4. Dall'interdisciplinarità alle questioni metadisciplinari

Gualberto Gismondi (cfr. Fede e cultura scientifica, EDB, Bologna 1993) nota che il metodo interdisciplinare, sorto per rimediare alle contraddizioni riduttiviste e alla frammentazione del paradigma scientista, non è più adeguato all'epistemologia della complessità, che caratterizza l'attuale periodo scientifico. Si rende necessario passare ad un metodo transdisciplinare, in cui varie scienze mettono in comune tutti i loro principi di base per ritrovarne il fondamento unificante.

Secondo me, l'interdisciplinarità sta favorendo il contatto tra i diversi saperi, ma di per sé si muove ad un livello orizzontale e non pone - o almeno non lo fa in modo chiaro ed esplicito - le questioni ulteriori che nascono da una determinata prospettiva scientifica e che quella scienza non è in grado di risolvere. Sembra quindi una soluzione parziale o un primo passo, perché non rende esplicito il fatto, molto importante, che ci sono questioni metadisciplinari.

Nel mondo dei saperi ci sono da molto tempo sviluppi classici di metadisciplinarità, come, ad esempio, la filosofia del diritto. Questa tratta di questioni metagiuridiche, cioè che sono aldilà del diritto, che però il giurista non può ignorare. Il diritto dipende da conoscenze più profonde sull'antropologia, su ciò che giusto e ingiusto, sul bene e il male. Un altro esempio paradigmatico di metadisciplinarità sono le ricerche metafisiche di Aristotele. La sua fisica (con la biologia, l'astronomia, ecc.) gli poneva problemi che si trovano al di là di essa e che costituiscono la metafisica. Da alcuni decenni si sono sviluppate diverse metascienze (metamatematica, metalogica, metabiologia, ecc.), che cercano d'inquadrare una determinata disciplina in una cornice di principi più generali di quelli della disciplina stessa, permettendo così la soluzione di aporie e problemi indecidibili. In qualche modo si tratta di riflessioni filosofiche sulle scienze.

Senza pretese di essere esaurienti, si possono distinguere almeno tre tipi di questioni metadisciplinari: a) alcune sono epistemologiche, cioè la considerazione sul proprio metodo, la sua specificità e la sua distinzione da altri metodi vicini, i suoi vantaggi e i suoi limiti; b) altre nascono dai temi studiati, i quali, non essendo stati pienamente compresi con quel metodo, rimandano ai fondamenti, i quali si trovano in altri saperi, accessibili con altri tipi di razionalità; c) si potrebbe parlare di un terzo gruppo di questioni metadisciplinari: la necessità di scoprire e di approfondire il quadro metafisico, etico e religioso di riferimento, all'interno del quale si muovono coloro che praticano quella scienza; un quadro che cambia lungo la storia, ma che sempre esiste, poiché nessun scienziato può essere veramente neutrale di fronte alle questioni radicali e prescindere da queste nelle proprie ricerche.

Vorrei tentare di riflettere in modo piuttosto generale sulle scienze della natura e su quelle umane. Quanto alle scienze naturali, un esempio interessante sul modo di affrontare questioni metadisciplinari si può trovare nel recente lavoro di M. Artigas, La mente del universo (Eunsa, Pamplona 1999). In esso, partendo dallo stato attuale della scienza e in dialogo con i principali scienziati e filosofi della scienza, cerca di scoprirne i vari presupposti: ontologico (esistenza di un ordine nella natura, che la rende intelligibile), epistemologico (la capacità umana di conoscere quell'ordine) ed etico, riguardante i valori implicati nell'attività scientifica.

Oltre a questi presupposti ci sono i problemi fondamentali della filosofia della natura, impostati però a partire dalla scienza così come si è sviluppata. Qui si pongono gli interrogativi sulla causalità, sulla natura dell'attività, sul versante quantitativo e su quello qualitativo, e forse in modo del tutto particolare la questione della finalità, alla quale Robert Spaemann ha dedicato un libro (assieme al suo collaboratore Reinhard Löw, Die Frage Wozu?: Geschichte und Wiederentdeckung des teleologischen Denkens, , R. Piper, München - Zürich 1985). Nel periodo moderno con il dualismo cartesiano si perde la teleologia, e mi chiedo se non sia stato questo uno dei motivi che ha condotto dalla specializzazione alla frammentazione.

Le scienze della natura quindi chiamano in causa la filosofia della conoscenza, nel suo preciso versante epistemologico (filosofia della scienza) e in quello della filosofia della natura. E' chiaro però che la comprensione del cosmo non finisce a questo livello, poiché sono implicati soprattutto temi metafisici ed antropologici, come ha ben rilevato Artigas.

Il campo delle scienze umane appare abbastanza complicato. In molti casi si sono sviluppate con metodi nati nelle scienze della natura, come è successo per esempio alla sociologia e alla psicologia. D'altra parte bisogna riconoscere che non poche ricerche di sociologi e di psicologi hanno avuto un certo spessore filosofico, che ha arricchito talvolta la stessa filosofia. C'è anche il campo, particolarmente interdisciplinare, delle "scienze cognitive", a cui partecipano informatica, psicologia, filosofia del linguaggio, neurofisiologia, educazione, ecc.

Tutte le scienze umane rimandano, ovviamente, non solo alle questioni di metodo scientifico, ma anche ai temi di una antropologia filosofica integrale, intesa ad abbracciare anche le questioni fondamentali dell'etica e della politica.

Mi preme di sottolineare quanto sia importante il ruolo della filosofia in questo passaggio alla metadisciplinarità. Sono noti i servizi "Meta" in internet, che promuovono un costruttivo rapporto (engagement) tra scienza e religione. Ma per questo rapporto è necessaria la mediazione filosofica. Fides et ratio afferma che se la filosofia riuscirà ad avere una dimensione sapienziale "non sarà soltanto l'istanza critica decisiva, che indica alle varie parti del sapere scientifico la loro fondatezza e il loro limite, ma si porrà anche come istanza ultima di unificazione del sapere e dell'agire umano, inducendoli a convergere verso uno scopo ed un senso definitivi. Questa dimensione sapienziale è oggi tanto più indispensabile in quanto l'immensa crescita del potere tecnico dell'umanità richiede una rinnovata e acuta coscienza dei valori ultimi. Se questi mezzi tecnici dovessero mancare dell'ordinamento ad un fine non meramente utilitaristico, potrebbero presto rivelarsi disumani, ed anzi trasformarsi in potenziali distruttori del genere umano" (FR 81).

Secondo queste parole, la filosofia dovrebbe assolvere due compiti: uno epistemologico, cioè quello di riflettere sul metodo, sui fondamenti e i limiti propri d'ogni scienza; l'altro, collegato al primo ma ancora più intensamente sapienziale, quello dell'unificazione del sapere e dell'agire.