"COMPLIMENTI"

Ci rivolgiamo adesso ad un'altra situazione del quotidiano, quella delle felicitazioni, cercando di riscattare il senso originale dei voti di congratulazione.

Seguendo il procedimento medievale, resteremo attenti all'etimologia.

Quando trascendiamo l 'ambito delle formalità e della consuetudine, i voti di felicitazioni: "Auguri!" (e i suoi confratelli in altre lingue: lo spagnolo Enhorabuena!, l 'inglese Congratulations!, il portoghese Parabéns!, ecc.), vediamo che portano con sé differenti e complementari indicazioni sul mistero dell'essere e del cuore umano.

Cosa significano esattamente queste formulazioni? Cosa veramente vogliamo dire quando diciamo "auguri" o "congratulations" ecc.? Tutte queste espressioni portano con sé un profondo significato, per cosî dire, "invisibile ad occhio nudo".

Cominciamo per la formula castigliana: Enhorabuena!, letteralmente "in buona ora". Enhorabuena indica che un determinato cammino (gli anni di studio che sboccano in una laurea, l'arduo lavoro per stabilire un'impresa che si inaugura ecc.) arriva in quest'ora in cui si danno le felicitazioni al suo termine: questa è veritieramente l'ora buona, enhorabuena!

Precisamente il fatto d'essere l'ora della conclusione è quello che la fa una buona ora. La saggezza degli antichi ci parla "dell'ora d'ognuno", delle ore buone e cattive. Ma la buona ora, l'ora migliore, è quella della conclusione, della consumazione dell'opera, quella del buon termine del cammino, l'ora della fine, che è migliore che quella del cominciamento: "Melior est finis quam principium" (Ecl. 7, 8), dice la propria Sapienza divina.

Già la formulazione inglese, anche presente in tedesco e in altre lingue, congratulations, esprime l'allegria per il bene dell'altro con il quale ci congratuliamo, cioè ci co-allegriamo. Questa communione d'allegrezza è suggerita anche per la forma deponente dei verbi latini gratulor e con-gratulor. La forma deponente indica che l'azione descrita nel verbo non è attiva ne passiva: ma un'azione che, esercitata dal soggetto, ripercuote in sé stesso. Vuol dire, nel caso, che l'allegria che esterniamo al felicitare tale persone è anche, a titolo proprio, molto nostra.

L'arabo mabruk ricorda il carattere di benedizione con che felicitiamo altrui.

Con l'incantevole forma portoghese "Parabéns" si esprime precisamente questo: che il bene conquistato, che la meta raggiunta sia adoperata per il bene: "parabéns". Poiché qualsiasi bene ottenuto (il dono della vita, soldi o la conquista di un diploma) può, come tutti sanno, essere adoperato sia per il bene che per il male.

L'italiano "auguri, auguri tanti!" annuncia (o cagiona) che questo bene celebrato è solo preannuncio, prefigurazione, augurio di altri ancora maggiori che stanno per venire.