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Solennità dell'Epifania di Nostro Signore Gesù Cristo
Lunedì, 6 gennaio 1969
IL DONO, LA LUCE, LA VITA DELLA
RIVELAZIONE
Fratelli veneratissimi, Figli dilettissimi!
Oggi la Chiesa celebra il mistero dell’Epifania, il divino disegno
secondo il quale «piacque a Dio nella sua bontà e nella sua sapienza
di rivelare Se stesso e manifestare il mistero della sua volontà
(Eph. 1, 9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo,
Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e
sono resi partecipi della divina natura (cfr. Eph. 2, 18; 2
Petr. 1, 1). Con questa rivelazione infatti Dio invisibile
(cfr. Col. 1, 15; 1 Tim, 1, 17) nel suo grande amore
parla agli uomini come ad amici (cfr. Es. 33, 11; Io. 15,
14-15), e s’intrattiene con essi (cfr. (Cost. Dei
Verbum, n. 2). È la festa della Rivelazione. È la festa Bav.
3, 38) per invitarli e per ammetterli alla comunione con Sé»
della manifestazione di Dio, in un ordine nuovo, diverso e
superiore, non contrario a quello della sua conoscibilità razionale
nel quadro della natura; una manifestazione, che apre a noi in qualche
misura, ma immensamente ricca e ineffabile, una visione superiore
delle verità divine in se stesse, del piano divino a nostro riguardo e
perciò circa la verità del nostro essere e della nostra salvezza, e
inaugura un rapporto meraviglioso, soprannaturale, fra Dio e
l’uomo, stabilisce fin d’ora una relazione vitale, una religione
vera, una comunione fra la Realtà vivente e trascendente della
Divinità e le nostre singole persone, anzi con l’umanità che
accoglie il dono, la luce, la vita di questa Rivelazione. Questo
disegno si compie in Gesù Cristo, e si comunica a noi mediante la
nostra accettazione, cioè la fede, per effondersi poi con quella
corrente derivante dallo Spirito Santo, alla quale diamo il nome di
carità, di grazia, e facendo dei credenti, così rigenerati e
favoriti, un corpo solo in Cristo, la Chiesa.
La Rivelazione, questa luce celeste, ha un suo momento multiforme,
ma preciso nel tempo, nella storia, nella realtà umana, sociale e
visibile; momento, come dicevamo, che irradia la sua pienezza in
Cristo; ma, dopo di Lui e per disposizione di Lui, giunge a noi
attraverso una trasmissione, una tradizione; attraverso cioè un
ministero umano, veicolo della Rivelazione, un magistero: gli
Apostoli, i quali alla mediazione unica e originaria di Cristo,
coordinano la loro mediazione, subalterna e strumentale, ma
indispensabile, come canale, alimentato dal carisma della loro
elezione, fatta da Cristo stesso (Io. 6, 70; 15, 16), e
della loro funzione istituzionale e permanente (Matth. 28, 19;
Luc. 10, 16); carisma, non procedente dalla «communio
fidelium», ma rivolto alla sua edificazione. Gli Apostoli con
uomini della loro cerchia, misero in iscritto l’annunzio della
salvezza; e poi, «affinché il Vangelo si conservasse sempre integro
e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i Vescovi, ad
essi affidando il loro proprio posto di maestri» (come, facendosi
voce della tradizione, insegna S. IRENEO, Adv. Haer.
111, 3, 1; P.G. 7, 848; Cost. Dei Verbum, n.
7).
RAPPRESENTANTI QUALIFICATI DI CRISTO:
MINISTRI DELLE SUE POTESTÀ
Ed eccoci allora logicamente e beatamente condotti a considerare in
voi, Fratelli venerati e diletti, che oggi abbiamo assunti
all’ordine dell’Episcopato e aggregati al Collegio episcopale, il
mistero dell’Epifania, il disegno del!a Rivelazione. Voi siete
eredi di questo tesoro di verità rivelate, voi siete custodi del
«deposito» (1 Tim. 6, 20), voi siete rappresentanti
qualificati di Cristo, voi siete i ministri delle sue potestà
magistrali, sacerdotali, pastorali; e rispetto alla Chiesa vi
rappresentate nella forma autentica e più piena il Signore; «là
dove appare il Vescovo, ivi si raduni la comunità (voce di S.
Ignazio d’Antiochia, Smyrn. 8, 2), in tal maniera che dove è
Cristo Gesù, là è la Chiesa cattolica D; voi ne siete i
prepositi, e in quanto tali i responsabili, e a titolo così pieno, e
così esigente che la carità abbia nel Vescovo la sua espressione
evangelica più perfetta e lo qualifichi come colui che pone tutta la
sua vita a immedesimarsi nell’amore che dona se stesso (cfr. Io.
15, 13) e che fa della sequela di Cristo la norma saliente e
determinante della sua esistenza (cfr. Io. 21, 19 e 22).
Voi siete perciò, come nessuno più di’ voi lo è, votati al
servizio della Chiesa: è questa l’idea ricorrente nella Tradizione
in ogni discorso sull’Episcopato; fra le tante voci ricordiamone
una, quella di Origene, che del Vescovo afferma: «Qui vocatur .
. . ad episcopatum non ad principatum vocatur, sed ad servitutem
totius Ecclesiae» (In Is. hom. VI, 1; P.G. 13,
239). S. Agostino non finirà di ripetere: «Vobis non tam
praeesse, sed prodesse delectet» (Serm. 140, 1; P.L.
38, 1484).
L'EFFUSIONE DELLO SPIRITO SANTO SUGLI
APOSTOLI DI OGNI TEMPO
Ma per tornare al pensiero che ora occupa, con la liturgia odierna,
il nostro spirito, dovremo ricordare il rapporto molteplice che
intercorre fra l’Apostolo, e con lui chi gli è successore, e la
divina rivelazione. Nessuno più di lui la riceve, l’ascolta, la
medita, la fa propria; le parole di Gesù nei discorsi dell’ultima
cena ce lo insegnano e ce lo ripetono (Io. 15, 14; ecc.;
Marc. 4, 11): voi siete i discepoli per eccellenza della
rivelazione. E nessuno più di voi è custode di questo retaggio di
divina verità, custode nella sua fedele testualità (1 Tim. 6,
20) e custode nella sua pratica attuazione (Luc. 11, 28;
Io. 14, 15; 21, 23). E a voi, più che ad ogni altro
nella Chiesa di Dio, è promessa l’effusione dello Spirito Santo,
che dona l’intelligenza e apre le profondità della rivelazione (Io.
14, 26; 15, 26). E da ascoltatori privilegiati, maestri
della divina dottrina voi siete fatti: il magistero è una delle
potestà maggiori e specifiche affidate da Cristo ai suoi Apostoli e a
coloro che ad essi succederanno nella diffusione del messaggio di
verità e di salvezza, quale appunto è il Vangelo (Matth. 28,
20). E con il magistero la testimonianza. La dottrina della fede
non s’impone per se stessa, quasi che annunciata, come le verità
d’ordine razionale, possa essere accolta e diffusa per una sua
intrinseca evidenza; essa si fonda sulla parola di Dio e di Cristo e
di chi ne è fedele testimonio (cfr. Luc. 24, 48; Act, 1,
8 etc.; 10, 39), autorevole e decisivo (cfr. Gal. 1,
8; Cost. Dei Verbum, n. 10; Denz.-Sch. 3884 3887
/ 2313-2315). E, con la testimonianza, il pericolo, il
rischio, la scelta della divina verità a scapito, se occorre, della
propria vita (cfr. lo. 16, 2; Hebr. 10, 20 ss.; 11,
1 ss.).
SEGUACI, IMITATORI, IMMAGINI VIVENTI
DEL SIGNORE
Siete diventati con Noi, con tutto l’Episcopato cattolico,
Fratelli carissimi, ministri e testimoni di Cristo (cfr. Act.
26, 16), i difensori del Vangelo (Phil. 1. 16),
segregati per servire al Vangelo (Rom. 1, 1), i confessori del
Vangelo (cfr. Rom. 1, 16). La Parola di Dio così deve
compenetrare la nostra vita da stabilire un rapporto vivo di parentela
spirituale con Cristo (Luc. 11, 28); noi i discepoli, noi i
seguaci, noi gli imitatori, noi le immagini viventi del Signore
(cfr. 1 Cor. 4, 16; 11. 1; 1 Petr. 5, 3); noi
dobbiamo, in certo modo, personificare, incarnare nella nostra umile
vita il Verbo di Dio, affinché la sua rivelazione, mediante il
nostro ministero e il nostro esempio, continui a risplendere nella
Chiesa di Dio e nel mondo. È una sorte grande la nostra, una sorte
grave: noi siamo, ha detto Gesù, la luce del mondo (Matth. 5,
14); non può, non deve spegnersi questa luce. Questo C il
significato, questo il valore dell’attò sacramentale, ora compiuto
nelle vostre persone: abbiamo fatto di voi una fiamma ardente della
verità e della carità del Maestro: oh! possiate bruciare sempre e
consumarvi così ardendo e diffondendo il lume pasquale di Cristo.
FEDE PURA E INTEGRA FEDELTÀ COERENTE E
GRANDIOSA
Non vi diremo altro sul mistero celebrato e compiuto: voi del resto,
tutto già conoscete. Ma voi accetterete alcune esortazioni che Noi,
a cui è toccato l’onore, l’ufficio, di generarvi all’Episcopato
(cfr. 1 Cor. 4, 15), portiamo nel cuore non solo per vostra,
ma ancor più per Nostra edificazione, affinché a tanto favore divino
risponda quanto più degnamente possibile la nostra riconoscenza, la
nostra accettazione.
Noi innanzi tutto pensiamo che il primo nostro atteggiamento verso la
nostra vocazione episcopale sia la fede, come nei Magi, come in ogni
credente, una fede pura e integra verso la verità rivelata; una
fedeltà coerente e grandiosa verso i doveri ch’essa comporta. Non è
atteggiamento originale questo, perché riguarda ogni cristiano, ma in
noi Maestri, in noi Pastori, in noi Vescovi questo atteggiamento
dev’essere perfetto ed esemplare. Se mai l’ortodossia deve
caratterizzare un membro della Chiesa, da noi per primi, da noi sopra
tutti l’ortodossia dev’essere chiaramente e fortemente professata.
Oggi, come ognuno vede, l’ortodossia, cioè la purezza della
dottrina, non sembra essere al primo posto nella psicologia dei
cristiani; quante cose, quante verità sono messe in questione ed in
dubbio; quanta libertà si rivendica nei confronti col patrimonio
autentico della dottrina cattolica, non solo per studiarlo nelle sue
ricchezze, per approfondirlo e per meglio spiegarlo agli uomini del
nostro tempo, ma talora per sottoporlo a quel relativismo, in cui il
pensiero profano sperimenta la sua precarietà e in cui cerca la sua
nuova espressione, ovvero per adattarlo e quasi per commisurarlo al
gusto moderno e alla capacità recettiva della mentalità corrente.
Fratelli, siamo fedeli, ed abbiamo fiducia che nella misura stessa
della nostra fedeltà al dogma cattolico, non l’aridità del nostro
insegnamento, non la sordità della presente generazione
mortificheranno la nostra parola, ma la sua fecondità, la sua
vivacità, la sua capacità di penetrare troveranno la loro insita e
prodigiosa virtù (cfr. Hebr. 4, 12; 2 Cor. 10, 5).
LA VOCAZIONE DI TUTTI I POPOLI E DI
TUTTE LE ANIME
Ce que Nous avons dit sur la jalouse observance de l’orthodoxie
doctrinale, n’est pas en contradiction avec l’anxiété pastorale ni
avec l’habileté didactique soucieuses de communiquer aux hommes de
notre temps le message de la révélation sous une forme et dans un
langage qui le rendent plus acceptable, dans une certaine mesure plus
compréhensible, et en tout cas béatifiant.
Aujourd’hui le mystère de l’Epiphanie, c’est-à-dire de la
révélation chrétienne, demande à être considéré par les hommes
comme la vraie et la plus haute vocation de l’humanité, vocation de
tous les peuples et de toutes les âmes. Tous et chacun de ces peuples
et de ces âmes doivent savoir découvrir en eux-mêmes de secrètes et
profondes prédispositions à La foi chrétienne: ils doivent
reconnaître dans la foi chrétienne l’interprétation sublime de ces
prédispositions, c’est-à-dire de leur façon caractéristique
d’incarner une humanité «capable de Dieu»; ils doivent y trouver
l’appel à la plénitude de vie que seul le christianisme peut leur
offrir dans une expression toujours nouvelle et moderne.
Rappelons-nous Saint Paul: «Je me dois - disait-il - aux
Grecs et aux Barbares, aux savants et aux ignorants» (Rom. 1,
14).
«EGO ELEGI VOS ET POSUI VOS UT EATIS ET
FRUCTUM AFFERATIS»
In this way Brothers, the Word whose guardians we are, will become
apostolic, that is to say, will be spread abroad, and will become
missionary. This demand belongs to Revelation as its own. The feast
we are celebrating, the Epiphany, teaches us that it is God’s Plan
that the Christian calling and the economy of salvation should be
universal. It is also a demand that will become an active power in him
who has the singular destiny to be chosen for the teaching office and
ministry of the gospel, in the superior grade of that election, the
election to the episcopate. «I chose you», says the Lord, «and
I commissioned you to go out and to bear fruit» (Io. 15,
16). It is part of God’s intention for Revelation that it should
shine in the darkness of the world, not only without any preconceived
discrimination, but with the widest diffusion possible. But this
diffusion demands a service entrusted to men commissioned for it..
Revealed truth demands a qualified doctrinal ministry (cfr. Rom.
10, 14 ss.); it demands brothers; it demands pastors; it
demands teachers who will carry the gospel message of salvation to men;
it demands apostles; it demands bishops. You have been entrusted with
this service of the truth and for the faith: a service that makes
responsible before God, Christ, the Church, and the world, him to
whom it has been committed. «It is a duty which has been laid on
me», cries St Paul, «I should be punished if I dit not preach
the gospel»! It demands zeal, courage, the spirit of initiative,
the daring of preaching: «Tough you be of slight voice and tardy
tongue, give yourself to the word of God» (ORIGEN, ibid.).
LE MIRABILI CARATTERISTICHE DEL BUON
PASTORE
Este deber episcopal, esto es, él de anunciar el mensaje de la
revelación divina, es muy grave y hasta puede parecer superior a
nuestras fuerzas. Pero, he aquí que otra actitud completa la
sicología moral del heraldo del Evangelio. Si la fortaleza es una
virtud característica del Obispo - especialmente en este tiempo lleno
de dificultades para el ejercicio autorizado del ministerio, hoy
frecuentemente contestado, y del magisterio, también hoy
frecuentemente extenuado por la crítica, por la duda, por el arbitrio
doctrinal - el Pastor bueno no debe temer. Tendrá que perfeccionar
con sensibilidad sicológica (cfr. Matth. 11, 16; Io. 2,
25), con mansedumbre humilde (cfr. Matth. 11, 29), con
espíritu de sacrificio (cfr. Io. 10, 15; 2 Cor. 12,
15), su arte de guiar a los hombres, hijos y hermanos, y de
hacerles amar esa obediencia en cuya esfera se desarrolla toda la
economía de la redención (cfr. Phil. 2, 8; Hebr. 13, 7,
17); pero no deberá temer. El Obispo no está solo; Cristo
está con él (Io. 14, 9; Matth. 28, 20). Lo asiste un
carisma del Espíritu (Matth. 10, 20; lo. 15, 18
ss.). Ejercicio habitual del dominio de sí mismo y de la conciencia
de la realidad espiritual, en la que ha sido llamado a vivir, será
él de la confianza en el Señor, él del abandono a su voluntad y a
su providencia (cfr. Luc. 22, 35). Nós, al terminar estas
palabras, recordaremos a vosotros, Hermanos, a Nos mismo y también
a cuantos Nos escuchan, la advertencia de Jesús: «In mundo
pressuram habebitis, sed confidite, Ego vici mundum» (Io. 16,
33).
L'AUTENTICITÀ DELLA NOSTRA
TESTIMONIANZA PER CRISTO
Come conclude questo Nostro discorso?
Conclude con la riconferma della funzione del Vescovo in ordine alla
tutela e alla diffusione del messaggio della rivelazione. Cercando di
riconoscere come voluta da Cristo tale funzione, noi ringrazieremo
Iddio «qui dedit potestatem talem hominibus» (Matth. 9, 8).
Noi la onoreremo ravvisando come essa sia necessaria e benefica,
essendo ministero di verità e di carità, indispensabile per il nostro
cammino sulla via della salvezza. Noi Vescovi, che di tale ufficio
siamo investiti, tutto faremo per esercitarlo nell’umiltà del
servizio, nella fedeltà dell’interpretazione, nella virtù propria
della Parola di Dio. E diffondendo questa divina Parola in mezzo al
Popolo di Dio, procureremo d’ottenere da lui la docilità
dell’ascoltazione ed il conforto che da lui stesso, favorito dal
«sensus fidei», può venire alla nostra missione. Non baderemo alla
sorte, che dalla nostra predicazione può derivare, felice o
pericolosa che sia (cfr. 2 Tim. 2, 9; 40. 15,
20-21); baderemo soltanto all’autenticità della nostra
testimonianza, «ut non evacuetur crux Christi» (1 Cor. 1,
1.7 ss.). «A lui la gloria e la potenza per i secoli dei
secoli. Amen» (Apoc. 1, 6).
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