecipiamo. Che cosa è l’umanità
di oggi, che cosa è il nostro tempo, l’intera società che ci
circonda? È un’umanità triste, affamata, inquieta. Più le si
dà - di comodi, benessere, scienza, invenzioni, servizi, ecc. -
più è contestatrice, è malcontenta, insoddisfatta. Non ha ciò
che salva e che essa attende. Le manca il di più, la nozione
principale oltremodo rilevante. Ebbene, siamo tutti convinti che il
reale vigore, questo elemento e complemento di cui l’essere umano ha
bisogno, è il Pane della vita, è Cristo.
Il Mistero della Pasqua che stiamo per celebrare vuol proprio
rammentare a ognuno di noi: devi nutrirti di Cristo, accoglierlo nel
tuo essere, custodirlo quale principio di vita. Il cristianesimo non
è una professione esteriore, non un sodalizio a cui dare il proprio
nome senza soverchio interesse e diligenza. Il cristianesimo è un
principio interiore, che modella, nutre, alimenta e dirige la nostra
vita dall’interno. Gesù ha voluto farsi Pane per entrare in noi e
largire forza, letizia, ispirazioni; la speranza, l’effusione
mirabile che si chiama la Grazia, per farci suoi: veramente
cristiani, un corpo solo ed un’anima sola, una società che vive di
Cristo.
Fate bene la Pasqua, Figli carissimi, e così risponderete al
Nostro più grande desiderio nel venire a visitare questa nuova
parrocchia, bramando con voi di vedervi, in ogni circostanza,
effettivamente cristiani e uniti al Signore. Ciò vi lasciamo quale
ricordo del gradito incontro, con il Nostro augurio pasquale e la
Nostra Benedizione.
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