CAPITOLO XIV. IL SUO AMORE PER GLI ANIMALI

L'affetto che Fratel Pietro provava per gli animali era uguale a quello di San Francesco d'Assisi. Per quanto inferiori e sgradevoli fossero, se si accorgeva che un animale soffriva, era maltrattato o in pericolo, correva subito in suo aiuto, come se si trattasse di un essere umano. Parlava a tutti e - sorprendentemente - tutti gli animali sembravano comprenderlo, poiché obbedivano a quello che diceva loro.

Nell'ospedale c'erano molti topi che venivano dalla campagna, mangiavano i cibi ed il vestiario custodito per i convalescenti e questo dava molto fastidio agli altri fratelli terziari che aiutavano Pietro. I fratelli incaricati della pulizia lottavano inutilmente per sterminarli o per lo meno disperderli, ma era impossibile, i topi sembravano più svelti di loro e trovavano sempre il modo di entrare per compiere le loro malefatte. Alla fine, disperati, si rivolsero a Fra' Pietro per avere aiuto.

Egli chiamò un brav'uomo che collaborava alle sue opere, don Lorenzo Hipolito, e gli chiede che gli desse una mano per scacciare i roditori dall'ospedale. Don Lorenzo si prestò subito, pensando di divertirsi a rincorrere topi per tutto l'edificio, ma quale non fu la sua sorpresa quando Pietro gli chiese un bastone.

- Andate, portatemi un bastone, perché voglio fare l'amministratore.

Don Lorenzo ascoltò stupito questa strana richiesta che non associava al compito di cacciare i topi, ma dato che ormai conosceva le stranezze di Fratel Pietro, andò premuroso nel cortile e prese un bastone.

Frattanto, Fra' Pietro aveva messo il suo cappello a terra, con la coppa rivolta verso l'alto e chiamò i topi. Questi benché sembri impossibile - cominciarono ad uscire dai loro nascondigli, sporgevano timorosi le loro testine, guardando da una parte e dall'altra... scendevano dagli scaffali, dal tetto, uscivano da sotto le porte e correvano premurosi, alcuni a mettersi nel cappello, altri a fermarsi immobili di fronte a Pietro. Quando tutti furono usciti, Pietro raccolse il suo inconsueto fardello, tenendo in una mano il cappello pieno di topolini tremanti, nell'altra il bastone a mo' di baculo, mentre dietro di lui, altri topolini lo seguivano come in una sfilata. Invitò don Lorenzo ad accompagnarlo, dirigendo i suoi passi verso il fiume Pensativo, nei dintorni della città, che attraversarono a piedi poiché era estate ed era in secca.

Arrivati all'altro iato del fiume, mise il cappello a terra e, simulando di trovarsi in un tribunale, appoggiato al suo «bastone da amministratore», parlò così ai topolini:

- «Questa è la giustizia del Re del Cielo contro voi fratelli; cioè che siate esiliati dalla casa, per non procurare danno ai viveri ed agli alimenti degli infermi».

Subito dopo batté tre volte al suolo il bastone e fece un gesto con la mano per mandarli via. Tutti i topolini se ne andarono di corsa, disperdendosi negli sterpi vicini... e da quel momento, non ci fu più un solo topo nell'ospedale e nel convento di Betlemme.

Abbiamo già raccontato come l'asino selvaggio si trasformasse nell'animale più mansueto e seguisse il corteo nel giorno del suo funerale.

Vi fu un altro animale, questa volta un cavallo, dato in prestito a Pietro per essergli di aiuto nel trasporto dei materiali per la costruzione dell'ospedale. Questo cavallo trasportava la sabbia, ma ne versava sempre un po', passava dove non doveva e causava danni ovunque. Il suo padrone non voleva disfarsi di lui, ma non potendolo domare pensò che mettendolo al lavoro sarebbe diventato mansueto; non fu così, al contrario, ogni giorno era più selvaggio ed indomito, per cui una volta, vedendolo così, decise che era meglio regalarlo a Fra' Pietro in modo che provvedesse lui sul da farsi riguardo ad un simile animale. Così avvenne, ma quale non fu la sorpresa di tutti, perfino quella di Pietro, quando nel momento stesso in cui divenne di sua proprietà, quel cavallo selvaggio si trasformò in una animale mansueto ed obbediente e diventò un magnifico collaboratore, trasportando sacchi di sabbia e pietre, senza far cadere nulla e senza stancarsi mai.

Vicino alla cappella del Calvario si estendeva una vasta campagna dove la domenica la gente si radunava a godere l'aria fresca e pura. Una mattina passò di lì un toro infuriato e qualcuno pensò di affrontarlo improvvisandosi torero. Il toro correva da una parte e dall'altra e ovunque spuntava un nuovo torero... la gente si divertiva e gridava di giubilo per l'improvvisato spettacolo senza rendersi conto del pericolo che correva perché l'animale si infuriava sempre di più. Quella mattina Pietro si era diretto al Calvario, camminava per la sua strada quando, improvvisamente, vide venire da lontano l'animale infuriato che, essendo riuscito a spezzare il cerchio dei suoi numerosi toreri, si dirigeva, accecato dall'ira verso quella figura in movimento. La gente da lontano gli gridava avvertendolo del pericolo, ma Pietro senza spaventarsi, si fermò a metà strada ed aspettò l'animale. Quando gli fu vicino disse:

- «Non venire qua».

Il toro non fece un passo. Egli si avvicinò fino a toccarlo con la mano e, dandogli una leggera spinta, lo mandò verso l'altro lato del campo, nel recinto da dove era scappato e in cui entrò lento e mite, davanti agli sguardi attoniti dei numerosi testimoni che in seguito raccontarono stupiti questo fatto straordinario.

Un giorno Pietro incontrò un gruppo di bambini che aveva dato la caccia ad un zopilote (ossia la femmina dell'avvoltoio americano) e lo stavano maltrattando prima di ucciderlo. Gli zopiloti sono molto comuni in Guatemala, si vedono svolazzare ovunque ci siano degli avanzi e poiché si considerano uccelli inutili - sebbene in realtà non sia così, in quanto ripuliscono l'ambiente dal sudiciume - a molte persone piace, per divertimento, cacciarli ed ucciderli. Quella mattina, mentre Pietro si recava a far visita agli ospedali, vide quel gruppo di bambini e sentì i gracidii dell'uccello sul punto di morire. Il suo senso di pietà rivolto a tutti, perfino verso questo uccello considerato sudicio, lo spinse a toglierlo dalle mani dei bambini e a portarlo con sé per curarlo. L'uccello stette molti giorni convalescente sul ramo di un albero nel cortile posteriore dell'ospedale, dove ogni giorni Pietro gli dava cibo ed acqua, fino a che non guarì. Pensò allora che l'uccello se ne sarebbe andato, ma accadde il contrario, lo zopilote, in segno di gratitudine, non si separò mai da Pietro, fece dell'albero la sua casa e si preoccupava di mantenere puliti i dintorni dell'ospedale. Le cronache raccontano che quando Pietro morì l'aminale rimase in possesso degli altri fratelli e che Frate Rodrigo de la Cruz, suo successore, gli si affezionò tanto che quando andò nel Perù, lo portò con sé per compagnia.

Pietro amava particolarmente, come San Francesco, gli uccelli canori. Fin dai primi tempi della sua vita religiosa, quando viveva al Calvario, era sua abitudine alzarsi all'alba per dare da mangiare ai numerosi uccelli che vivevano nel giardino, quel bel giardino che egli coltivava personalmente.

Gli uccellini allegri e gorgheggianti correvano a mangiare nelle sue mani, si posavano sulle spalle e sulla testa, ed era tale l'allegria del Fratello Pietro che con le braccia aperte girava ballando e cantando.

Gli uccellini svolazzavano su di lui, cantando di gioia lo seguivano a stormi per tutto il giardino fino a che Pietro, terminata la colazione, batteva due volte le mani come per dire loro di tornare ai propri nidi o di darsi ai voli mattutini... e così facevano obbedienti.




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