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Non si sa esattamente quale fosse la rotta che Pietro seguì a piedi,
non esistono documenti che la indichino chiaramente, ma attraverso
datì reperiti qua e là è stato possibile dedurre due probabili
itinerari, seguiti solitamente in quei tempi. Si deve tener conto,
in ogni caso, che qualunque sia stata la rotta comportò lungo spazio
di tempo, poiché il tragitto fu di circa millecinquecento chilometri,
distanza che in quell'epoca Pietro avrà percorso in circa tre o
quattro mesi facendola a piedi. Basandoci su questi calcoli
approssimativi -poiché, ripetiamo, nessuna cronaca dell'epoca
riporta dati esatti - si può dedurre che Pietro sbarcò a Trujillo
(Honduras) verso la fine dell'ottobre o del novembre del 1650 e
che, durante i mesi di dicembre, gennaio e parte di febbraio del
1651, camminò verso il suo destino: Guatemala, dove giunse il
18 febbraio dei 1651.
Durante questo lungo percorso a piedi, affrontò con pazienza le
piogge torrenziali di quei mesi invernali, il cocente sole tropicale e
nei luoghi in cui sostava curava spiritualmente la gente, infondendo
fede, amore e carità. Il suo passaggio per la zona della costa
settentrionale di Honduras fu indimenticabile e lo dimostra il fatto
che ancora oggi, a più di tre secoli di distanza, la sua figura sia
venerata in modo particolare in questa regione.
Una mattina, dove si fermò a riposare per vari giorni, poiché il
suo stato di esaurimento e di debolezza era giunto al massimo, visitò
la chiesa e si sentì attratto in modo particolare da un bellissimo
quadro che rappresentava la Vergine del Rosario. Qui trascorse in
preghiera lunghi periodi, chiedendo fervidamente che gli fosse data la
forza di continuare il suo viaggio fino alla città di Guatemala, che
sapeva già molto vicina. La sua fede e le cure delle brave persone
che incontrò sempre lungo la sua via, gli fecero recuperare
immediatamente le forze. Una mattina, al sorgere del sole,
intraprese nuovamente il cammino, rimontando un colle dalla cui
sommità stabilì la rotta che doveva seguire.
La distanza era breve ed il suo entusiasmo gli infondeva. coraggio e
forza; attraversando magnifiche campagne, salendo e scendendo per le
colline, dopo due giorni di marcia, già oltrepassato un piccolo paese
chiamato San Juan (Gascon), vide coronati i suoi sforzi,
allorché scorse sul fondo, attraverso una svolta della strada, una
città bianca, come un nido di colombe in mezzo ad una valle di
smeraldi, ai piedi di un imponente vulcano coronato di nubi. Era
Guatemala! La sua tanto sognata Guatemala! La terra che - senza
averne mai sentito il nome - lo aveva attirato da lontano, dall'altro
lato dell'oceano, costringendolo ad abbandonare per essa patria, casa
e famiglia; era Guatemala, che lo chiamava con voce irresistibile.
Che cosa presentì Pietro di Betancur, allora? Quale rivelazione
ebbe in quel momento, trovandosi nel luogo ove egli avrebbe realizzato
l'opera per cui era stato destinato? Qualcosa percepì, poiché,
deponendo il suo bastone di pellegrino, pronunciò queste profetiche
parole sgorganti dall'anima:
- «Qui devo vivere e morire». [13]
L'emozione sembrò mettergli le ali ai piedi ed affrettò il passo per
giungere quanto prima. A mezzogiorno, si trovava già alle porte
della cosiddetta «Nobilissima e Fedelissima Città di S. Giacomo
dei Cavalieri di Guatemala, Capitaneria del Regno» che si estende
dalla provincia di Chapas fino a Costa Rica, luogo maestoso per
tempi e palazzi, dominato dall'imponente vulcano «Agua» e dal
romantico fiume Pensativo.
Pietro giunse alle porte di ingresso di una bella città, porte
costituite da una serie di archi di fronte al «Pensativo», piccolo
corso dall'apparenza tranquilla, ma infuriato quando si gonfia per le
piogge. Entrò attraverso I'«Arco de las Monjas» ed attraversò
il piccolo ponte chiamato allora «dei Convento della Concezione».
Da lì poté apprezzare la città, il fonte battesimale di «Las
Delicias», le strade diritte lastricate di pietre... Lacrime di
emozione spuntarono nei suoi occhi e, per rendere grazie a Dio di
essere finalmente arrivato a destinazione, si inginocchiò umilmente e
baciò la terra. [14]
Erano le due del pomeriggio del 18 febbraio del 1651; erano
trascorsi esattamente un anno e cinque mesi dal giorno in cui si era
imbarcato dalla sua isola natia diretto in America. Aveva venticinque
anni.
Quel 18 febbraio del 1651, nell'istante in cui Pietro entrava
nella città e si inchinava a baciare la terra tanto sognata, essa
tremò fortemente. Nella sua umiltà pensò che fosse un segno
negativo da parte di Dio poiché si riteneva peccatore; entrò
umilmente nella città esclamando:
- «Oh Signore, Signore, mi accorgo che essendo entrato qui un
grande peccatore come me, tu mandi questo castigo alla città».
La coincidenza del bacio di Pietro sulla terra di Guatemala e della
forte scossa, fece credere a molti che il terremoto fosse un segno
divino. Vediamo come lo racconta uno sconosciuto cronista
dell'epoca: [15]
«Il sabato, 18 febbraio 1651, vigilia della domenica dì
Quinquagesima, poco dopo il mezzogiorno si udì uno straordinario
boato sotterraneo che allarmò e spaventò gli abitanti dell'antica
Città di Santiago dei Cavalieri di Guatemala. Immediatamente ci
furono tre fortissime scosse a brevi intervalli, che squarciarono la
terra e rasero al suolo gran parte degli edifici: volavano le tegole
come fossero di paglia, le campane rintoccavano da sole, franavano le
rupi, le fiere dai monti, contro il loro istinto naturale, correvano
spaventate verso la popolazione: un feroce leone, entrato nella città
dalla strada del Palazzo del Tribunale, giunse alle Case
Concistoriali, lacerò un manifesto che era affisso ad una delle
colonne ed uscì, attraversando varie strade, senza causare danno ad
alcuno. Le scosse continuarono con maggiore o minore intensità
durante tutta la Quaresima e la Pasqua di Resurrezione, fino al 13
aprile. Quel terribile avvenimento, in tutto conforme alle leggi
della natura, causò grandissimi danni materiali agli abitanti
dell'Antica Guatemala; ma produsse anche una quantità di beni
spirituali... tra cui «l'arrivo del Santo Uomo che fu Pietro di
San José di Betancur».
Questi, cessata la scossa, diresse i suoi passi verso la strada della
Concezione, dove c'era molta gente spaventata; camminò a lungo ed
all'improvviso sentì che le sue forze non reggevano più, la
debolezza e la stanchezza, l'emozione e lo spavento, agirono sul suo
debole organismo ed egli cadde svenuto nel vano di una porta, che
risultò essere precisamente quella dell'Ospedale Reale di S.
Giacomo. Immediatamente alcune persone vicine lo raccolsero e lo
portarono dentro, dove rimase ricoverato in una stanza comune, che
aveva due file di letti, tutti occupati da infermi.
Questo ospedale, fondato nel 1559 dal Vescovo Francesco
Marroquín, era aperto solo agli spagnoli ed era a carico dei
Religiosi di San Giovanni di Dio. Esistevano allora, oltre a
questo, l'Ospedale di Sant'Alessio, fondato dal Frate Matías
de Paz nel 1540, destinato agli indi ed agli schiavi infermi;
l'Ospedale di San Pietro, per gli ecclesiastici, (chiamato oggi
Ospedale di Fra' Pietro, perché molti credono essere quello da lui
fondato, e ciò è totalmente errato); e infine, l'Ospedale di
San Lazzaro, per i lebbrosi, dove oggi si trova il cimitero della
città dell'Antigua.
Pietro rimase in stato di incoscienza per varie ore, ed i medici
credettero fosse contagiato dalla peste; quando tornò in sé, la sua
debolezza era talmente grande che dovette rimanere ricoverato per varie
settimane. Le malattie, frattanto, avevano decimato i suoi compagni
di camera, fino al punto che lui soltanto rimase nella fila dove era il
suo letto. Quelli della fila, di fronte, un giorno, credendolo
incosciente o addormentato, cominciarono a parlare di lui ed a
commentare che sarebbe stato meglio se fosse passato dal loro lato, se
non voleva andare a far compagnia ai morti... Pietro li udì e disse
loro:
«Chi ha detto che se è volontà di Dio che io debba morire di questa
infermità, non possa morire lì come qui?».
La gente di Guatemala, si è sempre distinta per il suo spirito di
misericordia verso i bisognosi; era costume d'allora visitare gli
infermi negli Ospedali e portar loro conforto spirituale e materiale.
Tra i visitatori assidui dell'Ospedale Reale di S. Giacomo, vi
era un abitante dei luogo chiamato Juan de Uceda, un uomo povero, ma
di gran cuore che fu preso da grande affetto per quel giovane delicato e
pallido e lo andava a trovare ogni giorno, portandogli quanto poteva
delle sue scarse risorse. Era costui molto loquace e gli raccontò la
vita ed i costumi della città, offrendogli, una volta uscito, di
trovargli un lavoro che gli procurasse da vivere. Pietro sentiva in
lui lo spirito del suo amato padre, poiché la sua preoccupazione era
davvero quella di un padre verso un figlio.
Tuttavia i giorni passavano ed egli era ancora ricoverato, invece di
migliorare si aggravò improvvisamente, gli sopraggiunsero alte febbri
e la sua debolezza era tale che si temeva spirasse da un momento
all'altro, tanto più che i medici non sapevano cosa fare per lui.
Una mattina, in un momento di lucidità, Pietro parlò con Juan de
Uceda e gli raccontò di aver sognato che una voce gli diceva che
sarebbe guarito se avesse mangiato del pane con miele bianco di api;
questa richiesta poteva sembrare puerile o sciocca e per questo non si
azzardava ad esporla nell'ospedale, ma pregò Juan che glielo
portasse lui il pane con il miele, di nascosto, affinché non venisse
preso in giro. Il buon uomo non lo considerò pazzo, al contrario,
comprese che nella sua semplicità, l'infermo possedeva una luce
interiore che lo illuminava... ed immediatamente portò il pane e il
miele, senza farsi scorgere da alcuno. Pietro lo mangiò quel giorno
ed un altro ed un altro ancora... ed al terzo, completamente
guarito, con grande meraviglia dei medici, poté lasciare
l'ospedale.
Sebbene Juan de Uceda lo invitasse a casa sua per vivere con i suoi,
egli non accettò l'offerta tanto generosa, conoscendo la precaria
situazione in cui versava questa famiglia che era numerosa, poiché
temeva di rappresentare per loro un peso. Li andava a trovare tutti i
giorni, ma prendeva i suoi pasti insieme ai poveri nella portineria
della chiesa di San Francesco e di notte dormiva in una piccola camera
vicino ai Calvario; durante il giorno visitava chiese ed ospedali,
portando agli infermi lo stesso conforto che egli aveva appena ricevuto
durante la sua infermità.
Nell'ospedale, Pietro aveva conosciuto un'altra persona che portava
il suo stesso nome, il capitano Antonio Lorenzo di Bethancourt, con
cui fece amicizia, e i due cercarono di scoprire se avessero qualche
parentela, sebbene scrivessero il loro cognome in modo diverso.
Probabilmente da questo signore discendono in Guatemala le famiglie
che portano il nome di Bethencourt, Betancur, Betencurt,
Bethancourt, e Betancourt, poiché il fratello Pietro, per il suo
stato religioso non ebbe discendenti; gli altri suoi possibili
parenti, che la storia registra andati a Guatemala, furono un lontano
zio, il Padre Fra' Luis di San José di Betancur, un religioso
che sarebbe morto nel convento di San Francesco nel 1642, otto
anni prima dell'arrivo di Pietro; e lo scrivano don Juan Antonio
Betancurt, proveniente con molti altri immigrati dalle Canarie.
[16]
La fama di Pietro, della sua bontà e dedizione verso i poveri,
cominciò ad espandersi per la città e subito la gente, sempre
generosa e devota, lo invitò a casa, contendendosi il piacere di
avere alla propria mensa quel forestiero spagnolo arrivato di recente
dopo un rischioso viaggio. Pietro accettava perché come persona nuova
della città non voleva offendere nessuno, ma la sua umiltà gli
impediva di godere di queste attenzioni e desiderava che terminassero.
Confidò la cosa a Frate Fernando Espino, un monaco conosciuto
nell'ospedale, e questi gli suggerì di cercare lavoro come
tessitore, giacché sapeva fare molto bene. questo mestiere per il suo
apprendistato a Cuba. Lo stesso Frate Fernando gli procurò un
impiego presso i telai che appartenevano al sottotenente Pedro de
Armengol, della cui famiglia era amico e confessore.
A questo lavoro Pietro si dedicò per tre anni, dal 1651 fino
alla fine del 1653. La casa ed i telai di Armengol erano distanti
più o meno mezza lega dalla città. AI principio, Pietro viveva
con la famiglia del suo padrone, che gli era molto affezionato, ma poi
si trasferì in una stanza nel centro della città, dietro il
Municipio. Durante il giorno lavorava tenacemente e, dopo aver
terminato, ritornava in città a far visita agli infermi negli
ospedali, ai detenuti nelle carceri ed a tutte quelle persone che
sapeva aver bisogno di aiuto. Era un gran conversatore e le sue visite
erano attese e assai gradite, molte volte scriveva lettere per gli
infermi e per i prigionieri che non sapevano o non potevano farlo.
Persino i bambini si sentivano attratti dalla sua persona e lo
seguivano per la strada quando lo vedevano, fatto di cui egli
approfittò per riunirli nella sua stanza, a piccoli gruppi, ed
insegnar loro gratuitamente le prime nozioni. Fu tale l'affluenza
degli alunni che si mise d'accordo con un maestro, che pagava con il
suo stipendio di tessitore, affinché impartisse lezioni durante il
giorno, mentre egli era occupato nel suo lavoro.
Così trascorse i primi quattro anni della sua vita a Guatemala:
lavorando tenacemente come tessitore, guadagnandosi la giornata come
molti altri operai, per aiutare con quel poco denaro il suo prossimo
bisognoso dandogli, oltre al sollievo materiale, il meraviglioso
conforto della sua parola dolce, profonda, convincente ed educativa.
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