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Oggi sono molti gli autori che lamentano la frammentazione del sapere,
tenendo presente la giusta distinzione tra specializzazione e
frammentazione. La prima è necessaria per il progresso nel campo
della conoscenza e dello sviluppo umano, ed è inevitabile data la
limitazione dell'uomo. La seconda invece è dannosa. In linea di
principio, la specializzazione non dovrebbe portare inesorabilemente
alla frammentazione. Di fatto però, forse per il modo in cui è
avvenuta la specializzazione, essa stessa è stata accompagnata dal
frammentarsi del sapere in scienze che non comunicano.
La specializzazione ha dato luogo ad una grande diversità di metodi di
ricerca, con la conseguente creazione di linguaggi molto particolari.
Anche la struttura organizzativa delle università in facoltà,
scuole, dipartimenti ha consacrato, secondo MacIntyre, una sorta
d'isolamento e di incomunicabilità tra le scienze. La frammentazione
è penetrata perfino all'interno dei due saperi più sapienziali, la
filosofia e la teologia, nelle cui rispettive facoltà le diverse aree
di ricerca comunicano poco, per cui il ruolo unificatore di questi
saperi, di per sé rivolti all'intera realtà, diventa inefficace.
La frammentazione ha portato con sé parecchi effetti negativi. Dal
lato della realtà conosciuta, con la frammentazione si ha una
molteplicità di dati e di conoscenze senza una visione unitaria del
reale. L'uomo si trova oggi a dover agire in un mondo del quale ha
soltanto delle immagini parziali e scollegate. Da ciò nasce un senso
d'insicurezza, che viene provvisoriamente nascosto dai risultati della
tecnologia.
Dal lato della persona, si riscontra un effetto non desiderato ancora
più grave, in quanto, studiata solo con i metodi delle scienze
naturali, essa si trova ad avere una visione frammentata di sé
stessa. La concentrazione sul soggetto e il distacco del soggetto
rispetto all'oggetto, caratteristiche dell'epoca moderna, hanno
portato ad una situazione di massima perplessità sull'interrogativo
fondamentale: chi sono io?
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