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Domenica delle Palme, 7 aprile 1974
Fratelli e Figli! e voi Giovani amici, che oggi, con intenzione
speciale, Abbiamo invitati a questa celebrazione!
Voi sapete che due letture evangeliche sono oggi offerte alla nostra
attenzione. La prima riguarda la solenne entrata di Gesù a
Gerusalemme, alcuni giorni prima della sua passione; l’altra,
durante la Messa, ci presenta la lunga narrazione di San Luca
evangelista della passione stessa del Signore, che noi rileggeremo nel
venerdì santo successivo, nella narrazione dell’evangelista
Giovanni; perciò noi oggi fermiamo l’attenzione sulla prima
lettura, quella così detta delle palme, la quale caratterizza in modo
speciale questa domenica.
È molto importante conoscere il significato di questa scena
evangelica. Voi la ricordate; ne avete ascoltato poco fa la lettura.
Gesù, come re mansueto (Matth. 21, 5), cavalcando un
asinello, sale dalla parte orientale della città, dopo Bethania, da
Bethfage verso una delle porte orientali, a Gerusalemme. Ciò
ch’è da notare è la folla, una folla immensa, colà addensata,
anche per l’enorme afflusso di gente, che confluiva a Gerusalemme,
venendo da ogni parte della Palestina, in occasione della Pasqua
ebraica, che si celebrava proprio in quei giorni. Ed è da notare che
Gesù, sulla sua modesta cavalcatura, diventa il centro d’una
straordinaria manifestazione. Tutti si stringono d’intorno a lui, il
Maestro che per i suoi miracoli e i suoi discorsi faceva tanto parlare
di sé, dopo la risurrezione di Lazzaro, specialmente per una
questione che turbava assai l’opinione pubblica, e che i capi ebrei di
Gerusalemme non volevano nemmeno che si prospettasse. La questione
era questa: chi è questo Gesù di Nazareth? chi è questo giovane
maestro, che fa tanto parlare di sé? chi è? un profeta? un
seduttore del popolo? chi è? Il Messia? Ecco una parola
importante per capire il significato e la passione di
quell’avvenimento.
Messia, che vuol dire il consacrato da Dio, era un personaggio
profetico, il cui nome prestigioso attraversa, da Davide in poi
(Cfr. 2 Sam. 7) la storia avventurosa e infelice del popolo
ebraico, come un segno di speranza, di liberazione, di grandezza.
Questa idea della venuta del Messia s’era impadronita dell’opinione
pubblica, sotto la dominazione dei Romani, proprio al tempo di
Gesù. La predicazione di Giovanni, questo gagliardo e selvatico
profeta, con la sua fiera parola e con il suo battesimo penitenziale,
verso le foci del Giordano, aveva riacceso l’attesa, come
imminente, del Messia; la predicazione incantevole e la figura
sorprendente di Gesù avevano animato questo presentimento, ma nello
stesso tempo avevano sollevato, nell’elemento dominante farisaico,
una sorda opposizione alla ipotesi che Gesù, un operaio di
Nazareth, privo d’ogni segno di potenza politica e di regalità
gloriosa, ma forte di parola polemica e di miracoli conturbanti, fosse
riconosciuto come Messia; era un personaggio equivoco e pericoloso;
bisognava sopprimerlo (Cfr. Io. 7, 25 ss.). Ed ecco invece
che Gesù, contrariamente al suo solito, quel giorno si faceva
conoscere, semplice e umile, ma per quello che era: il Figlio di
Davide, cioè il Messia.
Qui si innesta una circostanza decisiva, ch’è quella per noi ora
interessante: l’acclamazione della folla. Infatti la folla, che
doveva essere immensa e invasa da un unico sentimento, riconobbe e
proclamò Gesù di Nazareth, l’umile profeta, che saliva verso
Gerusalemme su quella popolare cavalcatura, senza vittorie militari e
politiche, per quello ch’Egli veramente era, quale «Figlio di
David», cioè come mandato da Dio, come erede delle secolari
speranze del Popolo ebraico, come Colui che veniva a liberare e a
salvare la sua gente ed a instaurarne i nuovi destini. Autentica
l’identificazione della Persona, illusoria tuttavia
l’interpretazione del regno: non si trattava più del regno terrestre
di David, ma del «regno dei cieli» (Ev. Matth.), del «regno
di Dio», predicato da Cristo nel Vangelo. Sulla croce di Gesù
però lo scritto di Pilato, in tre lingue, che enunciava il motivo
della condanna del Signore a quel supplizio spietato, dirà ancora
l’accusa che lo qualificava: «Re dei Giudei»: come tale fu
crocifisso.
Ma ciò che a noi preme notare è che la proclamazione messianica di
Gesù fu, sì, da lui predisposta, ma avvenne per voce di popolo; e
nel popolo chi più fece risuonare quella profetica, storica e
religiosa acclamazione fu il grido dei giovani, fu la voce squillante
dei fanciulli. E questo per noi ha valore simbolico e permanente.
Ed ancora oggi, giovani e ragazzi che qui ci ascoltate, noi possiamo
ripetere: tocca a voi, tocca a voi proclamare la gloria, svelare la
missione, affermare l’identità di Gesù Cristo: Egli è il
Messia, Egli è il centro dei destini dell’umanità, Egli è il
liberatore, Egli è il Salvatore; e ne comprenderemo poi le ragioni
profonde: perché Egli è ad un tempo Figlio dell’uomo, cioè
l’uomo per eccellenza, e Figlio di Dio, cioè il Verbo di Dio che
si è fatto uomo; è il Maestro, il Pane celeste del mondo; è
colui di cui nessuno può fare senza; è colui di cui tutti dobbiamo e
possiamo essere amici; Egli ci conosce, Egli ci ama, Egli ci
salva; Lui è la Luce dell’umanità, Lui la via, la verità e la
vita. L’entusiasmo per Cristo, quando si è capito qualche cosa di
Lui, non ha limite; Egli è la gioia del mondo, la nostra gioia!
Giovani e ragazzi che ci ascoltate! Voi specialmente dovete
comprendere questo messaggio messianico. Voi dovete capire Cristo,
con un intuito speciale, sì, che possiamo dire carismatico: è il
vostro dono, la vostra sapienza; capire Cristo! (Cfr. Matth.
11, 25)
Con questo primo risultato: deve nascere in voi la persuasione di
dovere dare, in qualche modo, testimonianza a Cristo.
Dare nuova e vittoriosa testimonianza a Cristo, nel nostro tempo,
tocca alla nuova generazione, tocca ai fanciulli, tocca
all’adolescenza, tocca alla gioventù! oggi tocca, se domani dovrà
essere compito degli adulti.
Il discorso diventa complicato e delicato: come possono i ragazzi ed i
giovani essere testimoni di Cristo? e ciò che diciamo per l’elemento
maschile vale senz’altro per quello femminile; le ragazze lo sanno.
Dunque: come essere testimoni di Cristo? Noi potremmo restringere
l’immensa e difficile estensione di questo dovere in una sola parola :
siate cristiani, davvero. Siete stati battezzati: vi pensate?
pregate, cioè parlate a Cristo e a Dio, il nostro amatissimo Padre
celeste? siete sinceri e bravi, alla sua presenza? volete bene alle
vostre Famiglie e alle vostre Scuole? fate qualche atto di bontà per
chi soffre? eccetera. Voi tutte queste cose le conoscete e certamente
le fate: ebbene, voi date testimonianza a Cristo, se e perché
vivete da cristiani.
Ma v’è qualche cosa di più da fare: la testimonianza comporta
qualche atto positivo di adesione a Cristo. Ebbene, ascoltate. Vi
indichiamo una breve scala, che sale verso la testimonianza a Cristo.
Il primo gradino è quello del coraggio per il nome cristiano (Cfr.
1 Petr. 4, 16): vi vergognate d’essere cristiani? d’andare
in Chiesa? Questa è una prima viltà da superare; non bisogna avere
vergogna e fuggire quando l’apparire religiosi e cattolici provoca gli
scherni altrui, o crea qualche pericolo per il nostro nome, o il
nostro interesse (Cfr. Marc. 14, 51).
Secondo gradino da superare: è quello della critica malevola e spesso
ingiusta verso la Chiesa, le sue istituzioni, i suoi uomini; è
diventata una moda, la contestazione, che mette l’amarezza e la
superbia nel cuore, e inaridisce la carità, anche se assume forme
puritane, che pur troppo scivolano spesso nella simpatia ed anche nella
solidarietà con i nemici della Chiesa. Siate fedeli ed umili, e
sarete forti, e potrete dare buone e positive testimonianze alla vostra
professione cristiana e cattolica. E terzo gradino: siate desiderosi
e fieri di dare il vostro nome e la vostra attiva adesione a qualche
istituzione militante nel campo dell’azione, o della pietà, o della
carità. Oggi, lo sappiamo, non si vuole più militare per qualche
causa, o qualche idea, che sappia di religioso, o di cattolico, o di
cristiano, o anche di puramente e nobilmente civile; si preferisce
rimanere liberi ed esonerati da obblighi organizzativi. Questo non è
sempre bene; la testimonianza viene più facile e più forte
dall’unione, dall’impegno comunitario, e dalla fedeltà collettiva.
Per di più noi non dobbiamo dare nei nostri animi la preferenza per le
vie facili dell’indifferenza ideale, spirituale e sociale.
L’individualismo, l’isolamento, la noncuranza per le cause buone
non sono conformi allo stile cristiano, specialmente in ordine a ciò
che ora ci interessa, la testimonianza a Cristo Signore.
Ebbene sappiate, giovani e ragazzi carissimi, che la Chiesa, e
forse la storia, attende proprio da voi in questo tempo una professione
cristiana, non smentita, non simulata, non indifferente, ma franca,
coerente, gioiosa, ed anche, per il nostro mondo moderno, esemplare
e convincente.
Ci ascoltate? siete disposti a levare in alto le vostre palme, i
vostri rami d’ulivo, e ad acclamare Cristo con noi: Evviva, evviva
Cristo Signore?
Tutti insieme, agitando i rami della gioia e della pace, ripetiamo:
evviva Cristo Gesù!
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