|
Il paese che Pietro aveva scelto era Honduras, certamente dietro
consiglio di sua zia che aveva sentito parlare di quelle terre lontane.
Forse queste narrazioni le erano giunte da un lontano parente, - il
Venerabile Fra' Luis di San José di Betancur, originario di
Tenerife che, andato in Guatemala con il conte della Gomera, era
stato religioso nel convento di San Francesco e vi era morto
nell'anno 1642 (otto anni prima che arri- vasse Pietro).
Nell'anno 1636 il Padre Luis aveva fatto un viaggio dal
Guatemala alla Spagna e quindi era tornato in America; si può
supporre che durante questo viaggio si fosse recato nella città natale
di Tenerife e logicamente avesse visto i suoi parenti, tra i quali
quella zia di Pietro che si sarebbe impressionata ai suoi racconti,
rimanendole impresso il nome di «Honduras», rotta di viaggio
obbligata in quei tempi. [5]
Anni dopo, chiedendole Pietro dove andare per impartire gli
insegnamenti di Dio, questo nome sarebbe ritornato alla sua memoria ed
avrebbe influito sulla decisione di lui orientando il suo destino verso
quelle terre. Non era diretto in Guatemala e neppure aveva mai
sentito quel nome, come ci viene riferito dalla conversazione che
troveremo più avanti.
Aveva ventitré anni quando si imbarcò il sabato 18 settembre del
1649 su una nave a vela che aveva come rotta l'Avana, da dove poi
avrebbe proseguito il suo viaggio su un'altra imbarcazione appartenente
a coloro che commerciavano tra Veracruz, Campeche e Honduras.
[6]
Non aveva voluto dir nulla alla madre ed ai fratelli, ma prima di
salpare scrisse loro una lunga lettera, spiegando la sua determinazione
di fronte al costante richiamo che sentiva nel cuore. Questa fu
l'ultima comunicazione diretta che ebbe con la famiglia. (Anni
dopo, nel gennaio del 1655, quando richiese il suo ingresso nel
Terzo Ordine di San Francesco, cita nelle sue dichiarazioni di aver
«scritto alla sua terra chiedendo le garanzie necessarie», ma non si
sa se questa comunicazione sia giunta a destinazione ed abbia ottenuto
risposta).
Senza dubbio l'allontanamento definitivo dalla sua patria, verso
terre lontane e sconosciute, scoperte di recente, dovette causargli
qualche volta nostalgia e tristezza. In uno dei suoi manoscritti
dice: «Se Dio mi portasse un'altra volta alla mia terra, andrei
scalzo al santuario di Nostra Signora della Candelaria...».
I viaggi in quei tempi erano lunghi e difficili, pieni di pericoli ed
incertezze. Dalle Isole Canarie all'Avana, rotta obbligatoria in
quei tempi per proseguire poi per Honduras, il viaggio poteva durare
due o tre mesi di tempo, con quelle navi a vela, in balia dei venti e
della buona sorte. Uno dei suoi biografi ci descrive così questa
prima tappa del viaggio di Pietro:
«La navigazione è faticosa e noiosa. Quasi sempre il pedaggio
risulta eccessivo per l'insufficiente disponibilità delle
imbarcazioni; il catrame arde al sole ed il calore esaspera; malgrado
l'ostinata fatica delle pompe, l'acqua ristagnata si decompone ed
affoga la sporcizia rendendo pestifera l'aria della nave. Le razioni
sono scarse e, mancando l'acqua, i cibi sembrano particolarmente atti
a provocare e ad esacerbare la sete. Abbondano gli insetti voraci; è
necessario stare sdraiati, o seduti o in piedi, poiché soltanto gli
occhi possono muoversi sulla distesa marina. Nelle notti stellate è
un sollievo ascoltare l'arpeggio di una chitarra ed una mesta voce che
intona qualche canzone.
«La partenza dal porto è difficoltosa a causa del mare molto mosso,
e gli uomini dell'equipaggio bestemmiano incivilmente e discutono tra
di loro; ma più avanti la distesa salata si acquieta alla vista ed un
vento leggero gonfia le vele rivolte nella direzione segnalata dal
capitano...». [7]
Dopo un viaggio di mesi fra molteplici vicissitudini, finalmente la
nave giunse al porto dell'Avana in una mattina di sole e di brezza,
lì Pietro doveva rimanere un po' di tempo aspettando che un altro
bastimento lo portasse al suo destino finale, a Honduras. Il tempo
trascorreva e nessuna nave partiva per la sua destinazione, ma soltanto
per Veracruz ed altri porti, Pietro però voleva andare decisamente
là ove si sentiva misteriosamente attratto. Tutti i giorni si recava
al molo, domandava, sperava... e le settimane trascorrevano...
nulla! Per non disperarsi, decise di impiegare il suo tempo imparando
qualche mestiere ed il 4 settembre del 1650, [8] quasi un anno
dopo il suo imbarco, entrò come apprendista tessitore presso don
Gerónimo Xuárez, a cui pagò dieci pesos per l'apprendistato.
Rimase lì ad imparare ed a guadagnare a mala pena pochi centesimi che
gli permettevano di pagare i suoi pasti, giacché divideva la casa con
un buon sacerdote che gli dava ospitalità.
Il suo comportamento e la sua dedizione erano tanto esemplari che il
suo maestro, che non aveva soldi per il pedaggio, si offrì di
ottenergli il viaggio se fosse passata qualche imbarcazione diretta a
Honduras.
Finalmente un giorno gli riferirono che ce n'era una; felice e
contento Pietro andò al molo per avere notizie e qui, un tizio gli
disse che quella nave avrebbe fatto effettivamente scalo al porto di
Trujillo, nell'Honduras, portando alcuni commercianti che
trasportavano le proprie mercanzie in Guatemala. Non appena Pietro
sentì pronunciare questo nome, interessato domandò:
«Come si chiama quella città?» ed udendo ripetere ancora:
«Guatemala», esclamò decisamente: «Voglio andarvi, perché una
gioia interiore e una forza superiore mi spingono, dopo averla sentita
nominare, nonostante sia la prima volta che sento il suo nome».
[9]
Il suo buon maestro riuscì ad ottenere in cambio del pedaggio, che lo
prendessero come marinaio e così Pietro, felice, potè partire
finalmente per le terre sospirate. L'imbarcazione alzò le vele ed
egli, da coperta, disse addio alla bella città dell'Avana, al suo
buon maestro, al sacerdote che gli aveva dato ospitalità ed ai suoi
amici e compagni di lavoro, i quali commossi, di fronte a quel giovane
irradiante luce e bontà, accorsero a dirgli addio con le lacrime agli
occhi, comprendendo che era un uomo di Dio, colui che, appena
ventiquatrenne partiva obbedendo ad un richiamo divino.
È opportuno precisare qui che del tempo trascorso da Pietro a Cuba
non si ha nessuna notizia, tuttavia c'è da supporre che, data la sua
natura generosa e ricca d'amore per il prossimo, abbia fatto qualche
opera degna di memoria, poiché sappiamo che esiste nella provincia di
Matanzas un municipio che si chiama «Pietro di Betancur»,
certamente in ricordo del suo passaggio nell'isola di Cuba. Si noti
che non è «Pietro di San Josè», ma unicamente «Pietro di
Betancur», fatto che ci permette di credere che è effettivamente in
onore del suo passaggio sull'isola, giacché se fosse in onore della
sua fama di santo acquistata più avanti nel tempo, porterebbe il nome
di «San Josè» aggiunto al suo, anni dopo, quando in Guatemala
prese l'abito di fratello Terziario.
La distanza tra L'Avana e Guatemala non era molta e anche in quei
tempi, con le barche a vela, si percorreva in dieci o quindici
giorni, ma l'itinerario segnava come primo porto di sbarco,
Trujillo, nella costa settentrionale di Honduras, dove secondo le
notizie dell'epoca si trascorrevano sei giorni. [10]
Sull'imbarcazione Pietro svolgeva il lavoro assegnatogli e lo faceva
con tanta agilità, prontezza ed efficenza che tutti erano molto
contenti di lui, specialmente il capitano che pensava come poter
trattenere un così valente m'io. Quando, dopo vari giorni,
giunsero alle coste di Porto Trujillo il capitano, che inutilmente
aveva cercato di trattenere Pietro, offrendogli una buona paga ed
altri vantaggi, deciso a non perderlo, ordinò che non lo lasciassero
sbarcare. Pietro, che era pronto con il suo piccolo involto di
vestiario sul braccio, provò come una pugnalata al cuore vedendo che
gli contrastavano la realizzazione dei suoi sogni, raggiunti così
duramente attraverso le pene e vicissitudini di un anno e più... ma
rispettò con umiltà questa ingiusta imposizione e si rinchiuse nella
sua cabina a pregare invocando l'aiuto divino.
Immediatamente lo assalì una febbre alta con i sintomi di una grave
infermità e ciò fece temere ad alcuni che si trattasse della peste,
che allora flagellava quella regione, per cui, il capitano,
avvisato, ordinò che fosse calato dalla nave e lasciato a terra,
affinché vi avesse sepoltura dopo il decesso e non venisse mangiato dai
pesci. Vari uomini lo trascinarono in una spiaggia nascosta, dove
rimase disteso, in stato di incoscienza, in attesa della morte. Su
di lui, però, vegliava una forza superiore poiché poco dopo che la
nave era scomparsa, si riprese e, ormai guarito, in un modo
misterioso ed immediato come si era ammalato, baciò la terra con
emozione e riconoscenza e pianse di gioia poiché comprendeva che quello
era il luogo dove Dio voleva che lo servisse. Il mare si era portato
via il suo modesto bagaglio, ma Pietro non se ne curò, si alzò e
cominciò a camminare cercando la strada per Guatemala.
Dalla spiaggia, dove era stato abbandonato alla morte, fino al
piccolo abitato che era la città di Trujillo, vi erano tre leghe.
Si incamminò e giunse alle prime capanne di paglia ove chiese
ospitalità per quella notte e qualcosa da mangiare per poter recuperare
le sue forze e continuare il cammino fino a Guatemala.
Sentiamo come un cronista dell'epoca descrive questa prima città
centro americana dove Pietro mise piede:
«... dopo lo sbarco giungiamo a terra, a tre leghe dall'ancoraggio
delle navi... Città e porto di centocinquanta abitanti, gente
molto ricca ed illustre, la maggior parte formata da biscaglini ed
andalusi. Le donne sono quasi tutte creole ed hanno un colorito
pallido, un aspetto macilento e la parlata molto gradevole. La città
è fortificata e vi sono diciassette pezzi di artiglieria, e una
fabbrica di armi molto buona perché, pur essendo gli abitanti molto
pochi, quando è necessario, proteggono la terra dall'interno.
«Vengono a servire la città gli indi di cinque isole circostanti cui
vengono pagati quattro reali a settimana. Questi indi sono di bella
corporatura, forti, e astuti. Hanno i loro capi tribù dai quali
dipendono... Hanno anche un'infinità di bestiame...». [11]
Per giorni e notti durante il suo pellegrinaggio, Pietro non
riposò, con grande forza di animo si spinse, alcune volte a piedi,
altre volte a dorso di un mulo, offertogli da qualche persona
caritatevole, attraverso montagne, fiumi, selve e stagni, coste
tropicali piene di pericoli e malattie; domandava qua e là, si
nutriva di erbe e di radici oppure, quando qualcuno si muoveva a pietà
e lo invitava, mangiava cibo caldo; e così poco alla volta copriva
l'enorme distanza che abbraccia il porto di Trujillo, nel golfo di
Honduras sulla costa dell'Atlantico, fino all'allora città di S.
Giacomo dei Cavalieri di Guatemala (oggi Antigua).
Ci si meravigliava, a più di trecento anni di distanza, del la
resistenza, della fermezza e dello spirito del Fratello Pietro
nell'avventurarsi ad attraversare da solo ed a piedi quella zona
sconosciuta, popolata da indi ancora semiselvaggi.
Il frate domenicano Tomás Gage, che visse e percorse le province
del Guatemala nel XVII secolo, racconta nel suo libro di viaggi,
come erano queste terre:
«Non rimaniamo in questo porto (Trujillo) più di otto giorni, è
debole e senza resistenza, come sembra, per la capacità con cui gli
Inglesi e gli Olandesi lo hanno preso; nel termine di questi giorni
decidiamo di ritornare in Guatemala, per terra, e di passare per il
paese di Comayagua, chiamato comunemente Honduras.
«Questo paese è pieno di boschi e di montagne, molto impervio e
scomodo per i viaggiatori, ed inoltre molto povero; non si trova altro
che cuoio, arbusti e rovi.
«Inoltre hanno così poco pane che vicino a Trujillo sono costretti a
servirsi di una focaccia di farina di manioca (iuca), radice che
mangiata secca soffoca quasi le persone; per questo la mettono nel
brodo, nell'acqua, nel vino o nella cioccolata, allo scopo di
poterla ingerire più facilmente.
«Da Trujillo a Guatemala ci sono circa ottanta o cento
leghe...». [12]
|
|