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Sabato, 14 settembre 1974
Fratelli e Figli carissimi!
Noi siamo venuti a Fossanova per venerare San Tommaso d’Aquino,
dove egli morì, il 7 marzo 1274, settecento anni fa, all’età
di circa cinquant’anni. Era nostro pensiero di fare, quasi
furtivamente, questa visita, a titolo di devozione privata; ma le
circostanze prevalgono su questa nostra intenzione; e, con la presenza
di tante personalità ecclesiastiche, religiose, civili, e di tanto
popolo desideroso di associarsi a questo nostro atto di pietà
religiosa, il nostro umile e personale ossequio diventa pubblico e si
fa cerimonia celebrativa. Meglio così, per l’onore collettivo e
significativo che è reso alla memoria del Santo, ben degna di ricordo
e di venerazione comune, per l’occasione che a noi è offerta di
incontrare voi tutti e di salutarvi nella veste degnissima di fedeli
credenti e cultori della stima che a tanto Santo è dovuta, e nella
veste specifica di ciò che voi siete e rappresentate in questo momento
e in questo luogo, e per il dovere che in noi si pronuncia di
rivolgervi una parola, semplicissima e spoglia da ogni pretesa
d’essere al tema superlativo, che la menzione del grande Dottore
esigerebbe da noi e per voi; una parola dovuta più al carattere
liturgico di questa cerimonia, che a quello celebrativo del Santo che
intendiamo onorare e invocare.
Diremo dunque soltanto qual è la ragione, - una delle ragioni! -
che sembra emergere dalla evocazione della memoria di S. Tommaso,
provocata da questa nostra pia escursione estiva e festiva.
Identifichiamo subito questa ragione, se noi tutti chiediamo a noi
stessi: perché siamo qui? Dato il carattere assunto da questo
convegno, non certo per compiere soltanto un gesto di religiosa
venerazione, come se all’apparizione del Santo, sullo schermo della
nostra coscienza, non ci curvassimo tremanti e felici davanti alla sua
grande e ieratica figura. Tale figura, resa viva dalla comunione dei
Santi, sempre rievocata da un rito religioso come questo, provoca in
noi una domanda audace: Maestro Tommaso, quale lezione ci puoi
dare? A noi, in un momento breve e intenso qual è il presente, a
noi lontani sette secoli dalla tua scuola, a noi, galvanizzati dalla
cultura moderna, a noi, fieri del nostro sapere scientifico, a noi,
distratti dal «fascino della frivolezza», la fascinatio nugacitatis,
di cui parla il libro della Sapienza (Sap. 4, 12), e di cui
noi sperimentiamo oggi, con la prevalenza della conoscenza sensibile su
quella intellettuale e spirituale, il vertiginoso incantesimo, a noi,
sottoposti alla anestesia del laicismo antireligioso, a noi, S.
Tommaso, che ancora grandeggi, filosofo e teologo, sull’orizzonte
del pensiero avido di sicurezza, di chiarezza, di profondità, di
realtà, a noi, anche con una sola parola, che cosa ci puoi dire?
S. Tommaso ora non risponde con parole, ché troppe verrebbero al
nostro ascolto dalle opere sue, ma col riflesso della sua figura e del
suo insegnamento, da cui pare a noi ascoltare un’esortatrice lezione:
la fiducia nella verità del pensiero religioso cattolico, quale da lui
fu difeso, esposto, aperto alla capacità conoscitiva della mente
umana. Bastino alcuni aspetti della monumentale opera sua a confortare
in noi questa fiducia, la quale noi vorremmo che rimanesse vitale
ricordo della centenaria commemorazione del Santo Dottore.
Fiducia, perché l’opera sua si attesta nella storia del pensiero,
sia filosofico, che teologico, come una sintesi di ciò che altri
sommi maestri, prima di lui, hanno studiato e lasciato in eredità
alla cultura universale: egli ha assimilato il tesoro di sapere più
significativo del suo tempo (ch’è tempo incomparabile per ampiezza e
per acutezza di studio speculativo); lo ha qualificato con il più
rigoroso intellettualismo, quello aristotelico, che senza disconoscere
altre supreme forme della conoscenza, come quella neoplatonica
agostiniana, sembra metterlo in sintonia con la nostra rigorosa
mentalità scientifica moderna; lo ha sottoposto senza pregiudizi alla
discussione dialettica d’un’onesta e stringente razionalità; lo ha
perciò aperto ad ogni possibile acquisizione progressiva, reclamata
che sia dalla scoperta d’un’ulteriore verità.
Fiducia ancora dobbiamo a San Tommaso, perché ci aiuta a risolvere
il conflitto, tanto conclamato e radicalizzato nel tempo nostro, fra
le due forme di conoscenza di cui dispone la mente dell’uomo credente,
la fede e la scienza, partendo dalla parola di Dio rivelata e
suffragata da ragionevoli motivi di credibilità, e poi impegnandovi la
mente umana, la scienza, a studiarla con principii e metodi propri,
in modo che la risultante teologia possa, senza presunzione e senza
superstizione, assurgere ad un vero e meraviglioso livello di scientia
Dei.
Fiducia finalmente per quel provvidenziale risultato che deriva al
pensiero, anzi alla vita dell’uomo dalla complementarietà reciproca
della fede e della scienza. La fede cerca nella scienza, cioè nella
conoscenza umana naturale, non già la certezza ch’è dono di grazia,
ma la sua conferma, il suo sviluppo, la sua difesa, il suo
godimento: fides quaerens intellectum; e l’intelletto quaerens fidem
riceve il ricambio d’una guida terminale senza pari, garantito com’è
dalla fede della sovrastante Verità divina, che tutta illumina
l’umana conoscenza, la preserva dall’inutilità del suo sforzo,
dall’inguaribilità del dubbio, dal disperato scetticismo finale del
nihil scire, non che dal folle orgoglio d’un dispotismo scientifico,
oggi più che mai probabile, che può ritorcere a offesa e a morte
dell’uomo pensante le conquiste del suo stesso pensiero.
Fiducia. S. Tommaso può essere per noi uno dei più autorevoli e
convincenti testimoni della provvidenziale esistenza di quel magistero,
affidato da Cristo alla sua Chiesa, che non preclude le vie del
sapere, ma le apre, le rettifica e le difende, e che non sequestra ai
soli iniziati alle fatiche, alle ascensioni, alle acrobazie del
pensiero la luce della Verità vivificante, ma la offre con umile e
sublime catechesi a quanti nella Chiesa stessa si riconoscono
discepoli, e riserva la rivelazione dei misteri più alti e più
salutari della fede ai piccoli, ai semplici, ai poveri, al Popolo
ignaro delle speculazioni difficili, ma docile e disponibile
all’ineffabile dialogo della Parola di Dio.
Invochiamo quindi San Tommaso che invitandoci ancor oggi alla sua
scuola ci introduce al colloquio, nello Spirito Santo, con Cristo
Maestro.
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