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Domenica, 6 ottobre 1968
SPIRITUALE ESULTANZA NEL MISTERO DELLA
«COMUNIONE DEI SANTI»
Signori Cardinali,
Venerati Fratelli,
Figli carissimi,
Ancora una volta la Chiesa è nella gioia. Ella celebra una schiera
di suoi figli, che lo Spirito Santo le assicura essere nella salvezza
eterna, nella gloria del Paradiso. Si tratta, voi lo sapete, dei
Martiri della Corea, dell’anno 1866. Li abbiamo dichiarati
Beati per l’eternità. Ma Noi stessi annunciando questa
trascendente certezza siamo, a nostro modo, beati. Un’onda della
loro beatitudine celeste scende fino a noi, e c’invade di beatitudine
terrestre. Noi siamo nell’ammirazione. Noi siamo nel gaudio della
celebrazione. Noi siamo nella coscienza della comunione. Fratelli e
Figli! Non è tanto la sontuosità di questa Basilica illuminata a
festa, non è tanto lo splendore di questa cerimonia risultante dalla
più solenne, dalla più varia, dalla più pia rappresentanza del
Popolo di Dio del mondo intero, che riempiono di spirituale esultanza
i nostri animi in questo felice momento, quanto la sicura convinzione e
quasi l’intima esperienza del mistero della «comunione dei Santi»,
che ora commuovono i nostri spiriti. Oh la comunione dei Santi:
quale mondo meraviglioso! Il concetto, che noi cerchiamo di farcene,
è come un sogno; ma la realtà supera le immagini della fantasia; è
più grande, è più bella, ed è soprattutto più vera. Il regno
della santità è il paradiso nel suo riflesso quaggiù, nella sua
pienezza lassù in cielo; è lo splendore vivificante di Dio, che
penetra nelle creature elette al suo ineffabile consorzio. Se già
nelle scene stupende della natura la nostra ammirazione avverte di non
poter pareggiare nei concetti e nelle parole l’arte, la dignità, la
magnificenza, la maestà, la grandezza, la perfezione dell’opera
divina, che in eloquente silenzio in esse si manifestano, che cosa
dobbiamo dire e che cosa diremo, a Dio piacendo, un giorno, quando
l’epifania di Dio, anzi quando la sua «gloria, sarà in noi
rivelata?» (cfr. Rom. 8, 18).
UNICO SPLENDORE NELLA CHIESA
TRIONFANTE E MILITANTE
Durante la nostra vita presente questa rivelazione è ancora
incompleta; avviene «per speculum, in aenigmate», quasi per
riflesso, sotto un velame arcano (2 Cor. 13, 12); l’aspetto
divino della santità è solo e scarsamente palese, sebbene esso non ci
sia del tutto nascosto, e per un occhio limpido già talmente si
manifesti da rivestire tutta la Chiesa d’un suo splendido abito e da
costituire una delle sue «note» distintive e caratteristiche, quella
appunto della santità della Chiesa; nota, che spesso
all’osservazione profana non appare, e al giudizio fenomenico circa
l’umanità della Chiesa è anzi contraddetto dai difetti e dai
peccati, che, per colpa dell’elemento umano onde essa è composta,
la nascondono e la deformano. Ma non così che tale nota di santità
rimanga inavvertita dall’onesta osservazione degli uomini di questo
mondo. Per noi, figli della luce (Io. 12, 36),
l’avvertenza della santità della Chiesa, quale sacramento e quale
strumento della salvezza (Lumen Gentium, n. 48), e
l’avvertenza della santità nella Chiesa, cioè nei suoi figli pieni
di grazia e di virtù, dovrebbero essere sempre presenti allo spirito,
come una realtà edificante e consolante, assai più che ordinariamente
non sia. Ed è proprio per richiamarci alla considerazione di questa
realtà che la Chiesa stessa ci presenta fratelli singolarissimi nei
quali la trasparenza della santità è così manifesta da obbligarci a
lodare Iddio in quegli «eletti, come dice S. Paolo, che Egli ha
predestinati a riprodurre l’immagine del Figlio suo, . . .
ch’Egli ha chiamati, e chiamati li ha giustificati, e giustificati
li ha glorificati» (cfr. Rom. 8, 29-30). È questa la
ragione di questa cerimonia e della lunga preparazione, che l’ha
preceduta; la ragione del culto dei Beati e dei Santi, la ragione
della Nostra letizia per aver potuto elevare alla glorificazione alcuni
Martiri Coreani davanti alla Chiesa militante, come essi già sono
nel coro della Chiesa trionfante.
LE NUOVE GEMME DEL MARTIROLOGIO
CRISTIANO
Un desiderio invade, in questo momento, gli animi nostri; quello di
fissare lo sguardo nella storia di questi nuovi Beati, là dove la
trasparenza della santità, che dicevamo, lascia partire i suoi
raggi. Cioè vogliamo vedere come Dio si è manifestato in loro. È
un desiderio molto pio e degno di essere incoraggiato, e, per quanto
possibile, soddisfatto. È l’amore alla scienza agiografica, che
dovrebbe, come già una volta nell’educazione spirituale dei Fedeli,
essere ancor oggi promossa e coltivata più che ora non sia, e oggi
tanto più d’ieri, in quanto l’agiografia si alimenta di verità
storica e di dottrina psicologica. Il «Martirologio» dovrebbe
ritornare ad essere un libro di moda nella Chiesa,, oggi rinascente.
E nel caso presente la storia di questi Beati, non meno di quella dei
grandi campioni del cristianesimo, ci offrirebbe l’interesse proprio
delle grandi avventure, dei grandi eroismi, dei grandi gesti, che
trasfigurano la statura di persone umili e nascoste. Bellissima
storia, Figli carissimi: Ci permettiamo di consigliarne a tutti la
lettura, per il fascino che emana da essa e per l’edificazione
ch’essa trasfonde.
Basti dire ch’essa è una storia di Martiri; e non d’uno solo,
corifeo, il Vescovo Simeone Berneux, ma con lui d’altri ventitre,
ad uno ad uno coscientemente immolati come vittime innocenti della loro
fede. È una storia che si rifà ad altre precedenti, non meno
dolorose e sanguinose ed eroiche, le quali, se non sono scritte
ufficialmente nel nostro Martirologio, lo sono certamente in quel
«libro della vita», di cui parla l’Apostolo (Phil. 4, 3).
Martire: chi è martire? Già il nome è un elogio paradossale.
Due elementi ne costituiscono la straordinaria efficacia
significativa: la testimonianza e il sangue. Sono appunto gli
elementi della manifestazione straordinaria di Dio nella fede e nella
fortezza d’un seguace di Cristo. Il martire scrive col sangue la sua
fede: proclama, col suo sacrificio, che la verità ch’egli possiede
e per la quale si lascia uccidere, vale più della sua vita temporale,
perché la fede è la sua nuova vita soprannaturale, presente e per
l’eternità. Nessuno più inerme, più debole, più mansueto di
lui; il martire è come un agnello; ma nessuno più coraggioso,
nessuno più impavido, nessuno più vittorioso. È il martire che
mette in estrema evidenza la verità, che Cristo ci ha portata; è il
martire che afferma l’amore nella sua suprema misura: il sacrificio.
Tanta è la spirituale grandezza del martire ch’essa si trasforma in
bellezza, e genera in chi la comprende questo a noi quasi inconcepibile
affetto: il desiderio del martirio. Non abbiamo dimenticato le
infocate parole di Ignazio d’Antiochia, avido di subire la sorte
straziante, che lo attendeva: «Lasciate ch’io raggiunga la pura
luce! là giunto, io sarò veramente uomo! Lasciate ch’io imiti la
passione del mio Dio!» (ad Rom. VI). Ma oggi non abbiamo
bisogno di cercare nel lontano passato queste ed altre simili mirabili
testimonianze: sono i Martiri, che ora veneriamo Beati, a ripeterle
per sé come un’entusiasmante aspirazione.
COMMOVENTI REALTÀ E FONDATE SPERANZE
«Nous irons... dans la Corée. Oh! quelle est belle la portion
que m’a réservée le Seigneur ! Il est possible que bientôt, je
foule tette terre où caule le sang des martyrs . . .», scrive
partendo per l’Estremo Oriente Mons. Berneux, allora giovane
missionario. E a questa voce dell’europeo fa eco quella dei cristiani
coreani, adulti e neofiti: attendono il martirio come un onore, come
una logica fortuna della loro scelta religiosa. E il martirio per loro
vuol dire l’adesione ad una fede venuta da lontano, senza sostegno di
storia locale e d’ambiente sociale; vuole la tolleranza di torture
atroci e raffinate, vuole il disonore pubblico e infine una morte
crudele senza umana speranza.
E qui la tragedia di questi Martiri ci rivela un altro aspetto della
loro santità; essa non ha nulla di artificiale, di straniero; essa
interpreta e porta ad un livello sublime le predisposizioni naturali e
spirituali di questi oscuri eroi, quasi tutti laici per di più,
appena iniziati alla vita cristiana; il cristianesimo è penetrato
nella loro psicologia e nelle loro attitudini morali non come una
formola importata da una coltura estranea e lontana, ma come un
messaggio concepito alla loro misura, e quasi intenzionalmente
predisposto per animare le loro doti native e per svegliare le loro
‘migliori personali capacità; è un cristianesimo quanto mai
autentico e ortodosso, e nello stesso tempo perfettamente coreano.
Esso si radica in quei cuori semplici e buoni, coltivati da
tradizionali sentimenti umani e religiosi molto elevati, anche se
incompleti, e vi fiorisce subito con sorprendente vitalità, come
fosse seminato nel suo migliore terreno. Noi dobbiamo ammirare questo
aspetto della santità di questi nuovi figli gloriosi della Chiesa di
Cristo; noi intravediamo come questo inesplicabile fenomeno di
connaturalità si estenda oltre le persone di questi Martiri al genio
spirituale proprio del popolo coreano; e Noi ci domandiamo, davanti
al Signore, se questo non sia un segno profetico, l’indice d’una
vocazione per un Paese intero, l’annuncio d’una missione propria
della Corea, destinata a dare alla nostra religione universale una sua
propria espressione originale, capace di qualificare spiritualmente la
sua storia futura e la sua inserzione moderna nel concerto delle
Nazioni.
I VOTI DEL PADRE DELLE ANIME PER IL
PAESE «DEL MATTINO CALMO»
O Corea, qui degnamente rappresentata da due tuoi Pastori
cattolici, Mons. Kim, Arcivescovo di Seoul e Mons. Chang, che
domani sarà consacrato Vescovo di Masan; ,da alcuni discendenti dei
nuovi Beati; da un gruppo dei tuoi cittadini, qua venuti dal lontano
Paese «del mattino calmo» e da varie altre Nazioni vicine; e
rappresentata anche dagli Studenti ed Alunni dei Nostri Collegi
Urbani «de Propaganda Fide», Noi ti consideriamo, o Corea, con
il rispetto e con la stima, che si deve alla tua storia, alla tua
civiltà, alla tua personalità nazionale!
Corea, tanto geograficamente lontana e a Noi tanto spiritualmente
vicina, mediante l’unica e comune fede cattolica di molti tuoi figli.
Noi ti salutiamo oggi come terra bagnata, anzi battezzata dal sangue
dei tuoi martiri; e onoriamo la tua gente, aperta ormai alla libera
professione della religione cristiana. Corea, viva e moderna, che
hai scoperto essere il cristianesimo non la religione perversa, di cui
i tuoi Martiri furono accusati, ma anche per te il Vangelo della
salvezza. Noi auspichiamo con tutto il cuore la tua prosperità, e
facciamo voti che la tua Chiesa, vivente nella comunione della Chiesa
universale sia sempre in mezzo al tuo Popolo una sorgente di luce
divina, di fraternità umana, di saggezza morale, di pietà religiosa
per le tue migliori fortune spirituali e civili. Corea, di cui Noi
conosciamo le sofferenze e le speranze, Noi ti auguriamo la pace; e,
con quanti esultano per la beatificazione di questi tuoi Martiri, a
questi stessi tuoi eroi ora potenti intercessori nel Cielo, Noi
rivolgeremo la Nostra preghiera, affinché la pace vera, degna e
giusta, nella concordia, nel lavoro, nella libertà sia assicurata a
tutti i figli!
ALTE BENEMERENZE DELLA FRANCIA
NELL'APOSTOLATO MISSIONARIO
Et Nous aurons aussi une prière pour toi, terre de France qui as
été la mère féconde et généreuse des premiers de ces martyrs,
afin que l’honneur qui revient à ton histoire et à ton nom du fait de
leur glorification te fasse sentir une fois de plus la grandeur et la
responsabilité de ta vocation catholique, attestée, aujourd’hui
encore, par tant de tes fils et tant de tes œuvres, comme elle
l’est, spécialement en ce jour, par l’insigne et méritant
Institut des Missions Etrangères de Paris, que Nous avons en
grande estime et affection. Nous prierons pour que toi, France
catholique, tu saches trouver toujours, dans la fidelité à tes
traditions morales et religieuses, la sagesse et l’énergie
nécessaires pour faire rayonner, par ta culture et par ta langue, le
nom du Christ à travers le monde.
Et sur tout le monde missionnaire, en fête pour tette nouvelle gloire
qui est sienne, sur Notre vaillante Congrégation pour
l’évangélisation des Peuples, et sur celle - non moins vaillante
et méritante - des Rites, qui conclut par tette Béatification
très attendue une de ses multiples et laborieuses entreprises, sur
toute l’Eglise enfin Nous allons faire descendre en gage de celle que
Nous avons maintenant demandée au Christ présent dans le mystère
eucharistique, Notre Bénédiction Apostolique.
AI NUOVI ARALDI DELLA FEDE: «CRISTO È
CON VOI!»
Ma non abbiamo detto tutto. Ascoltateci ancora un momento. Perché
a corona di questa cerimonia, che conclude il ciclo d’una storia
missionaria, un’altra cerimonia ora deve seguire, semplicissima e
straordinaria, che apre una nuova vicenda missionaria, che si allarga
su tutta l’area del mondo, dove la Chiesa ancora sta nascendo e
formandosi. Ecco, Fratelli e Figli; voi vedete qui presenti alcune
centinaia di missionari in partenza per le loro lontane sedi di
apostolato generatore delle nuove e future comunità della grande
famiglia cattolica. Sono Sacerdoti, sono Religiosi, sono
Religiose, sono soprattutto giovani del Laicato, uomini e donne,
che volontariamente vanno esuli dalle loro patrie e dalle loro famiglie
per farsi messaggeri della buona novella in terre di missione. Sono le
nuove leve missionarie che, di null’altro armate fuorché della croce
di cui Noi ora faremo a loro consegna, partono pellegrini di Cristo,
poveri di tutto, fuorché di fede e di amore; senza nulla sapere della
sorte loro assegnata, ma ben consapevoli che fatiche e pericoli non
mancheranno sul loro cammino, e che Cristo è con loro, che la
Chiesa intera li fiancheggia con la sua carità e la sua preghiera.
Essi meritano che tutti li salutiamo, e che ad essi, sotto l’esempio
e la protezione dei fratelli ora dichiarati vittoriosi e beati nel
Cielo, Noi diamo la Nostra speciale e paterna Benedizione
Apostolica. Andate, Fratelli e Figli generosi: il Papa vi
manda; i Santi Pietro e Paolo vi seguono; i Martiri Coreani vi
guidano; Maria Santissima, Madre della Chiesa e Regina delle
Missioni, vi protegge; Cristo è con voi!
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