CAPITOLO VIII. COSTRUZIONE DEL PICCOLO OSPEDALE

Una mattina Pietro andò a far visita al sacerdote Giacinto de Miranda per spiegargli come procedeva la c'ostruzione e presentargli un elenco del legname che serviva con maggiore urgenza. Il padre lo ascoltò e si felicitò per la tenacia e l'entusiasmo di lui, ma non si offrì di aiutarlo economicamente, al contrario, gli fece dei calcoli indicandogli che un'opera del genere sarebbe costata molto.

Pietro lo ascoltò in silenzio poi, vedendolo un po' dubbioso, gli disse sorridendo:

- «Dunque, mio signor fratello, lei deve pagare le spese di quelle sale».

- «Fratel Pietro, io aiuterò con qualche elemosina, ma farlo tutto a spese nostre, non potrei».

Pietro rimase un po' in silenzio e poi, come ispirato, pronunciò queste profetiche parole, che allora il Padre Giacinto non comprese:

- «Non si preoccupi, padre e mio signore, tanto si dovrà fare».

Pietro andò via ed il Padre Giacinto rimase pensieroso, e non si spiegava come avrebbe fatto quel buon uomo per ottenere i fondi necessari per quella costruzione o, almeno, il materiale che sollecitava con urgenza, e che non era poco e richiedeva molto denaro. Egli non lo sapeva... ma era sicuro che dalla sua borsa non sarebbe uscito, avrebbe aiutato con piccole elemosine e niente di più. Così pensando, ritornò alle sue quotidiane occupazioni e dimenticò l'accaduto.

Quella sera, con sua grande sorpresa, entrarono nella sua casa alcuni Indi che venivano ad offrirgli in vendita una quantità di legname che avevano usato per diverse costruzioni in una recente fiera. Avevano vari muli carichi di forconi, travi, puntelli, assi, canne e tanto altro materiale in buono stato. Essi non volevano riportarlo al loro paese e preferivano cederlo a buon mercato. Cosa straordinaria, tutto quel legname coincideva esattamente con la richiesta che quella mattina Fra' Pietro gli aveva presentato.

Padre Giacinto comprese allora le parole di Pietro. Comprò il legno e per mezzo degli stessi Indi glielo inviò insieme ad un messaggio in cui era scritto che se ne avesse avuto bisogno di altro sarebbe stato disposto a procurarglielo immediatamente, cosa che da allora fece sempre.

In questo modo, a poco a poco, con l'aiuto di molti generosi abitanti ed attraverso situazioni considerate miracolose da coloro i quali ne furono testimoni oculati, il piccolo ospedale cresceva sempre più, diventando così realtà il sogno da tanto tempo accarezzato da Fratel Pietro: servire Dio servendo il prossimo.

Un sabato, doveva pagare un conto e non gli bastava il denaro, aveva bisogno di cinquanta pesos e ne possedeva solamente trenta, che aveva dato in custodia ad una brava signora la quale lo aiutava nelle sue opere di carità. Si incamminò per andarli a prendere, pregando d'incontrare qualcuno che gli potesse offrire i venti pesos rimanenti, ma non incontrò nessuno. Giunse alla casa della signora, disposto a raccontarle la sua pena, ma prima che potesse parlare, ella lo prevenne dicendogli:

- So già che lei Fratello, ha voluto mettere alla prova la mia fedeltà, poiché mi consegnò cinquanta pesos da custodire, e mi disse che erano trenta».

E gli consegnò il pacchetto contenente cinquanta pesos esatti.

Si avvicinava l'inverno ed ancora mancava un po' di legno per terminare il tetto dell'ospedale. Sapendo che il capitano Francisco Gautiérrez aveva ingrandito la sua casa e che aveva un po' di legno in sovrappiù custodito in una bottega in fondo al cortile, Pietro andò a visitarlo per chiederglielo. Il capitano Gutiérrez e la sua sposa, donna Isabella, ammiravano Pietro ed accolsero con piacere la richiesta, facendogli notare soltanto che il legno era molto poco, appena alcuni tavolacci avanzati che avrebbero riempito a mala pena un carretto di buoi. Isabella gli disse perfino, in tono un po' scherzoso, che avrebbero impiegato soltanto un'ora per trasportarli tutti.

Pietro fu grato del dono ed andò a prendere due carretti di buonì e vari aiutanti indigeni che iniziarono a caricare. Donna Isabella li osservò stupita vedendo che uscivano completamente carichi e pensò che avessero terminato... ma la sua meraviglia aumentò quando li vide ritornare e caricare un'altra volta... poi un'altra ancora... un'altra... ed un'altra. Donna Isabella, una donna dopo tutto, si incuriosì tanto che volle entrare nella bottega per vedere cosa stesse accadendo, ma il Fratello Pietro la fermò sulla porta, dicendole sorridente:

- «Non si intrometta, sorella, nelle cose di Dio, badì che Egli sa tutto ed ama molto i suoi poveri; ed è lieto di ciò che gli si dà con liberalità».

Donna Isabella comprese che si trovava di fronte ad un fatto miracoloso e rispettò reverente ciò che í suoi occhi increduli vedevano.

La storia racconta che per tre giorni ì carretti fecero più di cento viaggi (tanti quanti occorsero per trasportare la quantità di legno necessaria per tutto il tetto), e che, dopo che Fra' Pietro si fu congedato riconoscente, gli sposi entrarono nella bottega e trovarono che ì due carichi originari erano ancora lì.

Con la stessa signora, la quale era un po' incredula, accadde un altro caso analogo. Di questo legno avanzato, ella aveva conservato quattro tavole speciali perché le costruissero un mobile. Nessuno era a conoscenza del nascondiglio neppure suo marito. Donna Isabella se ne era dimenticata, ma una mattina si presentò nuovamente Fratel Pietro, era molto contento e le disse che lo inviava San Giuseppe a chiederle alcune tavole che ella aveva messo da parte, che erano della lunghezza di quattro palmi e che corrispondevano esattamente alla misura ed alla qualità di cui l'ospedale aveva bisogno. Donna Isabella rimase ammutolita dallo stupore, poiché né i suoi servi, né suo marito sapevano di questo legname, e, tanto meno, poteva esserne al corrente un estraneo.

- «In verità posseggo quattro tavolacci - disse a Fra' Pietro ma sto aspettando che il falegname li usi per farmi un mobile. Non mi spiego come lei possa conoscere i nascondigli della mia casa, se neppure mio marito li conosce».

- «Non si preoccupi, signora, io sono inviato da quel Divino Falegname che seppe insegnare con la stessa sapienza di Dio a fabbricare croci e fu un tale grande maestro nel farle, che soltanto quella che Egli portò non fece, poiché era frutto dei miei peccati.

Nel dire questo, le lacrime spuntarono dai suoi occhi e donna Isabella, profondamente commossa e piangendo anch'ella dall'emozione, non poté far altro che aggiungere:

- Fratello, a Colui che lo invia e le ha detto che io possedevo tavolacci della misura giusta ed il luogo in cui erano riposti, non posso negare nulla; vada, prenda ciò che le piace e se ce ne fosse bisogno, vi è anche altro legname per gli infissi delle porte e delle finestre».

Caricarono su di un carrettino le quattro tavole e l'altro legno che serviva per l'ospedale. Pietro si congedò benedicendola per la sua bontà. Donna Isabella, che era piuttosto curiosa, non appena egli se ne fu andato, corse sul posto per vedere se avessero lasciato qualcosa, fosse pure un tavolaccio, e quasi morì dallo spavento nel vedere che invece delle quattro tavole ve n'erano quattordici della stessa qualità, tipo e misura delle precedenti.

Fra' Pietro continuava a chiedere qua e là per andare avanti con la sua opera, ma non sempre le elemosine erano fatte con buona volontà o date con l'intenzione di aiutarlo.

C'era un uomo molto cattivo, al quale non piaceva dare niente a nessuno, e benché Pietro lo sapesse, decise di ricorrere a lui. Quegli lo ricevette freddamente e coi fine di molestarlo, gli disse:

- «Fratello, ho soltanto un mulo da offrirle. Lo prenda se può».

Egli sapeva bene che il mulo era indomito, che nessuno era riuscito a farsi ubbidire, e, tanto meno, a farlo lavorare trasportando carichi, perché tirava calcia chiunque si avvicinasse... ed il suo desiderio era che il mulo atterrasse con un calcio Fratello Pietro.

Questi lo accettò con tutta umiltà e gradì il regalo, facendo notare che aveva precisamente bisogno di un mulo che lo aiutasse a trasportare il materiale. Si avvicinò all'animale, gli mise la mano sul dorso e, davanti agli occhi stupiti del suo precedente padrone, l'animale mansueto e tranquillo cominciò a seguirlo come un agnellino.

Da quel giorno il mulo divenne un collaboratore straordinario, trasportava il materiale, lavorava dalla levata al tramonto del sole senza molestare nessuno, obbediva alla prima voce ed era l'ammirazione di quanti sapevano come era stato indomito e selvaggio. Falegnami, muratori e fratelli terziari che aiutavano alla costruzione, amavano tutti il mulo per la sua mansuetudine, ed i bambini, dopo le loro lezioni, lo montavano allegramente senza che mai li facesse cadere.

Un giorno mentre lavoravano, cominciò a piovere torrenzialmente e tutti corsero a ripararsi sotto il tetto, solo il mulo rimase nel campo aperto prendendosi tutta l'acqua. Vedendolo Fra' Pietro lo chiamò con queste parole:

- «Fratello mulo, non vedi che ti bagni? Perché non ti metti al riparo?». Come se avesse compreso le parole, immediatamente esso si incamminò dove erano tutti gli altrì i quali da quel giorno lo chiamarono «Fratello mulo».

Una volta l'animale si ammalò e Fra' Pietro lo curò con la stessa diligenza ed affetto che usava per i suoi infermi. Questo quadrupede, quasi gli animali abbiano sentimenti volle molto bene a Fratel Pietro e gli fu fedele per tutta !a vita, al punto che quando egli morì suscitò l'ammirazione di tutta la città perché nel corteo in cui c'erano il Vescovo, il Sindaco e tutte le principali autorità e dignitari della chiesa e della citta, camminava tristemente, anche lui, il mulo, con il capo chino, e poi rimase steso in terra come morto, dimostrando così il suo dolore.

«Io non so se dicessero la verità quelle venerabili nonne che raccontavano questa storia; ma ciò che so e che posso ripetere qui, è che appena Fratel Pietro fu sepolto, la comunítà di Betlemme índísse una riunione per trattare alcuni argomenti importanti dell'Ordine. Uno di quelli, sembra incredibile, riguardava le decisioni da prendere per l'invalido quadrupede che si era invecchiato al servizio del convento.

«Si doveva ucciderlo per liberarlo dalle pene e gettare il suo cadavere in pasto a qualche rapace? Che ingratitudine pagare in questo modo i suoi grandi servigi!

Lo si doveva abbandonare per la strada o vendere al primo passante affinché il poverino terminasse i suoi giorni sotto la frusta di qualche padrone? Quale barbaria esporlo a nuove fatiche quando era già avanzato negli anni!

In tale grave difficoltà la comunità trovò una soluzione ottima. Poiché il poverino era stato il fedele compagno del santo Fondatore, aveva prestato grande aiuto agli infermi ed era invecchiato nei lavori della casa, la cosa naturale era quella di concedergli la sua pensione. Sì, la sua pensione.

La notizia corse subito di bocca in bocca e per molto tempo non si parlò d'altro che della felice «pensione di Betlemme».

Quando morì, i Betlemiti grati, invece di buttarlo in preda agli uccelli rapaci, gli diedero onorevole sepoltura, ai piedi di un arancio del convento sul quale uno spiritoso scrisse il seguente epitaffio:

Per quanto possa sembrar portento
qui sotto giace frate giumento
che fu famoso nel pio Belén,
a lui sia pace per sempre,
Amén». [32]

L'affetto di Pietro per gli animali era particolare, come abbiamo visto nel caso precedente e vedremo in quest'altro, di cui parla la storia, di un uomo che, infuriato, uccise a bastonate il suo cane e lo buttò nella spazzatura, poi pentito andò a raccontarlo a Fra' Pietro il quale immediatamente si recò a raccoglierne il cadavere, lo avvolse nel mantello e lo portò al suo ospedale... A due giorni di distanza completamente guarito, il cane tornò dal padrone.

Un'altra volta Pietro dimostrò il suo senso di giustizia e di rispetto per la pace, in un incidente avvenuto per un cavallo.

Un cavallo vagabondo che pareva non avesse padrone fu portato alla palizzata pubblica dove passò vari giorni legato senza che nessuno lo reclamasse, soltanto Fra' Pietro si recava tutti i giorni a portargli cibo ed acqua. Poiché la bestia non poteva rimanere sempre là, le autorità decisero di affidarlo a Pietro affinché gli fosse utile nel trasporto del materiale per la sua opera. Il povero animale era debole e stanco e Pietro, prima di metterlo al lavoro, lo tenne per vari giorni in un recinto vicino affinché potesse mangiare e correre liberamente. Dopo pochi giorni, l'animale, rimessosi e nitrendo dalla voglia di lavorare, si mise ad aiutare con mansuetudine nel trasporto dei materiali per la costruzione dell'ospedale.

Tuttavia, una mattina, si presentò un uomo adirato che diceva di essere il padrone del cavallo e lo reclamava immediatamente. Pietro non era lì, era uscito per le sue quotidiane occupazioni di servizio pubblico, per cui gli operai non vollero consegnarlo, aggiungendo che era stato dichiarato senza padrone ed affidato legalmente a Pietro. Ma l'uomo non voleva sentire ragioni ed infuriato, blaterando impropreri, andava su e giù minacciando... Nel frattempo giunse Pietro. Con tutta calma chiese cosa stesse accadendo e messo al corrente, disse all'uomo che, se il cavallo era davvero suo, se lo prendesse pure, ma che non turbasse la loro pace.

I muratori rimasero stupiti di questa decisione che sembrava loro assurda, ma Pietro spiegò che la pace valeva più di qualsiasi altra cosa materiale:

- «Se volessero distruggere tutta l'opera - aggiunse -dicendo che tale è la volontà di Dio, io stesso sarei il primo che, senza contraddire, comincerei ad abbatterla prima che si perdesse la pace.

Vi fu anche un altro uomo, un religioso andaluso, che per gelosia della fama di Pietro e dell'affetto e dell'entusiasmo con cui tutti lo aiutavano, si recò un giorno a vedere l'opera in costruzione e, trovando solo un operaio, gli chiede in tono di burla:

- «Cosa credono di costruire, la torre di Babele? Dica a Pietro che questo non è altro che denaro sprecato, non potranno fare mai nulla».

Quando Pietro arrivò e venne a conoscenza di tale messaggio, disse:

- Questo non l'ha stabilito né il padre né io

- Chi dunque?

- L'ha stabilito Dio, quelli che vivranno lo vedranno.

Ed effettivamente, quelle furono parole profetiche perché l'opera si realizzò, perdurò e fece un bene immenso.




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