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L'affetto che Fratel Pietro provava per gli animali era uguale a
quello di San Francesco d'Assisi. Per quanto inferiori e
sgradevoli fossero, se si accorgeva che un animale soffriva, era
maltrattato o in pericolo, correva subito in suo aiuto, come se si
trattasse di un essere umano. Parlava a tutti e - sorprendentemente
- tutti gli animali sembravano comprenderlo, poiché obbedivano a
quello che diceva loro.
Nell'ospedale c'erano molti topi che venivano dalla campagna,
mangiavano i cibi ed il vestiario custodito per i convalescenti e questo
dava molto fastidio agli altri fratelli terziari che aiutavano Pietro.
I fratelli incaricati della pulizia lottavano inutilmente per
sterminarli o per lo meno disperderli, ma era impossibile, i topi
sembravano più svelti di loro e trovavano sempre il modo di entrare per
compiere le loro malefatte. Alla fine, disperati, si rivolsero a
Fra' Pietro per avere aiuto.
Egli chiamò un brav'uomo che collaborava alle sue opere, don
Lorenzo Hipolito, e gli chiede che gli desse una mano per scacciare i
roditori dall'ospedale. Don Lorenzo si prestò subito, pensando di
divertirsi a rincorrere topi per tutto l'edificio, ma quale non fu la
sua sorpresa quando Pietro gli chiese un bastone.
- Andate, portatemi un bastone, perché voglio fare
l'amministratore.
Don Lorenzo ascoltò stupito questa strana richiesta che non associava
al compito di cacciare i topi, ma dato che ormai conosceva le stranezze
di Fratel Pietro, andò premuroso nel cortile e prese un bastone.
Frattanto, Fra' Pietro aveva messo il suo cappello a terra, con la
coppa rivolta verso l'alto e chiamò i topi. Questi benché sembri
impossibile - cominciarono ad uscire dai loro nascondigli, sporgevano
timorosi le loro testine, guardando da una parte e dall'altra...
scendevano dagli scaffali, dal tetto, uscivano da sotto le porte e
correvano premurosi, alcuni a mettersi nel cappello, altri a fermarsi
immobili di fronte a Pietro. Quando tutti furono usciti, Pietro
raccolse il suo inconsueto fardello, tenendo in una mano il cappello
pieno di topolini tremanti, nell'altra il bastone a mo' di baculo,
mentre dietro di lui, altri topolini lo seguivano come in una sfilata.
Invitò don Lorenzo ad accompagnarlo, dirigendo i suoi passi verso il
fiume Pensativo, nei dintorni della città, che attraversarono a
piedi poiché era estate ed era in secca.
Arrivati all'altro iato del fiume, mise il cappello a terra e,
simulando di trovarsi in un tribunale, appoggiato al suo «bastone da
amministratore», parlò così ai topolini:
- «Questa è la giustizia del Re del Cielo contro voi fratelli;
cioè che siate esiliati dalla casa, per non procurare danno ai viveri
ed agli alimenti degli infermi».
Subito dopo batté tre volte al suolo il bastone e fece un gesto con la
mano per mandarli via. Tutti i topolini se ne andarono di corsa,
disperdendosi negli sterpi vicini... e da quel momento, non ci fu
più un solo topo nell'ospedale e nel convento di Betlemme.
Abbiamo già raccontato come l'asino selvaggio si trasformasse
nell'animale più mansueto e seguisse il corteo nel giorno del suo
funerale.
Vi fu un altro animale, questa volta un cavallo, dato in prestito a
Pietro per essergli di aiuto nel trasporto dei materiali per la
costruzione dell'ospedale. Questo cavallo trasportava la sabbia, ma
ne versava sempre un po', passava dove non doveva e causava danni
ovunque. Il suo padrone non voleva disfarsi di lui, ma non potendolo
domare pensò che mettendolo al lavoro sarebbe diventato mansueto; non
fu così, al contrario, ogni giorno era più selvaggio ed indomito,
per cui una volta, vedendolo così, decise che era meglio regalarlo a
Fra' Pietro in modo che provvedesse lui sul da farsi riguardo ad un
simile animale. Così avvenne, ma quale non fu la sorpresa di tutti,
perfino quella di Pietro, quando nel momento stesso in cui divenne di
sua proprietà, quel cavallo selvaggio si trasformò in una animale
mansueto ed obbediente e diventò un magnifico collaboratore,
trasportando sacchi di sabbia e pietre, senza far cadere nulla e senza
stancarsi mai.
Vicino alla cappella del Calvario si estendeva una vasta campagna dove
la domenica la gente si radunava a godere l'aria fresca e pura. Una
mattina passò di lì un toro infuriato e qualcuno pensò di affrontarlo
improvvisandosi torero. Il toro correva da una parte e dall'altra e
ovunque spuntava un nuovo torero... la gente si divertiva e gridava
di giubilo per l'improvvisato spettacolo senza rendersi conto del
pericolo che correva perché l'animale si infuriava sempre di più.
Quella mattina Pietro si era diretto al Calvario, camminava per la
sua strada quando, improvvisamente, vide venire da lontano l'animale
infuriato che, essendo riuscito a spezzare il cerchio dei suoi numerosi
toreri, si dirigeva, accecato dall'ira verso quella figura in
movimento. La gente da lontano gli gridava avvertendolo del pericolo,
ma Pietro senza spaventarsi, si fermò a metà strada ed aspettò
l'animale. Quando gli fu vicino disse:
- «Non venire qua».
Il toro non fece un passo. Egli si avvicinò fino a toccarlo con la
mano e, dandogli una leggera spinta, lo mandò verso l'altro lato del
campo, nel recinto da dove era scappato e in cui entrò lento e mite,
davanti agli sguardi attoniti dei numerosi testimoni che in seguito
raccontarono stupiti questo fatto straordinario.
Un giorno Pietro incontrò un gruppo di bambini che aveva dato la
caccia ad un zopilote (ossia la femmina dell'avvoltoio americano) e
lo stavano maltrattando prima di ucciderlo. Gli zopiloti sono molto
comuni in Guatemala, si vedono svolazzare ovunque ci siano degli
avanzi e poiché si considerano uccelli inutili - sebbene in realtà
non sia così, in quanto ripuliscono l'ambiente dal sudiciume - a
molte persone piace, per divertimento, cacciarli ed ucciderli.
Quella mattina, mentre Pietro si recava a far visita agli ospedali,
vide quel gruppo di bambini e sentì i gracidii dell'uccello sul punto
di morire. Il suo senso di pietà rivolto a tutti, perfino verso
questo uccello considerato sudicio, lo spinse a toglierlo dalle mani
dei bambini e a portarlo con sé per curarlo. L'uccello stette molti
giorni convalescente sul ramo di un albero nel cortile posteriore
dell'ospedale, dove ogni giorni Pietro gli dava cibo ed acqua, fino
a che non guarì. Pensò allora che l'uccello se ne sarebbe andato,
ma accadde il contrario, lo zopilote, in segno di gratitudine, non si
separò mai da Pietro, fece dell'albero la sua casa e si preoccupava
di mantenere puliti i dintorni dell'ospedale. Le cronache raccontano
che quando Pietro morì l'aminale rimase in possesso degli altri
fratelli e che Frate Rodrigo de la Cruz, suo successore, gli si
affezionò tanto che quando andò nel Perù, lo portò con sé per
compagnia.
Pietro amava particolarmente, come San Francesco, gli uccelli
canori. Fin dai primi tempi della sua vita religiosa, quando viveva
al Calvario, era sua abitudine alzarsi all'alba per dare da mangiare
ai numerosi uccelli che vivevano nel giardino, quel bel giardino che
egli coltivava personalmente.
Gli uccellini allegri e gorgheggianti correvano a mangiare nelle sue
mani, si posavano sulle spalle e sulla testa, ed era tale l'allegria
del Fratello Pietro che con le braccia aperte girava ballando e
cantando.
Gli uccellini svolazzavano su di lui, cantando di gioia lo seguivano a
stormi per tutto il giardino fino a che Pietro, terminata la
colazione, batteva due volte le mani come per dire loro di tornare ai
propri nidi o di darsi ai voli mattutini... e così facevano
obbedienti.
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