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Una mattina Pietro andò a far visita al sacerdote Giacinto de
Miranda per spiegargli come procedeva la c'ostruzione e presentargli
un elenco del legname che serviva con maggiore urgenza. Il padre lo
ascoltò e si felicitò per la tenacia e l'entusiasmo di lui, ma non
si offrì di aiutarlo economicamente, al contrario, gli fece dei
calcoli indicandogli che un'opera del genere sarebbe costata molto.
Pietro lo ascoltò in silenzio poi, vedendolo un po' dubbioso, gli
disse sorridendo:
- «Dunque, mio signor fratello, lei deve pagare le spese di quelle
sale».
- «Fratel Pietro, io aiuterò con qualche elemosina, ma farlo
tutto a spese nostre, non potrei».
Pietro rimase un po' in silenzio e poi, come ispirato, pronunciò
queste profetiche parole, che allora il Padre Giacinto non comprese:
- «Non si preoccupi, padre e mio signore, tanto si dovrà fare».
Pietro andò via ed il Padre Giacinto rimase pensieroso, e non si
spiegava come avrebbe fatto quel buon uomo per ottenere i fondi
necessari per quella costruzione o, almeno, il materiale che
sollecitava con urgenza, e che non era poco e richiedeva molto denaro.
Egli non lo sapeva... ma era sicuro che dalla sua borsa non sarebbe
uscito, avrebbe aiutato con piccole elemosine e niente di più. Così
pensando, ritornò alle sue quotidiane occupazioni e dimenticò
l'accaduto.
Quella sera, con sua grande sorpresa, entrarono nella sua casa alcuni
Indi che venivano ad offrirgli in vendita una quantità di legname che
avevano usato per diverse costruzioni in una recente fiera. Avevano
vari muli carichi di forconi, travi, puntelli, assi, canne e tanto
altro materiale in buono stato. Essi non volevano riportarlo al loro
paese e preferivano cederlo a buon mercato. Cosa straordinaria, tutto
quel legname coincideva esattamente con la richiesta che quella mattina
Fra' Pietro gli aveva presentato.
Padre Giacinto comprese allora le parole di Pietro. Comprò il
legno e per mezzo degli stessi Indi glielo inviò insieme ad un
messaggio in cui era scritto che se ne avesse avuto bisogno di altro
sarebbe stato disposto a procurarglielo immediatamente, cosa che da
allora fece sempre.
In questo modo, a poco a poco, con l'aiuto di molti generosi
abitanti ed attraverso situazioni considerate miracolose da coloro i
quali ne furono testimoni oculati, il piccolo ospedale cresceva sempre
più, diventando così realtà il sogno da tanto tempo accarezzato da
Fratel Pietro: servire Dio servendo il prossimo.
Un sabato, doveva pagare un conto e non gli bastava il denaro, aveva
bisogno di cinquanta pesos e ne possedeva solamente trenta, che aveva
dato in custodia ad una brava signora la quale lo aiutava nelle sue
opere di carità. Si incamminò per andarli a prendere, pregando
d'incontrare qualcuno che gli potesse offrire i venti pesos rimanenti,
ma non incontrò nessuno. Giunse alla casa della signora, disposto a
raccontarle la sua pena, ma prima che potesse parlare, ella lo
prevenne dicendogli:
- So già che lei Fratello, ha voluto mettere alla prova la mia
fedeltà, poiché mi consegnò cinquanta pesos da custodire, e mi
disse che erano trenta».
E gli consegnò il pacchetto contenente cinquanta pesos esatti.
Si avvicinava l'inverno ed ancora mancava un po' di legno per
terminare il tetto dell'ospedale. Sapendo che il capitano Francisco
Gautiérrez aveva ingrandito la sua casa e che aveva un po' di legno
in sovrappiù custodito in una bottega in fondo al cortile, Pietro
andò a visitarlo per chiederglielo. Il capitano Gutiérrez e la sua
sposa, donna Isabella, ammiravano Pietro ed accolsero con piacere la
richiesta, facendogli notare soltanto che il legno era molto poco,
appena alcuni tavolacci avanzati che avrebbero riempito a mala pena un
carretto di buoi. Isabella gli disse perfino, in tono un po'
scherzoso, che avrebbero impiegato soltanto un'ora per trasportarli
tutti.
Pietro fu grato del dono ed andò a prendere due carretti di buonì e
vari aiutanti indigeni che iniziarono a caricare. Donna Isabella li
osservò stupita vedendo che uscivano completamente carichi e pensò che
avessero terminato... ma la sua meraviglia aumentò quando li vide
ritornare e caricare un'altra volta... poi un'altra ancora...
un'altra... ed un'altra. Donna Isabella, una donna dopo tutto,
si incuriosì tanto che volle entrare nella bottega per vedere cosa
stesse accadendo, ma il Fratello Pietro la fermò sulla porta,
dicendole sorridente:
- «Non si intrometta, sorella, nelle cose di Dio, badì che Egli
sa tutto ed ama molto i suoi poveri; ed è lieto di ciò che gli si dà
con liberalità».
Donna Isabella comprese che si trovava di fronte ad un fatto
miracoloso e rispettò reverente ciò che í suoi occhi increduli
vedevano.
La storia racconta che per tre giorni ì carretti fecero più di cento
viaggi (tanti quanti occorsero per trasportare la quantità di legno
necessaria per tutto il tetto), e che, dopo che Fra' Pietro si fu
congedato riconoscente, gli sposi entrarono nella bottega e trovarono
che ì due carichi originari erano ancora lì.
Con la stessa signora, la quale era un po' incredula, accadde un
altro caso analogo. Di questo legno avanzato, ella aveva conservato
quattro tavole speciali perché le costruissero un mobile. Nessuno era
a conoscenza del nascondiglio neppure suo marito. Donna Isabella se
ne era dimenticata, ma una mattina si presentò nuovamente Fratel
Pietro, era molto contento e le disse che lo inviava San Giuseppe a
chiederle alcune tavole che ella aveva messo da parte, che erano della
lunghezza di quattro palmi e che corrispondevano esattamente alla misura
ed alla qualità di cui l'ospedale aveva bisogno. Donna Isabella
rimase ammutolita dallo stupore, poiché né i suoi servi, né suo
marito sapevano di questo legname, e, tanto meno, poteva esserne al
corrente un estraneo.
- «In verità posseggo quattro tavolacci - disse a Fra' Pietro ma
sto aspettando che il falegname li usi per farmi un mobile. Non mi
spiego come lei possa conoscere i nascondigli della mia casa, se
neppure mio marito li conosce».
- «Non si preoccupi, signora, io sono inviato da quel Divino
Falegname che seppe insegnare con la stessa sapienza di Dio a
fabbricare croci e fu un tale grande maestro nel farle, che soltanto
quella che Egli portò non fece, poiché era frutto dei miei peccati.
Nel dire questo, le lacrime spuntarono dai suoi occhi e donna
Isabella, profondamente commossa e piangendo anch'ella
dall'emozione, non poté far altro che aggiungere:
- Fratello, a Colui che lo invia e le ha detto che io possedevo
tavolacci della misura giusta ed il luogo in cui erano riposti, non
posso negare nulla; vada, prenda ciò che le piace e se ce ne fosse
bisogno, vi è anche altro legname per gli infissi delle porte e delle
finestre».
Caricarono su di un carrettino le quattro tavole e l'altro legno che
serviva per l'ospedale. Pietro si congedò benedicendola per la sua
bontà. Donna Isabella, che era piuttosto curiosa, non appena egli
se ne fu andato, corse sul posto per vedere se avessero lasciato
qualcosa, fosse pure un tavolaccio, e quasi morì dallo spavento nel
vedere che invece delle quattro tavole ve n'erano quattordici della
stessa qualità, tipo e misura delle precedenti.
Fra' Pietro continuava a chiedere qua e là per andare avanti con la
sua opera, ma non sempre le elemosine erano fatte con buona volontà o
date con l'intenzione di aiutarlo.
C'era un uomo molto cattivo, al quale non piaceva dare niente a
nessuno, e benché Pietro lo sapesse, decise di ricorrere a lui.
Quegli lo ricevette freddamente e coi fine di molestarlo, gli disse:
- «Fratello, ho soltanto un mulo da offrirle. Lo prenda se
può».
Egli sapeva bene che il mulo era indomito, che nessuno era riuscito a
farsi ubbidire, e, tanto meno, a farlo lavorare trasportando
carichi, perché tirava calcia chiunque si avvicinasse... ed il suo
desiderio era che il mulo atterrasse con un calcio Fratello Pietro.
Questi lo accettò con tutta umiltà e gradì il regalo, facendo
notare che aveva precisamente bisogno di un mulo che lo aiutasse a
trasportare il materiale. Si avvicinò all'animale, gli mise la mano
sul dorso e, davanti agli occhi stupiti del suo precedente padrone,
l'animale mansueto e tranquillo cominciò a seguirlo come un
agnellino.
Da quel giorno il mulo divenne un collaboratore straordinario,
trasportava il materiale, lavorava dalla levata al tramonto del sole
senza molestare nessuno, obbediva alla prima voce ed era l'ammirazione
di quanti sapevano come era stato indomito e selvaggio. Falegnami,
muratori e fratelli terziari che aiutavano alla costruzione, amavano
tutti il mulo per la sua mansuetudine, ed i bambini, dopo le loro
lezioni, lo montavano allegramente senza che mai li facesse cadere.
Un giorno mentre lavoravano, cominciò a piovere torrenzialmente e
tutti corsero a ripararsi sotto il tetto, solo il mulo rimase nel campo
aperto prendendosi tutta l'acqua. Vedendolo Fra' Pietro lo chiamò
con queste parole:
- «Fratello mulo, non vedi che ti bagni? Perché non ti metti al
riparo?». Come se avesse compreso le parole, immediatamente esso si
incamminò dove erano tutti gli altrì i quali da quel giorno lo
chiamarono «Fratello mulo».
Una volta l'animale si ammalò e Fra' Pietro lo curò con la stessa
diligenza ed affetto che usava per i suoi infermi. Questo quadrupede,
quasi gli animali abbiano sentimenti volle molto bene a Fratel Pietro
e gli fu fedele per tutta !a vita, al punto che quando egli morì
suscitò l'ammirazione di tutta la città perché nel corteo in cui
c'erano il Vescovo, il Sindaco e tutte le principali autorità e
dignitari della chiesa e della citta, camminava tristemente, anche
lui, il mulo, con il capo chino, e poi rimase steso in terra come
morto, dimostrando così il suo dolore.
«Io non so se dicessero la verità quelle venerabili nonne che
raccontavano questa storia; ma ciò che so e che posso ripetere qui,
è che appena Fratel Pietro fu sepolto, la comunítà di Betlemme
índísse una riunione per trattare alcuni argomenti importanti
dell'Ordine. Uno di quelli, sembra incredibile, riguardava le
decisioni da prendere per l'invalido quadrupede che si era invecchiato
al servizio del convento.
«Si doveva ucciderlo per liberarlo dalle pene e gettare il suo
cadavere in pasto a qualche rapace? Che ingratitudine pagare in questo
modo i suoi grandi servigi!
Lo si doveva abbandonare per la strada o vendere al primo passante
affinché il poverino terminasse i suoi giorni sotto la frusta di
qualche padrone? Quale barbaria esporlo a nuove fatiche quando era
già avanzato negli anni!
In tale grave difficoltà la comunità trovò una soluzione ottima.
Poiché il poverino era stato il fedele compagno del santo Fondatore,
aveva prestato grande aiuto agli infermi ed era invecchiato nei lavori
della casa, la cosa naturale era quella di concedergli la sua
pensione. Sì, la sua pensione.
La notizia corse subito di bocca in bocca e per molto tempo non si
parlò d'altro che della felice «pensione di Betlemme».
Quando morì, i Betlemiti grati, invece di buttarlo in preda agli
uccelli rapaci, gli diedero onorevole sepoltura, ai piedi di un
arancio del convento sul quale uno spiritoso scrisse il seguente
epitaffio:
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Per quanto possa sembrar portento
qui sotto giace frate giumento
che fu famoso nel pio Belén,
a lui sia pace per sempre,
Amén». [32]
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L'affetto di Pietro per gli animali era particolare, come abbiamo
visto nel caso precedente e vedremo in quest'altro, di cui parla la
storia, di un uomo che, infuriato, uccise a bastonate il suo cane e
lo buttò nella spazzatura, poi pentito andò a raccontarlo a Fra'
Pietro il quale immediatamente si recò a raccoglierne il cadavere, lo
avvolse nel mantello e lo portò al suo ospedale... A due giorni di
distanza completamente guarito, il cane tornò dal padrone.
Un'altra volta Pietro dimostrò il suo senso di giustizia e di
rispetto per la pace, in un incidente avvenuto per un cavallo.
Un cavallo vagabondo che pareva non avesse padrone fu portato alla
palizzata pubblica dove passò vari giorni legato senza che nessuno lo
reclamasse, soltanto Fra' Pietro si recava tutti i giorni a
portargli cibo ed acqua. Poiché la bestia non poteva rimanere sempre
là, le autorità decisero di affidarlo a Pietro affinché gli fosse
utile nel trasporto del materiale per la sua opera. Il povero animale
era debole e stanco e Pietro, prima di metterlo al lavoro, lo tenne
per vari giorni in un recinto vicino affinché potesse mangiare e
correre liberamente. Dopo pochi giorni, l'animale, rimessosi e
nitrendo dalla voglia di lavorare, si mise ad aiutare con mansuetudine
nel trasporto dei materiali per la costruzione dell'ospedale.
Tuttavia, una mattina, si presentò un uomo adirato che diceva di
essere il padrone del cavallo e lo reclamava immediatamente. Pietro
non era lì, era uscito per le sue quotidiane occupazioni di servizio
pubblico, per cui gli operai non vollero consegnarlo, aggiungendo che
era stato dichiarato senza padrone ed affidato legalmente a Pietro.
Ma l'uomo non voleva sentire ragioni ed infuriato, blaterando
impropreri, andava su e giù minacciando... Nel frattempo giunse
Pietro. Con tutta calma chiese cosa stesse accadendo e messo al
corrente, disse all'uomo che, se il cavallo era davvero suo, se lo
prendesse pure, ma che non turbasse la loro pace.
I muratori rimasero stupiti di questa decisione che sembrava loro
assurda, ma Pietro spiegò che la pace valeva più di qualsiasi altra
cosa materiale:
- «Se volessero distruggere tutta l'opera - aggiunse -dicendo che
tale è la volontà di Dio, io stesso sarei il primo che, senza
contraddire, comincerei ad abbatterla prima che si perdesse la pace.
Vi fu anche un altro uomo, un religioso andaluso, che per gelosia
della fama di Pietro e dell'affetto e dell'entusiasmo con cui tutti
lo aiutavano, si recò un giorno a vedere l'opera in costruzione e,
trovando solo un operaio, gli chiede in tono di burla:
- «Cosa credono di costruire, la torre di Babele? Dica a Pietro
che questo non è altro che denaro sprecato, non potranno fare mai
nulla».
Quando Pietro arrivò e venne a conoscenza di tale messaggio, disse:
- Questo non l'ha stabilito né il padre né io
- Chi dunque?
- L'ha stabilito Dio, quelli che vivranno lo vedranno.
Ed effettivamente, quelle furono parole profetiche perché l'opera si
realizzò, perdurò e fece un bene immenso.
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