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Domenica, 27 marzo 1966
SALUTO AGLI ABITANTI
AI FERROVIERI A TUTTI GLI OPERAI
Il Sommo Pontefice è venuto nella parrocchia dell’Immacolata e di
S. Giovanni Berchmans per parlare anche a quei dilettissimi fedeli
del Concilio e del Giubileo.
Prima però di svolgere questi temi principali, vuole accennare ad
alcuni pensieri e ricordi che riguardano proprio la parrocchia del
quartiere Tiburtino. Il Papa ne conosce i vari sviluppi e sa che la
loro chiesa fu edificata all’inizio del secolo con il generoso concorso
dei fratelli cattolici Belgi; e fu voluta e promossa dal Santo
Predecessore Pio X. Gli è caro, perciò, effondere le sue
benedizioni a tutti gli abitanti, e comprendere, in esse, gli
edifici, le case, gli appartamenti, i negozi, le scuole; ogni
centro di umana, nobile attività.
Tra i ricordi due affiorano alla mente in maniera speciale. Il corso
di predicazione pasquale tenuto dall’attuale Papa nel quartiere,
diversi anni or sono: un atto di sacro ministero che non dimenticherà
mai, soprattutto perché gli diede modo di avvicinare gli operai,
tanto numerosi, del Tiburtino, che ora vede con piacere ben
rappresentati nell’odierna adunanza. Desidera perciò rinnovare ad
essi il sentimento di particolare benevolenza, chiedendo ai presenti di
recare il saluto del Papa ai colleghi di lavoro, specie ai
ferrovieri, agli impianti, alle macchine e vetture; e persino -
aggiunge sorridendo - ai binari, come a indicare il veloce propagarsi
del gesto paterno in ogni direzione, in Italia ed oltre, per mezzo di
coloro che sono preposti alla diffusione dei rapporti umani,
divenendo, in questo caso, latori e messaggeri dell’affetto del
Padre delle anime.
LA CHIESA È SEMPRE VICINA
A CHI LAVORA E A CHI SOFFRE
Il secondo ricordo è legato ad un’ora tragica, dolorosissima. Il
primo bombardamento della regione ferroviaria di Roma, il 19 luglio
1943, che fece molte vittime e distrusse la basilica di S.
Lorenzo. In quella tristissima giornata, il Pontefice Pio XII,
con decisione improvvisa, volle recarsi immediatamente nella zona
colpita e chiamò accanto a sé, per quella visita di premurosa
sollecitudine, unicamente il suo collaboratore Mons. Montini. Il
Papa giunse al quartiere Tiburtino inatteso. Ovunque dominava la
tremenda angoscia della morte, delle rovine; ogni clamore sembrava
soffocato da generale smarrimento. Ma quando si sparse la notizia di
così alta presenza, fu un accorrere fiducioso ed imponente di popolo.
Tutti volevano salutare e ringraziare per la consolazione, la
fiducia, gli aiuti. Tale fu l’impeto che la vettura del Papa rimase
molto danneggiata e fu necessario servirsi di un’altra per il ritorno.
Presso le impressionanti macerie della basilica di S. Lorenzo, un
ferito si avvicinò a Pio XII con tanta accesa gratitudine che la
veste bianca del Papa riportò qualche traccia di sangue: questo
particolare sembrò a tutti come la immagine completa del dolore
immenso, identico, del Padre e dei figli.
Pio XII, allora, su invito di Chi lo accompagnava, salì su di
un cumulo di pietre e di polvere, ed aprendo col suo gesto consueto le
braccia a forma di croce, invitò tutti a pregare con lui, recitando
il Pater noster. In quel momento sovvenne alla mente una frase che il
grande benefattore della parrocchia, l’insigne Cardinale belga
Mercier, aveva detto trattando dei lavoratori come di persone provate
sì dalla fatica, ma protette da Dio: «La Chiesa è sempre vicina
a chi lavora e a chi soffre». Un ricordo dunque, di tristezza, ma
pur di amore paterno e di rispondenza filiale.
IL CONCILIO ESALTA SPIEGA DIFFONDE LA
PAROLA DI DIO
Ed eccoci all’incontro odierno. È di letizia e di speranza. Al
Papa fanno corona gli ottimi Giuseppini del Beato Murialdo, tanto
stimati nella parrocchia; i loro cooperatori; i sacerdoti; i
Presuli, con a capo Monsignor Vice Gerente e tre dei Vescovi
ausiliari di Roma; le delegazioni delle solerti comunità religiose
della zona e delle loro molteplici attività di assistenza,
educazione, cura degli infermi; i gruppi dell’Azione Cattolica e
degli altri Sodalizi del santo apostolato. Come è consolante vedere
tante attuazioni e promesse di bene! Sua Santità assicura che,
ora, nella Messa che sta celebrando, Egli avrà una prece per tutti
al Signore Gesù presente nel rinnovarsi del Sacrificio Divino.
Dopo così amabili saluti, segnatamente ai collaboratori nel ministero
sacro e ai fedeli militanti, ecco la trattazione dei punti essenziali
della Omelia del Supremo Pastore.
Concernono due avvenimenti: il Concilio e il Giubileo.
Che cosa è stato, che cosa è il Concilio? È come uno sforzo
compiuto dalla Chiesa per rinnovarsi, per ringiovanire, per
comprendere sempre meglio se stessa ed essere quindi più idonea ad
attuare la sua missione.
Il Concilio s’è dimostrato d’incalcolabile importanza con le
assemblee, i temi discussi, le deliberazioni adottate. Ma ai cari
fedeli piacerà senza dubbio conoscere i punti che maggiormente
riguardano la loro vita religiosa ed umana.
Nel Vangelo ora presentato è stata riletta la pagina delle
Beatitudini. Essa, inserita nell’apposita Messa per il sacro Rito
del Giubileo - il Santo Padre lo ha già spiegato nelle precedenti
domeniche di questa Quaresima - è come il punto centrale del
programma di Nostro Signore Gesù Cristo. Ivi è racchiuso il
messaggio che Dio, facendosi Uomo e venendo tra noi, lancia
all’intera umanità.
È un messaggio che non invecchia mai e oggi risuona con una potenza
nuova e straordinaria; e chi l’ascolta sente sobbalzare il proprio
cuore e mutare la propria vita. Desiderando, perciò, essere
cristiani veri, buoni, santi, occorre risalire alle sorgenti dove il
Cristianesimo scaturisce e si manifesta nella genuina essenza. Cioè
nel Vangelo, nella parola di Dio.
LA SALVEZZA
È NEL CONOSCERE E BENE ATTUARE IL
VANGELO
È ben noto che nella riforma in atto la prima parte della S. Messa
è definita la «liturgia della Parola». Pertanto, se vogliamo
essere cristiani, dobbiamo ascoltare. I primi seguaci di Gesù si
chiamavano discepoli, cioè allievi. Tutti dobbiamo quindi diventare
alunni di Gesù Cristo, che ha detto: «Io sono l’unico
Maestro»: Colui che indica all’uomo lo scopo della vita e gli
eterni destini, e, mostrandogli l’opera di Dio, rivela pure il
perché e le finalità della creatura. Perciò il primo dovere del
nostro rinnovamento è l’accogliere la parola del Signore. Essa è
autentica, limpida, sovrana, nel Vangelo. Non si tratta - lo si
noti bene - di semplici nozioni e parabole: ma di istruzioni
profonde, di divine verità espresse e spiegate, siccome cieli che si
aprono su di noi.
Nel Vangelo si parla di Dio, della nostra origine e del nostro
ultimo fine; delle virtù, delle mancanze, delle buone qualità, dei
vizi, delle nostre vicende e possibilità; dell’intera esistenza
umana. Ne deriva che conoscere bene il Vangelo e attuarlo, è
salvarsi. La Chiesa risale a questa fonte inesauribile e la
distribuisce adattandola a tutte le necessità dell’uomo. È questo il
suo Magistero: e si chiama Dottrina Cristiana, l’insegnamento del
Catechismo. Se solo ci riconfermassimo nell’impegno di istruirci
come cristiani, già avremmo compiuto una grandissima impresa.
Come negare l’odierno deplorevole fenomeno della ignoranza in tanti
cristiani, i quali non conoscono i fondamenti principali della nostra
santa Fede?
Negli anni del suo governo dell’arcidiocesi di Milano il Papa,
visitando le parrocchie, sempre chiamava presso di sé qualche bambino
per interrogarlo sui Misteri principali della nostra Fede. Quale
commozione nell’udire la risposta - il che conferma la fedeltà della
grande arcidiocesi alle sue più alte tradizioni - detta magari in
maniera infantile ma con precisa sicurezza: l’Unità e Trinità di
Dio; l’Incarnazione, la Passione, Morte e Resurrezione di
Nostro Signore Gesù Cristo!
Un bambino conosce Dio, conosce Gesù. E dire che vi sono
professori d’università, maestri, scrittori, professionisti, i
quali non sanno rispondere alla semplice domanda! Ignorano quindi la
luce, le origini, i cardini del nostro stesso pensiero.
Ebbene, il conoscere queste verità, che costituiscono pure il
fondamento d’ogni sapienza umana, è cosa indispensabile. Quanti
cristiani miopi, ciechi, portano questo nome e lo ripudiano senza
accorgersene; lo abbandonano quasi ritenendo obbligatorio il liberarsi
da un fardello inutile e gravoso. E invece si tratta di quanto può
esservi di più importante: è la dignità, la sapienza, la gloria,
la speranza: è la gioia stessa della nostra vita.
DEBELLARE L'IGNORANZA ISTRUIRSI
EDUCARSI
La prima raccomandazione del Concilio è d’essere - e che splendore
in ciò! - intelligenti, istruiti, moderni, cioè bene attrezzati
nella scienza di Dio. Circa l’ignoranza dei tempi e dei secoli
andati ci può essere qualche spiegazione. Diffusa era l’incapacità
di leggere e scrivere, non esistevano scuole organizzate, non gli
odierni sistemi di comunicazioni. Ma oggi? Con tutti i mezzi a
disposizione del popolo, per sapere, pensare e coltivarsi, l’essere
ignoranti sulla religione, cioè su quanto maggiormente importa
conoscere, è una colpa a danno di noi stessi; è una specie di
tradimento alla nostra vocazione cristiana.
Perciò - e lo sentirete ripetere dal Parroco e dagli altri sacerdoti
-: istruzione, istruzione. Un predecessore del Papa
nell’arcidiocesi di Milano, il santo Cardinale Ferrari, recandosi
alle parrocchie insisteva sempre nel ripetere: Figliuoli, Dottrina
Cristiana, Dottrina Cristiana, Dottrina Cristiana! E le sue
prediche si concretavano tutte in questo richiamo basilare:
continuatore ed emulo, in ciò, di San Carlo.
Altra impresa del Concilio è il rinnovamento della Liturgia: in un
senso bellissimo e fecondissimo. Ha stabilito che i cristiani abbiano
a capire ciò che dice il sacerdote e a partecipare al sacro Rito; ad
essere non dei semplici assistenti al Divin Sacrificio, ma anime
vive; il popolo di Dio che risponde e costituisce la comunità
unitaria intorno al celebrante.
L'INCOMPARABILE DONO E GAUDIO
DELLA MESSA FESTIVA
Ecco l’altare disposto a dialogo con l’assistenza; ecco la rinuncia
notevole al latino, scrigno pregevolissimo, custodia dei tesori della
Chiesa. È stato aperto: e la lingua viva parlata entra ora nella
preghiera dei fedeli. In tal modo le labbra, specie degli uomini,
tanto spesso mute e come sigillate, si dischiudono, finalmente, e
l’intera assemblea può interloquire, rispondere, a colloquio col
sacerdote almeno nella parte preparatoria e conclusiva. Non più,
dunque, il triste fenomeno di saper di tutto, di conversare su ogni
argomento umano, e rimanere silenziosi, indifferenti, nella Casa di
Dio! Quanta sublimità nella recita corale durante la Messa del
«Padre nostro che sei nei Cieli . . .»!
In tal modo la Messa festiva non solo è obbligatoria, ma diventa
piacevole; anzi, oltre che un dovere, si afferma quale diritto.
Avere il diritto di andare alla Messa, del riposo festivo, di
dedicare almeno un’ora ogni settimana al respiro della propria anima,
è l’acquisto inalienabile della capacità di parlare a Dio dei
dolori, delle speranze, del lavoro, di ogni angustia; è portare a
Dio l’esperienza settimanale del penoso quotidiano e offrirla a Lui;
mentre il Signore trasforma in Se stesso per farsi, nella Santissima
Eucaristia, nostro cibo e nostra bevanda, il pane e il vino, simboli
della fatica umana. Così, del pari, Egli trasforma questa nostra
esistenza umana in esistenza divina.
Siate perciò fervorosi - insiste il Santo Padre - nella vostra
Messa festiva; siate gelosi della vostra Messa, cercate di riempire
tutti gli angoli, di fare ressa intorno all’altare della vostra chiesa
parrocchiale. Dite ai vostri sacerdoti: fateci capire, dateci il
libro; e imparate a cantare. Una Messa celebrata con il canto del
popolo costituisce perfetta elevazione dello spirito. Sant’Ambrogio
- uno dei primi a introdurre il canto sacro nella comunità cristiana
- ha scritto la stupenda riflessione: allorché io ascolto un’intera
massa acclamare con unanime voce: Santo, Santo, Santo è il
Signore, io mi trovo ricolmo di felicità e nulla può esservi di
così grande e maestoso in tutta la terra!
È splendente letizia: l’umanità raggiunge questo vertice, parla con
Dio e riesce a farsi ascoltare in cielo, con tutte le sue voci: dei
fanciulli, degli uomini, delle donne, dei sofferenti; essa inneggia
alla gloria del Signore in excelsis e invoca e ottiene la pace agli
uomini di buona volontà.
È L’ORA DEI CRISTIANI
POSITIVAMENTE VIGILI E ATTIVI
Se voi, gente del lavoro, della scuola, delle professioni ed arti,
di tutte le altre attività, vi concedete una di queste ore divine,
autentiche esperienze spirituali, sarete sicuri di due cose: non
perderete mai la fede; e, invece di considerare il precetto
religioso, l’obbligo della Messa, come un peso scomodo, lo
stimerete, invece, quale dono, gioia, gaudio; quasi un’ala che si
apre e dispiega per varcare le ampiezze del Cielo.
E non è tutto: il Concilio ha scosso i cristiani; li avverte e
stimola a non essere pigri; indifferenti, passivi, accidiosi. Al
contrario ognuno deve svolgere attività positiva, diffondere il bene.
Tutto il popolo diventerà come una massa in buon fermento: quale
effetto di un programma di zelo e lavoro assiduo. Bisogna inserirsi
nei meccanismi dell’azione. Un cristiano inerte, capriccioso,
assente, non è il cristiano nuovo che la Chiesa vuole.
Essa esige cristiani militanti, sempre vigili - «estote parati» -
disposti ogni giorno a compiere il bene. È l’energia che il
Cristianesimo deve sprigionare da se stesso e che il Concilio invita
ognuno a porre nelle consuetudini della vita dopo averla alimentata nel
proprio cuore.
CHE COSA FARE NEL MONDO E PER IL MONDO
Una terza grande lezione la Chiesa ha dato con il Concilio. Si
tratta d’un interrogativo. Io vivo in mezzo a questa società - e
ben sappiamo com’è - tumultuosa, ricca, impegnata, anche
affannata, divisa: è il mondo. Io cristiano, come mi ci trovo?
Il Concilio risponde anzitutto con parole antiche: attenti; guardate
che il mondo è un’insidia; c’è il peccato, che attraversa
l’intera storia dell’umanità e tocca tutte le anime; siamo degli
esseri guasti e malati. Questa la lezione di sempre, che impone il
riguardo, la serietà, la penitenza. Ma ha detto pure un’altra
parola e su di essa si è soffermato. Guardate quanto di bello vi è
nel mondo! Perché? Ma è creatura di Dio, è uscito dalle sue
mani. I progressi, i lavori, le tecniche, sono indirettamente
emanazioni della Eterna Sapienza; sono i derivati della carica di
sapienza ed armonia infusa nella creatura, nel cosmo. Il Concilio
vorrebbe che noi cristiani fossimo capaci di aprire gli occhi e di
soffermarci ovunque è una traccia di Dio, a cominciare dalle armonie
dell’universo, dalla materia, dalle energie, dalle fonti del lavoro
umano. Che cosa è il lavoro se non la trasformazione della materia?
Ebbene, il Concilio ha infuso nel cristiano un senso di simpatia, di
amore per queste cose in quanto creature di Dio: anche nell’ordine
naturale. Nell’ordine poi, religioso, soprannaturale tutti sanno
come il Concilio abbia potuto considerare ogni cosa in senso
ecumenico; vale a dire in uno slancio universale, cioè di amore per
tutti.
I GIOVANI SIANO I PRIMI
A VIVERE NELLA LETIZIA DI DIO
È stato, il Concilio, un impeto di antico fervore e di nuova vita
nella Chiesa. La sintesi è: come Gesù ha amato noi, così noi
dobbiamo amare gli altri: «Tradidit semetipsum pro me»: ha dato Se
stesso per me, così io devo darmi agli altri. È come un possente
soffio sul focolare della Chiesa per farne sorgere una fiamma nuova non
solo per i piccoli ambienti interni e vicini, ma per l’intera
umanità. Questo l’impegno della grande Madre, la Chiesa.
Ogni cristiano deve pertanto dilatare ed accrescere questo comandamento
di amore, che è il primo.
Ama: ha detto il Signore. Questo, dell’amore santo, è il
Comandamento che dovrebbe essere caro a tutti gli ascoltatori,
specialmente ai giovani. Molto spesso il Cristianesimo è presentato
sotto il velo della tristezza, della mortificazione; ed è un velo
autentico. Oggi, inizio del Tempo di Passione, le sacre immagini e
anche la Croce sono coperte per ricordare la penitenza. Eppure c’è
la Risurrezione; c’è la gioia di Dio, da celebrare nel mondo e
nella vita. Quindi i giovani che s’affacciano al mondo, dinanzi a
tutti i suoi fascini, restino liberi con l’animo, col cuore. Beati
i poveri perché di essi è il Regno dei Cieli. Ma si prodighino
nell’amore insegnatoci da Cristo. Sappiano che il Cristianesimo è
gioia; apre le anime e le fa godere in Dio di quanto è posto a
servizio dell’anima.
Qui si inserisce l’altro grande annuncio: il Giubileo. Che cosa è
? È la larghezza di bontà, di misericordia della Chiesa. È la
pace completa ridonata alle anime, il condono d’ogni debito contratto
con il peccato, la grande possibilità di accedere alla salvezza.
LA «BUONA PASQUA» DEL GIUBILEO
Il Papa raccomanda a tutti di profittare della possibilità che la
Chiesa offre, segnatamente in questo periodo pasquale. Due sono gli
atti necessari per far bene la Pasqua. La Confessione delle proprie
colpe, il pentimento, il proposito di non più ricadervi. Non è
cosa umiliante e faticosa: è una liberazione, è un cancellare i
propri debiti per la clemenza divina; è un ritorno ad essere nuovi,
lieti, vivi, liberi, santi. C’è poi la Comunione Eucaristica:
il gaudio di innestare la nostra vita in quella di Cristo; di sentire
dentro di noi, fluire in noi Colui che è il Pane, il Principio
della vita, la Verità.
Questi due atti che danno al Giubileo la sua pienezza e la sua
efficacia il Santo Padre raccomanda ai fedeli, salutandoli
nuovamente, nel lieto incontro, con un augurio che esprime i
sentimenti dal cuore e quasi vuol riassumere le nozioni ora ricordate,
che vuole suggellare in ognuno la fortuna di essere cristiani. Si
enuncia così: Figli carissimi, Buona Pasqua!
Speciale predicazione nella basilica di Santa Maria Maggiore
Nel ritorno in Vaticano dal quartiere Tiburtino, il Santo Padre
compie una sosta nella basilica di Santa Maria Maggiore ove, per sua
iniziativa, viene tenuto uno speciale corso di sacra predicazione.
Rivolgendo la parola a un distinto uditorio l’Augusto Pontefice
dice: Speciale elogio va innanzi tutto al Signor Cardinale
Arciprete che ha aperto la basilica e ha tanto favorito l’iniziativa,
al Capitolo tanto premuroso per la riuscita del ciclo di conferenze,
al Predicatore che ha tanto interpretato il desiderio di far giungere
una parola viva attuale specialmente alle classi pensose sia dei
problemi religiosi che di quelli morali sociali, cioè di tutta la
problematica del nostro tempo.
Questa compiacenza - prosegue il Santo Padre - vuol onorare la
parola di Dio, l’esercizio, la dispensa, la distribuzione e
l’ascoltazione della parola di Dio. Non si potrebbe dare sufficiente
importanza a questo disegno del Signore, a questa sua economia, cioè
di far dipendere dalla ascoltazione della parola tutti i benefici
spirituali religiosi che il Signore ha promesso; se questi benefici
dipendono dalla fede, la fede a sua volta dipende dalla parola:
«Fides ex auditu». Il Signore ha voluto stabilire questo metodo
per venire a contatto delle anime, dare loro la sua verità, per
comunicare i suoi pensieri, per farle degne delle sue grazie. Questo
patto elementare, primitivo della vita umana che richiama la parola
acquista un’importanza misteriosa. Che cos’è la parola? È la
trasmissione del pensiero, è il pensiero che passa da uno spirito
all’altro e si serve della parola per travasarsi, per comunicarsi.
Ora, se il pensiero è quello di Dio, che cosa diventa la parola che
ce lo porta e quale veicolo di comunicazione quale eredità debbono
incontrare le nostre anime! Questa appropriazione del pensiero di
Dio, questo effondersi del suo pensiero verso di noi, questo trovare
un linguaggio per renderci accessibili al suo mistero il Signore lo
attua con la parola.
E se poi noi pensiamo all’oceano della realtà divina: «Verbum erat
apud Deum»: la Parola era presso Dio, la troviamo in Dio stesso,
nel mistero infinito della sua vita intellettuale, questa
comunicazione, questa processione - come la chiamano i teologi -
della realtà divina, dal Padre al Figlio, che è il Verbo, il
pensiero di Dio e che il pensiero di Dio si fa uomo «Verbum caro
factum est» per potersi comunicare.
Quale rispetto, quale riverenza dovrebbe circondare il magistero della
parola, ministero che continua questa comunicazione del Verbo di Dio
fatto uomo per venire a conversazione con noi e per dirci i segreti
della sua divinità, per darci la lezione della nostra vita, Lui,
unico maestro! Noi diventiamo così discepoli, tributari della
verità divina, capaci di cogliere in noi l’eco della parola vivente
di Dio. Ora questo mistero, questo ministero e questo magistero
della parola di Dio, che noi abbiamo voluto onorare segnatamente dopo
il Concilio, che ha tanto richiamato l’attenzione della Chiesa tutta
e del mondo sopra il disegno che il Signore ha voluto comunicarci; ed
è insegnamento, conversazione, colloquio, dialogo con gli uomini.
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