TERZA PARTE


CAPITOLO XIII. MORTIFICAZIONI, PENITENZE E SACRIFICI

L'opera di Pietro procedeva lentamente: l'ospedale eppoi il convento e la chiesa, tutto andava prendendo forma e la fama di Fra' Pietro varcava anche i confini della città. Uomini, donne e bambini accorrevano da ogni parte, alcuni per aiutarlo o semplicemente per chiedere la sua benedizione, altri, afflitti da gravi problemi, per chiedere consiglio ed aiuto materiale.

A quelli che venivano da lontano o che erano molto poveri, dava ospitalità e cibo; un giorno ve n'erano tanti da non poter essere contenuti nello spazio limitato di cui disponevano. Uno dei fratelli terziari fece notare a Pietro che c'era troppa gente e molti sembravano vagabondi che volessero approfittare di lui, egli con grande umiltà, rispose a questa osservazione:

- «Fratello, io sono il vagabondo, questi invece sono poveri di Gesù Cristo».

Per la sua grande umiltà osservava le virtù della temperanza e della fortezza; era molto frugale nel cibo che consisteva in erbe, pane ed acqua. Per mortificarsi, preparava una zuppa di acqua bollente ed aloe, che è molto amara, e la prendeva con gli avanzi del pane che dava ai poveri, avanzi quasi sempre duri e vecchi.

Una volta in cui si erano riuniti tutti i Terziari che lo aiutavano nell'opera, vedendolo un po' distratto gli domandarono cosa stesse pensando.

- «Sto pensando - rispose loro - che mi sentirei molto felice se, in groppa ad un asino, con il banditore al lato ed al suono di una trombetta, passassi per la piazza, dandomi frustate per amore di Dio».

Durante la Quaresima si procurava del fiele di agnello e, come Gesù sulla croce, beveva acqua con fiele e aceto. Una volta a vari fratelli che lo guardavano stupiti mentre prendeva questa bevanda, disse:

- «Fratelli miei, quando Cristo, nostro redentore, era in agonia sulla croce, bevve così alla salute del genere umano ed io ora voglio fare la stessa cosa».

Subito dopo, prese tra le sue mani una coppa piena di questo miscuglio di fiele ed aceto e la bevve fino all'ultima goccia.

Una volta in cui era un po' debole in salute, il Religioso che lo curava gli preparò una gustosa zuppa che sapeva piacergli molto, ma lui, sempre per desiderio di sacrificio, gli disse che era troppo calda e che aggiungesse dell'acqua fredda, ciò soltanto perché, diluita, perdesse quel gustoso sapore che gli piaceva.

Il cioccolato, bibita originaria delle terre d'America e molto popolare in Guatemala, era di suo gradimento, ma lo beveva soltanto quando ne avanzava da quello che portava ai malati ed ai convalescenti. Il piatto che adoperava per mangiare era la carcassa di una tartaruga.

Oltre ad essere tanto frugale nella dieta, tutte le settimate digiunava per quattro giorno, durante i quali prendeva soltanto acqua e pane nero. Durante il periodo della Quaresima il suo digiuno era assoluto, prendeva soltanto acqua.

Una persona che aveva molta familiarità con lui e che era solita passare giornate intere in sua compagnia, attestò che non lo vide mai fare un pasto completo.

Si calcola che sui trecentosessantacinque giorni dell'anno digiunasse almeno per trecento.

In un sabato santo, una signora gli chiese quando avesse cominciato il digiuno e Pietro le rispose dal lunedì. La signora rimase molto sorpresa poiché, secondo quanto raccontò in seguito, il viso e l'aspetto generale di Pietro erano buoni, come se in quei giorni avesse mangiato benissimo.

La sua estrema povertà ed il suo disinteresse si riflettevano chiaramente sul suo vestiario; indossava unicamente l'abito del Terzo Ordine di Penitenza di San Francesco, che oltre ad essere vecchio e logoro, era della stoffa più grossolana che si potesse trovare; inoltre egli stesso lo rammendava quando ce n'era bisogno.

Una volta, un abitante della città si commosse e gliene regalò uno nuovo, ma Pietro, per il suo spirito di umiltà, preferì fare il cambio con un altro fratello che ne aveva uno vecchio, per non fare sfoggio di un abito nuovo che avrebbe potuto essere per lui di vanità.

Il suo abbigliamento intimo era ancora più povero e rozzo; il tessuto era di quella rozza tela con la quale gli indigeni facevano i sacchi per caricare le pannocchie di mais; la sua camicia, quando la usava, era di stoffa ruvida; non portava scarpe ma sandali, «caites», di cuoio, uguali a quelli degli indigeni, e questo quando glieli regalavano in elemosina.

Dormiva molto poco poiché vegliava gli infermi quando occorreva o passava la notte in preghiera.

Quando lavorava e viveva col sottotenente Armengol presso il quale fu la sua prima residenza e il primo impiego a Guatemala - aveva il permesso del padrone di casa per uscire qualche notte a percorrere la via crucis. Vestendo una tunica da Nazzareno, e portando una croce di legno, trascorreva tutto il tempo che va dall'imbrunire fino ad oltre mezzanotte, recitando in ogni angolo la stazione corrispondente; alcune volte faceva il percorso in ginocchio.

La storia racconta che in una di queste notti fu scorto da un abitante che stava rientrando a casa, era questi un personaggio piuttosto incredulo il quale, trovandosi inaspettatamente, di fronte un'ombra nera che ansimava fortemente, pensò si trattasse di un toro infuriato. Tirò fuori la spada per ucciderlo ma un bagliore improvviso gli fece scorgere un Nazzareno con una croce sulle spalle. Rimase pietrificato credendolo una apparizione soprannaturale, dovuta alla sua licenziosa condotta, e fuggì subito presso una casa vicina, dove gli spiegarono che si trattava di un giovane arrivato da poco dalla Spagna, che faceva penitenza. Comunque l'uomo si impressionò molto e questo gli fece cambiare vita.

Molte volte, durante questi percorsi Pietro venne anche attaccato da cani rabbiosi e da gente malintenzionata, che egli calmava tracciando un segno di croce.

Quando si costruì la casa che albergò il primo ospedale, fece scavare un buco nella parete esterna dell'infermeria, il cui spazio era soltanto di cinque piedi di larghezza e ne fece un rifugio per dormirvi; era tanto stretto che sembrava un vano per custodire gli utensili. Il muratore che lo fece, credendo fosse una rientranza per appendere il vestiario dei fratelli terziari, chiese un giorno il permesso di collocarvi la sua cappa ed il cappello. Il piano era di pietra; qui dormiva Fratel Pietro. Attaccava ad un chiodo una piccola lampada o un lume per vedere di notte e si inginocchiava sul pavimento di pietra a pregare; poiché lo spazio era così ridotto e basso, la posizione più comoda era quella in ginocchio poiché sdraiato non vi entrava bene. Per dormire in questa posizione collocava al suolo una forcella di legno sulla quale si sosteneva. Quando non dormiva in questo vano, lo faceva sopra una croce di legno che aveva fatto costruire, imitando Cristo crocifisso. In altri casi stendeva una stoia (di paglia che gli indigeni fanno ed usano per dormire) sul pavimento e per cuscino usava un pezzo di legno.

Non contento di tutti questi sacrifici, si applicava ad altre penitenze; in una piccola camera, che egli chiamava la sua «sala delle armi» si trovarono i cilici con i quali si mortificava e le pesanti croci che amava caricarsi sulle spalle. In un libretto di appunti che portava con sé e che fu trovato dopo la sua morte, c'è un paragrafo che dice così:

«In onore della Passione del mio Redentore Gesù Cristo (Dio mi dia la forza) devo infliggermi cinquemila e più frustate, da oggi, giorno della Pasqua dello Spirito Santo, 24 maggio del 1654, fino al Venerdì Santo, recitando durante questo tempo cinquemila e più Credo».

Tutti i venerdì faceva la «Via crucis» caricandosi una croce di quindici piedi di lunghezza. Si trovò anche quest'altra annotazione di suo pugno: «Tutti i Venerdì al Calvario con la croce e, se non si potesse, in penitenza, un'ora in ginocchio con la croce sulle spalle».

Si comunicava tre volte alla settimana, giacché in quei tempi la chiesa non permetteva ancora la comunione quotidiana, ma durante l'ultimo anno della sua vita, avendone ottenuto il permesso e dietro consiglio del suo confessore, Padre Lobo, si comunicò ogni giorno.

Gli piaceva andare a pregare davanti alla Vergine della chiesa della Mercede e vi erano delle volte in cui poteva recarvisi nella tarda ora della notte, dopo aver terminato le sue occupazioni. Il sacrestano, il quale già sapeva chi era colui che bussava alla porta a quell'ora, gli apriva senza preoccupazione e lo lasciava pregare davanti all'altare... Molte mattine lo trovava ancora nella stessa posizione quando alle cinque si recava ad aprire le porte per la prima Messa.

Tra le sue devozioni speciali vi era quella che praticava per le anime del Purgatorio. Era solito offrire in loro suffragio più di mille messe all'anno; fondò i due Eremi agli ingressi della città, di cui abbiamo parlato prima, dove, oltre a raccogliere elemosine per le sue opere, venivano chieste Messe per la salvezza delle anime; portava sempre, attaccata alla cintura, una borsa o bisaccia di cuoio - più piccola e differente dalla borsa grande di cui abbiamo parlato in precedenza - dove depositava i nomi delle persone defunte che morivano nella città; ogni giorno tirava fuori varie schede e a mano a mano che aumentavano i nomi, si svolgevano i servigi in loro suffragio.

In questa piccola borsa c'era anche una scheda dove aveva scritto il suo nome e la data della morte, che in varie occasioni tirò fuori e rimise a posto, ma molti si resero conto della cosa e la raccontarono in seguito, dopo il suo decesso.

Era tanta la sua preoccupazione per le anime di quelle persone che erano morte senza fare un atto di contrizione e senza essere in pace con Dio, che accontentava tutti quelli che gli chiedevano aiuto, in cambio di una preghiera per il sollievo di queste anime tormentate. Ai bambini che lo segavano festosi con la speranza di ricevere qualche dolce che tirava sempre fuori dalle sue meravigliose bisacce, faceva recitare prima una preghiera con lo stesso proposito. E raccontano che quando percorreva le strade per qualche faccenda e vedeva gruppi di bambini che giocavano nel parco o in qualche angolo, il popolare gioco della barra, chiedeva loro che lasciassero giocare anche lui a condizione che, se avessero perso, come penitenza avrebbero dovuto pregare per le anime del purgatorio... e Pietro vinceva sempre.

Vicino al convento di San Domenico viveva un ricco commerciante chiamato Antonio de Espinoza ed in casa sua, di sera, si riunivano gli amici a giocare a carte; poiché questo era l'itinerario frequente di Pietro, alcune volte, quando vedeva che vi erano molte persone, entrava e chiedeva di giocare a condizione che il pegno fosse quello di far celebrare Messe per le anime del Purgatorio.

I giocatori, tutti ostinatí in questa disputa, facevano mille imbrogli per vincerlo, ma era impossibile. Pietro, quasi senza saper giocare, aveva sempre le migliori carte e vinceva.

Quando ricorreva l'onomastico di qualcuno, lo andava a trovare, gli portava in regalo un rosario, forse fatto con le sue mani, glielo metteva al collo pregandolo di portarlo per tutto il giorno. Quando la persona gradiva quel gesto, e gli faceva notare di non avere con che ripagare quella gentilezza, Pietro approfittava per dirgli di tenerlo e di ricompensarlo pregando per le anime del purgatorio.

Osservava e celebrava le festività religiose con molto zelo. Abbiamo già visto come durante la Quaresima e la Settimana Santa, il suo digiuno ed i sacrifici fossero esemplari.

Per il Corpus Christi - allora celebrato con grande solennità -partecipava alla processione che percorreva la città, ed una volta chiese il permesso a Fra Payo Enríquez de Ribera, Vescovo di Guatemala, di poter andare davanti ad essa come un banditore. Annodata ad un palo la sua cappa di terziario, la innalzava come una bandiera al vento e avanzava e gridando:

- Allegria cristiani, cristiani allegria!

La sua voce aveva un tale impeto di fede che molti, perfino Fra' Payo, versavano lacrime di emozione al suo passaggio.

Il Natale era per lui una celebrazione speciale. In ricordo del presepe in cui nacque Gesù, aveva dato il nome di Betlemme alla casetta di paglia che ospitava il suo primo ospedale; più tardi, quando fu costruita al suo fianco la chiesa di Betlemme, sulla facciata principale, fu costruita una nicchia dove vennero collocate le figure in rilievo della Natività, che ancora oggi si conservano.

La notte dei ventiquattro organizzava una solenne processione alla quale pertecipavano tutti gli abitanti della città, uomini, donne, anziani, bambini, religiosi, autorità del governo, tutti accorrevano portando candele accese.

A mezzanotte si dirigevano verso la chiesa di San Francesco ad ascoltare la «Messa del gallo».

Quando Fra' Pietro morì, tra le sue carte fu trovato uno scritto di suo pugno in cui egli descriveva come si svolgesse questa processione e quella del giorno dei Re: [47]

«S'inizia dal detto ospedale di Betlemme, la notte di Natale, una funzione per commemorare il rifiuto di alloggio fatto alla Vergine Santissima e a San Giuseppe. Escono i Fratelli Terziari e molta gente, con molte luci in mano, recitando il Rosario della Vergine Santissima, con grande devozione, divisi ordinatamente in tre cori: tutti i sacerdoti dietro con la Vergine, davanti San Giuseppe, in cammino, cercando rifugio di porta in porta.

«Durante questa preghiera, per il fatto di essere tanto suggestiva, si vedono persone devote e contemplative che si commuovono alla vista ed all'ascolto di un angelo leggiadramente vestito: un bambino, che con dolci versi e canti va rappresentando l'abbandono, le ingiurie che quella notte soffrirono la Vergine ed il suo sposo Giuseppe. Questo fino ad arrivare al Portico di Betlemme».

«Si sono frenati con questa processione molti disordini giovanili, che avrebbero potuto accadere in questa notte di Natale.»

«Si dispongano molti altari sulle finestre con grandi illuminazioni, per tutte le strade di questa città di Guatemala ed ugualmente ricevano la Vergine e San Giuseppe con grande musica e festeggiamenti secondo questo Mistero.»

«La notte della vigilia dei Re, esce nuovamente una'altra processione in commemorazione dei Santi Magi, con le insegne di oro, incenso e mirra. Parte da un altro più esteso quartiere con la recita del rosario della Vergine Santissima e si dirige verso Betlemme all'insegna di una stella luminosa molto grande, costruita con grande inventiva, la quale viene innalzata e collocata tra le nubi.»

«All'arrivo di questo devoto corteo a Betlemme, escono a riceverlo molti bambini vestiti da pastori, con grande allegria e gioia».

È necessario menzionare qui che nelle sue pratiche religiose Pietro introdusse a Guatemala (e probabilmente nel Nuovo Mondo) l'usanza di preparare «Presepi» con figure e pastori finti, in ricordo della nascita di Cristo. Questa pratica fu inventata in origine da San Francesco d'Assisi e si osservava in alcuni paesi d'Europa, ma non risulta che si facesse in America.

Il fatto di mettere il nome di «Betlemme» al suo ospedale e che il capitano don Antonio de Montúfar, personaggio importante della città e grande pittore dell'epoca, gli abbia regalato un quadro della Nascita di Gesù per collocarlo nel suo Oratorio, avranno ispirato Pietro a imitare l'usanza di San Francesco e a fare con le sue mani, usando piccole immagini, il primo «presepio».

Questa usanza, profondamente radicata nel popolo centroamericano, poiché non esiste casa in cui non si faccia il «presepio», andò a poco a poco sviluppando una piccola industria a livello familiare, molto fiorente nel periodo natalizio: quella dei pupi, pastori, casette, animali, segatura colorata, ornamenti, ecc., che riproducendo abiti, figure e paesaggi della regione, costituiscono l'allegria di piccoli e grandi in quella festivita.

Questa è, dunque, un'altra usanza religiosa tradizionale, molto popolare, che Guatemala ed il Centro America (e forse il Nuovo Mondo) devono a Fra' Pietro di Betancur.

Di notte, quando non aveva nessuno da vegliare particolarmente, e dopo aver lasciato tutto in ordine nel suo ospedale dei convalescenti, percorreva le strade della città addormentata, portando nella sua mano sinistra una lampada o lume e gas per farsi luce, e nella destra, un campanello di bronzo; quando arrivava all'angolo della via fermava il suo passo, l'agitava e i suoi rintocchi sonori si sentivano per tutta la città, poi, con la sua voce dolce toccava il cuore di tutti gli abitanti dicendo:

Acordaos hermanos
que un alta tenemos
y si la perdemos
no la recobramos...

Ricordate fratelli
che un'anima abbiamo
e se la perdiamo
non la riacquistiamo

«Chi, allora, non si sarebbe commosso? Chi poteva rimanere indifferente udendo quella voce magnetica con il suo profondo messaggio? Non vi è dubbio che gli abitanti di Guatemala, riposando all'interno del proprio focolare nella tranquillità notturna, meditassero queste parole ed associassero le note vibranti e forti del campanello di bronzo alla figura francescana di Pietro di San José di Betancur, che li richiamava ad essere uomini migliori.

Durante una di queste notti in cui pioveva torrenzialmente l'Uditore don Juan de Garete sentì la campanella e la voce tra il rombo dei tuoni e, commosso, pensando come fosse inzuppato il povero Fratello Pietro sotto quella tormenta, ordinò ai suoi servi che lo facessero entrare per asciugargli gli abiti al caldo del camino. Così fecero ed una volta dentro, alla luce delle candele poterono vedere che era completamente asciutto, neppure una soia goccia d'acqua bagnava i suoi abiti. Ancora stupiti di fronte ad un fatto tanto inspiegabile, lo videro uscire nuovamente e continuare il suo cammino sotto la pioggia imperversante, che rispettava il suo passaggio senza bagnarlo. Vi erano naturalmente - perché c'è di tutto nella vigna del Signore - persone che dubitavano di lui e ridicolizzavano le sue virtù di fede e di umiltà.

Una sera, in una delle chiese della città, venne insultato da un individuo il quale, non soddisfatto delle parole, lo schiaffeggiò pubblicamente. Fra' Pietro, davanti ad un simile affronto, invece di urtarsi, cadde in ginocchio e con tutta umiltà gli chiese perdono per avergli ispirato tali brutti sentimenti... e gli offrì l'altra guancia.

La storia racconta che in breve tempo quest'uomo ebbe paralizzato il braccio destro, cioè quello con cui aveva schiaffeggiato Pietro e gli si «seccò la mano», come comunemente dice la gente di chi alza la mano verso i propri superiori; gli accaddero inoltre una serie di incidenti fino a che morì tra gravi dolori, assistito però affettuosamente da Fra' Pietro.

C'erano anche altri che non erano d'accordo con gli insegnamenti e le prediche di Pietro, specialmente uomini ai quali egli, talvolta indirettamente, impediva un'avventura amorosa o giochi d'azzardo che avrebbero portato rovina e disonore alle loro famiglie.

Una volta un gruppo di persone lo aspettò, nascosto nell'oscurità, e quando Pietro passò lo attaccarono brutalmente; lo insultarono dicendoli che era un ipocrita, vagabondo e perturbatore della quiete notturna. Varie volte gli misero le mani in alto e lo picchiarono con dei pali, lasciandolo ferito gravemente, altre, dopo averlo picchiato, gli legavano le mani alle spalle e lo lasciavano buttato in mezzo alla strada.

Ma tutto questo non lo faceva desistere, al contrario, la sua incrollabile fede lo rendeva più tenace e nella sua immensa bontà perdonava e pregava pubblicamente per tutti quelli che lo avevano offeso.

Il capitano Isidoro de Cepeda volle giocargli un brutto scherzo per mettere alla prova la sua tenacia e quando una volta Pietro gli chiese un'elemosina per le sue opere, gli disse:

- Le farò una grande elemosina, ma deve guadagnarsela indossando questo manto rosso che porto qui e camminando con questo fino alla piazza.

Il mantello che portava il capitano era del più acceso e brillante color rosso, così vistoso e splendente ai raggi del sole che nessuno poteva fare a meno di notarlo. Questo manto sull'abito logoro di Fra' Pietro era qualcosa di contrastante. Ma egli non indugiò un momento, si avvolse nella cappa ed arrivò fino alla piazza tra le risa, i commenti e le burle dei passanti.

Il capitano Cepeda pagò volentieri ed abbondantemente l'elemosina offerta.

C'era un sacerdote domenicano, il Padre Francesco Guevara, che aveva sentito parlare molto di Fratel Pietro e della sua umiltà e metteva in dubbio i suoi atti. Non lo conosceva, ma una sera, mentre si trovava in casa di donna Maria Ramírez, una onorabile cittadina che collaborava sempre alle opere di bene, fu annunciato che stava arrivando Fratel Pietro per prendere certi abiti offertigli.

- Ecco l'occasione - pensò il Padre Guevara -, ora vedremo se è vero quello che dicono di questo fraticello.

Pietro entrò e salutò rispettosamente il sacerdote, il quale gli rispose bruscamente, appena con un secco grugnito.

Donna Maria gli diede la roba e quando già egli stava per andarsene, il sacerdote, che era stato ad osservare tutta la scena senza dire una parola, gli ordinò di sedersi.

Fra' Pietro, per rispetto, non si sedeva mai davanti ad alcun sacerdote. Il Padre Guevara, notando la cosa, quasi gli gridò:

«Non mi piacciono questi ipocriti e bugiardi ingannatori.

Si sieda lì, bugiardo, e sentiamo cosa ha da dirmi.

Fra' Pietro si appoggiò alla panchina di una finestra e si sedette.

- «Mi ascolti, ipocrita fannullone. Non sarebbe meglio che lei lavorasse e si guadagnasse da mangiare senza andare a chiedere elemosine ai poveri? Non c'è stato fino ad ora chi le abbia detto il male che opera e lo smascheri per la sua pigrizia?».

Pietro, con gli occhi bassi, ascoltava e taceva.

- «Risponda, ipocrita fannullone, se ha qualcosa da dirmi...»

- «Lei dice bene, io sono un ipocrita, ingannatore».

- «Perché disturba la città, svegliando di notte i suoi abitanti che dormono tranquillamente, con quella campana che suona a morte e con le sue esclamazioni e preghiere ad alta voce che sembrano latrati di cane?»

Lacrime di dolore scivolarono sulle guance di Pietro, che, alzando gli occhi verso colui che così lo insultava, disse:

- «Oh, dice bene padre mio, e come mi ha conosciuto, poiché tale sono, un cane e niente altro...»

Il sacerdote non poté continuare, si alzò ad abbracciarlo ed a chiedergli perdono e, versando anche lui lacrime di emozione, gli disse:

- Guardi Fra' Pietro, che da oggi noi siamo amici e fratelli, domani l'aspetto al mio convento per aiutarla in ciò di cui ha bisogno. E da quel giorno fu un gran benefattore della sua opera.

Molti che dubitavano di Pietro, conoscendolo cambiavano completamente opinione, trasformandosi in suoi seguaci.

Una volta vi fu un monaco carmelitano che, arrivato da poco dal Messico, sentiva tanto parlare delle virtù e dell'umiltà di Pietro che volle conoscerlo per constatare la verità. Un giorno qualcuno glielo presentò ed il monaco decise di chiarire i suoi dubbi.

Per prima cosa lo interrogò, poi passò agli insulti e Pietro con grande serenità ed umiltà superò la prova. Il monaco rimase così meravigliato della qualità di spirito di Pietro, che desiderò condurlo con sé al suo Convento nel Messico, offrendogli grandi vantaggi.

«Venga con me, Fratello, poiché so che ha intenzione di fondare un ospedale per convalescenti e qui trova tante difficoltà. La invito a venire con me nel deserto del Carmelo, in Messico».

Ma Pietro, ripetendo le profetiche parole che aveva pronunziato quando per la prima volta ebbe davanti agli occhi la città di Guatemala, esclamò:

«Qui devo vivere e morire».

Il suo fervore gli faceva inventare nuovi modi di pregare o di trasformare le preghiere tradizionali. Tra quelle che sono passate alla posterità, attraverso i suoi biografi, si trovano queste, brevi e semplici:

Dammi sempre, buon Signore,
fe', speranza e carità
e poiché Tu sei potente,
del tuo Cuore l'umiltà.

Eppoi sempre e solo in tutto
fatta sia tua Volontà.

«Ciò che un uomo deve fare affinché la sua anima non si perda, è esaminare il suo intimo; mettere sentinelle a guardia dei sensi e raddoppiarle, se fosse il caso, affinché non entrino nell'animo le cose mondane e non esca a vederle o cercarle».

Il Guatemala è sempre stato un paese scosso da terremoti. Nel 1663 ci furono tremendi sismi che obbligarono molti abitanti a trasferirsi in luoghi più sicuri; tra quelli si trovava Fra' Payo de Ribera, il Vescovo di Guatemala, che abbandonò il suo vecchio palazzo episcopale, trasferendosi in una stanza dell'Ospedale di San Pedro, costruito da poco. Fra' Payo ammirava l'opera di Pietro e, durante una visita che gli fece, gli chiede cosa pensasse di così orrendi cataclismi.

«Frate! Pietro con il volto sereno ed umile, rispose:

- Quello che mi sembra è che Dio predica a noi -» [48]




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